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Autore: _Char    31/03/2013    3 recensioni
Non avevo mai visto un ragazzo dai suoi stessi tratti. Erano ben delineati, che richiamavano quasi i tratti stranieri, come quelli degli spagnoli. Seducenti, ammalianti. Era uno di quelli per cui saresti uscita dalla classe fino al corridoio per vederlo. Uno di quelli che ti calamitano con lo sguardo. Con cui avresti voluto fare l’amore subito. No. Non amore. Sesso. Focoso, caldo, passionale, in cui s’intrecciavano gemiti e sospiri.
Sesso. Sesso puro.
Rimasi senza parole, sentendomi morire. Cosa stavo facendo?? Andavo a sbavare dietro a un tizio che non avevo mai visto in vita mia?
Ero confusa, troppo. Non ero abituata ad emozioni così forti. Nessun ragazzo fino ad allora era riuscito a risvegliarmi tutti gli ormoni in una sola volta, con un solo sguardo.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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                                                                                     CAPITOLO 1 
 
La sveglia suonò immancabile alle 7 precise. Del perché non l’avessi programmata una mezz’ora dopo, non lo so neanche io. Avrei potuto svegliarmi più tardi, lasciarmi cullare dal calore delle coperte, alzarmi quando mi sembrava opportuno, andare alla finestra e guardare fuori un sole ancora splendente, desiderosa di dare il buongiorno al mondo intero con un sorriso a trentadue denti. Proprio come nella pubblicità della Nutella. Ma siccome non vivevo nel Mulino Bianco, dovevo realizzare che l’estate era ormai finita da un pezzo, che non c’era nessun sole splendente di prima mattina e che mi toccava alzarmi non eppena quell’aggeggio infernale avesse smesso di gracchiarmi nell’orecchio, interpretando il suo modo dolce e amorevole di darmi il buongiorno con l’annuncio che la scuola era alla fine tornata ad esistere nella mia realtà.
Per l’ultima volta nella mia vita.
Da allora in poi, le cose sarebbero andate in modo diverso. Era il mio ultimo anno di liceo. L’anno in cui, in genere, ci si sente padroni del mondo, capaci di fare tutto, i più grandi, quelli che hanno in mano tutto. Non era la scuola a controllare noi, eravamo noi a controllare la scuola. I professori? Eravamo ormai vecchi conoscenti, quasi amici si potrebbe azzardare a dire. Quel rapporto, insomma, un po’ frivolo, un po’ fuori dalle norme scolastiche, quel non so che di confidenza che spuntava quando, armeggiando con una penna sul registro, ti minacciavano di prendere nota di un avvenimento particolarmente memorabile che avevi concluso trenta secondi prima, e tu ironizzavi con un “andiamo, professò!” e un ghigno sarcastico a trentadue denti. Ecco, l’unico sorriso a trentadue denti che si poteva fare di prima mattina non era quello stile “pane e nutella” ma quello che svisceravi quando volevi accattivarti la penna del professore. 
Mi alzai con un verso indistinto dal letto, simile a un cane che uggiola sul tappeto quando capisce che lo stanno per portare dal veterinario, e trascinai i piedi in bagno. 
-’Giorno Bianca- sentii dirmi distrattamente da mia madre mentre mi passava affianco nel corridoio. “Sì, buongiorno” pensai, contrariata. 
Non era che odiassi la scuola; era il dovermi alzare di prima mattina che detestavo.
Se la scuola l’avessero fatta iniziare dalle nove invece che dalle otto sì che sarebbero spuntati fuori i sorrisi stile pane e nutella.
Mi stiracchiai le braccia indolenzite ed avvertii un piacevole brividino lungo la schiena, segno che anche i miei muscoli si stavano svegliando. Mi sciacquai il viso con l’acqua fresca e mi preparai a dovere per affrontare il mio ultimo primo giorno di scuola da liceale. Tornai in camera e mi vestii: i pantaloni stretti beige, una maglia sblusata rosata sopra una canottiera bianca abbastanza spessa e le mie solite scarpe. Sebbene il tempo non fosse splendido faceva ancora un po’ caldo per essere settembre e a volte mi chiedevo se non abitassi in Sardegna piuttosto che nella mia amata penisola ancora attaccata ad un pezzo di terra. Mi ravviai i capelli, ancora abbastanza decenti per un vago ricordo della piastra fatta due giorni prima e mi sistemai sommariamente davanti allo specchio grande nel corridoio.
-Muoviti Coco Chanel, o farai tardi- disse mia madre senza espressione, ma sapevo che lo faceva per stuzzicarmi. 
-Meglio arrivare tardi che presto ed essere indecenti- le rimbeccai, fingendo di essermi stizzita. 
-Oh, c’è qualche galantuomo che ti aspetta?- stette al gioco.
-No, ma sarò una delle ragazze più grandi in tutto il liceo, quindi ci tengo a presentarmi come si deve. Se la tua direttrice arrivasse in ufficio messa peggio di te le daresti ancora della superiore?-
-Ma guarda come ce la tiriamo- commentò, passando per il corridoio, -non stai andando a fare una sfilata di moda, il tuo professore non è Christian Dior e tu non sei Angelina Jolie, quindi per quanto vuoi dare insegnamenti alle ragazzine del primo anno ti conviene muovere quel bel culetto che ti ritrovi e di filare a scuola-
-Sì madre- sdrammatizzai in tono grave.
Il mio rapporto con mia madre non è mai stato idilliaco, ma nemmeno troppo vago. 
Era ancora abbastanza giovane, aveva 48 anni e si comportava in maniera abbastanza giovanile per la sua età: mi punzecchiava come avrebbe fatto una donna più grande di me ma non ancora in avanti con gli anni da sembrare ridicola. Adoravo questo di mia madre. 
Quel comportamento un po’ da giovane le donava. I capelli scuri, gli occhi chiari, le labbra sottili. In giovinezza era stata davvero una bella donna, e lo era tuttora. Solo, aveva assunto un po’ l’aria da “donna in carriera” che la mattina ti sfila per la casa in cerca della giacca, del rossetto e della borsa per correre a lavoro nel traffico del lunedì mattina. E mentre lei sfrecciava tra la macchina e le scale di casa per recuperare una cartella d’ufficio dimenticata in salotto, tu dovevi alzarti, prepararti e restare a scuola per cinque o sei ore sei volte alla settimana. Direi davvero magnifico.
Mentre mi osservavo ancora allo specchio in cerca di qualche altro particolare da aggiustare mi sentii arrivare una manata sul sedere e Caterina si diresse in camera da letto con una lieve risata di sarcasmo.
-Smettila mamma- bofonchiai, seccata. 
Tornai in camera a prendere la tracolla, e nel farlo sentii la sua voce chiamarmi dalla stanza:
-Hai visto il mio rossetto tesoro?- fece indaffarata.
-No- risposi senza mezzi termini, -prova a cercare in bagno-
Passai davanti alla cucina e sbirciai l’ora sull’orologio appeso al muro: 7:40. Perfetto. Avevo tutto il tempo. Andai alla porta e presi il portachiavi dell’Hard Rock di Barcellona a cui erano appese le mie chiavi e me lo infilai nella borsa insieme al cellulare. 
-Torno all’una oggi, Bianca- alzò la voce mia madre per farsi sentire dalla camera da letto, -cerca di non fare tardi-
-D’accordo- asserii, uscendo di casa.
Il tempo era abbastanza freschetto, ma era solo la brezza mattutina delle sette che svanisce già dopo due ore; con il giubbino leggero però non sentii tanto il freddo. 
Mi incamminai verso la scuola, prendendo il cellulare in mano dalla tracolla, e composi un messaggio indirizzato alla mia amica Carlotta:
“Dove sei?”
Inviai. Pochi istanti dopo il telefono vibrò, in segno di risposta.
“Sono davanti alla scuola. Buongiorno eh?”
Scossi la testa e sorrisi leggermente, ma mi affrettai a far sparire il mezzo sorriso dalla faccia prima che qualcuno mi vedesse per strada e pensasse che fossi fuori di testa.
“Come fai ad essere già lì?? Non sono ancora le otto! C’è Luca che ti aspetta?”, la punzecchiai.
“Smettila bella addormentata, non farmi venire i nervi appena mattina. Muovi il culo e arriva davanti scuola, ti sto aspettando”
“Con calma e per piacere, cara” risposi ironica, “ e di’ ai tuoi nervi di calmarsi. Non rovinarti il tuo ultimo primo giorno di scuola per uno stronzo” 
“Perché? Tanto non sa manco che esisto. Non mi fila più, ormai”
“Ecco perché devi amorevolmente mandarlo a farsi fottere e devi fregartene della sua esistenza”
“Come sei sadica” 
Capii che stava ridacchiando, faceva sempre così quando usavo certi termini tutti insieme più in una frase che in un mese. 
“Ehi, sta arrivando anche Marghe. Sbrigati” mi richiamò poi subito dopo.
Mancava poco alla scuola ormai, dovevo solo imboccare una salita e poi sarei giunta dinnanzi all’inferno che avrebbe rinchiuso le nostre anime dannate per nove lunghi mesi. 
La scritta, “Istituto d’Istruzione Superiore Dante Alighieri” alias Liceo Classico Dante Alighieri, agli occhi di noi studenti appariva come “Lasciate ogni speranza, voi ch’ entrate”. I canti dell’Inferno della Divina Commedia dello zio Dante studiata fino a pochi mesi prima stava fortemente influenzando il nostro modo di pensare, come quando appena finisci di vedere un film al cinema il giorno seguente ripensi a tutte le battute divertenti che ti hanno fatto ridere in sala.
Arrivai finalmente nei pressi della calca di studenti che erano intenti a chiacchierare tra di loro, chi arrivava in quel momento e si lasciava andare a forti strette di mano tra amici o abbracci confidenziali, chi davanti all’imponenza del liceo lo fissava estasiato pensando che di lì a poco avrebbe passato cinque anni della sua vita a fare il pieno del suo bagaglio culturale tra quelle mura e chi invece pensava già ai bordelli che avrebbe fatto, trovandosi agli ultimi anni, per godersi al meglio quei pochi anni ancora a disposizione. Noi ragazzi del quinto anno sembravamo più maturi, osservavamo i ragazzini del ginnasio e commentavamo tra di noi frasi come “ricordi quando c’eravamo noi al ginnasio?” oppure “avranno tempo per imparare a fare casino come si deve”, e lasciavamo correre le grida e le emozioni che correvano tra i vari adolescenti di entrambi i sessi, una specie ancora in evoluzione dagli ormoni impazziti e incontrollati, che bastava un ragazzo carino più grande sfiorasse loro un braccio passando che già partivano risatine e sorrisetti tra le ragazze mentre sussurravano alle amiche “oh mio Dio, avete visto chi è passato?? Mi ha sfiorato il braccio, mi ha sfiorata!!” oppure una bella ragazza per far partire tra i maschi sguardi ambigui e dita a indicare il suo belvedere o il suo posteriore. Sinceramente, i ragazzini che sbavavano dietro il sedere di una ragazza del quarto o del quinto anno mi infastidivano. Mi sdegnavano addirittura, certe volte. Sembravano tutti così piccoli, rispetto a noi. I ragazzi della mia età, invece, li trovavo attraenti se parlavano di una ragazza. C’era qualcosa nei loro modi di fare che li rendeva estremamente attraenti anche se parlavano del culo di una ragazza o del suo davanzale. Forse perché erano più maturi anche fisicamente, con le spalle ben piazzate e il torso ben strutturato,  non ancora dai lineamenti e dalla fisionomia incerta, che sta ora ora iniziando a formarsi. 
Sembravano uomini. Non ragazzini. Si adattava meglio a loro un comportamento del genere, che a dei ragazzi di sedici anni. Certo, non che mi piacesse sentire i loro discorsi tipo “ehi, guarda che culo che ha quella”, però era il senso di attrazione che ti fa sentire dei formicolii nello stomaco, che te lo fa sentire vuoto. Non farfalle nello stomaco. Brividi di eccitazione. Nulla di perverso, la sana (se così si può definire) stimolazione che invade il corpo di una ragazza alla vista del comportamento attraente di un ragazzo. Avevamo anche diciannove anni, porca miseria, non eravamo più bambini. Era ora che lasciassimo andare di più gli ormoni. 
Beh, forse i ragazzi li lasciavano andare anche troppo. Ma per noi ragazze è un discorso diverso: non è facile dover ammettere che qualcuno ti abbia fatto invadere di calore per tutto il corpo in modo così naturale come avrebbe fatto un ragazzo.
I ragazzi non si vergognano dei loro desideri sessuali. 
Le ragazze sì.
E quelle che non se ne vergognano vengono chiamate troie. Come puoi manifestare le tue emozioni fisiche senza apparire una troia? 
La voce di una ragazza mi distolse dalla ricerca che avevo avviato tra i gruppetti di ragazzi e ragazze, alla ricerca delle mie amiche. 
-Bianca! Ehi, Bianca!-
Sorrisi raggiante non appena intravidi la figura di Margherita che quasi si sbracciava per farsi notare in mezzo alla folla di studenti. 
Affrettai il passo e le saltai letteralmente addosso.
-Marghe!- esclamai, entusiasta.
Margherita si mise a ridacchiare in risposta, ricambiando l’abbraccio.
-Hai visto Carlotta?- le chiesi, sciogliendomi dalla stretta.
-Era qui dieci minuti fa, l’ho persa di vista- rispose, guardandosi attorno.
-Come l’hai persa? Non era con te?- feci notare, un tantino perplessa.
-È voluta andare a dare un’occhiatina ai ragazzi- alzò gli occhi al cielo.
Mimai un “ah” con le labbra, ironica.
Manco a dirlo qualcosa come trenta secondi dopo Carlotta ci piombò addosso.
-Bianca!- mi urlò quasi nell’orecchio, facendomi sussultare si scatto; nemmeno il tempo di girarmi che me la ritrovai addosso, come se fossi stata un pezzo di cioccolato appena scartato.
-Calmati Car- la ammonii, ricambiando tuttavia l’abbraccio con un sorriso.
-Ti ho vista di sfuggita poco fa- disse, -ma stavo controllando una cosa e non potevo assolutamente mollarla-
-Cosa?- feci, incuriosita. 
Margherita alzò gli occhi al cielo, come per dire “ci siamo, ecco che riparte coi ragazzi”.
-C’è un ragazzo nuovo- annunciò, entusiasta, -dovresti vederlo! È davvero uno schianto!-
-Chi?- m’interessai, sbirciando nel gruppetto dei ragazzi. 
Precisiamo, non che avessi lo stesso innato interesse di Carlotta per il sesso opposto, però quando c’è un nuovo studente la curiosità è più che lecita. Trattandosi di un ragazzo poi, la curiosità aumentava naturalmente.
Mi trascinò un po’ più a lato per il braccio e mi indicò con lo sguardo due o tre ragazzi in particolare.
-È lì- disse, entusiasta, -dove ci sono Luca e Pietro, dietro di loro-
Intravidi i due ragazzi e riuscii a scorgere anche qualcun altro. All’inizio non lo vidi bene, ma poi Pietro si spostò più a lato e lo guardai direttamente in viso. Non avevo mai visto un ragazzo dai suoi stessi tratti. Erano ben delineati, che richiamavano quasi  i tratti stranieri, come quelli degli spagnoli. Seducenti, ammalianti. Era uno di quelli per cui saresti uscita dalla classe fino al corridoio per vederlo. Uno di quelli che ti calamitano con lo sguardo. Con cui avresti voluto fare l’amore subito. No.
Non amore.
Sesso. Focoso, caldo, passionale, in cui s’intrecciavano gemiti e sospiri. 
Sesso. Sesso puro.
I capelli scuri, dal taglio corto, gli occhi intensi e profondi, le labbra carnose, una lieve barba ad incorniciargliele perfettamente. 
Carlotta mi distolse dai miei pensieri:
-Allora?- fece maliziosa.
Rimasi senza parole, sentendomi morire. Ma non per lui. Per me. Cosa stavo facendo?? Andavo a sbavare dietro a un tizio che non avevo mai visto in vita mia solo perché era possibilmente scopabile? Possibilmente scopabile?! Ma che avevo in testa?! 
Ero confusa, troppo. Non ero abituata ad emozioni così forti. Nessun ragazzo fino ad allora era riuscito a risvegliarmi tutti gli ormoni in una sola volta, con un solo sguardo. 
Mi sentii a disagio e non risposi alla mia amica, che continuava ad osservarmi in attesa di una risposta, una di quelle facce che dicono “dillo, avanti, è figo eh?”
-… è carino…- dissi soltanto, sviando lo sguardo.
-“Carino”?- ripetè, destabilizzata, -senti, “carino” si dice di un ragazzo di sedici anni, “carino” si dice di un orsacchiotto di peluche, “carino” si dice di un tizio che incontri alla stazione e ti offre un caffè mentre aspettate il treno. Lui è sexy, altro che semplice carino- disse, con il tono di quella che la sa lunga e vuole farti la ramanzina istruendoti a dovere.
Guardai il “seducente - sexy - tizio in incognito - altro che carino”, stavolta più a lungo. 
A Carlotta non sfuggirono i miei movimenti. 
Lui, Pietro e Luca sembravano stessero parlando amichevolmente, come si conoscessero da tempo. Incrociò le braccia sul petto, portando la mano sinistra sul braccio destro, e rimase per un po’ ad ascoltare i discorsi degli altri, spostando l’attenzione solo attraverso gli occhi.
-A me sembra… dolce…- mormorai dopo un po’, tornando in me. Ora che avevo abbandonato i panni di “ragazza arrapata ed eccitata” sentivo di essere di nuovo normale. 
-“Dolce”?- fece, contrariata, -come fai a dirlo? Ti ha appena risvegliato gli ormoni…-
-Per me non è solo sexy ed eccitante come per qualcun’altra- ribattei, lanciandole una frecciatina, -insomma guardalo…-
Stavolta stava ridendo; a labbra un po’ dischiuse, gli occhi che ridevano con la sua bocca. 
-Non sembra… carino, quando fa ridere gli occhi in quel modo?- continuai, sorridendo a vedere la sua reazione. 
-Mia cara e romantica fanciulla- fece in tono grave Carlotta, -hai ancora tanto da imparare. Possibile che non ti lasci mai andare? 
-E tu possibile che non ti controlli mai?- le rimbeccai, stando al gioco.
-A mezza dozzina di ragazze ha praticamente eccitato gli ormoni e tu te ne esci che è solo “dolce e carino”? Dio, ragazza, stai messa proprio male…-
-Non ho detto che è dolce e carino- ribattei seccata, -neanche lo conosco. Ho detto che può essere anche altro, oltre che scopabile, sexy, seducente e ammaliante come sembra lo abbiate descritto tu e l’altra mezza dozzina-
-Andiamo, Bianca- sdrammatizzò, -stavo scherzando, mi conosci no?-
 Non dissi niente. Alla fine realizzai un piccolo, insignificante particolare.
-Carl…- iniziai lentamente, per attirare le sua attenzione.
Lei sembrò avermi sentita.
-Mh?- fece interrogativa.
-Se sta parlando con Pietro e Luca… e ha attorno gli altri ragazzi che conosciamo… starà in classe con noi?- feci, guardandola intensamente.
Lei sembrò pietrificarsi alle mie parole, poi dischiuse le labbra trattenendo un sorriso a quarantacinque denti, al che scoppiammo a ridere entrambe. 
-Oh mio Dio!!!- esclamò Carlotta, stupefatta, -oh mio Dio!!!-
-Voglio vedere come farai, con i tuoi ormoni- la stuzzicai, ridacchiando.
-Se ci vedrai sparire entrambi per più di cinque minuti Dio, contaci che stiamo ripassando matematica assieme!-
Ridacchiai come un’idiota:
-Matematica eh?-
-A cosa si deve tutto quest’entusiasmo?- sentimmo dirci da una voce dietro di noi, con tono petulante.
-Marghe, Marghe, Marghe!- la riprese Carlotta, posizionandola in mezzo a noi, -guarda lì… il principe azzurro dei tuoi futuri sogni!-
Su una cosa siamo d’accordo io e Margherita: i ragazzi non sono solo sesso. Per paragonarci ad un personaggio della letteratura, io e lei eravamo come Elizabeth Bennet, mentre Carlotta era come la Kitty o la Lydia dello stesso romanzo. 
Lei non aveva problemi ad ammettere se un ragazzo le faceva accendere il fuoco della passione, non come me e Marghe. Io e lei ci sentivamo sempre fuori luogo, imbarazzate a dover ammettere “sì, in effetti è proprio un figo della madonna” . Comunque sia Carlotta non aveva niente a che vedere con quelle sciacquette che accentuavano i loro pensieri personali su un ragazzo scendendo magari su particolari evitabili. Non era così volgare. Aveva autorizzato me e Margherita a darle un ceffone ogni volta che le sarebbe capitato (se le sarebbe capitato) di comportarsi come loro. 
Non che ci volesse il suo permesso per farlo, l’avremmo fatta ragionare a modo nostro anche di nostra libera volontà. Non era fortunatamente mai successo, almeno per il momento. Perché con il nuovo signor Iosonofigoammiratemiamatemi avrebbe avuto diversi problemi, ci avrei scommesso.
A proposito, il suo nome era…?
-Ehi- distolsi Carlotta dalla sua celestiale visione scuotendola leggermente per un braccio, -sai come si chiama?-
-Credo sia Francesco- rispose, sorridendo, -un nome così comune, eppure lui è particolare, non trovi?-
Già, proprio particolare. 



Salve :) per chi ha avuto la pazienza di leggere tutto il capitolo fino a qui innanzitutto lo ringrazio, siete dei santi se vi siete trattenuti dal chiudere la pagina e cambiare storia; spero che questo primo capitolo/introduzione vi abbia incuriosito e vi spinga a leggere avanti :) grazie per aver letto e per chi vorrà al prossimo capitolo.
_Char 
  
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