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Autore: Kukiness    31/03/2013    4 recensioni
Impostò il lavaggio, versò il detersivo in polvere nel bocchettone, e premette il tasto di avvio. Si sedette su una delle seggiole di plastica arancione di fronte agli oblò e osservò i vestiti mulinare dietro al vetro, e il sangue sciogliersi sulla stoffa, mischiarsi con l'acqua insaponata, dissolversi nel nulla. Il mascara di Chelsey, il sangue degli ospiti dei demoni, quello di Dean, il suo, tutto insieme, una schiuma rosata, risucchiata nello scarico.
[Sam]
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dean Winchester, Nuovo personaggio, Sam Winchester
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Ottava stagione
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A volte sì




But I still wake up, I still see your ghost 
Oh Lord, I'm still not sure what I stand for oh 
What do I stand for? What do I stand for? 
Most nights, I don't know anymore... 

Some nights, by Fun




Il mercoledì era la giornata del bucato, perché secondo Dean il mercoledì era una giornata piuttosto noiosa, perciò tanto valeva andare a fare il bucato. Poi in realtà la maggior parte dei mercoledì non facevano in tempo a cercare una lavanderia a gettoni, perciò il giorno del bucato diventava il lunedì, o il giovedì, o chissenefrega, il giorno in cui non c'erano più vestiti puliti.

Però quel giorno era proprio mercoledì, e non c'erano più vestiti puliti e non c'erano nemmeno mostri e demoni e Apocalissi del mercoledì da fermare, perciò Sam guardò la valigia sventrata sul letto del motel e disse, «Hai qualcosa da mettere da lavare?»

Dean grugnì da sotto la rivista Bocce Bisbocce. «Tutto.»

«Vado alla lavanderia qui sotto?»

«Aspetta.» Dean uscì dai jeans scalciando sul letto, li annusò, e glieli buttò. «Anche questi.» E riprese a leggere. «Tanto adesso non mi servono.»

§*§

La camicia nuova di Dean non sembrava più nuova.

Gli era sbocciata una macchia di sangue all'altezza del taschino destro quando aveva schiacciato il naso di quel demone sotto il calcio del fucile e le narici avevano fatto sprutt, come un rubinetto otturato. Sulla schiena c'era una lunga strisciata di erba e di terra, quando l'altro demone che sembrava The Rock lo aveva afferrato per il piede e lo aveva trascinato per una decina di metri in giro per il cimitero. Era stato proprio Sam a sparargli, dopo che era riuscito a sbloccare il carrello della Glock inceppata. Gli aveva portato via un pezzo di orecchio col primo proiettile. Il secondo si era conficcato dritto nell'occhio.

Sam appallottolò la camicia e la cacciò nella lavatrice.

Pescò un paio di jeans, spennellati di sangue là dove gli era caduto addosso il cadavere di quel benzinaio. Glielo aveva scagliato contro quell'altro demone bulgaro. Sam aveva dovuto trascinarsi via da sotto il suo peso morto, e per ore aveva avuto la sensazione di avere il suo sangue appiccicoso spalmato sulle cosce.

La macchia della t-shirt dopo gli ricordò Chelsey e il suo ragazzo, Bill.

Avevano ritrovato per caso un vecchio libro rivestito di pelle umana in cantina e, beh. In vita sua l'unica cosa che Bill aveva letto erano le cronache sportive sul giornale e Le avventure di Huckleberry Finn e nemmeno tutto, ma quel libro scritto in latino, quel cazzo di libro con sangue umano mischiato all'inchiostro, quello aveva proprio dovuto leggerlo. E ovviamente era stato posseduto, e ovviamente aveva fatto fuori prima sua madre, poi il fratellino piccolo e poi aveva cercato di fare a pezzi anche Chelsey con una motosega. Dean gli aveva conficcato il coltello di Ruby nella carne soffice dell'addome ed erano rimasti lì qualche secondo, in una strana posizione cameratesca, come se Dean lo stesse avvolgendo in un goffo abbraccio. Sam aveva afferrato le spalle di Chelsey e se l'era stretta al petto per impedirle di vedere il corpo di Bill accendersi come una lampadina e afflosciarsi sul pavimento. Lei era scoppiata a piangere. Le macchie di mascara sciolto creavano una specie di alone nerastro poco sopra la scritta GAP.

Appallottolò la maglietta e la ficcò nella lavatrice. Una ragazza, a due lavatrici di distanza, gli scoccò un'occhiata strana, ma c'era abituato e riprese a frugare nel sacco.

Mutande sporche. Canottiera di Dean con foro bruciacchiato di proiettile. Sam sospirò. Glielo aveva ben detto di buttarle, le robe sforacchiate. Che senso aveva lavarle? Un paio di magliette dei Led Zeppelin. Una sua camicia blu scuro. Quattro linee sottili marroncine, dove qualcuno lo aveva afferrato con la mano lorda di sangue. E il sacco era ancora mezzo pieno. Decise di far partire il primo carico e si sentì improvvisamente molto stanco.

Impostò il lavaggio, versò il detersivo in polvere nel bocchettone, e premette il tasto di avvio. Si sedette su una delle seggiole di plastica arancione di fronte agli oblò e osservò i vestiti mulinare dietro al vetro, e il sangue sciogliersi sulla stoffa, mischiarsi con l'acqua insaponata, dissolversi nel nulla. Il mascara di Chelsey, il sangue degli ospiti dei demoni, quello di Dean, il suo, tutto insieme, una schiuma rosata, risucchiata nello scarico.

Gli venne la tentazione di ficcare nel cestello anche la testa.

Avrebbe potuto caricare immediatamente una seconda lavatrice. Quella accanto alla sua era libera. Ma non si alzò. Rimase lì con i talloni uniti e le ginocchia larghe, il sacco mezzo pieno afflosciato sulla sedia accanto alla sua, e lo sguardo fisso sull'oblò viscido di schiuma dove venivano sballottati i suoi vestiti.

Ruotò la testa verso il sacco. Sembrava una bocca scura, con una lingua rossa srotolata verso di lui. La afferrò e la tirò fuori. Una camicia di velluto pesante, rosso mattone. Niente macchie. Aveva solo l'odore stantio di un abito indossato troppo a lungo, una vaga traccia di sudore e di sporcizia umana, ed era tutta stropicciata. Se la rigirò tra le mani. Non l'aveva mai usata per cacciare. L'aveva comprata, l'aveva comprata?

No.

Era un regalo.

Un regalo, gliela aveva regalata

Gli aveva detto «Vesti troppo leggero.»

«Non ho freddo.»

«Non ci credo nemmeno se me lo giuri. Ti vedo la pelle d'oca.»

«Sono abituato così.»

«Sei abituato a morire di freddo.»

Lui aveva sorriso. «Non sono ancora morto.» E poi aveva aggiunto, «Di freddo.»

E lei

Lei

Gliel'aveva regalata lei.

Strofinò i pollici sul velluto spesso, sui bottoni a clip dorati, sulle cuciture nere delle tasche, sul colletto rigido perché non era ancora stato lavato abbastanza per cuocersi e rilassarsi.

Poi lei aveva detto, «Me la presti se proprio ci tieni a fare quello che muore di freddo. A me piace.»

«No, me la allargheresti.»

«Sei così stupido che neanche ti rispondo, perché gli stupidi vanno assecondati.»

«Quelli sono i matti.»

«Sei anche matto, non ti sei mai sentito parlare? Matto e stupido. Bell'affare che ho fatto. Ridammi la camicia, vado a cambiarla con una di forza, ho ancora lo scontrino.»

Lui l'aveva baciata a quel punto, perché sapeva che non era davvero arrabbiata da come teneva la bocca, con un angolo in su e l'altro più giù come se avesse il sorriso tra i denti, e le sopracciglia si erano spostate verso l'alto, e a quel punto doveva baciarla e basta.

Poi gliel'aveva pure prestata, la camicia, e ovviamente lei non gliel'aveva allargata, come avrebbe potuto, le faceva da cappotto, ma un po' avrebbe voluto che lo avesse fatto. Che l'avesse un po' deformata, che avesse lasciato un'impronta di sé da qualche parte, delle spalle sottili, o della schiena, come una scottatura, come un'orma, sulla stoffa spessa della camicia. Lui ce l'aveva addosso e ogni tanto la sentiva, l'impressione delle sue mani o l'odore dei suoi capelli, ma non erano come le sue mani e i suoi capelli, perciò sì, avrebbe voluto che gli avesse macchiato la camicia, che l'avesse deformata a sua immagine e somiglianza, che l'avesse sforacchiata e stropicciata e che non fossero sangue né fori di proiettile, ma qualcos'altro che desse senso anche al sangue e ai fori di proiettile.

Se la portò alla faccia e contro il naso e inspirò forte. L'odore un po' cagliato dei resti del deodorante, il suo sudore, la pelle dei sedili della macchina, quello stantio dei vestiti con cui era stata messa nel sacchetto, e nessuna traccia di lei, o di Riot, o dei giorni in cui non era arrabbiata, ma solo bella. Nessuna traccia di lei, e non l'avrebbe vista mai più.

Mise la camicia da parte e rimase a mani vuote per qualche secondo.

Ma poi perché, si chiese.

Perché.

«Scusami?»

Sam alzò la testa. La ragazza di due lavatrici di distanza ora era a una seggiola di distanza. Tra loro, la camicia afflosciata sulla plastica arancione.

«Sì?» disse dopo qualche secondo.

Sulle labbra di lei sbocciò uno strano sorriso, un sorriso che Sam non ricordava di aver mai visto prima. Era incontenibile, radioso, e terribilmente triste tutto insieme, così triste che sembrava sul punto di spezzarsi, e il secondo dopo gli occhi di lei, chiari come il vetro, si riempirono di lacrime e le spalle sottili furono scosse dai singhiozzi. Lei si coprì la faccia con le mani, le guance arrossate dal pianto, e piegò la testa in avanti, con i capelli biondi a caschetto che le calavano ai lati della faccia.

«Sei tu,» singhiozzò. «Sei tu, sei proprio tu, proprio tu.»

Sam strabuzzò gli occhi e si mise la camicia in grembo per scivolare sulla seggiola vicino. «No, ma che fai, che ti prende,» mugugnò sconvolto, senza sapere dove mettere le mani, prima sullo schienale della seggiola di lei, poi sulle spalle magre e tremanti. «Non... Perché piangi? Non piangere.»

Lei smise poco dopo e alzò la faccia, appiccicosa di lacrime, ma radiosa e arrossata come se avesse fatto una lunga corsa e fosse arrivata dove sperava di arrivare. Gli sorrise di nuovo e scosse la testa. «Non ti ricordi di me, vero?»

Sam sbatté le palpebre e la guardò, realizzando per la prima volta quanto fosse giovane. Quindici, sedici anni al massimo. Aveva l'apparecchio e un visino tutto sommato grazioso, spruzzato di lentiggini. I capelli corti le circondavano il volto rotondo e si trovò a pensare che le donavano così. Non gli sembrava di averla mai vista prima e scosse la testa.

«No, certo, come potresti,» disse lei, e non c'era delusione nella sua voce. «Avevo... undici anni quando ci siamo visti. E indossavo un terribile pigiama con gli orsacchiotti,» ridacchiò, una risata resa umida dal pianto, «forse è meglio che non ti ricordi.»

Gli angoli della bocca gli si stirarono leggermente verso l'alto. «Mi spiace, nemmeno il pigiama con gli orsacchiotti mi aiuta. Dove...?»

«Ero in gita al Monte Rushmore,» disse lei in fretta. Lo guardò dritto negli occhi. «E tu mi hai salvato la vita.»

Quelle parole impiegarono qualche secondo ad attecchirgli nelle orecchie e poi a sedimentare nel petto. Sam buttò fuori l'aria dal naso e poi disse, «Come, prego?» e si sentì sciocco a dirlo, perché aveva salvato la vita a un sacco di persone, al mondo intero, eppure, eppure, eppure.

La ragazza disse di chiamarsi Beth. «Il mio professore di spagnolo era il signor Jefferson. Paul Jefferson. Lui ha... Eravamo in gita al Monte Rushmore e lui una notte ci ha chiusi nel dormitorio e ha cercato di... Aveva dato fuoco alla signorina Kalsey e...»

«Sì,» la interruppe velocemente lui. «Sì, ho capito.»

Il tizio dell'orologio. Ora si ricordava di lui. Aveva trovato un vecchio orologio da polso nella cantina del suo nuovo appartamento e aveva pensato bene di metterselo, senza sapere che era infestato dal fantasma vendicativo di un serial killer piromane ucciso dai poliziotti in quello stesso appartamento quarant'anni prima. Ecco perché l'affitto era relativamente basso, nonostante la posizione centrale e la bella vista sul parco cittadino.

Il fantasma era filtrato attraverso il cinturino direttamente nella pelle e il professore improvvisamente si era trovato estremamente affascinato dall'idea di carbonizzare l'intera classe, chiusa nel dormitorio, dopo aver lasciato dietro di sé una serie di cadaveri sospetti a cui lui e Dean erano stati dietro per un po' prima di capire di stare seguendo l'itinerario del pulmino di una scuola media in gita scolastica.

Dean aveva sfondato la porta del dormitorio a calci, riuscendo a far uscire la maggior parte dei ragazzi in lacrime, ma il professore era scappato portandosi dietro un ostaggio. Beth. Sam lo aveva inseguito nei boschi mentre Dean portava fuori i sopravvissuti a bracciate.

Lo aveva raggiunto in uno spiazzo. Il professore aveva l'odore della benzina con cui aveva inzuppato il dormitorio prima di appiccare l'incendio. Aveva le maniche zuppe, doveva essersene rovesciata un po' addosso nella foga. Si era fermato stringendosi Beth al petto e aveva tirato fuori lo zippo minacciando di darle fuoco – quei lunghi capelli biondi, legati in una spessa treccia che sembrava una miccia.

Sam sentiva l'odore della benzina e sapeva come sarebbe andata a finire, sapeva cosa avrebbe preso fuoco se il professore avesse acceso lo zippo, sapeva che non sarebbero stati solo il cinturino dell'orologio e il suo fantasma, sapeva che avrebbe dovuto lavarsi i vestiti più e più volte per cancellare l'odore di carne umana carbonizzata.

«Non lo fare,» aveva gridato, ma era troppo tardi. I capelli di Beth si erano accesi, sì, ma erano le maniche del signor Jefferson che erano avvampate come una torcia. Lui aveva spalancato le braccia urlando, lei si era buttata a terra e Sam le aveva schiacciato la treccia nel fango, ricoprendola di terra, fino a che le fiamme non si erano estinte, mentre le braccia del signor Jefferson bruciavano, la camicia gli si accartocciava addosso fondendosi con la pelle, e il fumo e le luci dello spettro carbonizzato nell'orologio si levavano dal suo corpo come fuochi d'artificio.

Lui aveva preso Beth in braccio e l'aveva portata via di lì, correndo più veloce che poteva.

«Mi hai salvato la vita.» Beth lo guardava sorridendo di nuovo, anche se il ricordo del fuoco, del professore, della morte le aleggiava addosso come uno spettro. «Mi ricordo che mi hai detto che ero stata coraggiosa. E io piangevo, piangevo a dirotto, e ho detto una cosa stupidissima,» scoppiò in una breve risata umida, tra l'incredulo e l'imbarazzato, «il mio professore era appena morto, io era appena scampata per un soffio alla carbonizzazione e ho detto... ho detto...»

«Che ti si erano rovinati i capelli,» disse Sam. E sorrise.

Si ricordava la bambina che gli piangeva contro il petto, i capelli bruciati che puzzavano, la treccia mezza carbonizzata ma che fortunatamente non aveva raggiunto la pelle, e lui che le accarezzava le guance appiccicose di lacrime e le sistemava le ciocche di capelli dietro le orecchie e le strofinava gli zigomi con i pollici per asciugarle la faccia.

«E tu mi hai detto che ero molto più carina con i capelli corti,» disse lei. E si passò una mano sulla nuca, tra i capelli tagliati a caschetto che le superavano di poco i lobi delle orecchie, lasciandole il collo lungo scoperto, e Sam pensò che era vero.

Si sorrisero per un attimo, poi lei disse, «Non ti ho detto nemmeno grazie.»

E lui disse, «Prego.»

§*§

Quando tornò in albergo, Dean era ancora senza pantaloni e stava guardando una replica di Baywatch in televisione.

«Hai lavato anche i miei jeans neri?» disse, senza scollare gli occhi dallo schermo.

«M-mh.» Sam frugò nel sacco dei vestiti, li cavò fuori e glielo gettò sullo stomaco. «Dean?»

«Mh?»

«Ne vale la pena, vero?»

Dean infilò la gamba destra nei jeans finché non ne sbucò fuori il piede con il calzino un po' sdrucito. «Beh, se non vuoi andare in giro come un barbone puzzolente, direi di sì.» Spostò gli occhi su di lui. «Ma ti avverto che non ti ci voglio in macchina con me, se puzzi.»

«Non intendevo la lavatrice. Intendevo noi. Quello che facciamo.» Alzò le spalle e le lasciò ricadere. «Tutto.»

Dean ficcò anche il piede sinistro nei jeans, ma aspettò a tirare su il resto. «Beh.» Appallottolò la stoffa sulla caviglia finché non sbucò la punta del calzino e ci agitò le dita dentro. «No. A volte no.»

Sam lo sapeva. «Ma a volte sì,» disse comunque, perché sapeva anche questo.

Dean si tirò su i pantaloni e se li allacciò in vita, alzando il bacino dal materasso. Il letto cigolò come se si lamentasse. Tirò su la zip e disse, «Sì.» Alzò lo sguardo su Sam. «A volte sì.»

«Okay.»

«Già.»

Sam buttò il sacco di vestiti puliti da una parte e si sedette sul letto accanto a quello di Dean. Alla televisione, una bionda con i capelli tagliati come quelli di Beth correva sulla spiaggia con un costumino rosso e l'aria preoccupata. «Che puntata è?»

E quando pensava che Dean non avrebbe più risposto, lui disse, «Una che vale la pena.»


Note dell'autrice

È una Sam-fic per una Sam-girl, che domani compie gli anni e quindi. Tanti auguri!

 

   
 
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