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Autore: Lionking17    30/03/2013    1 recensioni
Il sempre dolce Paride è un eroe acheo, un forte e valoroso uomo dell'Ellade. Nonchè cugino di Achille. é così difficile essere suo cugino. Anche nel momento della morte. Perchè il cugino di Achille è forte, senza paura e ripensamenti, non conosce sconfitta. Allora chi diavolo è lui?
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Achille, Ettore, Patroclo
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Achille aspettava. Che cosa strana.
Sembrava quasi un ossimoro, un controsenso, due parole che si prendevano a pugni. Perché lui non aspettava.
Lui agiva. Lui coglieva, carpiva l’attimo della battaglia, quel secondo in cui le armate erano fuse insieme come due lottatori, dove ormai i soldati erano tutti uguali, tutti della stessa fazioni, tutti appartenenti alla morte. I vessilli erano impolverati, le casacche con i loro bei colori sgargianti insanguinate. Impossibile distinguere l’amico dal rivale, il salvatore dall’ucciso.
Allora perché gli sembrava tanto un attesa, quella?
 Il guerriero biondo scosse violentemente la testa, calciando via la coperte che ne ricopriva il corpo solcato da cicatrici. Lui non aspettava. Lui … lui stava semplicemente attendendo il momento finale, in cui la sua presenza sarebbe stata più richiesta, il suo aiuto più percepito, la sua gloria più grande.
Allora, perché aveva inviato Patroclo? Il comandante uscì dalla tenda, ritrovandosi nel campo dei Mirmidoni, vuoto. Il piano prevedeva che lui rimanesse nascosto finché la battaglia non si fosse conclusa. Che cosa sciocca.
Lui non si nascondeva. Lui colpiva. Achille camminò pesantemente lungo la spiaggia, il vento che a tratti recava i rumori del combattimento, le urla dei morenti, i pianti degli sconfitti.
Achille, il grande Achille, provò a ripercorrere il percorso che lui e l’amico compivano tutti i giorni da lì a dieci anni. Il corridoio tra le tende, le mura di legno e sabbia erette dagli Achei, la piana sterminata, le buche, dove avevano ucciso un paio di figli di Priamo, il fiume Scamandro, i sentieri, le spiaggette, i lavatoi abbandonati, fino alle porte di Ilio, la grande città, succosa e desiderabile come una donna e altrettanto volubile. Scappava sempre, eppure li desiderava troppo nel suo talamo. E loro l’avrebbero posseduta, oh sì.
Il Pelide cercava di calcolare il tempo, i secondi, i movimenti, quasi i nemici che si paravano di fronte a Xanto e Baio. Non avrebbe mai ammesso di essere preoccupato. Mai. Eppure.
Patroclo era troppo dolce, troppo ingenuo per quella guerra. In teoria, lui era il maggiore. Lui doveva essere il più forte, il più arguto o, semplicemente, il più. Così non era stato fin da bambino.
Achille era sempre stato il più bravo nella corsa, alla cavallina; la sua vista più acuta ricercava con sicurezza le conchiglie sul fondo marino. Quando erano diventati grandi, Chirone tesseva le lodi del minore mentre il cugino veniva messo da parte.
Tacitamente, tutti credevano che Patroclo sarebbe stato il suo scudiero, il suo secondo, perché, a onor del vero, Patroclo era sempre secondo in ogni competizione e primo dove non vi era l’amico. Solo in una cosa, il maggiore eccelleva: la cetra. Per carità, le dita di Achille scorrevano leggiadre sulle corde di trini di cavallo e la sua voce potente e operosa esplodeva nell’aria della sera. Ma se la voce di Achille era la forza bruta, vigorosa, superba, quella di Patroclo appariva pacata, armoniosa, divina. Il canto che scorreva dalle due dita si destreggiava tra le fronde degli alberi e il canticchiare degli uccellini, che si sentivano quasi superati, e rispondeva a quel suono  delicato e armonizzato. Era il gorgheggio dell’usignolo comparato alle trombe della battaglia. Il piè veloce non vi aveva mai dato molto peso.
Il canto paragonato all’abilità delle armi? Ma per favore. Patroclo era decisamente troppo debole per quella guerra, la guerra per eccellenza. Allora perché lo aveva inviato?
Il giovane calciò via una sassolino e un altro ancora. Patroclo non sarebbe mai dovuto andare, non avrebbe mai dovuto permetterglielo.
Era lui il capo dei Mirmidoni, non l’umile ed efebico Patroclo.
Achille era il re, non l’imberbe cugino.
Lui si doveva far carico della guerra, non il pacato e garbato amico.
 Il leone va alla guerra, l’usignolo ne tesse le lodi.
Il sole cuoce e comanda gli uomini, la luna esiste solo per aumentarne la gloria. Allora perché?
In lontananza una lancia trovò il povero usignolo. Il suo canto crebbe, gorgheggiò, fino a morire con lui, trasparente filo di vita reciso dal caos. Ancora più lontano un cocchiere corse, frustò i cavalli divini. Una notizia doveva recare. L’usignolo era morto. E con lui, il cuore del leone.   

Ehilà! Sono appena adesso tornata da Londra e l'ispirazione mi ha colto senza possibilità di rimpianto. Ecco a voi un altro pezzo di storia, Sono così felice che qualcuno,TheAkaiBookFrog, e già il fatto che qualcuno si sia sorbito una parte della storia mi ha mandato letteralmente in brodo di giuggiole, per cui, che voi lo vogliate o no, io continuerò questa raccolta. Esatto ve la dovrete sorbire * schiva pomodori e uova* e se volete espressamente sopprimere il mio umore, o spedirlo in paradiso, ci sono le recensioni, grazie mille a tutti! Buona Pasqua!
  
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