Bugie Bianche
≈ Apnea ≈
- Papà? -
Matteo rabbrividì, la bocca arida.
Scosse il capo, serrando gli occhi: escluse tutto,
cercando di regolarizzare il respiro.
Eppure li sentiva, ne avvertiva la presenza: lì, proprio
attorno a lui… c’era Sofia, c’era Lorenzo, c’era
Ronnie; e poi i suoi genitori, Giovanni appena dietro una porta. Cosa avrebbe dovuto fare? Cosa?!
Come diamine faceva a cacciarsi sempre in situazioni così
complicate, eh?
Perché non se ne stava buono, zitto e fermo in un angolo,
ignorando il mondo circostante?
Non sarebbe stato tutto estremamente
più semplice? Probabilmente sì.
Cercò di raggruppare i pensieri, ma gli sembrava
un’impresa più ardua di quanto già normalmente non fosse. Non ci
riusciva, ecco. Non riusciva a capire cosa diavolo fare. Cosa si aspettavano da
lui?
Si passò una mano sul viso, accarezzandolo piano. E
ricordò.
Ricordò la mano di Veronica che faceva lo stesso gesto,
carezzandolo. Dolce, solleticandogli la guancia. Lieve.
E decise che cosa fare.
Aprì gli occhi di scatto e i primi che incontrò
furono quelli di Lorenzo: lo sguardo duro del ragazzo non lo toccò più di
tanto. Era un’occhiata omicida molto simile a quello della sorella, e a
quella si era già più che abituato.
Lo ignorò, puntando subito verso Sofia: aveva deciso cosa
fare e non ci avrebbe messo più di due minuti.
Doveva solo liberarsi da quella situazione, da quel
momento di stallo.
Doveva solo andarsene.
- Mi dispiace – le disse, sincero. Il tono ovvio,
l’espressione schietta. Mi dispiace.
Quasi si strinse anche nelle spalle, disinteressandosi
completamente di tutto e di tutti.
Gli dispiaceva, basta.
Fissò gli occhi verdi, dilatati, della francesina e piegò
le labbra in un sorriso che sembrava più una smorfia. Stava per voltarsi,
dandole le spalle, quando una parola di lei gli
riecheggiò nelle orecchie, assordandolo.
Si bloccò, tornando a guardarla, rigido: le si avvicinò, strappandole la cintura dalle mani.
- Non chiamarla puttana – ringhiò, il tono basso
così che a sentirlo fosse solamente lei – Se hai un problema, è con me
che ce l’hai. Non con lei. Sono stato chiaro?
Lei non c’entra niente. Se hai qualcosa da dire, la dici
a me. Non te la prendere con lei. -
Nel silenzio del corridoio le ultime parole quasi
rimbombarono, rimbalzando da un muro all’altro.
Matteo scosse la testa, arretrando lentamente. Fu con
difficoltà che distolse lo sguardo da Sofia, allontanandosi da quegli occhi
sgranati, immensi. Si era quasi bloccato, dimentico del suo piano originale,
quando la sentì:
- Matteo – lo aveva chiamato con un filo di voce,
facendolo irrigidire di riflesso, all’istante.
Si era girato con estrema riluttanza, incrociando lo
sguardo bisognoso della donna. E tremò.
Puro dolore, ecco cosa aveva provato. Puro dolore.
Era stata come una stilettata, diritta al cuore.
- No – rantolò, cominciando a mettere spazio fra di loro. Fra lui e loro. Spazio.
- No – ripeté con maggiore forza, lo sguardo che si
faceva assente – Non posso. Non potete. No. –
- Matteo – singhiozzò la donna – Ti prego,
aspetta un attimo… lasciami spie… -
- No. –
E questa volta era stato categorico. Imperativo.
Non si era avvertita la disperazione, quella no, eppure
c’era. Era stato un no dettato dalla paura, dal terrore.
Matteo scappò, le dita che scivolavano lungo il muro: fu con la coda dell’occhio che vide Veronica.
E si ricordò del suo piano originale: quel piano che era andato sbiadendo nella sua mente, ignorato.
- Vieni con me. – sussurrò,
rallentando appena.
Veronica sussultò, assottigliando lo sguardo: aggrottò le
sopracciglia, l’espressione assorta.
- Voglio andarmene – mormorò ancora lui, tendendo
una mano verso di lei – Voglio andare via.
Via da qui. Via da loro… vieni con me -
Veronica non si mosse, lo sguardo
perso. Fissava la mano di Matteo senza riuscire a muoversi.
Sentiva di essere osservata, avvertiva la stanchezza che
prendeva nuovamente il sopravvento e non aveva la più pallida idea di cosa
stesse succedendo. Persa.
Come il ragazzo che la stava aspettando.
- Per favore. - lo sentì bisbigliare, e intrecciò le dita
con le sue.
- Non la voglio -
- Bevi –
- Ho detto che non mi va, Bond – mugugnò Michele,
stringendo le ginocchia al petto – Dico davvero –
Silvestro sospirò, sedendosi sul tappeto. Poggiò la tazza traboccante
di camomilla davanti a sé, osservando il ragazzino che se ne stava
raggomitolato sul divano e si chiese quale fosse la prossima mossa.
Non ne aveva idea: non lo aveva mai visto così scosso.
- Un caffè, allora? – sussurrò, cercando invano di
incrociare il suo sguardo.
- No –
Silvestro guardò Michele accoccolarsi più a fondo nel
divano, stringendosi fra i cuscini, facendosi ancora più piccolo. Fissava un
punto indefinito davanti a sé, lo sguardo perso, spento.
Desiderò che Cinzia fosse lì: lei avrebbe saputo cosa
fare, cosa dire. Probabilmente lo avrebbe semplicemente preso
fra le braccia, togliendogli anche il respiro. Infondendogli quel calore
che solo lei riusciva a dare.
Lui non era così: non poteva abbracciarlo e basta, non in
quel momento.
Non poteva trattarlo come un bambino, per quanto in quel
momento non gli sembrasse altro.
Un bambino.
- Una gassosa? -
Michele neanche rispose, mordendosi un labbro per non
lasciarne intravedere il tremore.
Silvestro si sentì stringere il cuore in una morsa letale.
Si alzò, passeggiando avanti e indietro sul tappeto,
pensando. Scervellandosi. Doveva trovare una soluzione, qualcosa da fare,
qualunque cosa. Non poteva lasciarlo in quello stato.
- Vuoi… -
- Mi lasceresti solo, Bond?
– lo interruppe con un filo di voce Michele, il capo reclinato sul
divano, inerme.
- No – rispose istintivamente l’uomo,
opponendosi – Non credo sia il caso, Mickey. Perché invece non mi parli,
eh? Potremmo riuscire a… -
- Vorrei restare solo – ripeté Michele, chiudendo
gli occhi – Per piacere –
Silvestro fremette, forzandosi a non ribattere ancora.
Scivolò accanto al divano, la mano che lieve si posava
sulla testa del ragazzino: indugiò solo un istante, giusto un attimo. Poi
continuò, entrando nella cucina e chiudendosi la porta alle spalle: crollò a
sedere, imprecando.
Al diavolo. Al diavolo tutti.
Tornò con il pensiero al ragazzo nell’altra stanza,
rannicchiato sul divano: i ricordi si accavallarono prepotenti, invadenti,
impossibili da ignorare. La prima volta che lo aveva conosciuto, o meglio, che
vi si era imbattuto.
Quando lo aveva richiamato, ammanettato e portato alla
centrale.
Sorrise, trovando difficile
accomunare le due immagini: la prima e l’ultima. Sembrava assurdo.
E fu questione di un istante.
Un lampo che gli attraversò la mente, folgorante: non era
una camomilla che serviva, né un caffè o una gassosa. Era altro, quello che
serviva. Sorrise ancora, finalmente soddisfatto di sé.
Estrasse il cellulare e aprì la rubrica, cercando un
numero che non usava da un bel po’.
Quando lo trovò assottigliò lo
sguardo, poi non indugiò più neanche per un attimo: andava fatto.
Avviò la chiamata.
- Vado a casa. -
Un commento come un altro, apparentemente disinteressato.
Cinzia lanciò un’ultima occhiata all’orologio
e decise che sì, era proprio il caso di levare le tende.
- Vado a casa - ripeté, il tono leggermente più alto - Mi
accompagni? - aggiunse poco dopo, squadrando con la coda dell’occhio il
biondino alle sue spalle.
Lorenzo trattenne un singulto sorpreso e annuì, seguendola
verso il parcheggio senza azzardarsi a pronunciare una sola parola. Stava per
aprire la macchina, una sensazione di vaga soddisfazione che cominciava a
invaderlo, quando sentì:
- Cinzia! -
Sperò di essersi sbagliato con tutto il cuore.
Pregò che fosse solo un brutto scherzo che le sue stanche
orecchie gli stavano facendo. Invano.
- Cinzia! Cinzia, aspetta un
attimo! Un secondo solo! -
Chiuse gli occhi, appoggiandosi allo sportello:
- Simone, vattene. - sospirò, rifiutandosi anche soltanto
di guardarlo in faccia.
- Non è con te che voglio parlare. - ringhiò quello in risposta, il fiato corto per la corsa - Cinzia, ti sto
chiedendo un momento. Niente più di un momento. -
- Non me ne frega un cazzo. -
Lorenzo si tirò su, schiudendo gli occhi mentre le labbra
si piegavano in un sorrisetto divertito.
- Non lo hai sentito? - fece Cinzia - Faresti
meglio ad andartene, Simone. -
- Ora gli dai anche ragione? -
- Non mi ha insultata, lui. -
- A lui non hai mentito, a quanto pare. - ribatté il
rosso, avvicinandosi di un passo alla macchina.
- Non ho mentito nemmeno a te. - sillabò Cinzia,
l’espressione esausta - E non ho più forze per star qui a discuterne. -
Fece per voltargli le spalle ma la mano di Simone la bloccò:
- Dobbiamo chiarire, aspetta... -
- Non c’è un bel niente da chiarire! -
- Ascolta, forse sono stato un po’ impulsivo, ma... -
- Un po’ impulsivo?! Mi hai
dato della puttana, brutto stronzo! -
Simone si massaggiò gli occhi, impegnandosi ad ignorare l’espressione di Lorenzo a metà fra
l’esilarato e lo strafottente:
- Potrei farti notare che tu mi hai appena dato dello
stronzo, ma non credo sarebbe la tattica migliore, perciò ascolta... -
- Non hai il diritto di giudicare, Simone. -
- ... sto cercando di... -
- Non mi conosci abbastanza per
farlo, lo capisci? Così come io non conosco te!
Potresti... potresti giurare di non avere alcunché da
nascondere? -
- Cinzia... -
- Sei un santo, Simone, è così? Mai fatto un torto, un... -
- Se solo mi lasciassi parlare... -
- No. Sono stanca, davvero molto stanca. -
Lorenzo l’affiancò, facendo
tintinnare le chiavi fra le dita:
- Quando vuoi andiamo. - mormorò, il fiato che si condensava in una nuvoletta chiara.
- E sarebbe colpa mia se non ti conosco? - sbottò
all’improvviso Simone.
- Cosa? -
- Fuggi sempre, come adesso. Me ne sto qua, intenzionato a
parlare, a chiarire e tu? Scappi – scosse il capo, serrando irosamente le
labbra - Credi sia semplice per me? Pensi di non avermi ferito anche tu? -
- Come ti permetti? Io non... -
- Hai paura, questa è la verità.
Temi un confronto diretto. E fuggi. - continuò imperterrito il ragazzo.
E vuoi sapere cosa significa? Significa che non sei così
sicura di te come dai a vedere, che forse in te c’è il dubbio che qualcosa
non vada, che... -
- Lorenzo - chiamò Cinzia, aprendo la mano - Dammi le
chiavi, guido io. -
- Mi sembri provata - sussurrò quello in
risposta - forse non è il caso che tu... -
- Dammi quelle fottutissime chiavi. -
Lorenzo obbedì e si affrettò a prendere
posto mentre Cinzia avviava il motore con un’espressione feroce in viso:
- Buonanotte, Simone - sibilò, chiudendo lo sportello.
- Sei una codarda! - gridò quello, arretrando di qualche
passo - Stai scappando via con la coda fra le gambe, te ne rendi conto? Dici
sempre che... -
Cinzia inserì la marcia e lanciò un’occhiata al suo
passeggero, le dita serrate sul volante:
- Ora lo investo. Quant’è vero, lo investo. -
- Per quanto sarebbe una scena cui sicuramente mi farebbe piacere
assistere, non credo sia il caso, sai? - mormorò in
risposta Lorenzo, sorridendo appena.
- Niente di mortale. Giusto qualche ammaccatura. -
Lorenzo si morse il labbro e quando il piede
di lei calò con spaventosa sicurezza sull’acceleratore, sospirò,
abbandonandosi sul sedile:
- Ricordami di non farti più arrabbiare. -
- I signori Fiori, immagino. -
Daniele porse loro la mano e
annuì, prendendo tempo.
In un certo senso la follia di poco prima era stata confortante:
le grida, i litigi, le minacce... il tutto aiutava a distogliere
l’attenzione dai veri problemi, o quanto meno da
quello che per lui era un grosso problema.
Parlare ai genitori di Matteo. Parlare ai genitori di
Giovanni.
Parlare, spiegare, disilludere.
Era un compito ingrato, poco ma sicuro.
- Se volete seguirmi, prego... - mormorò, facendo strada verso la sala infermieri più vicina.
Indicò i divani e fece loro segno di sedersi; con la coda
dell’occhio intravide una figura nota passare in corridoio e si affrettò
a raggiungerla:
- Anna - chiamò, abbassando poi la voce - Sono con i signori Fiori - fece, conscio che lei avrebbe
capito subito - Ci porteresti del caffè? -
Lei annuì, adocchiando cautamente i due all’interno
della stanza:
- Sicuro che non servirà qualcosa di più forte? -
- Il caffè andrà benissimo. - ripeté Daniele, ringraziando
la collega con un sorriso.
Quando rientrò, fece appena in tempo a sedersi prima che
una voce collerica lo aggredisse:
- Avevate parlato di stato vegetativo irreversibile! -
eruppe il signor Fiori, scompigliandosi i radi capelli neri - Ci sono stati
accenni a una morte cerebrale! Avevate detto che... -
- Signore... -
- Ci avevate detto che era spacciato! -
- Signore, mi ascolti... -
- Per cosa? Per sentire altre sciocchezze? - borbottò
quello, come accasciandosi su se stesso.
Daniele serrò le labbra, piegandosi in avanti e poggiando
i gomiti sulle ginocchia:
- I pazienti in stato vegetativo, - cominciò,
il tono pacato - possono recuperare in modo variabile. -
- Ci era stato detto che per Giovanni non era così. -
intervenne la signora, un leggero tremore nella voce - Si era detto che... -
- Mi lasci... signora, mi lasci
finire, la prego. -
- Il recupero ci può essere: gradualmente il paziente può, alle volte, riacquistare un certo grado di
consapevolezza. Eravamo sicuri che questo non fosse il caso di vostro figlio. -
- E ora non ne siete più sicuri? - guaì lei, stringendo la
mano del marito - Ora che... ora che c’è stato questo miglioramento,
avete cambiato idea? -
Daniele trattenne il fiato e s’impose di andare
avanti. A tutti i costi.
- No, signora. –
- Ho fatto il prima possibile. -
Silvestro accennò un sorriso e fece entrare la ragazzina,
l’espressione leggermente incerta.
- Ci stai ripensando, Sil? - ridacchiò lei, estraendo una bustina dallo zaino
sbrindellato.
- No. Certo che no. -
- Mi hai fatto prendere un mezzo infarto quando mi hai chiamato, sai? -
- Scusa l’ora tarda. -
- Oh, non per quello! - nicchiò lei - Proprio per la
chiamata in sé: se uno sbirro ti contatta, il più
delle volte è per qualcosa che non va. -
Silvestro squadrò la furfantella
e strinse fra le dita alcune delle lunghe ciocche rosse:
- Non erano blu l’ultima volta? -
- E’ da un po’ che non ci vediamo: li ho tinti
anche di verde, nel frattempo. -
Silvestro annuì, osservando l’esile figura che a
stento gli arrivava alle spalle: i capelli colorati, il trucco marcato, gli
innumerevoli orecchini, i piercing e i tatuaggi... niente di tutto ciò lo infastidiva minimamente; niente, esclusi gli svariati motivi
per cui aveva fatto in modo di allontanarla il più possibile.
- Nadia, ascolta... -
Lei scosse la testa, lasciando cadere lo zaino sul
pavimento e facendo per raggiungere il salotto:
- Mickey è un amico, - mormorò, aggiungendo subito - o
almeno, lo era. Se ha bisogno, io ci sono.
Sempre. -
- Lui non sa che ti ho chiamato. -
- Prevedibile. -
- E’ solo per stasera. Solo una volta. -
Nadia sorrise, pizzicandogli una guancia:
- Non sentirti in imbarazzo per come mi hai trattato, Sil: ero davvero una cattiva compagnia. - ammiccò la
ragazza, dandogli le spalle - E ora andiamo a salvare quel mostriciattolo. -
- Dove stiamo andando, Teo? -
Ancora una volta, come sempre, nessuna risposta.
Veronica sospirò, rabbrividendo nell’aria gelida del
mattino: rafforzò la presa attorno alle dita di Matteo e gli si appoggiò contro.
Camminavano senza sosta da più di dieci minuti, una brezza
leggera che li colpiva in pieno petto.
- Teo, ti prego... dammi un segno che stai bene, almeno. -
- Sto benissimo. - rispose sorprendentemente lui,
voltandosi finalmente a guardarla.
Senza una parola si fermò per
sfilarsi la giacca e poggiarla sulle spalle della ragazza:
- Stai gelando - sussurrò, poggiando la fronte contro la
sua - Scusa -
Veronica accennò un sorriso, la mano che automaticamente
raggiungeva la guancia di Matteo:
- Sicuro di star bene? - bisbigliò - Non è da te chiedere così tanto scusa. -
- Sono un po’ scosso, ecco tutto. -
- Scosso? -
- Troppe emozioni tutte assieme. -
- Lo so, lo so e mi dispiace
immensamente. Posso fare qualcosa per... -
- Venire con me. - la interruppe lui, riprendendo a
camminare.
Veronica si lasciò trascinare, incapace di resistere
all’impulso di chiedere ancora:
- Dove stiamo andando, Teo? -
- In un posto in cui potersi schiarire le idee. -
Veronica si guardò attorno nella strada desolata e
assottigliò lo sguardo, dubbiosa:
- C’è ben poco di aperto a quest’ora, sai? -
borbottò, osservando alternativamente l’unico bar della zona e il lembo
di mare qualche metro più in là.
- Quel bar mi sembra aperto - si strinse nelle spalle
Matteo.
- E lì vorresti schiarirti le idee? -
- No. Lì voglio bere. -
- Bevendo non... -
- Bevendo si ottenebrano le idee, lo so. Allo stesso tempo,
però, si attenuano le restanti emozioni, hai presente? E questo è un bene. Decisamente un bene. –
- Lo hai mancato per un soffio. -
Cinzia sospirò, seccata:
- La smetti di ripeterlo? -
- Lo farei se non fosse che lo
hai mancato per un soffio. -
- Non lo avrei ucciso, ti assicuro. -
- Solo perché è stato lui a scansarsi. - la corresse
Lorenzo, scuotendo incredulo il capo - Non so se è più forte
l’ammirazione nei tuoi confronti o... -
- La paura? - completò per lui la ragazza - Spero
ardentemente vinca la seconda. -
Lorenzo inclinò il capo, poggiandolo contro il finestrino:
- Io non ho paura di te, Cicì. -
- Lo dici adesso. -
- Lo dico sempre. -
Cinzia strinse le labbra, arrischiando un’occhiata
nella sua direzione:
- Lorenzo? -
- Mmm? -
- Non mi va di tornare a casa. -
- Credevo avessi detto... -
- Non mi va di tornare a casa mia. -
- Ah. -
Lorenzo si raddrizzò sul sedile, una mano che passava
nervosamente sul viso:
- Puoi venire da me. –
- Ehi, Mickey, quanto tempo! -
Michele spalancò improvvisamente gli occhi, fissando
sconcertato la nuova arrivata:
- Na... Nadia?
- balbettò, tirandosi faticosamente a sedere.
- Che carino! - sorrise lei, voltandosi verso Silvestro -
Non si è dimenticato di me, allora. -
- Cosa... cosa ci fai qui? -
- L’ho chiamata io. - intervenne inaspettatamente
l’uomo, accasciandosi ai piedi del divano - Non ti dispiace, vero? -
- Credevo... avevi detto che... -
- E’ la prima che mi è venuta in mente per tirarti
un po’ su. -
- Hai... stai scherzando! -
- Perché? Non ti va di fumare un po’? -
Michele fece cenno alla ragazza di prendere
posto al suo fianco, quindi strinse la pelata di Silvestro con entrambe le
mani, carezzandolo:
- Ti senti bene, Bond? - gli
sussurrò all’orecchio, pacato.
- Quando volete cominciamo, eh. -
ridacchiò Nadia, sventolando la bustina piena di polvere bianca.
- Non credo proprio! - esclamò Michele, costringendo
Silvestro a guardarlo negli occhi - Cos’è, un test? Dove vuoi andare a
parare, sentiamo?! -
- Non è niente di tutto ciò, Mickey. - mormorò quello -
Voglio solo parlare con te, aiutarti... -
- E così hai deciso che era il caso di fumare erba?! -
Silvestro fece per rispondere ma la voce lieve della
ragazza lo precedette, calma:
- Lo dicevi tu, Mickey, che era il modo migliore. - bisbigliò, una mano sulla sua spalla.
- Cosa? -
- Non ti ricordi? - sorrise Silvestro, lo sguardo dolce.
- Fammi uscire, su! Che ti costa?
-
Silvestro non si prese nemmeno la briga di negare, troppo
preso dall’articolo che stava leggendo.
- Puoi far finta di non aver visto nulla. -
A quanto pareva, esistevano ottime possibilità di mettere
incinta una ragazza anche senza avere rapporti sessuali veri e propri.
- Basta che tu mi tolga le manette, dai! -
Era sufficiente un leggero contatto per...
- Voglio uscireee! -
Silvestro roteò gli occhi, sventolando la rivista in
direzione della cella:
- Sto leggendo! Sto leggendo, non vedi? La smetti di fare
tanto rumore, cortesemente? -
- Se mi fai uscire la smetto,
promesso. –
- Quand’è che l’avrei detto? -
- Sei fatto in questo momento, non è vero? -
- Certo che no, agente. -
- Fa male fumare certa roba, lo sai? -
- Ho detto che non ho fumato! - si difese il ragazzino -
Per chi mi hai preso? -
- Per un piccolo furfante ammanettato in una cella del
commissariato. -
- Cominciamo... - fece Michele, sollevando l’indice
- Non sono piccolo. - sollevò l’anulare – Non sono
un furfante. - sollevò il medio - E non sono
ammanettato. -
Silvestro si avvicinò guardingo, squadrandolo sorpreso:
- Come hai fatto? -
- Fammi uscire e te lo dico. -
- Non funziona così. -
- Sei troppo rigido, amico. - lo riprese Michele - Vedi
tutto o bianco, o nero. La vita non è così, sai? Esistono i colori intermedi:
molti, di tutte le sfumature. -
- Fammi indovinare: fumare coca rientra in una di queste
sfumature? -
- Certamente. E’ meglio dell’alcol, in molti
sensi: aiuta a scendere a compromessi con se stessi, a vedere le cose sotto
un’altra prospettiva. Ti apre gli occhi, capisci? E ti rappacifica. -
- Non mi dire... -
- Tu non capisci, amico. -
- Io credo di sì. -
Michele scosse la testa, lanciandogli le manette e
poggiando la fronte alle sbarre:
- Non puoi giudicare una cosa se non l’hai mai
provata. –
Silvestro aprì la busta e la porse a Michele:
- Proviamo. –
- Dove vai? -
Lorenzo represse a stento uno sbadiglio, indicando con la
mano il corridoio:
- Divano - mugugnò, stropicciandosi gli occhi.
Cinzia si rigirò nelle coperte e gli fece segno di
avvicinarsi:
- Vieni qui, idiota. - lo
richiamò - Ci entriamo benissimo in due, no? -
- Non è necessario, davvero. Non è la prima volta che
dormo sul divano, ci sto bene. -
- In casa tua? -
- Eh, già. - sbadigliò lui, nicchiando con il capo.
- Stai crollando dal sonno, - sorrise la ragazza,
intenerita - Vieni qui e non fartelo ripetere più. -
Lorenzo ondeggiò fino al letto e si lasciò andare,
sospirando grato.
- Sotto le coperte, scemo - borbottò lei - Si gela, su, e
così scaldi anche me. -
Troppo stanco per muovere la minima protesta, si limitò ad obbedire: scivolò sotto le coperte e con gesti meccanici
si adagiò su un fianco, un braccio attorno alla vita di Cinzia.
Solo quando la sentì irrigidirsi realizzò cosa aveva
appena fatto:
- Scusa! - scattò, facendo per allontanarsi - La forza
dell’abitudine. -
- Non è un problema, - sussurrò lei - davvero, va bene. -
Lorenzo annuì, chiudendo gli occhi e poggiando la fronte
contro la schiena della ragazza:
- Sicura di star bene? -
- Sì. Perché? -
- C’è stato un cambiamento, sai, piuttosto repentino
e alquanto inquietante -
- Dici? -
- Già: da quando minacciavi di spingermi giù dalle scale a
ora. -
Cinzia sorrise, affondando il capo nel cuscino:
- Hai acquistato punti da quel momento a ora. - spiegò,
sbadigliando a sua volta.
- Davvero? -
- Oh, sì. Tu non mi hai gridato contro, non mi hai
insultato, non... -
- Non sono Simone, insomma. -
Calò il silenzio, la presa di Lorenzo che diminuiva
attorno ai fianchi di lei:
- Come fa a piacerti tanto, non lo capisco. -
- Non mi piace tanto. - ribatté lei - Non più. -
Avvertì il fremito di Lorenzo e chiuse gli occhi,
pentendosi di aver intrapreso quella conversazione.
- Bugia. - mormorò infine lui, il viso che sfiorava il
collo di Cinzia - Se non ti piacesse non saresti qui,
con me, e non ci sarebbe niente da dire. -
- Lorenzo... -
- Potrei spiegarti quanto tutto questo mi faccia male, ma
fra la stanchezza e il mio stupido orgoglio credo proprio che non lo farò. -
Cinzia non disse una parola, limitandosi a raggomitolarsi
contro di lui, gli occhi serrati.
- Dormiamo, Cicì.
- biascicò lui, respirandole fra i capelli.
E lei non poté fare altro che obbedire.
- Risplendi, lo sai? Come un angelo. -
Veronica sorrise, annuendo con fare condiscendente.
- Quale parte di me ti piace di più? - domandò Matteo,
roteando il bicchiere quasi vuoto.
- In senso fisico? - fece lei, lo sguardo perso a
contemplare il movimento del liquido dorato.
- No, oddio forse... - meditò lui, confuso - No, no!
Intendevo in senso spirituale. -
Il sopracciglio inarcato di Veronica lo spinse a
continuare, cercando di spiegarsi meglio:
- Come ti piaccio di più? Tenebroso come mi hai
conosciuto, felice come poco più di un’ora fa oppure annullato come in
questo momento? -
- Dunque. - cominciò lei,
arricciando le labbra - Partiamo col dire che non sei mai stato tenebroso:
stronzo eri, stronzo sei e stronzo rimarrai... -
- Non è vero! Sei cattiva! -
biascicò il ragazzo, facendo segno al barista di servirgli un’altra birra.
- Tenebroso? Ti prego! - sbuffò Veronica, ignorandolo - Ho
da obiettare anche per il felice, poi. Non eri felice prima, okay? Eri...
sembravi fatto, okay? Davi l’impressione di esserti appena fumato una canna, ecco. Una di quelle forti,
per essere precisi. -
- Io non fumo, donna. - borbottò Matteo, la frase che
stonava alle sue stesse orecchie - Non erba, almeno. Solo sane sigarette. -
- Sane? -
- Spaccio, certo, ma non fumo. -
- Bugiardo. -
Un nuovo bicchiere di birra arrivò nelle mani del ragazzo
e tutto sembrò passare in secondo piano.
- Che dicevamo? - domandò dopo essersi concesso due sorsi
belli lunghi.
- Stavo per contestare il tuo annullato. -
- Non ti sembro annullato? Annientato? Affondato? A... -
- No. Mi sembri semplicemente ubriaco fradicio e, se
permetti, non ne vedo la logica. Non... non mi sembra
il momento più opportuno per sbronzarsi, okay? Dovresti rimanere lucido,
sant’Iddio.
Avere le tue piene, per quanto poche, facoltà mentali.
E’ un momento... un momento molto critico, lo
so, difficile da affrontare. -
- Non sai di cosa stai parlando,
ragazzina. -
- Per quanto difficile, però, lo devi affrontare,
Teo. Non puoi... -
- Non hai idea di cosa io debba affrontare in realtà,
Ronnie. -
- Dimmelo, allora. Spiegami tutto, una
volta per tutte! Cosa ti costa? L’alcol non dovrebbe anche
scioglierti la lingua? Eh? - Veronica si girò in direzione del barista poco
distante - Non dovrebbe farlo parlare, santo Cielo?
E’ sbronzo marcio ma non fa altro che sparare stronzate! -
L’uomo dietro il bancone annuì, l’aria grave,
come scusandosi:
- E’ uno degli effetti collaterali, temo. -
- Al diavolo! - sbottò lei, afferrandolo per il colletto
della camicia - Stammi bene a sentire: io adesso me ne vado. Non ho intenzione
di starmene qui a guardarti mentre anneghi nella birra. Non più. Sono... sono
quasi le quattro del mattino. Ho sonno, freddo e un probabile esaurimento
nervoso in arrivo. E per quasi tutto posso incolpare te. Quindi
buona notte. -
Matteo la guardò mentre si alzava e usciva dal locale:
fissò la porta che si chiudeva alle sue spalle e poi chiuse
gli occhi, tornando a sorseggiare la sua birra.
Ci aveva messo sette minuti ad arrivare.
Sette minuti. E lei li aveva contati, come una stupida,
camminando su quella che avrebbe dovuto essere una spiaggia. C’era il
mare, sì, ma sotto i suoi piedi non c’era sabbia.
Era altro. Sassolini, forse. Certo non granelli di sabbia.
Sette minuti e lei li aveva
contati. Scandendo i secondi, come un orologio.
E’ questo che sono diventata? Una mera personificazione
di un dannatissimo orologio?
Di un patetico, inutile orologio?
- Ronnie! - si sentì chiamare da lontano. Da lui.
Ci aveva messo sette minuti.
- Ragazzina, aspetta! - gridò ancora lui, correndo per raggiungerlo,
in ritardo di ben sette minuti.
- Perché? - mormorò lei, rallentando appena il passo -
Perché dovrei aspettare ancora? -
- Hai la mia giacca. - ansimò Matteo, ormai a pochi passi
da lei.
Veronica si fermò, pietrificando.
Hai la mia giacca.
Sfiorò con dita tremanti l’indumento ancora poggiato
sulle sue spalle e poi, con uno scatto quasi isterico, lo gettò via. Lontano.
Su quella spiaggia che non era fatta di sabbia.
Matteo si piegò a raccoglierla e le si
avvicinò, passo dopo passo.
- Ronnie -
- Vaffanculo -
- Ronnie, se non mi lasci... -
- Hai la mia giacca?! E’ per
questo che ho aspettato? - sbottò, girandosi per fronteggiarlo - Giuro, non riuscirò mai a
capirti. Puoi tranquillamente crepare per quanto mi riguarda, perché... -
- Scherzavo, ragazzina - sussurrò lui, interrompendola - Stavo solo
scherzando. - scandì piano, sistemandole nuovamente la giacca sulle spalle - Un
piccolo, minuscolo, scherzetto: così, per stemperare la tensione. -
Veronica arretrò, creando spazio. Spazio fra di loro.
- Che stavi facendo qui? - le chiese Matteo, l’espressione lontana.
- Aspettavo... -
- Me? -
- No. - sibilò lei, furente - L’alba. Volevo vedere l’alba. -
- Mancano ore. -
- Aspetterò. -
- Posso aspettare con te? -
- No. -
Matteo annuì, la guardò e poi annuì
ancora.
- Che stai facendo? -
- Mi siedo. -
- Ho detto di no. Non puoi aspettare con me. Non ti voglio qui. -
- La spiaggia non è tua. -
- Non è una spiaggia. -
- Non ti appartiene comunque, qualsiasi cosa sia. -
Veronica serrò le labbra, lasciandosi scivolare a sedere
su quella sabbia che non era sabbia.
Lentamente si ritrovò sdraiata, priva di forze.
Gli occhi che bruciavano, le palpebre che spingevano per
chiudersi.
A stento lo sentì, come da molto, molto, lontano:
- L’ho lasciata per te. -
Cercò la forza di riaprire gli occhi ma non riuscì a
trovarla. Con uno sforzo immane parlò:
- Chi? -
- Sofia. -
- Tu non hai lasciato Sofia. - lo corresse lei, la mente che tornava a
quel corridoio, a quell’ospedale.
- Nella mia testa, sì, l’ho fatto. -
- Non nella sua. L’hai tradita, questo
sì. E stavi per tradirla di nuovo. Avete litigato, lei è stata sul punto di
frustrati, ma... ma ti assicuro che non c’è stata alcuna rottura fra di voi. -
- Lo farò, allora. -
- Per me? - sospirò Veronica, un tremore disperato nella voce.
- Sì, certo che sì. -
- Lo faresti per niente. -
- Come? -
- Credi davvero che basti quello ad aggiustare tutto? - gli domandò lei,
coprendo con la mano uno sbadiglio irrefrenabile.
- Cosa vuoi che... -
- Vorrei scoprire quale parte mi piace di te. - mormorò la ragazza,
raggomitolandosi su se stessa.
- Non capisco. -
- Vorrei assicurarmi, prima di innamorarmi definitivamente di un idiota,
di avere almeno una vaga idea di chi tu realmente sia. -
- Ce l’hai quell’idea, ragazzina. -
- E chi mi dice che sia esatta? -
Matteo sospirò, strusciando verso di lei:
- Sai come mi chiamo. - mormorò, il tono di un
papà che racconta la favola serale al figlioletto.
La raggiunse, stringendola senza fretta fra le braccia,
attirandola a sé:
- Sai che ho ventiquattro anni e una brutta cicatrice sul torace. -
Poggiò la fronte contro quella di lei, i
cuori che battevano in sincrono:
- Sai che ho un fratello di nome Giovanni, bloccato da oltre un anno in
un letto d’ospedale. -
Intrecciò le gambe alle sue, avvolgendola del tutto,
completamente:
- Sai che sono stato con Sofia Amato, una giovane avvocatessa,
perché avevo bisogno di tutto l’aiuto possibile per combattere la decisione
dei miei genitori di staccare il suddetto fratello dalle macchine. -
Respirò piano, la voce che accennava a morire, tentata di
battere in ritirata:
- Sai che quattro lavori non bastavano a pagare l’affitto di metà
garage perché tutti i soldi, tutti, a mala pena coprivano le cure e il
mantenimento del sempre già nominato fratello. -
Allentò la stretta, sciogliendo lentamente
l’abbraccio:
- Sai che prima di incontrare te, niente di tutto ciò era mai stato
messo in discussione. Niente era mai stato intaccato, scalfito o toccato. Ogni
cosa procedeva secondo un ritmo ben conosciuto: affinato e perfezionato dal
tempo; prima che arrivassi tu. Perché? Perché tu mi hai costretto a rivalutare,
a rimettere in gioco me stesso. Va bene, però. -
- Va bene? - sussurrò lei, trovando a stento il coraggio di parlare per
la prima volta.
- Va bene. Va bene perché quel ritmo non mi servirà più, perché
c’è stato un miglioramento. Va bene perché Giovanni sta per svegliarsi e
dopo questo niente può più andare male. -
Veronica avrebbe voluto farlo rallentare, suggerirgli di
non far crescere troppo la speranza: perché qualcosa dentro di lei le diceva
che non era tutto così rose e fiori.
Qualcosa di piccolo, minuscolo, la tormentava. Qualcosa di indefinito.
Avrebbe voluto dirgli di aspettare, di respirare, di
calmarsi: sette minuti di riposo, ecco cosa voleva proporgli. Non ci riuscì,
però, troppo lenta. Fece appena in tempo a capire cosa stava succedendo.
Un attimo prima era lì con lei, abbracciato a lei.
Un attimo dopo correva verso il mare, sordo al suo
richiamo.
- Matteo! -
Scattò in piedi nel momento stesso in cui lui si tuffava
in acqua.
Troppo lenta.
- Matteo, che cazzo fai?! - urlò alla notte,
scandagliando le acque scure, agitate.
Non aveva fatto in tempo a parlare.
Aveva a mala pena sentito il vuoto che lui aveva lasciato.
Troppo lenta.
- Matteo, torna qui! - gridò, furiosa e incredula - Morirai di ipotermia, brutto cretino! -
Raggiunse la riva in punta di piedi, irrequieta.
Senza parole.
- Matteo. - chiamò ancora.
Troppo lenta.
Gli occhi non smettevano di fissare l’acqua. La
videro calmarsi pian piano: tornando cautamente a formare una nera, liscia,
tavola liquida.
- Teo. -
E troppo lentamente arrivò a capire.
Nessun movimento.
Quella nera, liscia, tavola liquida non venne
scossa da alcun movimento.
- Teo? –
§
*Risorge dal mondo dei morti*
Ma no, gente, scherzo: ho solo
iniziato l’università.
Dunque. E’ passato: un anno, sì,
proprio un anno.
Avete in programma una vendetta come si deve o
semplicemente non frega più a nessuno?
Probabilmente vi siete dimenticati tutta la storia.
Del resto, lo ammetto, anche a me alcuni passaggi erano
sbiaditi (il che è tutto dire, visto che la
Se davvero c’è ancora
qualcuno (battete un colpo, vi prego, non fatemi soffrire di sindrome
E, sempre ammettendo che ci sia ancora quel qualcuno
armato di frusta, vi sprono a compiere
E che ci sono anche loro: quei bei pazzi che ho creato e che
pregano di non essere dimenticati.
Detto ciò, invocato il passaparola, genuflessione
avvenuta...
Per qualsiasi commento, critica, idea, sete di vendetta,
richiesta, dubbio amletico, proposta di
Anche nelle vostre teste, probabilmente. Non che questo
sia un bene.
Alla prossima, un bacione,
Sara