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Autore: eithne    30/03/2013    3 recensioni
Ho bisogno di smettere di pensarti, Sherlock. Una parte di me vorrebbe gettare nell’oblio il tuo ricordo, sradicarlo dalla mia mente per impedire che mi corroda l’animo fino in fondo, come un cancro maligno. Eppure, la tua memoria è l’unica cosa a cui riesco disperatamente ad aggrapparmi. Ammetto che posso quasi sentire la realtà sfumarmi davanti giorno dopo giorno. Non ricordo più quanto zucchero mettevi nel the, il tuo odore dal cuscino è scomparso. La terapista mi dice che è il disturbo post traumatico da stress che ricomincia a farsi sentire. Io lo chiamo semplicemente male di vivere.
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Living all my time alone, dreaming outside.

C’è il fischio penetrante della teiera che bolle a spezzare la quiete cristallina della casa. Mi alzo pigramente dalla sedia per toglierla dal gas, e penso a tutte le volte che mi hai fatto accorrere dalla camera da letto per farti il the, solo perché eri troppo indaffarato a pensare per alzarti dalla poltrona. Non hai mai fatto il the, Sherlock.
Malgrado tutto, ho deciso di continuare a vivere a Baker Street. Mi sentirei un traditore se decidessi di andarmene, e so che alla signora Hudson si spezzerebbe il cuore. La casa è ancora in disordine come l’avevi lasciata tu, strati di polvere che coprono i tuoi libri e il pacchetto di sigarette abbandonato sconsolatamente sul caminetto. Sono passati due anni, Sherlock, e ancora fingo di averti con me quando rivedo il soggiorno esattamente com’era prima della caduta. Ancora ti cerco tra le pagine di cronaca del Times, ho paura che non mi stancherò mai di farlo. Sono un pazzoide sentimentale, lo riconosco, dovrei mettere a posto tutte le tue vecchie scartoffie e iniziare a rendere questo posto un po’ più decente. Eppure ogni volta che lo penso, qualcosa mi blocca. In fondo so che è la disperata speranza di vederti ritornare, un giorno, perché io non credo che tu sia morto. Suicide of a fake genius, strappai quella pagina, perché a questo mondo non poteva esserci niente di più falso. Non ti sei suicidato, è l’unica cosa di cui sono sicuro.
Ho bisogno di smettere di pensarti, Sherlock. Una parte di me vorrebbe gettare nell’ oblio il tuo ricordo, sradicarlo dalla mia mente per impedire che mi corroda l’animo fino in fondo, come un cancro maligno. Eppure, la tua memoria è l’unica cosa a cui riesco disperatamente ad aggrapparmi. Ammetto che posso quasi sentire la realtà sfumarmi davanti giorno dopo giorno. Non ricordo più quanto zucchero mettevi nel the, il tuo odore dal cuscino è scomparso. La terapista mi dice che è il disturbo post traumatico da stress che ricomincia a farsi sentire. Io lo chiamo semplicemente male di vivere.
Apro il frigo e mi aspetto ancora di trovare tra le verdure qualche testa mozzata. Il latte è finito.
 
Quando suona il campanello, non mi aspetto di trovarmi davanti un cliente. Da quando non ci sei più, Sherlock, i casi sono diventati rari e noiosi. Ogni tanto cerco di applicare i metodi di deduzione che mi avevi insegnato tu, fallendo miserabilmente. E allora ricordo ciò che mi avevi detto quando eravamo a Baskerville ‘Alcune persone, pur non essendo brillanti, riescono a stimolare l’intelligenza altrui’. Eri la mia ispirazione, Sherlock.
Sono tre anni, due mesi e ventuno giorni che prego quel Dio in cui ho sempre creduto di riportarti indietro. Promettevo che se mi avesse concesso questo miracolo, non ti avrei più maltrattato, avrei voluto solo vederti ritornare e abbracciarti fino a toglierti il respiro.
Ma quando schiudo la porta e due occhi familiari si puntano su di me, il mio pungo vola più veloce del tuo ‘Ciao, John’. Macchie di sangue sulle mie nocche, dannati zigomi di acciaio. Ho evitato naso e denti, che non si dica poi in giro che non gli voglio bene.
Non dici niente, non mi pari sorpreso. Forse te lo aspettavi. Non m’importa, spero abbia fatto comunque male.
Risalgo per le scale, e sento poco dopo i tuoi passi seguirmi. Non può tornare tutto come prima, Sherlock, non ora. Non dopo tutti questi anni in cui mi hai lasciato crogiolare nella convinzione che fossi morto. Sai quante volte sono arrivato a dubitare in Dio, per colpa tua? Sai tutte quelle volte che ho messo da parte il mio orgoglio da soldato e ho pianto, per te? Ma ora tutte queste cose non hanno più importanza. Avevo così tanto disperato di poterti riavere con me, e ora tutto quello che affiora al mio petto è rabbia e frustrazione. Benedetta coerenza, dove ti sei cacciata?
Mi guardi affondare nella poltrona e non dici niente. Posso quasi avvertire i tuoi occhi muoversi veloci su di me, dedurre ogni minima briciola della mia vita negli ultimi tre anni. Solo ora mi accorgo quanto poco so di te, Sherlock.
Prima che qualcuno dei due possa aprire bocca, torno nella mia camera.
 
Lentamente, sgusci nella mia vita di nuovo, con la silenziosità di un topolino. Non affretti i contatti, quasi non parli, e per questo te ne sono grato. Non sono una macchina, Sherlock. Spero che tu capisca che mi ci vuole un po’ di tempo per assimilare la questione del ‘il mio migliore amico che credevo morto da tre anni si ripresenta improvvisamente alla mia porta’.
Da quando sei ritornato non ti ho chiesto niente su come hai fatto a sopravvivere, dove sei stato tutto questo tempo, cosa hai fatto. Francamente, non mi interessa nemmeno saperlo. Cos’è quest’apatia che mi avvolge, adesso? Non lo so nemmeno dire.
Riceviamo così tante telefonate che una volta o due ho dovuto staccare il telefono. Return of the most incredibile detective of Europe, dicono i giornali. Sono settimane che non leggo un quotidiano.
E’ ora di colazione quando accenni un primo tentativo di chiacchierata.
«Mycroft» dice.
Non sono un genio, ma fino alla parte del coinvolgimento del fratello ci ero arrivato, grazie tante.
« Ho dedicato questi tre anni allo smantellamento dell’ associazione criminale di Moriarty. Ho viaggiato, e parecchio»
Non rispondo. Non ho niente da dirgli. Spero si sia divertito nella sua luna di miele tra sé e sé, il bastardo, mentre io affogavo nella depressione più nera. Grazie tante, Sherlock.
Continuo a imburrare il mio toast come se fosse la cosa più importante al mondo.
«John.» Sherlock, ti prego, no. «John, non possiamo continuare così.»
Giuro di poter quasi vedergli un espressione di disappunto dipinta in faccia quando mi vede alzarmi dal tavolo e uscire dalla cucina.
 
Mi sei mancato, Sherlock.
Mi sono mancate e tue dita affusolate trafficanti sul telescopio, i tuoi esperimenti chimici di dubbia sicurezza, il profumo di cui impregnavi il bagno quando uscivi dalla doccia, la tua vestaglia blu che svolazzava mentre passavi per il soggiorno.
Non riesco a non pensare quanto tu sia mancato a ogni briciola del mio essere, quando vedo i tuoi riccioli che penzolano nel vuoto mentre ti chini per esaminare un cadavere.
Quale romantica situazione.
Mi sto riabituando a te, Sherlock, anche se non vorrei, perché so che non è la cosa giusta, so che se qualcuno dovesse strapparti da me, di nuovo, io non riuscirei a reggere il colpo. Perché è la perdita la misura dell’ amore?1
«Quest’uomo è stato ucciso ancor prima di essere appeso per il cappio. I segni della corda sono molto meno marcati di quelli che potremmo vedere sul cadavere di un qualsiasi uomo impiccato. Vorrei sentire il parere di un medico per accertare l’esattezza delle mie supposizioni»
E come uno stupido non mi accorgo che ti stai riferendo a me fin quando non mi trovo due gemme azzurre puntate addosso.
Da quando hai uno sguardo così bello, Sherlock? Possibile che non me ne sia mai accorto? Due occhi di caleidoscopio continuano a fissarmi, luccicanti, sotto le sopracciglia folte. Come scosso da una trance, inizio a sputare fuori il resoconto su questo povero diavolo disteso sul letto d’obitorio. Ora del decesso, lividure sul collo, coaguli di sangue sottopelle eccetera eccetera. Sembro una macchinetta che batte elettronicamente un elettrocardiogramma, ma quando Sherlock mi sorride, sono sicuro che un cuore ce l’ho anch’io, perché l’ho appena sentito sussultare.
 
Mi sento sempre morire un po’dentro quando ti avvicini a me un po’ più del dovuto. Ma con quel bacio, sarei pronto a giurare, ho avvertito qualche fuoco d’artificio esplodermi sottopelle, all’ altezza del cuore. Può un semplice tocco di labbra farmi quest’effetto? Sarei un bugiardo se dicessi che non ci avevo pensato prima d’allora, e anche molte volte, ma davvero le tue labbra sono così morbide o è solo un mio sogno? Vorrei affondarti le mani tra i riccioli, saggiarne la consistenza e attirarti a me, trascinarti in un bacio che di vergine non avrebbe proprio niente. Ma non mi sembra appropriato, e mi accontento di quel casto tocco di labbra.
Ti sento staccarti da me, percepisco le nostre labbra che non vogliono scollarsi.
«Andresti a prendere il latte, John?»
Per una volta, non ho proprio niente da obiettare.
 
Credo di amarti giusto un po’ di più ogni volta che sento inarcarti sotto di me dal piacere. Sherlock Holmes, il detective più freddo e calcolatore che abbia mai camminato su questa terra, completamente succube dell’umano piacere carnale. Certi momenti andrebbero immortalati.
Sussurri il mio nome come una preghiera, ma i tuoi singhiozzi di piacere sono tutt’altro che casti e innocenti. Faccio tesoro di ogni gemito che mi regali, tutti preziosi e irripetibili. Mi spingo ancor più dentro di te, e mormori il mio nome un’altra volta. Non contenerti, Sherlock. Voglio sentire te, voglio vederti urlare di piacere per ogni mia spinta, voglio ubriacarmi del tuo odore di sesso. Ti voglio tutto, solo per me.
Muovo un’altra volta il bacino a affondo il mio membro ancor più a fondo tra le tue natiche sode. Dio, Sherlock, sei così stretto, così caldo…
Mi chino su di te per strapparti un altro bacio. La tua lingua è bisognosa d’affetto, rincorre la mia nelle nostre bocche in una danza di saliva, calore e bisogno. Sento il tuo membro duro premermi sull’addome, il liquido preorgasmico che mi inumidisce la pancia. Lo afferro e inizio ad accarezzarlo per tutta la sua lunghezza, allo stesso ritmo delle mie spinte.
«Oh, John, John…»
E’ bello sapere che sono io la fonte di tutto il suo piacere. Voglio farlo senitire bene, voglio che stia bene come non mai.
Continuo a spingermi dentro di lui più velocemente, ancor più, fino a quando lo sento venire nella mia mano. Il liquido seminale mi impiastricci il palmo, e poco dopo vengo dentro di lui, affondando i denti nella carne tenera del collo. Scusami, Sherlock, credo che quello ti lascerà il segno.
Mi sfilo dolcemente da lui, accarezzandogli le cosce, e mi distendo sul lato destro del letto, esausto ma soddisfatto.
Quando lo sento avvolgermi la vita in un abbracci protettivo, credo di essere davvero a casa.
 
«Ti amo, Sherlock»
Ecco, l’ho detto. Non sono uno che precipita le cose, niente affatto. Le mie esperienze con le ragazze mi hanno sempre insegnato che è meglio andarci cauti con le parole, è meglio non affrettare i tempi. E forse non è tanto appropriato dirglielo proprio adesso, a colazione, mentre imburra il suo toast, ma a me pare la cosa più giusta di questo mondo. Le parole sembrano uscirmi fuori da sole, come se il mio cuore fosse uno di quei giocattolini a molla che piacevano tanto a Harry quando eravamo piccoli.
Non mi aspettavo che mi dicesse qualcosa, davvero, ma ora mi sta baciando, con tutta la dolcezza che possa immaginare in un bacio. E’ qui con me, e non ho bisogno d’altro. Dimentico che sono passati tre dannati anni, dimentico tutte le lacrime e il dolore di questi mesi. Non lo lascerò sfuggire mai più, mai più.
 
Il rombo di un temporale squarcia la tranquillità di una fredda notte londinese. Il Big Bang batte le tre passate e a me sembra di essere alla scena d’inizio di qualche dannato film.
Mi sento urlare il suo nome nell’oscurità della casa vuota. Il sudore freddo mi incolla la camicia da notte alla schiena, la parte del letto accanto a me, vuota. Era tutto così reale.
Ho avuto abbastanza esperienze con le notti insonni da sapere che ogni tentativo di ritornare a dormire sarebbe inutile, a questo punto. Preferisco scendere in cucina e prepararmi un the. Metto a bollire la teiera ed esco una bustina di Earl Gray dalla dispensa.
Apro il frigo: il latte è finito.
 
Cerco di dormire di più da quando te ne sei andato, sai, Sherlock? I sogni sono l’unico posto dove posso ancora averti.


1. Frase del libro Scritto sul corpo di Jeannette Winterson.

Note dell' autrice: Credo di scrivere questo postscriptum al vento visto che probabilmente non ci sarà nessuno a leggerlo, LOL. Ma se c'è qualche anima impavida arrivata fin quaggiù, complimenti vivissimi.
Che dire, si lo so, questa fanfiction fa a dir poco pena, gran bel debutto su questo sito, neh? Sono pronta a ricevere i vostri pomodori marci, ma vi prego di essere clementi, è la prima ff che pubblico (anche se non la prima che scrivo) ^^" Spero non avervi causato qualche attacco di vomito, e ora mi levo di scena, sento che tra poco crollerò addormentata sulla tastiera del PC. Commenti e critiche, sopratutto critiche, sono sempre ben accetti! :D
(PS. Quasi dimenticavo, il titolo è un verso della canzone Lounge Act [Demo Version] dei Nirvana). 
  
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