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Autore: charliesstrawberry    26/03/2013    8 recensioni
«Non andartene», implorò ancora Meredith, in un singhiozzo sommesso. «Resta con me». E sarebbero rimasti insieme per sempre, e sarebbe stato così bello e felice. E lui l'avrebbe amata e protetta da ogni male; e sarebbe andato tutto bene, come nelle fiabe in cui il principe e la principessa vivono felici e contenti alla fine.
Quand'era piccola Meredith sbuffava di fronte a quel finale, perché era troppo cliché, troppo banale, troppo scontato. E invece no, stava imparando che non tutte le favole avevano un lieto fine, non importava quanto fossero stati buoni il principe e la principessa. C'erano fiabe in cui era il cattivo quello che riusciva a vivere felice e contento.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Prima della partenza

Quel giorno nella piccola stazione di Manchester c'era un via vai incredibile. Era giornata di partenze; l'aria profumava di addii, ed il luogo era ricolmo di vocii fastidiosi e di gente che scalpitava e borbottava con fare concitato e sbrigativo. Quel giorno il grande orologio che sovrastava la stazione scandiva il tempo con una crudeltà inaudita, quasi stesse cercando di farsi beffe di tutte le povere anime ai suoi piedi, che disperavano per un secondo in più prima del fischio finale del treno.

Harry avanzava a passo lento e stanco, quasi come se stesse compiendo un calvario. E, in fondo, pensò, quello era proprio il suo piccolo calvario personale, niente di più, niente di meno.
In una mano portava il biglietto del treno delle sette e zero cinque, mentre con l'altra mano teneva stretta quella della sua Meredith, che gli camminava accanto a testa bassa. Anche quest'ultima avanzava con lentezza sempre maggiore, man mano che si avvicinavano al treno che sbatacchiava ed emetteva strani rumori. Ogni passo era una fatica, ogni sospiro si faceva più sconsolato.
«Sei sicura che non farai tardi a scuola?», domandò il ragazzo, spezzando finalmente quel silenzio lugubre che aleggiava tra loro due.
Meredith sorrise, sollevando un angolo della bocca, e poi scosse la testa ripetutamente. Non era la prima volta che le poneva la stessa domanda quella mattina, e la ragazza sapeva anche il perché: a quel pensiero, non riuscì a fare a meno di sorridere teneramente. Lo conosceva, Harry. Ed era sua natura cercare di evitare il più possibile il dolore, l'angoscia, le lacrime, e qualsiasi cosa che avrebbe potuto farlo apparire debole. E così anche gli addii.
Ma non questa volta. Questa volta Meredith era ben determinata a rimanere, e avrebbe fatto di tutto pur di passare fino anche all'ultimo istante con Harry.
«Sicura», ribadì lei con un breve cenno della testa. «E se anche fosse... non m'importa», borbottò.
«Meredith», la riprese lui, e il suo tono somigliava tanto a quello di suo padre ogni volta che la rimproverava perché la trovava sveglia fino a sera tardi, e cercava di convincerla a dormire perché il giorno dopo avrebbe avuto scuola.
«Che c'è?», fece lei con un lieve sbuffo mentre si accomodavano su una delle panchine, e prendeva a giocare con le pieghe del suo vestito verde bottiglia, esageratamente svasato ed esageratamente costoso. Sua madre gliel'aveva comprato all'incirca un mese prima, e questa era la prima volta che lo indossava: non c'era una ragione precisa, ma quel giorno, nel buio pesto e triste delle cinque del mattino, nella sua stanza, aveva pensato di voler indossare quel vestito, e non ci aveva riflettuto più di tanto. Harry, non appena l'aveva vista, l'aveva salutata lasciandole un tenero bacio sulle labbra e le aveva subito fatto i complimenti, perché quell'abito le stava d'incanto.
Adesso però si sentiva un po' inadeguata, perché forse era troppo elegante. Perché forse era un abito troppo festoso e stonava con l'atmosfera triste e grigia che c'era in quel posto, e ancor di più con quella che c'era tra loro due.
«Meredith, va tutto bene. Non voglio che tu perda un giorno di scuola per...»
«Finiscila, Harry. Tanto entrambi sappiamo perfettamente che non ho la minima intenzione di andarmene da qui fino a che non avrò visto il tuo treno lasciare la stazione. E della scuola non m'importa».
Meredith era decisa, ed Harry, dal canto suo, sapeva che non avrebbe potuto fare niente per farle cambiare idea. Era sempre stata tremendamente testarda.
Sospirò. «E cosa dirai a tuo padre?», domandò, sancendo così la sua tacita resa a quella loro piccola battaglia verbale. Già immaginava la faccia del padre della sua ragazza che, alzatosi alle sei del mattino, si accorgeva che la sua unica figlia non era nel proprio letto a dormire; come minimo avrebbe avuto un infarto, e come minimo l'avrebbe punita per un mese per quella sua bravata.
La ragazza sollevò le spalle, con un fare noncurante che non era proprio da lei. «La verità. Che non potevo lasciarti andare senza provare a convincerti a rimanere», spiegò con naturalezza.
Il ragazzo, che pendeva dalle sue labbra e la osservava quasi ammaliato, questa volta sbuffò, assumendo un cipiglio più serio e determinato. «Ne abbiamo già parlato, Meredith», sembrò quasi irritato, eppure la ragazza poteva chiaramente leggere una punta di frustrazione sul suo volto.
Era molto bello, Harry. Aveva il viso di un bambino incorniciato da una ribelle massa di capelli folti e boccolosi: i suoi occhi erano due smeraldi luminosissimi e meravigliosi incastonati in quel suo volto dalla perfezione quasi scultorea. Le sue labbra erano piene e seducenti, e Meredith avrebbe potuto passare ore a baciare quelle labbra; e quando queste si distendevano in uno dei suoi meravigliosi sorrisi, mostrando due file di denti bianchissimi, davano vita a due adorabili fossette sulle guance del ragazzo, che rendevano il suo aspetto più innocente e angelico.
Adesso però le sopracciglia di Harry erano aggrottate, la fronte corrugata, e quei meravigliosi smeraldi sembravano tremendamente tristi. «Lo sai che non dipende da me. Non posso restare», spiegò, probabilmente per la centesima volta, con una pazienza inaudita.
«Non m'importa», sbottò lei, «non voglio che te ne vada, Harry. Non voglio dirti addio». La voce di Meredith si ruppe, e queste ultime parole furono accompagnate da una calda lacrima che le solcava il volto.
Il ragazzo non resistette di fronte a quella visione, e l'attirò a sé in un dolce abbraccio. «Questo non è un addio, Meredith», le sussurrò all'orecchio, cullandola. «Ci rivedremo presto, e lo sai anche tu. Non so starti lontano troppo a lungo», scherzò con un lieve sospiro, accarezzando i capelli bruni della sua ragazza.
Ciò nonostante, lei pianse più forte. Non avrebbe voluto comportarsi così, si sentiva una stupida, ma non riusciva a fermarsi: aveva paura, paura che ciò che adesso teneva tra le braccia, la persona che più amava, avrebbe potuto scivolargli via dalle mani e dissolversi come una nube di fumo, paura che tutto ciò che aveva sognato e in cui aveva creduto potesse frantumarsi così velocemente, con il fischio di uno stupido treno. «Non mentirmi, Harry!», scoppiò, liberandosi dalla stretta del ragazzo, e fu sicura che qualche passante si fosse girato nella loro direzione, ma non vi fece troppo caso. «Tu... tu te ne andrai, e ti scorderai di me, non è vero? Dimenticherai questo posto e la tua famiglia, ci lascerai andare», sospirò, abbassando lo sguardo e singhiozzando.
Harry scosse la testa, in un'espressione afflitta. «Ti prego Meredith, non fare così», la implorò. Non sapeva più cosa dire, come provare a convincerla che non l'avrebbe mai dimenticata perché, semplicemente, non poteva. Scosse la testa e colse una mano della ragazza, stringendola tra le sue. «È proprio impossibile che questo accada. E sai perché? Perché io ti amo, Meredith. Ti amo di un amore diverso, un amore strano: un amore che non si può dire a parole perché fa troppo male, e brucia, brucia come un falò di fine estate, come uno di quei fuochi d'artificio che scoppiano in cielo e che a te fanno tanta paura, Meredith. Il nostro amore mi spaventa. Perché è così puro e delicato, come una rosa appena sbocciata; ma è anche così fragile. E tu non hai forse paura per le cose fragili? Non ti spaventa che una bella rosa possa perdere tutti i suoi meravigliosi petali per colpa del vento? Non hai paura che il nostro amore si sfaldi e voli via come i semi di un soffione nel vento di un desiderio inespresso? Io ho paura per noi due, Meredith. Perché io ti amo e l'amore è così strano che un giorno puoi ritrovarti ad essere il re del mondo e il giorno dopo non sei più nulla, non sei altro che polvere. Mi prometti che non mi lascerai mai andare, Meredith?».
La ragazza singhiozzò, mentre due rivoli di lacrime cadevano giù leggeri sulle sue morbide guance. «Resta», pregò un'ultima volta, in quel tono di supplica disperata.
Il ragazzo dagli occhi smeraldini sospirò, mantenendo lo sguardo incastrato in quello di lei. Anche i suoi occhi piangevano, ma di nascosto e senza lacrime, perché lui doveva essere forte, fiero, doveva proteggerla da tutti e da tutto. Le lacrime erano un lusso che non gli era concesso permettersi.
«Non andartene», implorò ancora Meredith, in un singhiozzo sommesso. «Resta con me». E sarebbero rimasti insieme per sempre, e sarebbe stato così bello e felice. E lui l'avrebbe amata e protetta da ogni male; e sarebbe andato tutto bene, come nelle fiabe in cui il principe e la principessa vivono felici e contenti alla fine.
Quand'era piccola Meredith sbuffava di fronte a quel finale, perché era troppo cliché, troppo banale, troppo scontato. E invece no, stava imparando che non tutte le favole avevano un lieto fine, non importava quanto forssero stati buoni il principe e la principessa. C'erano fiabe in cui era il cattivo quello che riusciva a vivere felice e contento.
«Vorrei, Meredith. Vorrei rimanere sempre con te e non andarmene più», fece il ragazzo, lo sguardo basso verso le sue scarpe sporche di polvere.
«E allora rimani», propose lei, imperterrita, «andiamocene via, scappiamo insieme».
Harry, malgrado quell'atmosfera così triste e angosciosa, e nonostante le lacrime di lei, non riuscì a trattenere un sorriso intenerito a quella sua proposta così avventata eppure così allettante.
«Scapperei con te in questo istante, Meredith», sospirò con fare triste, «ma purtroppo non ho un soldo. Moriremmo di fame».
«Ma saremmo insieme».
«Ho dei doveri anch'io, Meredith. Sono stato chiamato, e devo partire», disse deciso. «Ma tornerò, vedrai. E quando saremo insieme ci sposeremo».
La ragazza spalancò gli occhi dalla sorpresa, e sollevò lo sguardo, fino a incrociare quello di lui. «Dici davvero?», sospirò, implorando gli occhi di lui di darle una certezza, qualcosa a cui aggrapparsi per non scoppiare in lacrime di nuovo.
«Certo», la rassicurò lui, accarezzandole i capelli. «Questo è solo... un incidente di percorso. Io voglio stare sempre con te, e voglio che ci sposiamo», ribadì.
Meredith, suo malgrado, rise. Non sarebbe riuscita a passare un giorno senza di lui. Quanto lunghe sarebbero diventate le giornate in sua assenza, quanta angoscia avrebbe dovuto sopportare nelle settimane, nei mesi a venire? Però quella piccola luce accesa all'ultimo istante, quel pensiero che forse non si trattava di un addio, ma di un semplice “arrivederci” ad un tempo indeterminato, le faceva tornare un po' di gioia negli occhi, e la speranza nel cuore.
«Mi mancherai così tanto, Harry», sussurrò lei a mezza voce, appoggiando la fronte a quella di lui e facendo sfiorare leggermente i loro nasi. Gli lasciò un lieve bacio sulle labbra e poi posò la testa sulla sua spalla, e restarono così, immersi nel silenzio, per quelli che parvero anni.
Nel frattempo osservavano la vita andare avanti, la gente che gridava e scalpitava trascinando valigie gigantesche, il personale della stazione che faceva avanti e indietro, mentre moltissimi ragazzi dell'età di Harry ed altri uomini più grandi salivano sul treno che sembrava star aspettando solo l'ingresso dell'ultima persona.
Quando il treno fischiò, i due innamorati si guardarono negli occhi per un'ultima volta, e un'ultima volta piansero, lei con gli occhi e lui col cuore. E sorrisero, per un attimo, perché sapevano che, anche se il finale di una fiaba così bella non è mai così scontato, anche se per certi eroi il “e vissero tutti felici e contenti” non esiste, sorridere era la cosa giusta da fare in quel momento; un'ultima volta prima della partenza.
«Mi chiamerai?», domandò Meredith, perdendosi ancora irrimediabilmente in quegli oceani verde-azzurro che continuavano a farla innamorare di lui.
Harry mise su una smorfia strana, infastidita. «Non so se mi sarà concesso sempre. Appena avrò un telefono tra le mani, sarai la prima a cui penserò», promise con un sorriso lieve, stringendole un po' di più la mano per infonderle forza.
«Ti amo», sussurrò lei in un filo di voce, buttandosi tra le sue braccia.
Lui le accarezzò la schiena, inspirando un'ultima volta il suo profumo. «Ti amo», ripeté.
«Harry?», domandò lei a quel punto, un po' tentennante. Un uomo in divisa li scrutava da lontano, forse un po' infastidito, perché erano l'unica coppia rimasta a salutarsi, sul marciapiede; tutti gli altri erano già saliti e avevano preso posto all'interno dei vagoni. «Hai... hai detto di volermi sposare», cominciò, indecisa su cosa dire. «Ne hai parlato con mio padre?», chiese infine.
Lui, ancora stretto nel suo abbraccio, rise, ad alta voce e chiaramente. Meredith registrò quella risata cristallina e dolce nella sua mente, sapendo che nei prossimi mesi gli sarebbe mancata così tanto. «No», disse chiaramente. «Ma non m'interessa. Tuo padre dovrà dirci di sì, o scapperemo», sussurrò con fare cospiratorio al suo orecchio.
Lei rise.
«Quando la guerra sarà finita, ce ne andremo in un posto lontano e ci sposeremo. E poi compreremo una casetta piccola in riva al mare a Dover, come piace a te».
«Io ti aspetto», mormorò lei con quella sua voce esile e delicata, e quelle parole suonavano quasi come una promessa solenne.
«Torno a prenderti», rispose lui, altrettanto serio, accarezzandole i capelli.
Le strinse la mano un po' più forte e le lasciò un ultimo bacio impresso sulle labbra, prima di allontanarsi su quel treno e sparire all'orizzonte.

Harry Edward Styles, 1926 – 1944
Un soldato deceduto in guerra.
Era una lapide bianca e piccola, nulla di troppo pretenzioso. I suoi genitori non avevano voluto che fosse una cosa troppo esagerata, nonostante si trattasse della tomba di un soldato morto in guerra, perché lui era sempre stato un ragazzo semplice. Dopo tutto, era già un lusso che quella tomba potesse permettersi di sfoggiare il nome, accompagnato dalle date di nascita e morte del ragazzo. Molti suoi compagni non erano stati riconosciuti, e ora giacevano sotto metri di terra, in corrispondenza con una lapide anonima che recitava semplicemente “Un soldato deceduto in guerra”; e i loro genitori non avevano mai avuto una certezza. Non sapevano dove fossero sepolti i loro figli.
Il suo corpo, invece, era tornato a casa. Mesi e mesi dopo, certo, ma i suoi familiari erano riusciti comunque a regalargli una sepoltura decente, con funerale annesso.
Era una tomba come le altre, niente di più, niente di meno. In un cimitero di promesse spezzate, di vite sfiorite, di esistenze abbattute. Erano tutti uomini coraggiosi uccisi dalla prepotenza e strappati alla vita. E la sua triste, tragica storia non era diversa dalle altre.
Eppure, accanto a quella piccola lapide di pietra bianca, i fiori erano sempre freschi.


~Note. 
Salve. Chiunque tu sia, grazie per essere arrivato alla fine ed aver sopportato questa mia lagna. Ho scritto questa fanfiction per un contest, ed esattamente non so come definirla. Credo sia parecchio triste, anche se personalmente la giudico forse un po' troppa melensa, cosa che, solitamente, nelle altre mie storie tendo ad evitare. D'altro canto, però, si attiene perfettamente alla mia abitudine di scrivere cose altamente tragiche. Che dire, affogo la mia incapacità di far ridere in queste cose. 
Spero che la os vi sia piaciuta e che, malgrado la sua tristezza, non mi vogliate sgozzare adesso per aver ucciso Harry.
Mi trovate qui: twitter - ask.
Un bacio, Carla (:

 

   
 
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