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Autore: DoubleLife    29/03/2013    0 recensioni
"Ero qualcosa che non avevo mai visto prima nei miei quattordici anni di vita."
Genere: Comico, Fluff, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Amaimon, Mephisto Pheles, Nuovo personaggio, Rin Okumura
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Qualcuno bussò alla porta. Le nocche dell’individuo battevano energicamente sul legno ormai scrostato dal tempo. Ipotizzai che fosse il postino, il vicino di casa o … 
“Signorina! Sono il preside dell’Accademia della Vera Croce!”
… Mephisto Pheles. Non volevo crederci.
Sbuffai stropicciandomi appena l’occhio e andai ad aprire la porta. Mephisto mi augurò il buongiorno con un raggiante sorriso, togliendosi la tuba colorata dalla testa. Accennai appena con un altro sonoro sbadiglio. 
“Hai dormito bene?”, mi chiese notando che non prestavo molta attenzione alla sua allegria.
“No.”, ammisi freddamente. 
 
Non avevo dormito per tutta la notte. Avevo ripensato alle parole di quell’uomo cercando di decifrarne il senso, “Non se la prenda con me se non ha qualcuno che si prenda cura di lei … Che sia zio o padre …”. Avevo sospettato ciò: Mephisto sapeva qualcosa su mio padre. La sua affermazione non era stata casuale; era come se avesse saputo dell’incidente avvenuto anni fa, quando papà mi aveva lasciato sola in casa. Era stato detto con un tono complice, quasi malizioso. Più pensavo a ciò che mi aveva sussurrato in quell’istante, più ero presa a scoprire che cosa tramasse quel Cappellaio Matto. Non mi aveva detto più niente dopo che mi aveva accompagnata a casa. Mi aveva solo informata che il giorno dopo mi avrebbe ripresa per partire con lui verso la sua scuola. 
Sarei andata via con quell’uomo solo per la volontà di sapere dove stava l’unica persona di cui mi potevo fidare ciecamente. L’unica capace di farmi addormentare con le sue carezze e con le sue parole incoraggianti. Qualcosa che sicuramente valeva più di una storia letta assieme a Himitsu e che non poteva competere con uno dei suoi abbracci. Purtroppo mi avrebbe perseguitato il fatto che si era sacrificato per me. Non potevo ripagargli il favore in nessun modo. 
 
Mi resi conto di aver sonnecchiato in piedi davanti all’individuo, che stava contemplando il cielo terso tenendo fermamente la visiera del copricapo, con l’altra mano impegnata a tenere uno strambo ombrello su cui era ricamato un pasticcino.
“Vado un attimo a fare una cosa.”, gli dissi. Neanche mi parlò.
Andai in camera di Himitsu-san. Aprii l’armadio e presi una busta bianca arrotolata su se stessa, con scritto Mononoke. Sapevo di doverla prendere. Quando avrei compiuto gli anni lo zio mi avrebbe regalato qualcosa a cui teneva particolarmente e che aveva conservato esclusivamente per me in uno dei suoi cassetti. Me lo disse una settimana prima che morisse. 
Dopotutto il giorno successivo sarebbe stato il mio compleanno. La srotolai non riuscendo a contenere la curiosità. Quando tirai fuori la mano mi meravigliai di scoprire che ciò che conteneva la busta era una cravatta. Era a strisce nere e rosse e terminava con una parte nera su cui compariva un simbolo. Me la ficcai in tasca confidando che prima o poi l’avrei usata. Poi controllai di aver nel taschino della camicia la fotografia: c’era. 
Una volta preso ciò che mi serviva, ritornai al ciglio della porta. Mephisto si girò nello stesso momento in cui scostai leggermente la porta semichiusa. Si avvicinò e mi prese per una mano, trascinandomi con sè. 
Mi girai per l’ultima volta verso la casa di Himitsu-san. Non l’avrei mai più vista. L’uomo mi condusse ad una limousine color rosa molto elegante dall‘aria infantile, dal quale sventolava su una bandierina. Mi costrinse ad entrare e farmi scivolare lungo il sedile. La macchina partì immediatamente. 
“Quando arriveremo dovrai essere in divisa.”, disse Mephisto facendo dondolare la testa ai lati, “Per cui ti dovrai cambiare.”. Cosa avrei dovuto fare …? Non volevo cambiarmi in macchina, soprattutto in sua presenza!! Come potevo nascondere la coda?! 
Sentii la faccia bollire dalla vergogna. “Cosa?!”, urlai cercando di sembrare più arrabbiata che imbarazzata. L’uomo mi fece un occhiolino accompagnato da un sorriso a trentadue denti e mi porse una busta.
“Esatto. Si deve cambiare in macchina. Faccia velocemente, non ha molto tempo a disposizione.”, mi avvertì spensieratamente. Sgranai gli occhi, facendogli intendere che non ero disposta a cambiarmi davanti a lui. 
L’uomo si coprì la faccia con la mano e disse, “Ho capito, mi copro gli occhi.”.
“Ma che …?! Lei non ha capito che non mi voglio cambiare qui, davanti a lei e con i finestrini aperti?!”, sbraitai. Non si mosse dalla sua posa e aspettò che cominciassi a cambiarmi. Accidenti, gli avrei tirato il cilindro fuori dal finestrino come un frisbee!
Mi tolsi la camicia e la maglietta il più in fretta possibile, rimanendo in reggiseno. La coda, rimasta per tutto il tempo sotto la maglietta, si srotolò dalla vita ondeggiando finalmente senza esser messa in soggezione da un pubblico indiscreto. Allungai lo sguardo su Mephisto: stava rivolto dalla parte opposta con ancora la mano sugli occhi. Mi potevo fidare della sua parola.
Mi portai le ginocchia al busto e rovistai nel sacco. All’interno c’era una camicia bianca a maniche corte, una gonna color rosa pastello e delle calze molto lunghe color panna. Sembrava che tutto fosse esattamente della misura giusta. Quando mi abbottonai la camicia potei confermare ciò che avevo creduto pochi attimi prima. Pensai che fosse stato un caso quello della camicia; ma quando indossai la gonna mi accorsi che anche quella era esattamente della mia taglia, seppur abbastanza corta. Indossai le lunghe calze, che coprivano tre quarti delle gambe. Rimisi le All Star che avevo dovuto slacciare per sfilarmi via i pantaloni. Conclusi il tutto appallottolando i miei vestiti dentro il pezzo di plastica. 
Quando Mephisto si rigirò dalla mia parte erano passati più o meno sette minuti. Mi squadrò per qualche attimo, controllando se la divisa della scuola mi andasse bene.
“Pensavo che portassi una taglia in più, ma vedo che ti sta la 40“, disse con un sorrisetto sbruffone. Come faceva a sapere che taglia portassi?! Sbiancai; me ne resi conto dall’offerta gentile che mi fece poco dopo l’uomo dall‘abbigliamento insolito. 
“Ti senti bene, signorina? Vuoi che faccia arieggiare la limousine?”. Scossi la testa velocemente. Ignorò la mia risposta e aprì leggermente il tettuccio poco più avanti a sé. 
Non gli rivolsi la parola per il tragitto, quindi per circa mezz’ora. Allora guardai fuori dal finestrino. Lo spiffero d’aria che ci sfiorò le teste mi scombinò i capelli. 
Rimasi sbalordita dalla vista che mi si presentava davanti agli occhi. Il cielo limpido, abbellito dal raggiante sole che sprigionava luce da qualche nuvola traforata, ospitava una piccola metropoli appollaiata su una sorta di promontorio, con tante casupole e ponti al suo interno. Nel suo insieme sembrava un ammasso di case, circondato dalle varie autostrade collegate. Aveva un certo fascino il paesaggio da lontano; non riuscii a trattenere l’entusiasmo e aprii completamente ciò che Mephisto aveva scostato molti minuti prima e mi affacciai, mettendomi in punta di piedi.  
“Signor Mephisto! Dove si trova la scuola?!”, gli urlai. 
“Sta esattamente davanti ai nostri occhi, Mononoke-chan!”, arrivò l’uomo al mio fianco scontandomi leggermente per farsi spazio. 
“Mononoke-chan?!”, esclamai stupita quanto inorridita alla sua risposta, “Chi le ha dato queste confidenze?!”.
“Io!”, disse circondandomi le spalle col suo braccio. Cercai di liberarmi dalla sua stretta in modo sciatto, ma ciò venne interrotto dalla sua voce.
“Stai attenta alla coda, Mononoke-chan. Nessuno, oltre a me, lo dovrà sapere. Altrimenti come potrai sopravvivere d’ora in poi?”, sussurrò con una certa flemma. 
Eh …? 
A quelle parole ritornai dentro la macchina e mi sedetti sconcertata. Mi seguì anche Mephisto. 
“Siamo quasi arrivati. Cominciati a preparare.”, disse l’uomo. “Ah!”. Indicò la mia camicia. 
“La coda, Mononoke. Nascondila.”. La sua osservazione fece notare la coda al mio fianco. La nascosi attorcigliandola alla vita.
La limousine accostò al primo marciapiede che vedemmo. Il signor Pheles scese dalla macchina per primo e si mise al lato dello sportello aperto, aspettando che uscissi. Una volta che lo feci la limousine scomparve nel traffico davanti a noi creatosi dapprima che arrivassimo.
Ci ritrovammo davanti ad un imponente edificio che si apriva con un cancello. Era l’Accademia della Vera Croce.
“Mononoke-chan, ti manca una cosuccia …”, notò Mephisto squadrandomi una seconda volta dall’alto verso il basso. Si accarezzò il mento con le dita, finché non capì ciò che mancava alla divisa; a quel punto prese dal taschino interno della giacca colorata un fiocco a strisce rosse e nere e me l’avvolse intorno al colletto della camicia; mi fece un grazioso fiocco e si allontanò per vedere il risultato.
“Adesso stai molto meglio!”, esclamò allargando le braccia in aria sentendosi realizzato. 
Poi si avvicinò nuovamente a me. Mi mise in una mano qualcosa. Quando potei aver la possibilità di controllarla meglio notai dei ghirigori che abbellivano l’impugnatura. Era una chiave.
“Mononoke cara, eccoti la chiave per il corso per esorcisti. Usala su qualsiasi porta della scuola e vedrai che ti aprirà la via per l‘aula.”, spiegò semplicemente l’uomo. Alzai il capo.
“Ossia … non solo dovrò fare la scuola normalmente, ma dovrò fare orari extra per un corso per esorcisti?!”, domandai quasi scioccata. Lui si limitò a sghignazzare compiaciuto della mia reazione, se non voltarsi per nascondere il suo sorriso soddisfatto. Mi arrabbiai e gli afferrai la mantella color crema, pretendendo delle spiegazioni. Non mi aveva detto niente riguardo ai corsi extracurriculari a cui dovrei esser stata sottoposta.
“Mi deve delle spiegazioni, signor Pheles!”, gli ringhiai più gentilmente possibile, anche se a momenti rischiavo di strappargli la mantellina. Lui si girò, spaventato dalla mia faccia quanto divertito. 
“Bhe, non lo sapevi?”, mi chiese lui con tono impertinente. Scossi la testa. Fece spallucce e riprese il pezzo di stoffa che tenevo in mano.
“Adesso lo sai!”. La risposta detta in modo così presuntuoso mi provocò, a tal punto da sentire  un gran caldo. Concentrai la vista sul suo cilindro pacchiano. Avevo una voglia matta di buttarglielo: mai trovato una cosa più odiosa al momento. 
Improvvisamente una fiammella azzurra comparì sul copricapo del preside e in men che non si dica aveva la testa infuocata. Lo strambo tipo prese il cappello e lo pestò con foga in modo goffo, per spegnere le fiamme. Osservavo la scena con gusto e ciò non riuscii a nasconderlo: la risata si levò spensierata riecheggiando davanti alla scuola. Quando Mephisto riprese il cilindro fumante da terra fece una smorfia. Ebbi le lacrime agli occhi per la scena; allora mi fulminò con un’occhiata piuttosto arrabbiata che mi allarmò che era il momento di finirla. Mi ricomposi.
“Adesso che abbiamo bruciato il mio prezioso cilindro andiamo?”, mi domandò sarcasticamente. Annuii.
Il signor Pheles si diresse alla prima porta testabile che incontrò. Mi invitò ad inserire la chiave nella serratura ed a girarla. Quando entrammo ci ritrovammo in un corridoio infinito dai toni scuri dall’aria antica che terminavano con soffitti altissimi che sembravano interminabili. Osservavo il posto con grande curiosità. Camminammo perpendicolarmente verso sinistra, fino a che non ci fermammo davanti ad una porta aperta, sul quale ci aspettava qualcuno. Un ragazzo molto alto in veste nera che dava l’impressione di aver la mia stessa età. Le maniche, arrotolate su se stesse, lasciavano scoperti gli avambracci dalla pelle candida. Mi accorsi dei innumerevoli nei sul viso, ma soprattutto della montatura nera che incorniciavano due occhi color blu magnetizzanti. Non distolsi lo sguardo dalla sua figura, ma quando mi resi conto che avevo spostato l’attenzione su di lui mi imbarazzai molto; allora abbassai gli occhi timidamente.
“Mi chiamo Yukio Okumura, piacere. Sono il professore della classe.”, si presentò in modo serio e gentile il ragazzo, “Tu devi essere Mononoke Kurosaki, giusto?”. 
“Esattamente. Il piacere è mio.”, risposi educatamente tendendogli la mano destra. Ci stringemmo la mano, poi ripresi a parlare.
“Ok, signor Mephisto, adesso …”, dissi rivolgendomi al Cappellaio Matto. Era scomparso!
Yukio sbuffò rumorosamente, portandosi una mano sugli occhiali. “Quell’uomo è davvero strano …”. Strano …? È un pazzo stalker, ecco cosa. Strano è un aggettivo che non basta neanche per il suo abbigliamento!
“Entriamo, adesso.”, sbottò improvvisamente Yukio. Sentii una grande agitazione incombermi addosso, per cui esitai ad andare in classe col professore; mi precedette lui, dicendo qualcosa ai suoi alunni. Poi mi guardò, facendomi intendere di entrare in aula.  
Devo solo fare solo qualche passo in più, che sarà mai. E come mai così tanto agitata, Mononoke? Non credevo ti facessi sopraffare dai sentimenti!
Camminai decisa verso la porta. Arrivai da Yukio e finalmente mi ritrovai davanti a quelli che sarebbero stati i miei compagni. L’immensa classe dalla parete a scacchi rossi e neri era in contrasto col muro verde smeraldo. Erano disposti sui banchi in modo sparso, a fissarmi. Feci altrettanto con loro: un branco di persone inespressive. Che allegria … 
Bhe, in effetti non erano in quell’aula per accogliermi allegramente. Avevano preso la decisione di essere esorcisti, e sicuramente l’allenamento non era affatto facile. Certo, potevano farmi un cenno di consenso o un piccolo sorriso, ma si vedeva che non stavano aspettando il mio arrivo. Anzi, dai loro sguardi si poteva dedurre che sarebbe stato meglio se non mi fossi mai presentata e che quell’idiota del preside non mi avesse accompagnato fin là!
Spiccò tra loro una ragazza in kimono che si sforzò di sorridere nel modo più carino possibile. Mi fece molta tenerezza e ricambiai con un dolce sorriso che durò meno di due secondi. 
“Kurosaki, eh? È molto carina!”, bisbigliò entusiasta un ragazzo dai capelli color pesca ad uno dalla cresta gialla da gallo, che non rispose al compagno e continuò a squadrarmi. 
“Bene, Kurosaki. Puoi sederti dove vuoi.”, mi invitò il professore gentilmente. 
“HO FATTO DI NUOVO RITARDO!!”, improvvisamente si sentì fuori dal corridoio. La porta della classe venne aperta improvvisamente in un secco botto da un ragazzo dai capelli blu spettinati. 
“Okumura. Chi l’avrebbe mai detto.”, esclamò senza stupore il professore inarcando un sopracciglio.
“S-stai zitto tu! Perché non mi hai svegliato prima?!”, mugugnò paonazzo il ragazzo. Il viso arrossato si accorse della mia presenza. Aveva una faccia stravolta, quasi sudata per la corsa che dovette fare per assistere alla lezione di Yukio. I bottoni della camicia erano stati messi male quanto i pantaloni messi all’incontrario; alla spalla poggiava un fodero rosso dal cinturino nero su cui era riposta una spada. Gli occhi che incrociai in quell’attimo erano semplicemente meravigliosi. Erano blu come quelli di Yukio, ma completamente diversi. Come se sprizzassero da sé quella vita che negli occhi del professore era assente.
“Scusa, lei chi è …?”, domandò al professore. 
“Mononoke Kurosaki.”, intervenni. “Tu chi saresti?”, chiesi in modo alquanto brusco quanto deciso. Il ragazzo esitò a dirmi il suo nome, mi sorrise e mi tese una mano.
“Rin Okumura, piacere!”, disse allegramente sfoderando uno dei suoi sorrisi. Non potei fare a meno di arrossire, esitando di stringergli la mano rimanendo ancora stupefatta dal sorriso. 
“Bene, ora che avete fatto le presentazioni sedetevi ai vostri posti”, mi riportò alla realtà il professore con tono quasi impaziente. Feci un cenno a Rin che il posto accanto alla ragazza in kimono sarebbe stato mio; lui si limitò a sedersi dietro di noi, al secondo banco per due da solo. 
“C-ciao Kurosaki! Io sono Shiemi Moriyama, ma puoi pure chiamarmi Shiemi e basta!”, balbettò timidamente quanto determinata a farsi conoscere la verde. Ricambiai con un sorriso, il quale fece diventare le gote della ragazza di un rosso lucido accompagnato da una bocca sorridente. 
“Va bene, Shiemi. Tu chiamami allora Mononoke!”, le dissi col tono più dolce che potevo avere. In pochi attimi ero riuscita a farmi un’ amica all’interno del corso. Mica male!
Notai anche che in fondo alla classe c’erano due tipi piuttosto strambi. Uno con una marionetta in mano e l’altro incappucciato in modo tale da non far vedere la faccia intenta a seguire più che la lezione di Yukio una PSP ed esultare divertito e soddisfatto.
Il resto della classe era formata da un gruppo di ragazzi, di cui uno mi aveva approvato, uno con una cresta da gallo gialla e una faccia dura e un altro che sembrava più piccolo e provveduto rispetto agli altri due, mentre invece nella parte opposta due ragazze che seguivano attentamente la lezione ma che a prima vista si potevano definire amiche per la pelle. Accanto a me ci stava una ragazza che trasmetteva una grande innocenza e tenerezza e dietro di me ci stava già qualcuno che dormiva facendo intuire che si stava annoiando mortalmente. 
Dopo aver assistito a un’ora di quella lezione barbosa su cose che non avevo mai sentito prima decisi di andare al cortile della scuola, isolato e deserto. I fiori rigogliosi e sbocciati pendevano dai rami di ciascun albero piazzato da ogni parte del posto, rendendo l’atmosfera più festosa. Ma io mi limitai a sedermi accanto a uno di quelli che dovevano essere lampioni, che non lo sembravano affatto. Quando guardai il cielo terso senza nemmeno una nuvola sospirai tristemente. Provai un grande sollievo dopo che la coda uscì allo scoperto sotto la camicia. Si posò sulla colonna delicatamente, per poi ondeggiare tranquillamente. Pece come il carbone. 
Rimasi lì a rilassarmi, passandomi una mano tra i capelli e respirando quanto potevo permettermi l’aria cercando di far mente locale. 
Improvvisamente sentii dei passi. Erano ancora lontani dalla mia postazione, ma subito mi allarmarono e la coda, automaticamente come se avesse percepito il mio timore, si nascose sotto la camicia.
“Kurosaki! Kurosaki! La lezione di ginnastica comincia tra poco!”, annunciò la voce ansimante per la corsa. 
“Cosa?”, dissi agitata per lo spavento. Yukio mi dovette far uscire dallo scoperto da dietro la colonna per consegnarmi una busta di plastica bianca.
“Il signor Pheles me l’ha consegnata con l’intenzione di darla a te,”, spiegò il professore, “sarà meglio che ti cambi da qualche parte e vai in aula!”. Doveva esser passata più o meno mezz’ora da quando stavo in cortile. 
“Mi sono riposata un po’ troppo. Grazie per avermi avvertito, professore Okumura!”, ringraziai sforzandomi di sorridere. 
“Chiamami Yukio, per favore. Professore è solo come mi chiamano durante il corso.”, mi invitò il professore gentilmente. 
“Va bene, Yukio. Tu chiamami Mononoke.”, risposi ricambiando il sorriso di nuovo. Detto questo camminammo per un certo tratto insieme, poi mi divisi da lui usando come scusa il bagno per cambiarmi. Lui fece un cenno come per salutarmi, facendosi liquidare. Mi chiusi si servizi della scuola, rovistando all’interno della busta. C’erano un paio di pantaloni neri attillati sul polpaccio e a sbuffo sul sedere, una canotta aderente rossa fiammante e una felpa che riprendeva il modello della parte inferiore. 
 
Per fare ginnastica bisogna avere i vestiti giusti e questo le starà perfettamente bene!
Mephisto 
 
Sì, il biglietto dentro la tasca della felpa non stava affatto sbagliando: mi stava perfettamente bene, come era stato scritto. Bhe, questa cosa mi scioccò meno della divisa scolastica: mi dovevo cambiare in macchina davanti ad uno sconosciuto. 
Riuscii miracolosamente a non fare ritardo alla lezione per un pelo, oltrepassando il ciglio della porta dell’aula di corsa. A quel punto mi potei rilassare per due minuti buoni, legandomi due ciocche di capelli in modo equo e tirandomi indietro la frangia con una molletta, che stava dentro il felpone assieme agli elastici. Evidentemente Mephisto pensò che io fossi stata una specie di bambolina da vestire e da abbinare gli accessori come in un gioco. Però ammisi che i pantaloni erano stati pensati per la coda, che in quel momento poteva stare al sicuro anche sotto la felpa che mi copriva il fondoschiena. 
In poco tempo la classe del corso per esorcisti era riunita in una sconfinata palestra che portava ad un piano inferiore con delle grate d’acciaio, le quali terminavano aprendo la strada ad una gigantesca area che ospitava due rospi dalle dimensioni spropositate che come cani erano legati a ciascuno una gabbia. Al di sopra di tutti ci stava una specie di terrazzino da cui controllava uno dei professori. Rabbrividii per il disgusto nel vedere quei esseri starsene impalati al centro di quella specie di scatola che si doveva definire l‘arena.
“Bene, ragazzi. Oggi testeremo, per volere del preside, le capacità della nuova arrivata.”, annunciò la voce con una certa solennità. L’attenzione dei presenti si concentrò su di me, mettendomi in soggezione e in imbarazzo. Che aveva in mente quel Cappellaio Matto?
“Mononoke, buona fortuna.”, sentii timidamente dire da Shiemi, che malgrado la lezione di ginnastica stava ancora in kimono, anche se rispetto a quello di prima era più formale di quello bianco e rosso che indossava in quell‘ora. Scivolai sulla discesa liscia della palestra, pronta ad essere messa in prova sotto il volere dell‘uomo. 
“Il Tip Leaper è un demone solitamente docile, ma purtroppo è capace di leggere la tua mente e ti aggredisce quando ti ritrovi davanti a uno di loro. Metterò in prova la tua velocità, preparati!”, mi avvertì riferendosi ad uno di quei rospi. Il cuore mi batteva talmente forte che pensai che quel demone avesse già letto i miei pensieri e avesse già intuito che fossi una preda facile per lui, visto lo stress che mi crollò addosso rese quasi impossibile il movimento di un solo arto.
Notai che la catena del Tip Leaper era stata allentata. Terrorizzata guardai l’esorcista, che sembrava avere la situazione sotto controllo. Mi sarei ritirata all’istante dalla prova giustificandomi con un finto mancamento di forze. Ma supposi che Mephisto avesse detto il professore esplicitamente di mandare in palestra l’intera classe con l’unico scopo di farmi recuperare ciò che i miei compagni avevano svolto il giorno precedente.
La gabbia venne aperta facendo schizzare via il rospo diretto a me, desideroso di divorarmi. Le mie gambe si mossero da sole intente a fuggire dall’orribile creatura. Almeno mi sollevò il fatto di poter contare sulla mia velocità, che scoprii proprio quando fuggii dalla casa con papà. Himitsu-san spesso mi sfidava a correre per un certo tratto fino a casa sua quando era ancora in grado di permetterselo. Poi si slogò una caviglia andando contro una siepe del giardino pubblico e da allora decise che avrebbe rinunciato a competere con una ragazzina di nove anni, oltretutto alla pari delle sue aspettative.
Continuai a correre terrorizzata all’idea che, se il demone mi avrebbe raggiunta, mi avrebbe finita sul colpo. Questo pensiero mi incitava a correre ancora più velocemente anche se, dopo sette minuti di corsa, ero sfinita. Il pubblico osservava la scena con grande interesse, anche se non interveniva.
Passarono altri sei minuti e io cominciai a delirare inseguita da quel rospo che non la smetteva di seguirmi. Le imprecazioni si fecero chiare mentre ansimavo scatenando una serie di urla disperate. I miei compari mi osservavano spaventati, anche se qualcuno di loro se la rideva sotto i baffi comprendendo fin troppo bene ciò che stavo provando. 
“Basta, Kurosaki. Sei stata eccellente!”, sentii dire dal professore. Il Tip Leaper venne subito tirato per il collare e rinchiuso in gabbia. Feci un cenno come per salutare il professore e mi diressi alle scalette.
Fottiti rospo schifoso, ho avuto la meglio io!
Senza forze e, completamente sudata, salii e, come se fosse stato ovvio, caddi in ginocchio esausta. Mi si offuscò la vista per un attimo e non riuscii a respirare per lo sforzo fatto in quei minuti passati a girare in tondo per la palestra. L’acido lattico, che era alle stelle, mi paralizzò le gambe tremolanti che non erano capaci di sopportare nemmeno il peso stesso del corpo. Accorsero in seguito alla mia caduta Rin e il ragazzo dalla cresta, seguito dai suoi amici e Shiemi, preoccupata delle mie condizioni.
“Ehi! Tutto bene, Kurosaki?”, domandò il ragazzo dai capelli color pesca.
“Ovvio che non sta bene, cretino!”, rispose bruscamente al posto mio il galletto. La risposta mi piacque.
Non mi opposi quando Rin circondò le spalle e la vita, quasi sollevandomi da terra.
“La porto nella sua stanza, ragazzi. A dopo.”, disse il ragazzo. Tutti accennarono in segno di approvazione. Dopodiché svenni non riuscendo a restare cosciente per il resto della giornata.   
 
Quando mi svegliai la luna era già in cielo circondata da un cielo tappezzato di stelle. Era notte fonda. 
Ero stesa su un letto e avvolta da un piumino accaldato e morbido. Mi si era appiccicato alle braccia e mi dovetti scuotere per scollarmi da questo. Indolenzita e ancora debole mi alzai, cercando di capire dove e, soprattutto, quando ero giunta nella stanza. Poi mi ricordai che svenni sostenuta dall’aiuto di Rin che mi aveva portata fin lì. Per cui ipotizzai che fossi nella mia nuova stanza.
Aprii la finestra e una brezza leggera si posò sul viso sudato. Contemplai la scuola da lontano e la luna, che brillava la strada desolata e senza anima viva. 
Sentii uno scricchiolio da dietro. Mi spaventai e mi girai allarmata. Per un attimo mi sembrò che qualcuno mi stesse controllando. Scossi la testa: non poteva essere possibile. C’ero solo io nella stanza. 
Notai l’orologio appeso sopra la scrivania davanti a me. Le lancette segnavano le due del mattino. La mia bocca si contorse in un sorriso forzato, come se avessi avuto un regalo spropositato da qualcuno. 
“Tanti auguri a me …”. Intonando ironicamente la canzoncina, desiderai che nessuno e, nemmeno io, assistesse alla scena, perché mi accasciai per nascondere il mio dolore e la vergogna per la persona che ero.
 
 
 
 
DL: Allooooooora.... Salve a voi che avete finito di leggere il quarto capitolo della mia ff! \ò/ Non sapete quanto mi fate felice esser a conoscenza del fatto che qualcuno mi segue!! çAç
Mononoke: Qualcuno legge la mia vita...?! CHE STORIA E' QUESTA?!
CHOP!
DL: Sssssh! òAò zitta, che spaventi la gente!
Mononoke: Ahi! Guarda che nessuno legge ste porcate che scrivi!
DL: Ma lo sai che sei tu a raccontare? 
*Mononoke si rende conto che si è autoinsultata*
DL: Bene, continuo a parlare. Mi dispiace di questo enorme ritardo!! >_< ho scritto a pezzi la storia quando potevo, per cui è venuto fuori una schifezza! :( oltretutto non ho potuto usare il pc per molto, anche se la storia doveva esser pubblicata un mese prima o due addirittura o.o sì, perché in realtà la storia l'avevo finita molto prima di marzo! 
Comunque, spero che non ci troviate nulla di brutto, copiato o altro. L'ultima modifica del capitolo risale a...? *vede un attimo il documento* ...... °° è da 2 mesi che non la modifico...... oddio o.o 
Mononoke: Abbiamo finito di tormentare i lettori? Non gliene importa di niente delle tue scuse! ò.ò
DL: Saluto qui allora. Commentate se desiderate! =3=/
 
DoubleLife.
  
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