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Autore: Melian_Belt    28/03/2013    13 recensioni
Nella Roma del 410 d.C., uno schiavo viene acquistato da una potente famiglia romana e si trova a vivere in un mondo diverso da quello al quale era abituato. Ma l'elemento più disturbante si rivelerà il nuovo padrone, destinato a dare una svolta inaspettata a quello che credeva il suo destino già segnato.
Slash, tanto per cambiare U_U
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                                                                        Attenzione, qui si copula. DECISAMENTE.



Le pietre del muretto mi riscaldano le gambe. Il sole splende alto nel cielo, in questo calmo giorno d’estate. La sua luce ha la stessa intensità di quel mattino di cinque anni fa, in cui Roma cadde. Da allora, molti sono stati i saccheggi, molte le battaglie. Ma un’inspiegabile scudo invisibile ha protetto questa casa, difendendola da ogni male.
Non siamo più tornati a Roma, più volte ho chiesto a Giuliano il perché, ma non mi hai mai risposto. Molti membri della famiglia si sono riuniti qui, sotto la protezione dell’unico uomo che non ha perso ogni cosa.
Giuliano ha in parte ricostruito la sua collezione di libri, custodendo i tomi scampati alla distruzione, al fuoco dei saccheggi. La più piccola delle nipoti, Flavia, si è spenta meno di due anni fa, di una malattia lenta e dolorosa che ha lasciato un corpicino distrutto, prima di portarla via definitivamente. Una parte di Giuliano se n’è andata via con lei, ma ho potuto riconoscere la verità nelle parole che mi rivolse quando Alessandro sembrava perso. Il cugino non si è mai separato da lui in quei giorni difficili, anche se la sua personalità è profondamente mutata dalla perdita di Roma. Si è fatto stranamente silenzioso, di un mutismo non cupo o depresso, ma di chi sembra semplicemente rimasto senza parole.
La sua compagnia è stata costante, ma senza parole di conforto. La sue mani si stringevano intorno alle spalle di Giuliano, ma nei suoi occhi c’era la mesta indolenza di chi sta assistendo ad uno spettacolo non nuovo.
Ancora adesso è difficile riconoscerlo come l’uomo che mi forzò in quella lontana notte. Osserva e tace, ogni tanto sghignazza ma è difficile che rida apertamente. Qualche volta nuota, ma quando cammina odia ogni singolo movimento che è costretto a compiere.
Un gatto mi passa vicino, dà una strusciata al mio polpaccio e saltella via. Si sdraia all’ombra di un albero e sbadiglia. Stiracchio la schiena e mi stacco dal muretto, affaticato da questo sole bollente. I sassi scricchiolano sotto di me mentre cammino. Una seconda sinfonia di tramestii mi fa capire che c’è qualcuno dietro di me e mi fermo. In contemporanea, anche gli altri passi si arrestano.
Corrugo la fronte e mi giro. Spalanco gli occhi, la mascella si allenta per lo stupore. Scuoto la testa: questo sole deve avermi cotto il cervello, comincio ad allucinare.
L’uomo davanti a me ride, someggiandosi meglio la bisaccia sulle spalle. Una barba curata gli incornicia il volto scottato dal sole, un colorito che evidenzia il sorriso bianco. I capelli scuri sono un poco striati di grigio, gli occhi incorniciati da pieghe del sorriso e di mille esperienze. Si pulisce una mano dalla polvere, continuando a sorridermi: “Guarda chi si rivede. L’uomo col nome di stella”.
Sbatto più volte le palpebre, incredulo: “L-Luciano?”.
Scrolla le spalle, la bocca piegata in una linea divertita: “Se ti va”.
Mi riprendo in parte dallo shock e rispondo al suo sorrisetto: “Già. Immagino che il tuo nome sia un altro”.
Si avvicina di qualche passo e toglie la bisaccia dalla spalla. La apre, estraendone un manto dalle sfumature di rubino. Me lo tende: “Credo che questo sia tuo”.
Titubante, lo stringo tra le dita. Lo apro, faticando a convincermi di non star sognando: “Tu, tu…”.
Mi schiarisco la voce: “L’hai tenuto per tutto questo tempo?”.
Luciano guarda il manto con una lieve traccia di nostalgia, ma non accenna a riprenderselo: “Vale più di quanto tu possa immaginare, soprattutto ora che Roma è caduta. È più raro che mai”.
Senza pensarci due volte, glielo ripongo tra le braccia. Inarca un sopracciglio, perplesso.
“Tienilo tu. Io ho tutto ciò di cui ho bisogno”.
Dopo un istante, mi lancia un’occhiata complice: “Ah. Qualcosa riguardante un uomo maturo, dai grandi occhi castani, pelle ambrata? E magari ha anche dei setosi capelli dal colore delle nocciole”.  
Rido, profondamente divertito: “Che vuoi farci. È il mio tipo ideale”.
Sorride e in contemporanea ci stringiamo in un breve abbraccio. Mi da una pacca sulla schiena e si separa, pur tenendo una mano sulla mia spalla: “Ti trovo bene”.
“Lo stesso per te. Considerando che ti credevamo morto”.
“Ipotesi legittima”.
Riprende a camminare per il sentiero e io lo imito, procedendo insieme. Avrei tante domande da porgli, negli ultimi anni la curiosità di capire chi fosse davvero mi ha colto più volte. Ma non avrei mai creduto di rivederlo, soprattutto con gli arti al loro posto.
Fa un mezzo sorriso, scoprendo i denti: “Puoi chiedere”.
“Chi diavolo sei tu?”.
Ride, poi mi rivolge un sorrisetto strafottente: “Se ti dicessi che ho governato l’impero d’Oriente, mi crederesti?”.
Mi fermo di botto, poi la sorpresa diventa sospetto: “Mi stai prendendo in giro”.
“Può darsi. Ma può darsi che dica la verità. Chi pensi che vi abbia protetto in questi anni?”.
Riprendo a camminare, raggiungendolo in rapidi passi: “Oh insomma! Come ti chiami?”.
“Comincia con la S”.  
“Per la misera, dacci un taglio!”.
Ma lui si limita a ridacchiare e per quanto insista non mi dice altro, nemmeno quando gli do un calcio sulla gamba.
 
La figura vestita di bianco di Giuliano si staglia in evidenza sul cielo, incorniciato dall’ampia finestra del suo studio. Nel giardino di fronte non c’è nessuno, solo pesci e uccelli si muovono tra le acque balzellanti e le aiuole profumate. Si sente il mare non lontano, una musica perpetua, incessante che accompagna le nostre giornate da ormai cinque anni.
Si passa una mano sulla spalla destra, dove una ferita non gli ha mai dato pace. Lo sento sospirare, intravedo il suo sguardo pensoso perso nel nulla, un irrecuperabile uomo con la testa sempre nello spazio. Sorrido, entrando nella stanza a passo leggero, tanto che nemmeno mi sente. Sussulta quando poggio la mano sulla sua, ma si rilassa subito. Ridacchio, poggiandogli un bacio alla base del collo mentre prendo le sue spalle tra le dita, per allentare la tensione nei muscoli affaticati. Mi siedo dietro di lui, circondandolo con le mie gambe eccezionalmente lunghe.
“Hai parlato con l’uomo senza nome. Com’è andata?”.
Poggia la testa contro il mio petto. Le mie carezze hanno spesso l’effetto di ammutirlo ed è una cosa di cui vado piuttosto fiero, con un uomo controllato come lui. Infatti risponde con un “bene” che è più un mugugno di altro.
Massaggio un punto particolarmente sensibile e gli sfugge un gemito roco. Mi piace sentire i suoi muscoli morbidi e forti flettersi sotto ai miei palmi, farsi modellare nell’abbandono della fiducia. Cinque anni fa, mai avrei pensato che avrei scoperto piaceri simili, io che ero arrivato ad odiare e temere il tocco altrui. Ma Giuliano è un amante assurdamente generoso e gentile, anche se sono io a sottomettermi nella nostra relazione lui non la fa mai sembrare una degradazione, più come un dono che io gli porgo ogni volta e che lui tratta come se fosse sceso dal cielo. Ma oggi è particolarmente stanco, forse troppi ricordi gli annidano la fronte in questo pomeriggio che ricorda quello in cui la sua casa bruciò e divenne cenere, portandosi le ombre della sua famiglia, i suoi libri.
E come sempre quando uno di noi due viene sopraffatto, l’altro c’è. Conosciamo i nostri corpi a memoria, sappiamo cosa ci piace, cosa meno, il timore dei primi tempi ha lasciato spazio alla sicurezza di un affetto prolungato, di una passione fisica che invece di scemare si è accresciuta con la conoscenza.
Premo di più contro la sua schiena, stringo la pelle calda del suo collo tra i denti e do una beccatina all’attaccatura con l’orecchio. Con la punta delle dita, sposto i suoi rivoli castani dalla base della nuca, dove li ha lasciati crescere di un paio di dita, lasciandovi una serie di baci e morsi leggeri. Intanto porto le mani davanti, lavorando sui lacci della sua tunica.
“Antares…” sussurra e la sua voce roca mi fa rabbrividire dalla soddisfazione. “Siamo sul giardino…”.
“Sono i tuoi giardini privati. Non entra nessuno senza permesso”.
Sembra ancora perplesso e, come sempre agli inizi delle nostre effusioni, un lieve imbarazzo gli tinge le guance. Il mio obbiettivo è ogni volta farlo perdere al punto da scordare tutto il resto. Fa per ribattere e io ridacchio ferino, dandogli un leggero pizzico sul fianco mentre sfrego il bacino contro di lui, mozzandogli il respiro.
“Tu lascia fare a me, per oggi…”.
Prendo il suo sospiro come un assenso e procedo a rimuovere gli strati delle sue vesti, scoprendo lembi di pelle su cui poggio i miei palmi tesi, carezzando i pettorali delicati ma definiti, scendendo per l’inguine ma senza scendere troppo in basso per guadagnarmi uno splendido uggiolio inquieto.
Piccoli versi rochi echeggiano nella sua gola, li sento contro il petto, vibrano nelle mie ossa. Finalmente lancio via la sua tunica, libero di godere di tutta quella pelle calda e così ben conosciuta. Lo stringo con quel tocco di possessività che non fa male e affondo i denti nella sua spalla, mai troppo da provocargli dolore ma abbastanza da causare un pungente pizzicore.
Sussulta ed emette un respiro tremolante. Faccio scorrere le mie mani gentilmente sul suo busto, lascio un bacio sulla spalla marchiata. Afferra le mie braccia, fa lenti movimenti circolari sulla mia pelle. Si gira un poco, il minimo per lanciarmi un sorrisetto: “Vedi di non rompermi, non sono più un ragazzino”.
I suoi occhi di cioccolato brillano mentre mi chino a baciarlo, affondando le dita nei capelli che portano i colori dell’autunno nella sostanza e nei riflessi. Mi separo un istante per spostare la testa ed il secondo bacio è più intenso, profondo, lui vi si rilassa dentro, il suo corpo morbido ma forte si piega contro il mio. Un roco brontolio mi erompe dal petto, con una mano salgo per il suo torso, stuzzicando la carne che pulsa per il battito accelerato. Scendiamo piano a terra, gli sposto i capelli dalla fronte, prima di lambirlo con la bocca giù per il collo, scendendo sempre più in basso, solleticandolo con le mie ciocche ondulate. Apre le gambe intorno a me e mi stringe a se. Continuo lento ed inesorabile, arrivo alla deliziosa V che incrocia pube e gambe e Giuliano sussulta, afferrandomi per le spalle. Gli lancio un ghigno felino e in una rapida mossa mi tolgo i vestiti di dosso, scoprendo la mia pelle così pallida rispetto alla sua baciata dal miele.
Non vedo il vaso situato contro il muro e lo faccio cadere per terra, fracassandolo. Il rumore esplode eccessivamente rumoroso nella stanza e Giuliano mi lancia un’occhiata di rimprovero, piuttosto buffa insieme alle guance arrossate e i capelli in disordine: “Antares…”.
Scrollo le spalle, incurante. Colgo l’opportunità per prenderlo alla sprovvista e strofinare i fianchi tra le sue gambe spalancate, guadagnando un gemito sorpreso. Il suo collo si inarca, chiude gli occhi con un sussulto mentre le sue mani si stringono di più sulle mie spalle.
E in quel momento bussano alla porta.
Ci blocchiamo, pregando che chiunque sia abbia il buonsenso di non entrare…spero non sia la bambina, sarebbe particolarmente imbarazzante. Più tanto bambina non è, ma comunque…
Giuliano cerca di comporsi, molto blandamente.
“S-sì?” domanda con voce appena instabile.
“Va tutto bene, signore?” risponde una voce nervosa. Una delle serve che non riesco a riconoscere.  “Ho sentito un grande boato dal corridoio e mi sono preoccupata”.
Ridacchio e di nuovo Giuliano mi guarda storto. Mi vendico con un’altra decisa sfregata, costringendolo a reprimere un ansimo contro il dorso della mano. Appena ne è in grado mi lancia un’occhiataccia.
“Sto bene…sono solo inciampato mentre…mentre mi vestivo”.
Scuoto il capo, divertito dalla sua incapacità nel trovare scuse.
“Sei sicuro, mio signore?” .
Sollevo gli occhi al cielo quando lei parla di nuovo.
“Se hai bisogno di aiuto…”.
“No no! Tutto a posto, faccio da solo, grazie…Puoi andare”.
“Oh, bene. Buon pomeriggio, signore” dice la vocina chiara dall’altra parte della porta dopo lunghi attimi di titubanza. Si sentono i suoi passi in allontanamento e Giuliano sospira, rilassandosi di botto.
Ghigno, chinandomi per poggiare il peso sui gomiti. “Aw, come sei stato rude. A quella ragazza sembravi piacere proprio”.
Spalanca gli occhi: “Rude? Non mi sembr…”.
Capisce che lo sto prendendo in giro e sbuffa. Con una manovra da vero lottatore, mi capovolge e ora sono io a trovarmi sotto. Mi sorride dall’alto, con un tocco di finta sbruffonaggine che gli dona particolarmente:
“Tocca a te il pavimento. È piuttosto scomodo”.
L’atmosfera di gioco mi lascia, perché mi perdo a fissarlo con reverenza. Piega il capo su una spalla, perplesso. Poggio le mani sulle sue gambe: “Sei…splendido”.
Arrossisce, meno a disagio dei primi tempi ma comunque sempre in difficoltà con i complimenti. Lo conosco bene e per risparmiargli ulteriore imbarazzo lo attiro verso di me, facendo scorrere le dita tra i suoi capelli mentre lo bacio in profondità, gemendo nella sua bocca quando il movimento fa incrociare le nostre eccitazioni.
Faccio un grande sforzo per separarmi da lui. Sospira, arricciando le labbra per lo scontento. Sento il suo sguardo su di me mentre mi trascino fino alla cassettiera in un angolo della stanza. La apro e con foga comincio a tirare fuori tutto ciò che contiene.
“Antares!” mi rimprovera, ma io sorrido trionfante, mostrandogli la boccetta d’olio. Gattonando torno da lui, avvicino le labbra alle sue. Mi poggia una mano sul petto: “Apprezzo il tuo zelo tesoro, davvero. Ma è da cinque anni che ogni volta mi butti tutto all’aria!”.
Assumo un’aria impunita, lambendogli la bocca: “Non fare il noioso”.
“Non faccio il noioso” mormora, non troppo convinto visto che ho ripreso a mangiargli il collo. Una mano si stringe tra i miei capelli: “Ma potresti metterlo in un posto fisso, ecco…”.
Mi limito ad annuire con un verso, non badando particolarmente a quello che dice. Torno a montargli sopra, ma di nuovo mi ferma. Stavolta sono io a lanciargli un’occhiata innervosita: “Insomma, cosa c’è?”.
“Non è che, tanto per essere estremi, potremmo farlo sul letto? Giusto per provare”.
Sorrido: “Sei proprio un vecchio”.
“E tu un assatanato”.
Scrollo le spalle: “Va bene. Letto sia, ma per il resto facciamo come voglio io”.
“Non lo facciamo sempre?”.
Lo afferro con un braccio e ci sollevo. Il letto non è lontano e in un paio di passi ci casco sopra, ovviamente schiacciando Giuliano. “Ahia…” commenta, ma ha l’aria di chi si è arreso da tempo.
Ghigno malvagio e mi sollevo a sedere, esponendomi del tutto al suo sguardo. Le sue gote prendono un lieve colore: “Sei senza vergogna”.
“Ti piace”.
“Questa poi…”.
Fa per prendermi l’olio dalle mani ma io lo allontano: “No”. Corruga la fronte, sorpreso. In genere è lui a occuparsi di questi preparativi, ma abitudinario com’è devo ideare qualche novità ogni tanto.
Si abbandona contro il letto, lasciandomi fare con un tocco di curiosità. Verso l’olio sulle mie mani e lo spargo con cura. Quando sono soddisfatto, socchiudo gli occhi con un sorrisetto e mi sollevo sulle ginocchia, portando una mano sotto di me. Mi sfugge un sibilo alla prima intrusione e serro le palpebre mentre cerco di allentare la tensione. Quando le apro mi esce una risata spezzata alla sua espressione attonita, occhi sbarrati e bocca semiaperta: “Attento, ingoi le mosche così”.
“Antares, tu sarai la mia morte…”.
Rido, allargandomi ancora con movimenti più sicuri.
“Spero non presto…ho ancora qualche esperimento da fare con te”.
Sposto dalla fronte i capelli bagnati per il sudore e di nuovo ungo il palmo con l’olio rimasto. Lentamente, lo stringo intorno alla sua virilità e Giuliano sobbalza, stringendo le lenzuola nei pugni tesi. Mugola, ma come sempre quando dimostro di voler avere il controllo non reagisce. Quest’uomo è troppo buono, vorrei vederlo arrabbiarsi più spesso. Ma so che sotto tutta questa mitezza si nasconde un vulcano.
Prendendo la sua erezione in mano, mi sollevo sopra di essa, sistemandola contro la mia apertura senza andare oltre. Lo tocco a malapena fino a quando tremola, gli occhi chiusi con forza: “Andiamo, Antares…per favore!”.
Sorrido in trionfo e finalmente mi muovo, calando su di lui fino a sentirlo riempirmi completamente, seduto sulle sue cosce mentre cerca di controllare il respiro. Lo bacio con fervore, sibilandogli contro le labbra: “Per la miseria Giuliano, attivati!”.
È come una diga che si rompe. Il mio caro Giuliano, adoro conoscerlo così bene, come se fosse un’altra parte di me. Una parte con un torso meraviglioso e delle gambe splendide. Si siede, afferrandomi per i fianchi e sollevandomi con la forza che non usa mai sugli altri. Mi porta giù con vigore e vedo le stelle, ma non gli è facile muovermi in questa posizione e anche io trovo scomodo non avere appigli. Mi stringe con un braccio e dà una spinta poderosa, sdraiandomi contro le lenzuola. Le mie gambe si spalancano e non perdo tempo a stringerle intorno al suo bacino, con la forza di cui si lamenta spesso quando finiamo: in effetti gli lascio sempre un po’ stroppi segni addosso, anche se è passato del tempo dall’ultima volta che l’ho graffiato. O morso. O fatto cadere per terra.
Porto indietro la testa, sommerso dal piacere. Una scossa mi attraversa quando colpisce quel punto speciale che mi fa sempre esplodere e che lui non manca mai di raggiungere. La stimolazione è troppa, intrappolato contro il suo corpo, e bastano pochi, intensi minuti per raggiungere il mio apice. Il mio corpo si stringe spasmodico intorno a lui e sono talmente confuso che quasi non sono cosciente del bacio che ci scambiamo. Dà un’ultima spinta prima di irrigidirsi, le braccia tremolanti per lo sforzo di sostenerlo. La vista è annebbiata, ma bevo del suo collo inarcato, dei muscoli del stomaco che sussultano, flessuosi.
Cade intorno a me, stringendomi tra le sue braccia, il viso nascosto contro la mia spalla. Il suo respiro è bollente sulla mia pelle e accarezzo la sua schiena, ancora attraversata da lieve spasmi. Ridacchio, anche se senza fiato: “Stai proprio….diventando vecchio”.
 Non mi dà la soddisfazione della risposta e avvicino la bocca al suo orecchio: “Luciano, o comunque si chiami, sembra parecchio in forma. Dovremmo chiedergli di partecipare, ogni tanto”.
Si tira su e i suoi capelli sparati mi impediscono di non ridere, soprattutto se accostati ai suoi occhi lucidi, nemmeno avesse bevuto oppio: “Un tempo parlavi così poco”.
Sorrido, poggiandogli piano le labbra sulla bocca.
“Poi sei arrivato tu”.
 
 
  


Bene, qui termina Terra e Porpora! Spero che vi sia piaciuta e ringrazio chiunque sia arrivato fin qui!
In genere non lo faccio, ma mi dispiacerebbe non avere pareri riguardanti questa storia, ora che è terminata. Purtroppo non ha ricevuto molte recensioni, ultimamente ha oscillato tra l'1 e le 2, probabilmente perchè l'ho lasciata da parte troppo a lungo e i lettori si sono stancati. Ma se postiamo le storie qui è perchè ci rende felici sapere cosa ne pensano altri, quindi per favore ditemii vostri pareri! Mi fareste davvero contenta e perdereste pochi secondi. Se questa storia vi ha ispirato qualcosa, anche di negativo, vi esorto a informarmene! :-)
Ringrazio chi l'ha messa tra le seguite, tra le preferite, chi ha recensito e chi l'ha solo letta. Un abbraccio grande va alla splendida e incommensurabile Serelily, che segue da tempo e con fedeltà  i miei deliri! Grazie grazie! Questi ultimi capitoli sono tutti per te!!
Spero a presto, auguro a tutti voi una felice e cioccolatosa Pasqua!!
Vostra,
M.

 
  
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