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Autore: grace_law_smith    29/03/2013    7 recensioni
Quando tutto sembra perso, quando senti solo dolore, quando hai paura, arriva Peter.
Genere: Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Probabilmente andrà meglio.


Sono una newyorkese che va al liceo e che ama stare con gli amici o oziare davanti la TV. Come per tutti gli adolescenti la vita va vissuta ogni giorno, non è programmata. Siamo spiriti liberi. Be’, non è che la nostra vita però sia così complicata. Delle volte però ti sconvolge sul serio: l’altro giorno tornavo da scuola per l’ora di cena, ma era davvero buio. Ero da sola. Solitamente non ho paura dei vicoli bui di New York, anzi li adoro. Sono molto sinistri e intriganti. Ma quel giorno ero spaventata sul serio. Sesto senso? Penso di sì. Comunque, passavo veloce per un vicolo vicino casa mia e due uomini mi vennero addosso. Ebbi paura, non riuscivo a reagire, mi sentivo impotente. Volevano i soldi. Io avevo solo 10 $. Avevano preso quelli, adesso volevano me. Il mio corpo. Dov’era lo spray al peperoncino? Dentro la borsa. Dov’era la borsa? L’avevano loro, merda. A questo punto buttarono la borsa per terra e cominciarono a toccarmi e spogliarmi.
Urlavo, urlavo come una pazza ma loro mi diedero un pugno allo stomaco che mi fece sputare sangue ovunque. Mi sentii malissimo. Ero persa, non vedevo nulla, sentivo solamente la puzza del mio sangue che luccicava a terra, illuminato dal piccolo lampione alla fine della strada.
Quando tutto sembrava perso, qualcuno arrivò. Non sentii più le mani ruvide e pesanti di quei bastardi.
Mi lasciai cadere per terra e qualcuno mi aiutò ad alzarmi e appoggiarmi al muro. Non vedevo nulla chiaramente: era tutto sfocato, avevo un mal di testa pazzesco e avevo la bocca piena di sangue.
Udii dei pugni e dei calci mentre il cellulare per terra, zuppo di fango dovuto alla precedente pioggia, squillava.
Poi il silenzio. Il telefono tacque, gli uomini pure.
Udii dei passi che venivano verso di me, presi alla svelta lo spray e lo puntai al presunto aggressore.
-No, no, calma. Non voglio farti nulla. Tutto ok?-
Mi sporsi un po’ verso l’uomo: indossava una specie di calzamaglia rossa e blu con una maschera che gli copriva il volto. Dovevo per forza fidarmi di lui, era l’unico che mi aveva salvato, così mi limitai ad annuire.
Poi dopo essermi rialzata grazie all’aiuto dell’uomo in calzamaglia, la vista tornò. Era un ragazzo, più che un uomo adulto. Lo si vedeva dal fisico, più alto, muscoloso.
Notai che quei bastardi maniaci erano attaccati al muro grazie a una sorta di…ragnatela.
All’inizio rimasi un po’ stranita, una ragnatela così grande e spessa non l’avevo mai vista neanche nel vicolo più sporco di tutta New York.
-Aspetta un attimo…- rimasi a riflettere per un secondo: avevo sentito parlare di un tizio in calzamaglia che girava per New York ‘combattendo il crimine’ e lanciando ragnatele. -Oddio, sei il tizio di cui tutti parlano…com’è che ti chiami? … Spider-Man?-
-Sì, sono io.- disse malinconica la figura che ormai si allontanava nell’ombra e che lasciava una scia di profumo simile alla lavanda.

*

Qualche giorno dopo il ricovero in ospedale la mia vita tornò normale. Scuola, studio, giochi davanti al computer ecc.. La notizia del mio stupro viaggiò molto velocemente tra le mura scolastiche ma non fu accolta con stupore: non era raro che a New York una ragazza venisse derubata e stuprata.
Ovviamente i miei genitori si allarmarono molto e parlarono con George Stacy, padre della mia compagna Gwen e capo della polizia di New York.
L’agente Stacy diede la colpa di tutto a Spider-Man, ma io non ci vedevo nulla di male. Insomma, mi aveva salvata e quindi io mi fidavo di lui. Fino a un certo punto… tutti ne parlavano benissimo, come il nuovo ‘eroe’ di New York City, per me poi diventava un fenomeno da baraccone.
-Quel criminale, lo prenderemo!- George Stacy non aggiunse ‘prima o poi’ per rassicurare i miei genitori e per convincere se stesso del fatto che avrebbe preso e sbattuto in galera Spider-Man ma tutti sapevamo perfettamente che non ci sarebbe mai riuscito. -Chi si crede di essere? Un agente?-
Quanto ai criminali che mi avevano aggredito…be’ di loro non sapevo nulla e sinceramente non mi importava molto.
Quando Gwen seppe della mia aggressione mi venne incontro, scostò i capelli biondi e mi abbracciò. Vi siete mai sentiti invisibili? Cioè, nessuno? Ecco cos’era il liceo per me, avevo solo due amici e quando all’inizio ho parlato di ‘stare con gli amici’…be’, io ne avevo solo una. Gwen era una ragazza dolcissima, è sempre stata mia amica e l’ho sempre ammirata per il suo lavoro e contributo scolastico ma la cosa che mi piaceva di più della sua personalità era che lei non si vantava di essere la figlia del capo del New York Police Departement, era umile e amichevole con tutti. Devo ammettere che l’ho sempre invidiata su tutto ma nonostante ciò è sempre stata legata a me.
Ci rimase davvero male quando venne a sapere quello che mi era accaduto: -Mio padre prenderà quei criminali, te lo prometto.- e mi abbracciò di nuovo.
Detto fra noi, a me piace la Gwen cazzuta, non la Gwen sdolcinata. E le parlai chiaramente: le dissi che non doveva preoccuparsi e che non c’era problema. Per me era ok.
Alla lezione di matematica del secondo giorno dopo il mio rientro Gwen stette con me e con noi anche Peter Parker.
Conoscevo da poco Peter e non lo conoscevo neanche bene: lo avevo incontrato per la prima volta in laboratorio scientifico mentre lavorava a degli esperimenti e mi assegnarono lui come compagno di studio. Venne qualche volta da me per lavorare ma capì subito che la mia iscrizione al liceo scientifico era stata voluta da mia madre e non da me. Però cercai di aiutarlo lo stesso. Diciamo che di lui sapevo ben poco: sapevo che si chiamava Peter Parker, che viveva con sua zia e che era un genio a scuola. Sì, sapevo abbastanza.
Passammo la giornata insieme, ma io non parlavo molto, assunsi un atteggiamento freddo in presenza di Parker. Lui parlava poco e niente con Gwen, il pilastro del gruppo, ma non ne potevo più e quindi, prendendo una scusa, li lasciai soli.
-Grace, aspetta, dove vai?- chiese stupita Gwen.
-Oh….ehm… mia madre ha bisogno del mio aiuto a casa.- le dissi mentre eravamo in cortile un po’ imbarazzata.
-Oh, capisco…buona giornata Grace!- Gwen mi rivolse un sorriso meraviglioso e io ricambiai con la mano. Anche Peter mi salutò.
-Si, uhm…ciao Grace.-
Non ci avevo mai fatto caso, ma avevo già sentito quella voce.

*

La mattina seguente mi guardai allo specchio, solamente con reggiseno e mutande. Sulla pancia erano evidenti i lividi dell’aggressione. Appena li sfioravo mi sentivo malissimo. Scostai i miei lunghi capelli rossi e li portai indietro con una coda. Volevo cambiare, non volevo essere più la Grace aggressiva, che si vestiva in modo trasandato ed era fredda con tutti. Volevo cambiare. Non capii perfettamente cosa mi spingesse a quell’improvviso cambiamento, ma qualcosa c’era. Qualcuno, forse. Sì, di sicuro Gwen che mi era stata accanto. Di sicuro Gwen.
Aprii il mio armadio e cominciai ad esaminare quello che avevo a disposizione: una camicetta con le borchie, jeans trasgressivi e scarponcini.
Ero molto tentata da quei vestiti ma la mia mente m’impose di cercare qualcosa di…carino ed elegante allo stesso tempo.
-Nulla, nulla!- urlai in preda alla disperazione.
-Grace, tesoro, va tutto bene? Sbrigati, è tardi!- la voce di mia madre arrivava dalla cucina, di sotto.
Misi velocemente una camicetta bianca, una gonna grigia e degli stivali. Era tutto quello che ero riuscita a trovare. Legai i capelli in una treccia indietro e evitai di truccarmi in modo pesante. Sì, ero soddisfatta del mio lavoro.
Presi subito lo zaino e chiesi a mia madre di accompagnarmi a scuola. Passammo tutto il tempo del viaggio in silenzio.
-Ciao mamma, a più tardi!- le dissi una volta scesa dall’auto.
Passando per i corridoi notai molta gente mormorare e guardarmi. Sentivo dei ‘Grace, Grace’ di qua e di là e mi sembrava impossibile entrare in un’aula che tutti parlavano di me. Forse era dovuto al mio drastico cambiamento fisico, forse al fatto che tutta la scuola sapeva chi sono e cosa mi era accaduto. Ma perché non lo avevano fatto prima?
Cercai Gwen ovunque: laboratorio, teatro, sala musica. Non c’era.
Quando finalmente giunsi al mio armadietto per prendere i libri dell’ora di geografia sentii qualcuno avvicinarsi a me.
-No Flash, smettila.- dissi senza guardare, tanto era lui.
-Non…non sono Flash.-
Quella voce…l’avevo già sentita da qualche parte… mi voltai di scatto e vidi Peter di fronte a me.
-Oh, ciao Peter. Scusa, pensavo fosse Flash, sai…-
Peter fece un cenno con la testa come per aver capito.
-Dimmi...ehm… hai visto Gwen?- mi chiese.
-No, l’ho cercata anch’io stamattina ma non l’ho trovata da nessuna parte…al cellulare non risponde…- gli dissi prendendo il cellulare in mano.
-Be’…magari non è venuta.-
-Già. Probabilmente no.-
Posai i libri che non mi servivano all’interno dell’armadietto mentre Peter restava a fissarmi.
-Ma…cos’hai fatto?- mi chiese infine curioso.
Mi guardai velocemente per capire cosa non andava e appena vidi la gonna da brava signora capii cosa intendeva Peter.
-Sai…dopo quello che è successo…ho deciso di cambiare…in tutto.- ammisi.
-In…tutto?-
-Si, a partire dall’abbigliamento ma, detto fra noi, questo è l’unico completo senza le borchie che sono riuscita a trovare.- dissi ridendo.
Anche Peter sorrise.
-Ti sta bene la treccia. Mi sono sempre piaciuti i tuoi capelli.-
Gli rivolsi un sorriso gigante come ringraziamento.
-Che corso hai ora?- gli domandai.
-Mh…geografia, con la Griffiths.- disse Peter.
-Fantastico, anche io! Andiamo? La campana è suonata.- lanciai un’occhiata alla campanella sopra la mia testa. Peter sorrise e annuì.
Passammo la giornata a parlare e sorridere. Be’, io parlavo, lui sorrideva. E a me andava bene così perché ero innamorata del suo sorriso.
Ma…cosa mi prendeva?
La campanella suonò la ricreazione e Peter mi chiese di rimanere con lui per i prossimi 20 minuti. Annuii senza neanche pensarci, poi realizzai e la cosa sembrava strana.
Passammo quasi tutta la ricreazione in cortile parlando e ridendo, poi mi chiese se volevo parlare della mia aggressione.
Per quanto non ne volessi parlare con nessuno data la mia enorme timidezza c’era qualcosa che mi spingeva a parlarne con Peter. E lo conoscevo da poco. Mi fidavo di lui, in un certo senso.
-Peter…è stato orrendo.- dissi abbassando la testa.
-Già…immagino…- disse.
-No, non puoi immaginare. E’ stato traumatico. Sembrava tutto perso…-
-E invece?-
-Invece arrivò Spider-Man. Non che avessi capito molto, ero troppo scombussolata. Eviterei i particolari ma sta di fatto che Spider-Man…mi ha salvata. Non ci vedo nulla di male, anzi lo ringrazio…-
-Quindi pensi sia un eroe, per New York?- mi chiese con un sorrisino sulla faccia.
Annuii.
La campana suonò e mi sentii strana, come vuota. Il momento bello con Peter era finito, adesso cosa rimaneva?
-Cavolo, devo andare.- dissi guardando dentro la borsa per prendere il cellulare e poi chiamare mia madre ma, sfortunatamente mi cadde tutto a terra. Peter, che era accanto a me, mi aiutò a raccogliere tutto.
-Oh, Peter Parker, sei il mio eroe!- gli dissi ridendo.
Peter annuì. -Lo so.-
Rimasi un po’ perplessa da quella risposta, poi gli diedi un bacio sulla guancia e sentii un profumo già sentito. Lavanda. 



Salve a tutti, eccomi qui con una storia ispirata al film The Amazing Spider-Man. Non credo continuerò a scrivere il crossover Harry Potter/Hunger Games, mentre tra poco arriverà il prossimo capitolo di guns., la mia storia sui Vendicatori.
Adesso, parlando di questa storia, sappiate che il personaggio di Grace NON è ispirato a Mary Jane Watson, quindi non immaginate lei mentre leggete!
Ok, detto questo, vi saluto. Recensite,
Marianna.
  
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