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Autore: Anya_BlackAngel    26/03/2013    0 recensioni
*Missing Moments di "Nyrr"*
Un tempo i miei occhi potevano strapparti l’anima e risputarla fuori spogliata di tutti i suoi segreti, esposta, nuda. Bastava uno sguardo e tu eri mio, bramoso di quel verde foglia che non ti bastava mai.
E io ridevo beffardo mentre ti trascinavo in un abisso di pazzia sfrenata con me.
E anche tu ridevi.
Un tempo.
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'I duecentocinquantuno anni di Jack Wyve'
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3 Luglio 2971

Central Hospital of Mine, Canada


Camminavo per le vie della Città, lo sguardo rivolto al cielo, l’incedere fiero.

Un tempo.

Impugnavo un fucile e mi battevo per la nera terra.

Polverosa, umida, cara.

Un tempo.

Cosa mi resta?

Un cuore fragile e fiacco che batte a stento per riuscire a catturare l’ultimo raggio di sole che filtra dalla finestra.

Ecco, lo ha preso. Anche questa notte potrò dormire beato perché il sole è con me.

Correvo per pianure verdeggianti, piene di fiori che al solo sentire il profumo ti sembrava di volare. Ti ubriacava quell’aroma

di violette e margherite che potevi cogliere a cesti. Una dolce brezza rinfrescava quelle lande.

Un tempo.

La vita scorre veloce per tutti invece per me è stata un’indolente passeggiata.

Nei miei occhi è impressa una lunga storia di amori consumati, vittorie, sconfitte, di un dolore che ti attanagliava l’anima

lasciandoti boccheggiante nella tua solitudine. Se solo tu ti avvicinassi sepolti sotto tutta questa vecchiaia riusciresti a trovarli,

brillavano come fari nella notte di un verde sgargiante come quello dell’erba fresca.

Un tempo.

Perché hai voluto ciò?

Questo silenzio che risuona nelle mie orecchie, che domina la mia vita; tutti morti intorno a me che rimanevo a guardarli impotente

mentre il loro respiro si affievoliva tra le mie braccia.

E io piangevo e li stringevo forte al petto, i miei cari, tutti uno per uno.

Ne ho viste di guerre, ne ho combattute eppure sono ancora qui.

Imperturbabile.

Incrollabile.

Nei miei occhi c’era una scintilla, un bagliore che riusciva ad accendere anche gli animi più fiacchi e a trascinarli nel tumultuoso vortice

del mondo con i suoi colori e le sue voci.

Avvicinati ragazzo, anche se sembro una tartaruga rugosa non mordo come quelle testuggini.

Siedi sul mio letto e chiedi.

Vuoi sapere com’era il mondo cento anni fa, o centocinquanta?

Io c’ero.

Un tempo.

Volavo tra i palazzi scintillanti in titanio delle città con il mio F-51 Eagle sprezzante del pericolo, come si conviene ad un giovane, urlavo mentre

li schivavo e ridevo. Ballavo con la mia amata avvinghiata, mi inebriavo del suo profumo, immergevo il mio viso tra i suoi capelli mentre le

carezzavo le guance. «Non ti lascerò mai» le dicevo e così fu, mantenni viva la mia promessa ma tu amore mio?

Mi lasciasti gemente sulle tue ceneri, ti invocavo.

Dov’eri amore mio?

Sono diverso io, non vedi? È la mia maledizione.

Giunsi sulla Terra quando ero piccolo, più di te, insieme a dei soldati umani. Avevano ucciso i miei genitori per errore così per la pietà mi avevano

portato via. Com’ero arrabbiato. Lasciare quel pianeta così rigoglioso di vegetazione, foreste piene di occhietti, fiumi serpentini, cascate spumose,

valli in cui si nascondevano gli arcobaleni e monti altissimi per atterrare in un mondo in cui emergevano solo città metalliche e robotiche. Mi ricredetti

vedendo le poche macchie verdi terrestri perché rare e splendide, come il Lago Zaffiro dove portavo il mio amore a nuotare, lei candida

come la neve, io violaceo come il cielo di Syon.

A te piace vivere qui? A me non più.

Non voglio più restare.

Finalmente dopo anni anche io sento freddo, un brivido corre sinuoso lungo la schiena facendomi sobbalzare. Il corpo scivola via, in basso, la mente

si alza e guarda oltre le nuvole dove l’aspetta la sua metà.

È questa la morte?

Il sangue fluiva a fiotti tra le rocce e io ne ero madido, impugnavo quel coltello ancora fumante delle vite che avevo strappato ai corpi vuoti

abbandonati sul terreno.

Perché non mi prendesti allora quando meritavo di essere punito?

Invece giungi adesso, scellerata, dopo stenti e agonie.

Mi abbracci infine.


Un tempo i miei occhi potevano strapparti l’anima e risputarla fuori spogliata di tutti i suoi segreti, esposta, nuda.

Bastava uno sguardo e tu eri mio, bramoso di quel verde foglia che non ti bastava mai.

E io ridevo beffardo mentre ti trascinavo in un abisso di pazzia sfrenata con me.

E anche tu ridevi.

Un tempo.

  
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