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Autore: katvil    31/03/2013    2 recensioni
un musicista di ritorno dopo un lungo tour si perde tra i suoi pensieri. Spin-off di “Let me close to your heart” (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1573939&i=1), ma non è necessario leggerla per capire la storia
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Let me close to your heart'
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Appoggiato al finestrino, vedo la strada correre veloce: alberi, case, posti con nomi e storie che ignoro completamente. Sinceramente manco m’importa di conoscerli: finalmente dopo settimane passate a dormire in camere d’albergo, dopo settimane di spostamenti veloci da un posto all’altro oggi si torna a casa. Sia chiaro che non mi sto lamentando: è da quando a otto anni le mie dita hanno sfiorato per la prima volta le corde di una chitarra che sogno questa vita, non potrei desiderare di meglio, ma anche i sogni non sono sempre tutti rose e fiori e vivere ventiquattro ore su ventiquattro con gli altri della band dopo un po’ diventa snervante, soprattutto per un eremita come me.
Noel sta già attaccato al palmare: chissà cosa ci starà organizzando. Spero vivamente che si tratti di una settimana in un eremo disperso sull’Himalaya! Adam è seduto al mio fianco e, tanto per cambiare, sta russando: è più forte di lui, non ce la fa! Nick è al telefono: la sua ragazza non lo lascia in pace un attimo. Credo che al suo posto avrei buttato il cellulare dal finestrino già da un bel po’! Paul e Mike stanno a occhi semi chiusi e parlano tra di loro (più che altro emettono suoni sconnessi che potrebbero sembrare il linguaggio di un qualche alieno in vacanza sul nostro tour bus). Il riflesso sul finestrino mi restituisce un’immagine impietosa: occhiaie, colorito degno del miglior erede del Conte Vlad e capelli arruffati tanto da sembrare più un nido che una chioma fluente da rocker. Siamo distrutti, ma felici: è stato un tour davvero estenuante, ma ricco di soddisfazioni. Due mesi passati sulla strada: venti concerti, venti locali, venti città. Poi interviste alle radio locali, servizi per la tv… Non cose esagerate, mica siamo i Rolling Stone (almeno non ancora…), ma non siamo abituati ad avere tutta quest’attenzione, tutta questa gente che ci gira intorno. Fino a sei mesi fa suonavamo nella taverna di mia mamma! Poi la serata al pub del cugino di Adam, la fortuna che Noel fosse lì in quel momento e che rimanesse folgorato dalla nostra musica tanto da decidere di produrre il nostro disco: siamo stati catapultati in un vortice di emozioni e di eventi destabilizzante per chiunque. E, infatti, dopo qualche mese sono scoppiato ed è arrivata la mia fuga in Italia a caccia di mio padre con tutte le conseguenze che si è portata dietro, ma lo rifarei altre mille volte se potessi.
Ricordo la faccia di Noel quando sono entrato nello studio di registrazione e ho annunciato “Ragazzi, ho bisogno di una pausa. Sto scoppiando, non ci sto più con la testa. Lo vedete anche voi: sono giorni che in studio non riesco a concludere niente, devo staccare la spina per un po’ altrimenti non riuscirò mai a finire questo disco.”. Era di spalle che parlava con Nick (probabilmente di cose burocratiche: è l’unico che ci capisce qualcosa… se non ci fosse lui saremmo rovinati), si è voltato e mi ha fissato con gli occhi sbarrati. Il panico si è impossessato di lui e ha iniziato a parlare a raffica.
“Roberto, sei impazzito??? Non puoi staccare la spina proprio adesso: dobbiamo finire il disco, organizzare il tour… Non è proprio il momento per le tue paranoie! Dobbiamo lavorare, dobbiamo darci da fare, dobbiamo…”.
“Noel, non ce la faccio!”. Mi sono gettato a testa bassa nel fiume di parole che usciva dalla bocca del nostro manager prima che potesse travolgermi affogando ogni mio pensiero “Ogni volta che entro in studio mi sale l’ansia, sento come se tutto il peso di questo disco fosse sulle mie spalle. Non ti sei accorto che sono giorni che siamo bloccati sullo stesso brano? Ho bisogno di staccare, di respirare un’aria diversa da quella fumosa di Londra. Ho bisogno di prendermi un po’ di tempo per pensare a me stesso senza lo stress di dover venire tutti i giorni in studio a cantare. Devo ritrovarmi e l’unico modo è andarmene da qua. Andrò a Roma da mio padre e tra qualche giorno tornerò più carico che prima, te lo prometto.”.
“Ti rendi conto di cosa mi stai chiedendo?”. Ha preso un’agenda dalle mani di Nick che mi guardava con l’aria contrariata e me l’ha sventolata sotto il naso “Guarda qua cosa accadrà tra due mesi: concerti programmati, interviste programmate e se non finite il disco cosa andate a suonare sul palco? Mica potete rifilare al pubblico solo cover degli Him!!!! Su Roberto, ragiona: non è il momento per staccare!”.
In quell’istante Adam, che seguiva tutto da dietro il vetro dello studio, è entrato, mi ha guardato in faccia e ha capito di cosa avevo bisogno. Così si è avvicinato a Noel e gli ha messo una mano sulla spalla con un sorriso.
“Dai Noel, non farla così tragica: in fondo mancano solo due brani da registrare per finire il disco e lo vedi anche tu che siamo bloccati. Roby è stressato e non riesce a prendere una nota, lui e il microfono hanno rotto ogni relazione pacifica. Se continua così non riusciremo a concludere un fico secco. Magari potremmo concedergli una piccola vacanza, in fondo cosa vuoi che sia? Un mese poi lo rimettiamo ai lavori forzati ed io vado con lui così lo controllo, che dici? Con Nick, Paul e Mike sistemate tutto e quando torniamo ci chiudiamo giorno e notte in studio e finiamo le nostre parti. Dai vecchio mio, lo so che non puoi dirci di no.”. E ha sfoderato la sua migliore faccia da cuccioletto smarrito che cozza non poco col suo aspetto da orso fulvo, ma riesce comunque ad andare a segno. Adam è la mia ancora di salvezza: ci conosciamo da quando eravamo piccoli e gli basta uno sguardo per leggermi dentro, sa sempre cosa fare. Così Noel si è smollato un po’ e siamo partiti per Roma il giorno dopo per tornare dopo un mese e metterci al lavoro. Il disco l’abbiamo finito nel giro di una settimana (gli altri ragazzi avevano fatto praticamente tutto: mancavano solo la mia voce, i cori di Adam e le chitarre negli ultimi due pezzi) e dopo una quindicina di giorni siamo partiti per il tour.
La prima serata eravamo tesi: questo è stato il primo tour e tutto è successo così in fretta, non sapevamo come la gente avrebbe reagito al sound degli Sky Falls. Non che non fossimo mai stati su un palco, ma un conto è suonare qualche cover in un pub di un qualche amico per ottenere un paio di birre come ricompensa e un altro è salire su un palco vero con davanti un pubblico che ti guarda come se fossi un alieno e ascolta ogni singola nota che esce dai tuoi strumenti pronto a giudicare quello che stai facendo. Poi per la prima volta ho dato i miei “bambini” in pasto alla folla e la cosa mi ha creato non pochi problemi: adoro stare sul palco, cantare e vedere la gente che mi segue, ma fare pezzi miei… boh… cioè… nei miei testi ci sono io, c’è la mia vita, ci sono le mie mille paranoie, le mie gioie, i miei dolori. Credo sia questo il motivo per cui non ho mai avuto il coraggio di farli ascoltare neanche a Sara prima del tour. Che scemo… magari mi sarebbe servito rodarmi con lei come pubblico, ma va beh… è andata così… Ricordo benissimo il primo concerto: è stato in un club a Canterbury. Alle 22 dovevamo salire sul palco così alle 21.50 ci siamo messi nel backstage per inaugurare quei riti che sarebbero diventati abitudine nel corso dei due mesi successivi: una toccatina al culo di Noel che porta bene, un’ultima sigaretta con Adam che mi rimprovera perché il fumo mi rovina la voce (ma è contento che almeno sul palco ho smesso di fumare e di intossicarlo… sia mai che i suoi riccioli rosso fuoco puzzino troppo di fumo!) e un abbraccio collettivo all’urlo di “Merda! Merda! Merda!”. Come sono salito sul palco mi sono sentito stranito: avevamo davanti facce totalmente nuove, molto diverse da quel solito gruppetto d’amici che ci ritroviamo solitamente ai concerti. Mike ha battuto le bacchette, Paul ha iniziato a sfiorare i tasti neri e bianchi facendo partire le prime note del nostro brano d’apertura. Improvvisamente mi sono sentito nudo: la voce non ne voleva sapere di uscire, come se si rifiutasse di dare i miei sentimenti e la mia vita in pasto a sconosciuti che mi guardavano sorseggiando distrattamente una birra. Ho cercato disperatamente qualcosa alla mia sinistra: Adam era lì, pronto a rassicurarmi. Mi è bastato incrociare il suo sorriso per un secondo per chiudere gli occhi, sfiorare le corde della mia chitarra e iniziare a cantare. Da quel giorno lo sguardo di Adam è diventato il rito fondamentale prima di ogni concerto, quello che cerco nei momenti di difficoltà. Il fatto che la gente abbia reagito benissimo al nostro sound fin da subito ha fatto tutto il resto. Negli ultimi concerti addirittura c’erano persone che erano state anche ai precedenti e iniziavano a cantare con noi! E’ stata davvero un’esperienza unica ed elettrizzante.
La serata più bella è stata quella del tredici di ottobre, giorno del mio ventunesimo compleanno: dovevamo suonare in un locale a Manchester. Sentivo che c’era qualcosa nell’aria: Adam era elettrico e capisco al volo quando ne sta combinando una delle sue. Al solito, prima di un concerto passiamo l’intero pomeriggio a fare il sound check: sono un perfezionista e voglio che tutto proceda senza intoppi quando gli Sky Falls salgono su un palco, che sia quello della festa del paese o quello di un festival internazionale. Quel giorno Adam e Nick con una scusa hanno dato forfait sfidando la mia ira presentandosi al locale solo un’ora prima del concerto. Fingo di accettare le loro scuse per non rovinarmi l’umore prima di iniziare a suonare. All’ora stabilita saliamo sul palco e iniziamo lo spettacolo. Alla fine del secondo brano però succede una cosa inaspettata: Adam prende il microfono e mi guarda con l’aria di chi deve fare un annuncio molto importante. Nick alla mia destra inizia a ridere sotto i baffi e gli altri due fanno finta di non sapere cosa sta per accadere.
“Signori e signore, devo chiedervi un piacere: fate un bell’applauso al nostro cantante, Roby, che oggi compie la bellezza di ventun’anni!!”.
Inizio a guardarlo in cagnesco e a sentirmi uno scemo mentre il pubblico inizia a cantarmi “Tanti auguri a te”. Sento il viso avvampare e vorrei sparire maledicendo il chitarrista per la figura del cavolo che mi sta facendo fare. Poi l’occhio cade su un tavolino al centro della prima fila: mio padre. Mi devo sfregare gli occhi un paio di volte per capire che è tutto vero e che non sto sognando: mio padre è venuto apposta dall’Italia per vedere un nostro concerto e nel giorno del mio compleanno! Sento gli occhi inumidirsi e mi volto verso Adam che mi guarda soddisfatto.
“Vedo che hai già trovato il tuo regalo. Tanti auguri.”.
“Grazie Adam.”. Sono le uniche parole che riesco a pronunciare prima di farmi avvolgere dal suo abbraccio.
Confesso però che quella sera ho provato anche un po’ di delusione: vedere mio padre mi ha riportato in dietro nel tempo, alla mia vacanza a Roma, a quel mese così intenso e, inevitabilmente, a Sara. Per un attimo ho sperato che ci fosse anche lei a quel tavolino, ma non è stato così… Avevamo deciso che con la mia partenza sarebbe finito tutto tra di noi, ma era impossibile tener fede a questo proposito: dopo il mio ritorno in Inghilterra abbiamo iniziato a sentirci praticamente tutti i giorni. Ci siamo resi conto subito che non potevamo soffocare certi sentimenti, che ci saremmo fatti solo del male forzandoci a non pensare l'uno all’altra. Da quando sono partito per il tour, riusciamo a sentirci con meno regolarità però dopo ogni concerto, appena scendo dal palco, la prima cosa che faccio è chiamare lei (anche perché se non lo facessi il giorno dopo dovrei subirmi le sue sfuriate che anche se arrivano solo via cavo vi posso assicurare che non sono così piacevoli! Ammazza che caratterino che ha la mia Piccolina!). Sapevo benissimo che non sarebbe potuta essere lì quella sera, ma la speranza è sempre l’ultima a morire così non vedendola sono rimasto un po’ deluso. Poi però la gioia di poter riabbracciare mio padre ha preso il sopravvento su tutto: non so neanche come ho fatto a riprendere il concerto!
Lo sguardo si perde tra gli alberi che corrono veloci e lo sbadiglio inizia a regnare sovrano. Prendo la chitarra: magari se strimpello un po’ il viaggio verso casa trascorrerà più veloce. Apro la custodia e qualcosa cade sul pavimento del tour bus: la foto che abbiamo usato per la copertina del nostro disco. E’ stato un vero travaglio realizzarla! Proprio non riuscivamo a trovare lo scatto adatto a rappresentare la nostra musica. Mike però aveva deciso che quel giorno avremmo trovato la foto giusta così è entrato nella mia stanza armato di macchina fotografica. Io stavo buttando giù qualche frase che mi era passata nella mente e non avevo trovato niente di meglio che un pentagramma e una stilografica con cui scrivere. Mike ha iniziato a scattare foto alle chitarre appese alle pareti, a me che scrivo… Se c’è una cosa che non sopporto è che la gente mi stia attorno mentre sto scrivendo, soprattutto poi se curiosa dappertutto! Così ho mollato penna e pentagramma sulla scrivania e mi sono alzato stizzito. In quel momento ho visto il viso di Mike illuminarsi.
“Ecco lo scatto perfetto!”.
Mi è venuto incontro mostrandomi una foto che aveva appena scattato: la penna e il pentagramma, niente di più e niente di meno. Semplicemente perfetta per il nostro album. Il giorno dopo l’ha mostrata a Noel e agli altri e tutti hanno concordato con noi così è nata la copertina del nostro album di debutto.

Country roads, take me home
To the place I belong
West Virginia, Mountain Mama
Take me home, country roads[1]

Mi metto a strimpellare la prima canzone che mi passa per la mente. Adam apre improvvisamente gli occhi e mi guarda stranito.
“Ben tornato tra noi bel addormentato.”. E gli sfodero una delle mie risate migliori.
“Roby, odio la tua risata rumorosa che mi entra nelle orecchie appena sveglio. Che stai facendo?”
“Niente, strimpello una canzoncina per passare il tempo. Vuoi unirti a me?”.
Anche gli altri sembrano volerci far compagnia: Mike tiene il ritmo battendo 2 matite sul tavolino, Nick e Paul si uniscono ad Adam che ha imbracciato la sua chitarra e mi segue.

Almost heaven, West Virginia
Blue Ridge Mountains, Shenandoah River
Life is old there, older than the trees
Younger than the mountains, blowing like a breeze

Country roads, take me home
To the place I belong
West Virginia, Mountain Mama
Take me home, country roads

“Strade di campagna, portatemi a casa, nel il posto cui appartengo”. Finalmente tra poche ore saremo a casa: ci guardiamo e sorridiamo sereni, consapevoli di aver vissuto i due mesi più belli della nostra vita. Abbiamo un disco che sta andando benissimo e ci stiamo lasciando alle spalle un tour strepitoso: gli Sky Falls hanno spiccato il volo e adesso sono pronti per conquistare il Mondo, ma prima concedetemi una pausa altrimenti potrei uccidere Adam nel giro di pochi giorni!



[1]Frase tratta da “Take me home country road” di John Denver
   
 
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