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Autore: The queen of darkness    29/03/2013    1 recensioni
Antoine, quando un giocattolo si rompe, lo butta via, senza nemmeno provare ad aggiustarlo.
Bernard, invece, è solo un ragazzo con la testa implosa e un grazioso vestito a fiori blu.
Perchè si amavano, e nessuno può metterlo in discussione.
Genere: Dark, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Flash and Flesh, Bang and Bones'
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Pioveva. Si trattava di poche gocce appena, ma terribilmente fastidiose: cadevano trasversalmente, rendendo il  mio impermeabile scivoloso, e il terreno molliccio.
Gli stivali da pioggia stavano affondando nel terreno acquitrinoso, impedendo alla mia pala di fare progressi.
I giocattoli rotti si buttano via, vero Antoine?!
Affondai nuovamente il badile a terra, sollevando un’altra zolla. Era una faticaccia, nei film sembrava una passeggiata.
Era sempre stato nella mia indole farmi abbindolare dal cinema, Bernard me lo diceva di continuo. Sosteneva che quella mia parte di animo attaccata all’infanzia credeva in tutto ciò che accadeva in un mondo che non era reale, e in quel momento me ne stavo rendendo conto per colpa sua.
Non si prova nemmeno ad aggiustarli, si eliminano e basta!
La buca si stava facendo sufficientemente profonda. Anche se tirava vento stavo sudando, e non era decisamente una buona cosa. Mi sarei ammalato di certo, e l’influenza mi devastava sempre per almeno una settimana.
Buttai l’occhio alla sacca scura, di tessuto impermeabile, poggiata sul terreno vicino a dove stavo scavando. Bernard era sempre stato gracile, fortunatamente, ma era stato faticoso oltre ogni dire caricarselo in spalla e fare tutta quella strada. Per non parlare dei sobbalzi nel bagagliaio.
Tutta la stoffa era impregata di viscida fanghiglia marrone: nonostante fosse notte potevo quasi distinguerne la sagoma grazie ad un lampione, mezzo fulminato, che era stato piantato vicino al campo.
Mi passai una manica sugli occhi. Cominciavo a non vederci più niente.
Tu non li vuoi i giocattoli difettosi! Li butti via e basta!
Quelle frasi senza senso mi martellavano ancora le tempie, con la stessa forza di quando le avevo sentite. Quand’ero tornato a casa Bernard era in lacrime. Piangeva e singhiozzava in modo straziante, ma non appena provai a chiedergli cosa fosse successo lui si mise ad urlare, quasi squarciandosi la gola.
Il suo vestitino a fiori blu, fatto del pizzo più delicato, era scucito su un bordo. I suoi ricci erano tutti spettinati, facendolo sembrare un fantasma impazzito; aveva cominciato a dare di matto in cucina, parlando di gioccattoli e di passatempi, noi esseri umani non siamo nient’altro per te, non è così?! Non è forse così?!
Poi erano iniziati i farfuglii. Non aveva mai sentito una voce tanto acuta, le lacrime sembravano un fiume in piena, inarrestabile. Per gridare ancora più forte si era piegato in due, strappando del tutto l’orlo del suo grazioso prendisole. Sembrava che la gola gli bruciasse, non mi sarei sorpreso di vedere delle fiamme uscire dal suo corpo.
Affondai ancora di più la punta concava del badile nel suolo morbido, preso da un impeto rabbioso. Intenzionato a sollevare di più, mi puntellai su un piede e spinsi a fondo, vedendo passare davanti ai miei occhi gole infuocate e vestitini a fiori.
Bernard lo sapeva che non mi piacevano le scenate, lo sapeva. L’ultima volta ero stato costretto a legarlo in cortile per tutta la notte, ma quando fingeva di capire in realtà ripeteva sempre gli stessi errori. Urlava, piangeva e si abbandonava all’isteria più folle.
E questo mi faceva arrabbiare, arrabbiare tantissimo.
Gli avevo dato uno schiaffo, per fargli capire che doveva smetterla subito. La sua collana di perle era andata a sbattere contro i denti, ma il silenzio durò molto poco. Sulla sua guancia si vide bene lo stampo del colpo, un lampo rosso fuoco che sembrava una rosa di disapprovazione.
Siamo solo gioccatoli per te, Antoine. E quando ci rompiamo tu ci butti via, tutti buttati via, aveva ripetuto, in un mugolio affranto. Ma ormai era troppo tardi: se l’avesse fatto prima forse mi sarei addirittura impietosito, ma in quel momento mi fece soltanto schifo.
Gli diedi un pugno in piena faccia, e il rossetto si confuse con il sangue del labbro spaccato. Gocciolava lungo il mento, ipnotico, ma a nessuno dei due importava; Bernard aveva ripreso ad urlare, ancora più indemoniato di prima, e parlava ancora di giochi, di inutili svaghi e di persone.
Un nuovo solco, e aggiunsi consistenza al cumulo al mio fianco. Dannato Bernard, se non fosse stato così allucinato quella sera non avrei fatto tutta quella fatica, sotto la pioggia.
Nonostante tutto io amavo Bernard, lo amavo davvero. Ricordavo quando ci eravamo conosciuti, indossava uno splendido tubino rosso che mi aveva sin da subito fatto impazzire, e i suoi lobi brillavano grazie a due piccoli diamanti. Lo trovai splendido, elegante e bellissimo.
Purtroppo non sapevo quanto potesse essere geloso di me, di ciò che facevo. E mi tormentava continuamente, ogni volta che mi vedeva parlare con qualcuno ad una festa, o per strada. Perché, per quanto stretto lo legassi, lui sgusciava sempre via, e spiava da ogni finestra il mio ritorno.
Una volta avevo usato il fil di ferro: aveva i polsi sfregiati, ma era riuscito a liberarsi e a preparare la cena. Mi aveva sputato nel piatto, aveva cucinato il mio arrosto preferito: "Vedi quanto posso fare bene la puttana?! Cos’hanno gli altri che io non ho?!"
Non c’era verso, con lui, mi esaperava eppure lo amavo. Anche quando piangeva e urlava, anche quando aveva paura del dolore che gli avrei inflitto. Anche quando guaiva che gli dispiaceva, ma in realtà era solo perché l’avevo legato troppo stretto.
Sulla borsa nera picchiettava la pioggia, scrosciando sulle cuciture e sulle tasche ampie. Il fango e l’acqua scorrevano in uguale misura sopra alla chiusura, mischiandosi e lavandosi via a vicenda.
Le braccia mi facevano molto male, a furia di scavare per tutta la notte; ero sicuro che se avessi guardato l’orologio avrei scoperto che erano passate delle ore, e non mi sarei affatto sorpreso. Ma è così che funziona in amore, giusto? Bisogna fare fatica, bisogna sudare anche sotto la pioggia, così mi avevano insegnato.
La schiena piegata aveva permesso alla pioggia, con la sua immobilità, di impregnare anche la giacca che c’era sotto. Mi sentivo fradicio, e avevo voglia di tornare a casa.
Era stato difficile togliere le macchie di sangue dal pavimento, ma strofinare con la candeggina dopo un po’ mi era quasi sembrato divertente. Il naso mi bruciava a causa delle inalazioni tossiche, e le mie unghie si erano quasi del tutto staccate, ma era un lavoro meccanico e stava dando i suoi frutti. Passata dopo passata mi accorgevo che le piastrette tornavano lucide e bianche come una volta, come prima che il cranio di Bernard vi si frantumasse sopra.
Era crudele, il destino, a rendere folle un ragazzo tanto bello. I suoi sorrisi speciali erano sempre rovinati dalla depressione, dalla paura di non essere abbastanza e dal sospetto di un tradimento. Da dolce bambolotto con la pelle olivastra sapeva trasformarsi in un abile segugio, tanto esperto quanto irritante. Ogni volta che lo scoprivo lo legavo in cucina, con le caviglie strette da manette senza lucchetto; anche lì piangeva, ma lo faceva in silenzio.
Stremato, lasciai cadere la pala nel fango: non mi importava se non era abbastanza profonda, in quel posto non ci andava mai nessuno. Era del tutto fuori città vicino ad una discarica abbandonata, piena zeppa di rifiuti puzzolenti, non era edificabile e per normativa di legge non vi si poteva coltivare sopra. Se un paio di ragazzini in intimità vi avessero calpestato la sepoltura non sarebbe certo stato un dramma irrisolvibile.
Mi presi un attimo di pausa: mi sembrava che un fuoco mi stesse bruciando ogni singolo muscolo sotto alla pelle, e le cavità insanguinate dove prima c’erano le unghie si erano riempite di fango. Questo mi ricordò lo smalto che di solito Bernard si metteva, un delicato color cioccolato simile alla gradazione delle sue iridi.
Ero sicuro che anche lui mi avesse amato, anche se gli avevo sputato addosso, l’avevo picchiato e l’avevo insultato. Sapevo che per lui ero indispensabile, e non solo perché gli facevo arrivare i vestiti da Parigi: altrimenti perché se ne stava lì con me, a subire tutto ciò a cui lo sottoponevo, o si preoccupava tanto di possibili tradimenti? Non avrebbe avuto senso, e Bernard lo trovava in tutto.
La soluzione era quindi che mi amava, come io amavo lui. Perché io lo amavo, l’ho sempre amato e nessuno può affermare il contrario. Era innegabile, perché tutto ciò che facevo era per il suo bene, non per il mio. Non piaceva punirlo, ma era necessario affinchè capisse cosa vuol dire vivere in coppia e amarsi come si deve, senza stupide gelosie.
Il badile luccicava a terra. Stava sprofondando, così come il borsone, i miei piedi e Bernard. Il giorno prima lo aveva usato per piantare le rose in giardino, ed era stato contento di farmele vedere.
Era stata tutta colpa sua, me ne resi conto con la testa fra le mani. Mentre l’acqua mi entrava e usciva dala bocca socchiusa, capii che se l’era cercata, dal momento che sapeva benissimo quanto le crisi di paranoia mi dessero fastidio, della punizione che lo aspettava che, ogni volta, mi implorava di non infliggergli.
Non avevo resistito, e avevo sparato: un colpo dritto alla testa  ed era come se gli fosse imploso il teschio, da dentro. Il sangue era schizzato sul muro, con un ampio spruzzo color cremisi, sul pavimento, sui mobili e in parte sul tappeto. Dalla cucina era andato in soggiorno, gridando e strappandosi furiosamente i capelli; poi si era voltato verso di me e l’avevo centrato alla fronte. Un bel colpo, visto che non l’avevo mai usata prima, una pistola.
L’avevo chiuso nel borsone: ora sapevo che mi stava guardando, la nuca ridotta ad una poltiglia di ossa e capelli. I suoi occhi vitrei mi fissavano, spalancati, e la bocca era deformata in una smorfia che non si addiceva per nulla alla persona equilibrata che sapeva essere, quando voleva.
Gli arti si erano irrigiditi in fretta, facendolo sembrare ancora più piccolo di quello che era. Un mucchietto di ossa e nervi, che aveva smesso di tormentarmi con le sue infinite crisi notturne, su basi inventate di sana pianta.
Con un sospiro, mi alzai per prenderlo in braccio un’ultima volta. La zip che non avevo chiuso mi rivelò un interno impregnato di sangue, pioggia e fango, e una porzione intatta di fronte. Con quel piccolo cadavere freddo e rigido fra le braccia mi venne un improvviso moto di tenerezza. Mi chinai scostando il lempo di tessuto nero, e posai le mie labbra bagnate su quel rettangolo di pelle. In fondo, Bernard mi aveva sempre amato, non aveva senso rimanere imbronciati a lungo.
Lo deposi sul fondo, incastrandolo come potevo. Un ciuffo di capelli rimase fuori, e più in basso si poteva scorgere una parte del suo adorabile vestitino fiorito. Sembrava una principessa davvero, come aveva sempre sognato.
La pioggia si intensificò, vegliando il mio lavoro. Mi ero sporcato il tronco di sangue, ma la pioggia lo lavò via presto, assieme alla stanchezza. Piano anche rimettere la terra a posto divenne meccanico, un’azione ripetuta e fine a sé stessa, migliaia di muscoli convergenti tutti nello stesso, medesimo sforzo. Proprio come la candeggina.
La sagoma di Bernard sparì in fretta, ma continuai a coprirlo un altro po’. Non volevo che lo trovassero subito, sarebbero dovuti passare diversi giorni, prima; perché era chiaro che qualcuno, prima o poi, sarebbe andato incontro alla sua tomba, scoprendo il delicato ragazzo con la testa implosa e il vestito con i fiori blu. Proprio questi avevano cominciato a danzare nel cielo notturno, sembrando tante, bellissime ballerine.
Era sempre stato un giovane inquieto. Mi piaceva l’idea che per qualche tempo lo lasciassero dormire tranquillamente, sotto il terriccio umido, in modo che potesse riposarsi come si deve. Come non era mai riuscito a fare quando stava con me.
Con lo sguardo inciampai nella tomba si François, un centinaio di metri più in là. Quando l’avevo sepolto aveva un bellissimo scialle color panna, che lo faceva apparire quasi un nobile; e gli orecchini glieli avevo regalati io appena una settimana prima, delicati pendenti di ametista.
Avevo fatto molta meno fatica, con lui.
Per non parlare di Ferdinand. Sembrava dormisse davvero quando l’ho posato  nell’abbraccio della terra, in modo che potesse finalmente essere sereno. A lui il rossetto stava bene come a nessun altro.
Salutai con la mano la tomba di Bernard, sperando che non si sarebbe offeso a stare insieme a tutte quelle relazioni passate. Poi capii che non sarebbe stato così: era stato bello con loro, ma io in realtà amavo solo lui, e lo sapeva benissimo.
Mi voltai, portandomi il badile in spalla. Caricai tutto in macchina e la accesi, bagnando tutto il sedile di acqua piovana e fanghiglia.
Ascoltai il rombo del motore e lasciai che si scaldasse, poi partii verso casa mia, con l’intenzione di farmi un bagno caldo.
Ti amo, Bernard, caro giocattolo difettoso.
Addio. 
  
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