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Autore: NiagaraFalls    31/03/2013    2 recensioni
- Fai finta che io sia il tuo diario.
- Come?
- Fai finta che io sia il tuo diario segreto. [...]
- Oh, Mary andiamo!
- Che ho fatto? - chiese spaesata.
- Almeno la lettera maiuscola! Sono pur sempre una persona. Quindi scrivi "Diario", non "diario".
*
Tutte abbiamo avuto una cotta per il ragazzo ammiccante e bello. Anche un po' sciupa femmine. Mary, la portagonista, non è certo un'eccezione. Ma forse quello che crediamo di volere non è quello di cui abbiamo bisogno.
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Mary. Dear diary

Questa è una storia molto adolescenziale e senza pretese, leggera. Non penso di fare tanti capitoli, però chi lo sa! 

Spero di pubblicare presto il prossimo. Allora, qui si parla (tanto per darvi un'idea; non spoilero troppo, promesso!) della cotta per il solito tipo ammiccante. Di amicizia e forse di amore. Da brava adolescente quale è la protagonista, è un po' tanto persa per un ragazzo. Ma forse quello che crediamo di volere non è quello di cui abbiamo bisogno. Vi prego, datemi la vostra opinione! Buona lettura!

1. La festa

Non ci voleva proprio andare a quella festa.

Le piaceva ballare ma non le andava di vedere gente ubriaca e appartata in luoghi e posizioni assurde. Voleva semplicemente passare quel sabato sera estivo a casa, guardando Harry Potter e mangiando tanta, tanta cioccolata. Mary era, come tutte le adolescenti, un'amante del cioccolato - soprattutto quello fondente. Ma solo una ragione poteva portare a un elevato consumo di quest'ultimo: un ragazzo. 

A diciassette anni, poi, il non riuscire a conquistarlo la faceva sentire inadeguata. Vederlo ridere con un'altra la faceva sentire inferiore. Sentirlo vicino fisicamente ma lontano sul piano spirituale la faceva sentire sola. 

In alcuni momenti lui sembrava ricambiare i suoi sentimenti, ma poi si allontanava nuovamente e lei si richiudeva inevitabilmente a riccio. Immaginava scene mai vissute e si riprometteva di essere indifferente davanti a lui, di fare finta che non le ne importasse nulla. Ovviamente, quando gli occhi incrociavano i suoi, i buoni propositi svanivano al vento. Guance imporporate, mani sudate, sorriso perenne e occhi adoranti. 

Quel pomeriggio il telefono suonò insistentemente per ben tre volte in casa Nolla, risvegliando Mary da quello che riusciva a rilassarla: affondare la testa in un bel libro, con il suo cantante preferito nelle orecchie, sdraiata sul letto di camera sua. Si tolse per un attimo la cuffia destra, sentendo degli squilli acuti provenire dal piano di sotto. Sfilò anche l'altra e scese le scale di corsa, rispondendo all'ultimo squillo.

- Pronto?

- Mary, porca miseria, che fine ha fatto il tuo cellulare? - la voce di Lisa la aggredì dall'altra parte dell'apparecchio. Mary si guardò attorno. Aveva la brutta abitudine di lasciarlo nel primo posto che le capitava (sul ripiano della cucina, nel bagno, sulla tavola da stiro...), e di ignorarlo bellamente fino a quando sua madre le annunciava di averlo visto. 

- Ehm, non so. 

La sentì sbuffare.

- Sempre la solita. Comunque, volevo obbligarti a venire alla festa di questa sera.

- Obbligarmi? - rise Mary. - Dove?

- Giù a casa di Genny. Niente di che, non ci sarà tanta gente. Ma visto che oggi non ci siamo viste, questa sera è d'obbligo. - Genny era una loro compagna di classe. Non erano molto amiche, ma andavano d'accordo.

Mary si morse un'unghia. Non se la sentiva, si sarebbe annoiata - Lisa, non ho voglia... 

- Cosa?! Quanti anni hai, diciassette o settanta? Dai. Ci sarà anche Daniel - disse maliziosa. Mary si irrigidì e cercò di regolare il tono di voce. 

- Ah. E perché me lo stai dicendo? - disse, tentando di essere ironica. Restò col fiato sospeso, in attesa di risposta.

- Oh, lo sai perché. 

- No - ribatté decisa. 

- Andiamo, lo vediamo tutti i giorni, secondo te nessuno se n'è accorto? Ha notato movimenti sospetti anche Jessica. Jessica, per l'amor di Dio! 

Il loro gruppo di amici si vedeva di frequente, abitando vicini. E, visto che non dovevano andare a scuola, molto più spesso. Il numero variava sempre, ma lei, Lisa, lui, Michele, Laura e un'altra ragazza e un altro ragazzo con cui non riusciva a stabilire un rapporto definibile erano gli abituali. 

Mary si morse il labbro, sperando che non fosse vero. Nessuno lo sapeva, certo che no! Optò per la finta tonta.

- Movimenti sospetti?

Lisa restò in silenzio per alcuni secondi, ma Mary se la immaginò alzare gli occhi al cielo. 

- Sì. Ne riparliamo stasera, perché tu verrai. Vengo a casa tua o vieni a casa mia? Così ci prepariamo.

- Lisa... - mugolò Mary. 

- Che c'è?

- Non... voglio. 

Perché non voleva? Non voleva vederlo. Sapeva di non avere nessuna opportunità con lui. Lui era il tipico ragazzo carino e attraente, consapevole di esserlo e quindi molto sicuro di sé. Certo, lei aveva una marcia in più rispetto alle altre (così come Lisa e Laura) poiché lo conosceva da molto tempo e faceva parte del gruppo. Ma, proprio per questo, lo sentiva parlare delle sue nuove conquiste e di momenti intimi con queste, come se le importasse. Le importava, ma lo rimproverava per la sua poca serietà. Grazie al suo disinteresse per le lunghe relazioni riusciva a contenere la gelosia. Sapeva che da lì a due mesi ne avrebbe trovato un'altra e un'altra ancora. Quindi, poteva ritenersi una costante stabile nella sua vita, a differenza delle altre.

- Dai, niente pazzi scatenati. Solo una serata, ci mettiamo in un angolino con gli altri, come al solito. Non è mica una discoteca!

Mary sospirò e sorrise. - Va bene. Casa mia. A che ora è?

- Le nove e mezzo. Vengo alle otto, ok?

- Ok.

Prima che riuscisse a riattaccare, sentì Lisa ridacchiare: - Mi occupo io di te, lo farai sbavare!

*

“Farlo sbavare”, nel vocabolario di Lisa, significava gonna più o meno corta, o vestitino; top scollato, capelli perfetti e trucco ammiccante. E, diciamocelo, Mary sarebbe anche stata d'accordo (voleva sentirsi desiderata, per una volta), ma non voleva rendere troppo evidente il fatto di essersi messa in tiro proprio per lui, quindi scelse dei jeans stretti, una canottiera bianca (con le proteste di Lisa: “Stai scherzando? Vai a una festa o a giocare a pallavolo?”) e un leggero cardigan sopra. Era giugno, ma la sera, dove abitava lei, non faceva né caldo né freddo. Si stava bene. Indossò un paio di tacchi e si fece truccare e poi acconciare da Lisa, la quale portava un delizioso vestitino verde.

- Da quanto ti piace?  

Ed eccola che ricominciava, mentre le infilava delle pinze nei capelli mossi e mori.

- Chi?  

- Ehm, Daniel? - disse sarcastica.

Mary incrociò le dita in grembo. A Lisa non sfuggì quel gesto.

- Non mi piace Daniel! - esclamò, ma suonò così finto anche a lei che Lisa mollò tutti gli accessori sulla scrivania e le si mise di fronte con l'espressione da bulldog.

Mary cercò di spiegare: - Lo sai che non mi è mai piaciuto nessuno.

- Ed ora invece sì.

Mary aprì la bocca per ribattere, ma Lisa parlò prima. - Senti. L'ho notato da un bel po' come lo guardi, e mi sento offesa dal fatto che tu non me l'abbia detto. Siamo amiche. Io ti racconto!

Se la metteva su quel piano, era davvero scorretto. L'amicizia non doveva essere tirata in ballo. Abbassò gli occhi sulle sue mani.

- Lo so che tu ti fidi, ma io... Non riesco davvero a dirlo, insomma.

- Di che cavolo stai parlando?

- Ok, mi piace! - e quando lo disse sentì la faccia andare a fuoco.

- Finalmente! - esclamò l'altra, ridendo.

Alzò gli occhi decisa e li puntò in quelli di Lisa. - Ma se ci guardi in modo malizioso o fai qualcosa per farlo intendere anche agli altri...

- Tanto lo sanno già!

- ... giuro che ti taglio i capelli.

Lisa sembrò colpita a morte. - Quanto sei cattiva - fece un finto broncio, ma poi tornarono a sorridere entrambe.

Lisa finì di sistemarle i capelli e si guardarono allo specchio. Non era alla sua altezza, ma si piaceva, più o meno. Sì, stava bene. Sperò di passare una bella serata.

*

Andarono a piedi fino a casa di Genny. Non era molto lontana, ci impiegarono venti minuti. Bussarono ridendo alla porta ed entrarono, quando sentirono urlare 

“avanti!” sopra la musica. In effetti, non c'era troppa genta. La maggior parte era seduta in soggiorno o in cucina o appoggiata ai muri. Alcuni ragazzi flirtavano con alcune ragazze, le canzoni non erano troppo alte e nessuno sembrava esageratamente ubriaco. Andarono da Genny e la salutarono, poi cercarono da bere in cucina e parlarono tranquille. Lisa prese una birra e Mary un tè.

- Eccovi - Mary sobbalzò e arrossì quando una mano le toccò la spalla. E quella voce le sfiorò l'orecchio. Si girò di scatto.

- Ciao, Daniel.

- Ti ho spaventata? - chiese lui divertito.

- No, mi hai solo presa alla sprovvista - disse, dandogli un piccolo pugno sulla spalla. Sentiva lo sguardo perforante di Lisa addosso.

Daniel indossava una normalissima maglietta nera che aderiva al corpo e un paio di jeans. Aveva le mani in tasca e portamento fiero. Mary smise di fargli la radiografia e si concentrò sul suo bicchiere.

- Michele è qui? - chiese Lisa.

Daniel annuì. - Sì, da qualche parte...

Lisa afferrò la sua birra e lanciò un'occhiata di intesa a Mary. - Devo andare a dirgli una cosa. - E si defilò, lasciandoli lì. Mary ricambiò con uno sguardo adirato e allarmato. Si accorse che Daniel la guardava divertito e fece finta di niente.

- Sei diversa, stasera - le disse, appoggiandosi al piano in marmo e facendosi più vicino. Mary cominciò a sentire caldo, mentre Daniel guardava come era vestita. - Stai...

Mentre il cuore le batteva forte, si chiese cosa le avrebbe detto. Stai bene?

Ma non lo seppe, poiché una voce li interruppe.

- Daniel! - chiamò una voce che Mary riuscì solo a classificare come fastidiosa. Ma forse era di parte. Genny si avvicinò a loro e sorrise a Daniel, ignorando Mary.

- Come stai? - chiese con voce lasciva.

Daniel, da bravo sciupa femmina quale era, non si lasciò sfuggire l'occasione e si girò verso di lei, ricambiando il sorriso, e quindi dando le spalle a Mary.

- Bene. Tu come stai?

- Benissimo.

Le veniva la nausea, a vederli spogliarsi segretamente e volgarmente con gli occhi. C'era lì anche lei, e pensò di farlo presente.

- Bella festa, Genny - disse, anche se le sue parole facevano a pugni col tono.

- Oh, grazie - rispose, irritata per essere stata interrotta. - Vi conoscete? 

Non si era mai fatta delle nemiche, Mary, e si dispiacque per quella specie di sfida tutta femminile. Quindi cercò di abbandonare il tono guerriero, nonostante non fossero mai state realmente amiche. 

- Sì, siamo amici - rispose Mary. Ma siccome Genny la calcolò per un millesimo di secondo e poi tornò con gli occhi su Daniel, decise di cambiare aria prima di strappare i capelli a entrambi. 

- Senti, Daniel, vado a cercare Michele e Lisa - gli disse. Lui la ringraziò con gli occhi e le diede definitivamente le spalle. Mary prese il suo bicchiere di normalissimo tè e se ne andò delusa e stizzita. Raggiunse l'angolo dove intravide Michele.

- Ehi! - la salutò Michele, un ragazzo sulla sedia a rotelle. - Qualcosa non va?

- No, tutto bene, perché? - disse. 

- Mah, sembri uno yogurt scaduto - rispose lui.

- Simpatico. Dov'è Lisa? - gli chiese, sempre più inacidita. 

- Se n'è andata un momento con Jessica. 

- Com'è che non sei già ubriaco? - gli chiese. Michele era un vero festaiolo, nonostante la sua condizione.

- Non è molto facile farsi spazio in questa casa - disse, dando un colpetto alla ruota destra. - Mi prenderesti una birra?

Doveva tornare in cucina? Orgogliosa com'era, non comunicò a Michele il motivo del suo cipiglio irritato e gli mise in mano il suo bicchiere, per andare a prendere la birra. Si diresse in cucina, ma sulla soglia vide proprio quello che si aspettava. Daniel, con la bocca su quella di Genny e le mani ovunque. Lo sapeva, che sarebbe andata così, ma non l'aveva mai davvero visto all'opera, e pensava che si sarebbero spostati in un luogo più consono. Sentì il cuore in gola  e la mente le urlò di muoversi e prendere la birra come se niente fosse. Ma il suo corpo non l'ascoltò e si ritrovò a salire le scale frettolosamente. Di tornare da Michele non le era neanche venuto in mente, e stare lì con loro era come restare svegli in sala operatoria. 

Entrò nella prima stanza che trovò, asciugandosi la prima e unica lacrima che le era scesa. Aprì la porta e si bloccò con la maniglia in mano, mentre davanti a lei trovò un ragazzo seduto sulla finestra con una chitarra tra le braccia.

- Oh, scusa - balbettò e fece per richiudere la porta.

Lui alzò la testa sorpreso. - No, vieni pure.

No, non voleva farsi vedere in quello stato da qualcuno. Stava per ribattere, ma lui la interruppe.

- Tutte le altre sono occupate. 

Una risata le arrivò alle orecchie. Era la risata di Genny, acuta e giuliva. Entrò nella stanza prima di sentire anche la sua. Mentre scuoteva la testa per scacciare quell'orribile immagine che aveva stampata nella retina, il ragazzo la guardava curioso. 

- Posso stare qui? - chiese, cercando di non guardarlo negli occhi. Nessuno doveva sapere che aveva quasi pianto. Non piangeva mai!

Il ragazzo abbozzò un sorriso gentile e le indicò il letto matrimoniale. Era nella camera dei genitori di Genny. - Accomodati pure. 

Mary si sedette in terra, sul tappetto, appoggiata al muro con la schiena e con il letto che la sfiorava a destra. Portò le gambe al petto e le circondò con le braccia. 

- Ehm, posso...? - chiese il ragazzo, indicando la chitarra. Aveva i capelli rossicci e portava una felpa arancione. - Se ti dà fastidio smetto - disse subito dopo. 

Mary cercò di sorridergli. - Certo.

Appoggiò la testa alle ginocchia e il ragazzo cominciò a accarezzare le corde senza mai comporre una vera e lunga melodia. Lo sentiva strimpellare degli accordi e imprecare silenziosamente quando una nota non diventava o quando non gli sembrava una bella sequenza. Passarono dieci minuti calmi e tranquilli. Mary si sentiva bene, in quella stanza semibuia e con uno sconosciuto che suonava la chitarra. Riuscì pure a non pensare a lui per cinque secondi di fila.

- Io sono Nicola, comunque. Detto Nic.

Mary alzò la testa come risvegliata da un sogno. Vide che lui aveva smesso di suonare e le porgeva una mano. Si alzò e allungò il braccio fino a incontrare la sua mano. Le due mani si strinsero sopra il letto. - Marina, detta Mary. 

Si sedette sul letto, già che era in piedi.

- Come mai piangevi?

Mary spalancò la bocca. Allora se n'era accorto. Cavolo...

- Non lo dirò a nessuno, se è quello che temi. 

- Io non stavo piangendo - ribatté. Negare, negare fino alla fine. 

- Ah no?

Mary scosse la testa. Nic sorrise, come se si fosse aspettato quella reazione. - Fa bene parlare di quello che ci fa stare male, sai?

- Non mi va di parlarne.

- E' come scrivere un diario segreto. Il dolore poi si affievolisce. 

Mary lo guardò con le sopracciglia inarcate. Lui annuiva sicuro, come a sottolineare la sua teoria. 

- Non ho mai avuto un diario - ammise.

- Fai finta che io sia il tuo diario.

- Come?

- Fai finta che io sia il tuo diario segreto. 

- No! - esclamò. - Non dirò perché lui... perché piango - disse, cambiando frase. 

- Quindi c'entra un ragazzo? - chiese. Mary arrossì.

- Facciamo un gioco - le propose il ragazzo, senza muoversi dalla finestra. 

- Un gioco? - chiese insicura. 

Lui posizionò meglio la chitarra tra le sue braccia. - Io ti faccio cinque domande, tu pure. Cinque domande sulla tua vita, cinque sulla mia. Fin qui ci sei?

Mary annuì circospetta e incrociò le gambe sul letto.

- Bisogna essere sinceri. E, se alla fine di questa serie di domande, ti fidi di me, io sarò il tuo diario e tu sarai il mio. Così siamo pari.

Mary lo guardò incredula. Ci aveva messo anni per fidarsi di Lisa e ora uno sconosciuto le chiedeva di fidarsi dopo quanto? Un quarto d'ora?

- Stai scherzando?

- No.

Nic scese dalla finestra, lasciando lì la chitarra e si sedette dall'altro lato del letto, rivolto verso Mary. Alzò la mano verso di lei, come per darle il cinque. Poi le fece segno di darle la sua mano. Mary allungò la mano destra titubante. Nic gliela prese e, con calma estenuante, fece incrociare il suo pollice con quello di Mary. La ragazza aveva il fiato sospeso e teneva gli occhi sulle loro mani. 

- Adesso allunga bene le altre dita - sussurrò.

Mary obbedì e lui fece lo stesso. Lei aveva le dita stese in alto verso sinistra, lui verso destra. I pollici si intrecciavano.

- Vedi? Sembra un'aquila. Nella mia famiglia usiamo questo segno per dirci che ci fidiamo. Vuoi giocare?

Mary si arrese con un sorriso e un sospiro. Annuì.

  
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