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Autore: redeagle86    29/03/2013    3 recensioni
Una lunghissima Malec ispirata dalla dedica che Clary e Jace trovano sul libro di Dickens.
Dopo la battaglia contro Sebastian, Alec decide di porre le domande all'unica persona che potrebbe dargli delle risposte. Ma la verità sul passato ha davvero importanza?
"Porti il nome di Gideon Lightwood, ma somigli più a suo fratello Gabriel. Anche lui faceva sempre le domande sbagliate sugli argomenti più futili."
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alec Lightwood, Altri, Magnus Bane
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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finalm
Finalmente con speranza

La camera devastata di Jace era un perfetto esempio della battaglia appena conclusa: dove aveva sempre regnato un ordine ossessivo e quasi maniacale, ora c'era solo un enorme caos da sistemare. L'intero Istituto portava i segni della guerra contro Sebastian ed i suoi alleati: metà dell'edificio era stato distrutto, costringendo i Lightwood a cercare momentaneamente un'altra sistemazione.
Suo fratello era immobile in mezzo alle macerie con uno sguardo di muta disperazione.
-Tutto a posto?- gli chiese Alec, avvicinandosi e posandogli una mano sulla spalla. Tutti stavano soffrendo, ciascuno a suo modo, ciascuno per un motivo diverso: una casa perduta, un fratello scomparso, un amore finito...
-Sì... sì, certo. Stavo solo prendendo alcune cose prima di andare da Clary.
-Ricordati che sarai sotto lo stesso tetto di Jocelyn- continuò con l'ombra di un sorriso.
-Ogni donna pagherebbe qualsiasi cifra per avere questo onore.
Il suo parabatai scosse la testa, abituato allo smisurato ego dell'amico. La sua attenzione venne però catturata da qualcosa abbandonato sul pavimento, coperto di calcinacci. Era un libro, uno dei tanti che Jace teneva sul comodino.
Guidato da una volontà sconosciuta, Alec si mosse in quella direzione e lo raccolse, pulendo con la manica la copertina di pelle; il titolo emerse dalla polvere a lettere dorate: “Storia di due città”.
Aveva un aspetto antico e quando lo Shadowhunter lo aprì, scoprì una lunga dedica che il tempo aveva reso illeggibile, ma la firma era chiara e limpida ai suoi occhi: “Finalmente con speranza, William Herondale”.
-Non sapevo ti piacesse Dickens.
Il compagno sbatté le palpebre, emergendo quasi da un sogno che, per un attimo, lo aveva trasportato lontano da lì.
-Posso prenderlo?- Lo domandò istintivamente, lasciando del tutto spiazzato Jace.
-Certo... ma se vuoi riconquistare Magnus, non è la lettura adatta.
-Non c'è nulla da riconquistare- rispose, mordendosi un labbro prima di abbandonare la stanza.
Bastava fare il suo nome perché lo travolgesse un intenso dolore al petto, accompagnato dal ricordo di quella notte in cui aveva perso tutto ciò che avesse un senso. La guerra, gli amici, il conto dei danni e delle perdite... era questo che lo teneva ancorato ad una sorta di normalità.
Una normalità che poteva crollare più facilmente di un castello di carte.

Quando varcò il cancello della Città Silente, Alec non aveva ancora idea di cose stesse realmente cercando.
Risposte?
No, nel suo caso non servivano a niente.
Verità?
No, perché la verità aveva troppe sfaccettature, non era una sola valida per tutti.
Cosa ti porta qui, giovane Shadowhunter?
La voce irruppe nei suoi pensieri precedendo la comparsa di due Fratelli Silenti avvolti nelle loro tuniche color pergamena.
L'ingresso ti è precluso se non sei stato convocato da noi. Serviamo il Conclave, non i Nephilim.
-Sono qui per parlare con Fratello Zaccaria- affermò, stringendo al petto il libro. -Non è una questione che riguarda il Conclave.
Un lungo silenzio seguì le sue parole, poi rimase solo con uno degli uomini
Alexander Gideon Lightwood, cosa desideri da me?
Quel tono, anche se privo di suono, anche se arrivava dalla sua mente e non dalle sue orecchie, era inconfondibile.
-Fratello Zaccaria. Io... immagino che questo sia tuo- disse, porgendogli il romanzo ancora caldo per il contatto con il suo corpo. -O sbaglio... William?
L'uomo di fronte a lui non si mosse né parlò, eppure il Cacciatore intuì in qualche modo che stava sorridendo tra le ombre del cappuccio, come se la situazione lo divertisse. Fratello Zaccaria allungò una mano, prendendo il libro e sfiorando la copertina quasi con affetto.
Storia di due città” di Dickens. Lo lessi molto tempo fa, prima di entrare nella Confraternita.
-Quindi... sei davvero William Herondale- mormorò incredulo. Era lì, il fantasma che aveva gettato in un abisso la sua storia con Magnus. Era lì, in carne ed ossa.
Porti il nome di Gideon Lightwood, ma somigli più a suo fratello Gabriel. Anche lui faceva sempre le domande sbagliate sugli argomenti più futili rispose, e la sua voce assunse una nota critica. Ha davvero importanza sapere chi sono stato?
-Se lo fossi, potrei chiederti delle cose che...
Cose su Magnus Bane? Sul suo passato?
-Sì... anzi, no. Non è per questo che sono qui. Vorrei solo capire perché non ne ha mai voluto parlare con me.
L'eternità è lunga ed infinita, Alec Lightwood. E i ricordi, belli o brutti che siano, sono sempre dolorosi per un immortale.
-Dolorosi?
Alec non capiva: i bei ricordi non potevano essere dolorosi, altrimenti non sarebbero stati belli.
Appartengono a un tempo che non tornerà, sono momenti che non si ripeteranno mai più. I ricordi sono un'arma a doppio taglio, giovane Nephilim. Te ne accorgerai invecchiando.
Il ragazzo annuì, comprendendo: in effetti, rammentare i giorni più felici della sua relazione con lo stregone gli stringeva lo stomaco in una morsa e lo svuotava di ogni energia. Non ci aveva mai riflettuto, ma Fratello Zaccaria aveva ragione: la capacità di ricordare era una sorta di sadico scherzo che il Creatore aveva fatto loro.
Un modo in più per farsi male da soli.
-Ho commesso un grave errore. Ho avuto la presunzione di voler decidere la fine della sua immortalità. Di essere l'ultimo che avrebbe amato.
Quando si ama veramente qualcuno, si desidera sempre essere l'ultimo. O l'unico. Non stai parlando di cose a me sconosciute: tutti commettiamo degli sbagli quando siamo innamorati.
-Ma non era giusto che fossi io a decretarlo senza nemmeno parlarne con lui. Sono stato uno stupido. E l'ho perso per sempre.
Niente è perduto per sempre.
-Io non ho un sempre. Ho rifiutato d'essere immortale, eppure ho riflettuto sulla proposta di Camille. Ed ora non so neppure perché sono venuto in cerca di un fantasma... Non ho bisogno dei consigli di nessuno, ormai.
Non ne hai mai avuto bisogno, in verità.
-Sì, ora me ne rendo conto.
Allora puoi lasciare questo luogo e seguire il tuo cuore concluse, restituendogli il libro e indugiando un istante sulla copertina con un gesto strano. Finalmente con speranza.
Alec riconobbe quelle tre parole, le stesse scritte nella dedica vergata da William nella sua grafia elegante di un altro secolo. Fece per ribattere, ma Fratello Zaccaria stava già rientrando nella Città Silente e allora scosse il capo, abbandonando quel pensiero.
Dopotutto, non aveva davvero importanza scoprire se fosse William Herondale o meno. Non sarebbe cambiato nulla.
Avrebbe anche potuto incontrare tutti gli amanti di Magnus e le persone che gli erano state care, ma non avrebbe otenuto altro che parole. Ora lo aveva capito.
Non erano le storie di altri, il loro passato, ciò che bramava.
Lui voleva la sua storia, il suo presente, qualsiasi fosse la fine: voleva dire a Magnus la verità, riuscire a spiegargli tutto senza balbettare incapace di mettere insieme due parole. Voleva una possibilità anche se forse non la meritava.
E sperava che Raziel gliela concedesse.

La chiave girò senza sforzo, sorprendendolo: credeva che nel frattempo Magnus avesse cambiato la serratura. Forse si fidava ed era convinto non avesse un'altra copia.
Forse lo sapeva e lo stava aspettando.
Tra le due, Alec si affidò alla seconda, aprendo la porta pronto a tutto. L'appartamento era uguale a quando l'aveva lasciato, dettaglio insolito dato che lo stregone lo variava almeno una volta alla settimana.
Il Nephilim avanzò verso il salotto e posò le chiavi sul tavolino in un gesto abitudinario, scoprendo che c'era già un mazzo di chiavi abbandonato sulla superficie rossa: erano le sue, quelle che aveva lasciato il pomeriggio in cui se n'era andato. Erano ancora lì, coperte da un velo di polvere. Tutto era stato abbandonato alla polvere.
Un senso di panico gli tolse il respiro: era accaduto qualcosa a Magnus? Era stato ferito? Era disperso? Era...
No, non voleva nemmeno pensarci: il figlio di Lilith non era un eroe, glielo aveva ripetuto più volte. Probabilmente non aveva neppure partecipato alla guerra, limitandosi a guardarla da lontano, accarezzando pigramente il suo gatto.
Alec doveva solo sedersi e aspettare: la battaglia era finita e nella casa c'erano ancora tutti gli oggetti dello stregone.
I libri di magia, la tabacchiera di Scott, quel vecchio baule che non veniva mai aperto ma che era una sorta di oggetto sacro: sarebbe tornato a riprenderseli, ne era sicuro.
Gli occhi azzurri si fermarono proprio sul baule: fino a poco tempo prima non avrebbe esitato ad aprirlo, approfittando dell'assenza del padrone di casa. Ora lo osservava con distacco, sapendo che conteneva solo stralci di un passato di cui era difficile liberarsi, perché per quanto si guardasse avanti e si tentasse di ignorarlo, era qualcosa con cui si doveva sempre fare i conti.
Ed il ragazzo aveva capito che se solo avesse messo da parte la gelosia e gli avesse chiesto di parlarne, Magnus gli avrebbe detto quasi ogni cosa. Forse non proprio tutto, ma ognuno aveva i suoi segreti.
Per comprenderlo aveva dovuto ferire la persona più importante della sua vita.
Un rumore alla sue spalle ridestò i suoi sensi da Shadowhunter e in un instante aveva già estratto una spada angelica e la stava puntando alla gola di...
-Magnus?!
-La nostra storia è finita male, ma non credevo così male- commentò, passandosi una mano tra i capelli scompigliati.
-Io... oh, sai... l'abitudine- incespicò, riponendo l'arma con un po' d'impaccio.
-Bene. Credevo avessi deciso fosse meglio togliermi la vita invece di limitarti ad accorciarmela- ribatté amareggiato. -La tua presenza qui potrebbe essere definita in molti modi tra cui violazione di proprietà privata e stupida testardaggine. Ma per questa volta mi limiterò a chiederti di andartene e non farti più vedere.
Alec strinse le mani a pugno e raccolse tutta la sua determinazione.
-No, non me ne vado se prima non mi lasci spiegare.
-Spiegare cosa, Alexander? È tutto molto chiaro, mi sembra.
-No, non lo è. E dato che sei immortale puoi anche sprecare qualche minuto per ascoltarmi. Dopo potrai buttarmi fuori o trasformarmi in qualcosa di orrendo.
-Allora parla, stupido Nephilim.
E il Cacciatore parlò. Confessò ogni cosa, ogni sua sensazione, ogni suo pensiero; lo fece con sincerità, senza paura di sembrare infantile o sciocco, perché sapeva già di esserlo. Raccontò come si fosse sentito di fronte alla proposta di Camille, perché fosse andato a trovarla e perfino la sua visita a Fratello Zaccaria.
-Questo è tutto. Ora me ne vado intanto che posso farlo sulle mie gambe.
Si voltò, incamminandosi verso la porta con l'animo in qualche modo più sereno: aveva fatto del suo meglio e ora si affidava alla bontà dell'Angelo.
-Aspetta- lo bloccò Magnus. -Ho anch'io le mie colpe in quello che è successo. Tu hai fatto una scemenza, ma in qualche modo è stato il mio atteggiamento a spingerti a farla.
-Magnus...
-Credevo che il passato non contasse, che bastasse amare una persona e vedere in lei il proprio futuro. Ma amare qualcuno significa anche condividere sé stessi e io con te ho condiviso solo il presente- proseguì. -Certo, non che tu rendessi la cosa molto facile con i tuoi scatti d'ira.
-Già, sono stato abbastanza insopportabile.
-Abbastanza?!- ripeté l'altro, scoppiando poi a ridere. -Sei stato un vero tormento. Ci mancava solo che fossi geloso di Chairmain Meow, anche se per la cronaca non sono mai stato con il mio gatto.
-Questo mi consola molto, grazie. Sono contento di sapere che non sei così perverso.
-Non so neppure cosa significhi questa parola. Io sono disinibito, non perverso.
Alec alzò gli occhi al soffitto, sospirando: certe cose, dopotutto, non cambiavano mai.
-Quello del Titanic non fu un piccolo incidente, ma a causarlo fu l'incapacità degli stregoni a bordo- affermò serio, con un tono che sfoderava unicamente nelle grandi occasioni. Non in quelle disperate o critiche, quando erano ad un passo dalla morte: no, per quelle usava la sua ironia, come Jace.
-E quindi?- domandò il Cacciatore, senza capire.
-E quindi io non voglio essere come loro, io la mia barca voglio cercare di salvarla e non farla colare a picco alla prima avversità. Io ti amo, Alexander.
-Alec- lo corresse, fissandolo con una luce di speranza nello sguardo.
-Alec, d'accordo. Mi ero ripromesso di non farmi più coinvolgere dai Nephilim, dalle loro esistenze così brevi eppure così intense. Invece ci sono ricaduto e stavolta è diverso da qualsiasi cosa abbia mai provato prima- disse, guardando ciò che lo circondava. I ricordi di mille vite. -Pensavo di conoscere tutto, invece ho dovuto arrivare ad oggi per innamorarmi e decidere che l'idea di invecchiare non è poi così spaventosa se ci sei tu al mio fianco.
-Magnus, tu non devi farlo... Non voglio che... - iniziò lo Shadowhunter. Non doveva sentirsi costretto a cambiare a causa sua, non aveva mai voluto questo.
-Ah, sei davvero incontentabile- sbuffò divertito. -Prima vuoi che diventi mortale, poi non lo vuoi più... Dovresti essere un po' meno volubile, fiorellino- aggiunse con un sorriso. -Non lo faccio per te, Alec, ma per noi, perché tu sei l'ultimo e l'unico con cui voglio passare i miei giorni. E non ci saranno più segreti, di nessun tipo.
-Sì, non ti nasconderò nulla- accettò il ragazzo, incredulo di fronte a quella svolta della sua vita.
-Bene, ed ora baciami o non rispondo delle mie azioni.
Alec non se lo fece ripetere e colmò in pochi passi la distanza che lo separava dalle labbra del suo amato: lo baciò con tutta la gioia che gli esplodeva nel petto e sostituiva la disperazione di quegli ultimi tempi. L'Angelo era stato magnanimo, gli aveva dato una seconda occasione per essere felice.
-Avevo dimenticato che sapore avessero i tuoi baci- mormorò euforico.
-E di cosa sanno?
-Di felicità.
E di speranza pensò, perché anche lui, come William Herondale centotrenta anni addietro, poteva scrivere le prime parole di un nuovo capitolo della sua vita. Un capitolo che iniziava nello stesso modo in cui si era concluso il suo.
Finalmente con speranza.


NdA
Dopo recenti avvenimenti, scrivere le note è diventato quasi più difficile che scrivere la storia...
Allora... una lunghissima one-shot sulla mia coppia preferita di TMI nell'attesa che tutti scoprano la vera identità di Fratello Zaccaria e decidano se sia il caso o meno di cadere in un'eterna depressione.
La dedica completa che Jace e Clary trovano sul libro di Dickens potete leggerla QUI, io ho usato solo la conclusione e ho lavorato di fantasia.
Nella storia l'identità del Fratello Silente resta un mistero che ognuno può interpretare come vuole perché Alec alla fine decide di non volerlo sapere.
E con questo mi ritiro a creare nuovi deliri ed esperimenti fallimentari, sperando come sempre di avervi piacevolmente intrattenuti.
  
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