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Autore: Lanadelreywithed    26/03/2013    0 recensioni
Ecco cos'era la libertà: un posto dove non eri giudicata, persino se avessi avuto le pinne e le ali materiali, non quelle della fantasia.
Quel pensiero mi rattristì. Ero come un uccello che si libera da una gabbia e poi, a malincuore, scopre che si trova in una sfera trasparente e impenetrabile. Dalla prigione alla reclusione nella realtà. Avrei voluto essere un animale.
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Zio Isaac non smetteva più di parlare. Era felice e questa era la prima gioia, dopo anni, che prendeva vita nel nostro misero appartamento. La causa poi era stupida: avevo solo ripreso tra le mani il mio blocco da disegni, anche se ciò simboleggiava il mio ritorno ad una realtà umana.

Forse per farvi capire meglio dovrei partire dall'inizio, dagli arbori, in un tempo dove non ero stata immaginata.

 

Haifa pullulava di vita, nell'Israele gioiosa, almeno per quel breve periodo. Non vi era angolo che non fosse illuminato o adornato delle quattro specie vegetali caratteristiche.

Era la festa del Sukot, la “Festa delle Capanne”, a ricordare il viaggio verso la terra promessa. Due giorni di allegria che Savaa avrebbe passato con la sua famiglia e un'altra, di parentela lontana e di grande amicizia, che proveniva dal sud. Savaa è mia madre.

L'arrivo dei Betrich alla casa dei miei nonni materni fu tanto solito per loro, quanto sconvolgente per la mia cara e dolce Savaa. Lei che nei suoi diciassette anni e mezzo aveva passato gli ultimi due Sukot a Shefar'am dalle amate cugine, vide tra gli amici di vecchia data un ragazzo moro, non esageratamente alto e estremamente, infinitamente, incalcolabilmente bello. Mio padre. Mamma non poteva credere che quello fosse Navè, compagno di giochi e avventure infantili.

Nello stesso istante anch'egli rimase assuefatto, o perlomeno, così voglio credere.

Durante la serata parlarono e l'imbarazzo tra i due vibrò per poco, poiché dopo qualche momento erano follemente e immancabilmente innamorati l'uno dell'altra.

Passarono i giorni della festa e anche il periodo concesso al ritrovo amichevole. Si amavano e ora vi immaginerete il classico matrimonio in famiglia, ma tra loro non poteva succedere niente.

La famiglia di mamma sarebbe andata in Europa e i Berich erano obbligati a trasferirsi a Gerusalemme, dove la guerra regnava e vegliava. Il loro sentimento era un ostacolo a tutto ed entrambi i padri dei giovani ne erano ostili, tanto da cominciare ad odiarsi.

Savaa e Navè scapparono. Senza nessun sfarfallio nuziale si amarono ed ebbero me. Erano giunti in Italia con il poco denaro che avevano, avevano imparato un po' di lingua ed io non avevo ancora un nome. I nomi italiani sembravano un tradimento alla loro fede e quelli ebrei ricordavano troppo dolore. Non avevano più niente ed ero la loro ultima speranza. L'ultimo sogno. L'ultima stella che avrebbe illuminato la strada che li avrebbe condotti al posto, quello che avrebbero potuto chiamare casa. Così mi chiamarono Ust, il loro piccolo, ultimo, astro.

Ma mia madre si ammalò ed erano senza soldi con una neonata. Non so bene come fecero, eppure andammo a Roma. Era il crepuscolo e tutto intorno l'aria afosa unita allo smog aleggiava, spenta. Ciò che so è che incontrarono mio zio Isaac, fratello di Savaa, pregandolo di prendermi con lui, di tenermi al sicuro e di ricordarmi il più che poteva che mi amavano e lo avrebbero fatto per sempre.

 

Tra le chiacchiere di zio Isaac e i suoi enormi sorrisi uscii, con i fogli sotto il braccio e la borsa, che teneva l'astuccio con il mio inseparabile carboncino e altre cianfrusaglie.

Londra. Da quando avevo sette anni stavamo in Inghilterra, ma Lei... Lei convive con me da un anno e nonostante questo, i miei amici sono pressapoco inesistenti e credo che ormai io sia destinata ad una vita isolata dal mondo. Certo, a parte zio Isaac. Lui è per me più di un padre o di un fratello, o di un migliore amico, ed è stato molto male per il mio periodo di depressione iniziato a febbraio dell'anno scorso che, spronato dalla voglia di rivedere il mio sorriso, trovò un appartamentino non troppo lontano dal centro londinese, riuscendo ad avere un lavoro parallelo per la sua attività d'architetto.

Qui a Londra i vicini, i conoscenti e qualche amico di Isaac mi chiamavano Ast, pronunciando la U all'inglese.

Feci dei passi sotto il sole di aprile poi mi fermai e misi le cuffie del Mp3 nelle orecchie, dove la Del Rey stava compiendo magnificenze. Lei mi ha aiutato a sopravvivere.

Camminai ancora e sembravo, anche a me stessa, quasi allegra. Entrai in un enorme parco, nel quale da tanto desideravo entrare e vidi la natura trionfare nella primavera.

C'era il solito lago con i soliti buffi volatili. Mi avvicinai. Ecco cos'era la libertà: un posto dove non eri giudicata, persino se avessi avuto le pinne e le ali materiali, non quelle della fantasia.

Quel pensiero mi rattristì. Ero come un uccello che si libera da una gabbia e poi, a malincuore, scopre che si trova in una sfera trasparente e impenetrabile. Dalla prigione alla reclusione nella realtà. Avrei voluto essere un animale.

No! Ero lì per disegnare e provare a dare una svolta alla mia vita. Lo dovevo fare. Se non era per me, almeno per Isaac.

Mi accostai ad un albero e, riparata dalla sua ombra, aprii l'album. Quasi mi commossi a vedere il foglio bianco. Era da tanto che non disegnavo, forse per la depressione o tutte le altre piccole cose, e constatai che mi mancava. Presi l'astuccio dalla borsa e ne feci uscire una 2B per gettare qualche schizzo.

Poi spostai lo sguardo e vidi il Sole. Magnifico. Quasi notai il dio Apollo sull'antico carro.

I miei occhi squadrarono la carta scarabocchiata leggermente. La fissai un momento e mi gettai con foga sul foglio e diedi vita a un volto. Nella mia mente portava occhi oceano e lunghi fili d'oro a incorniciare un volto stupendo.

Passò il tempo e la divinità era quasi terminata, tuttavia la sera stava arrivando.

La mia concentrazione fu disturbata da una voce femminile che urlava.

“NIALL!” Un grido, terminato con una grossa risata.

Alzai gli occhi e notai due figura: una minuta e rossa; l'altra alta, mascolina e bionda. Scrutai incuriosita, quando persi un battito: quello che intuii fosse Niall, aveva il volto del mio Apollo.

Questa è la mia prima storia e chiedo perdono per eventuali scorrettezze relative alla religione ebraica. Spero piaccia. x

  
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