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Autore: Vampiresroads    01/04/2013    2 recensioni
Una breve sbirciata a tutto il percorso che la mia mente fece quel sovraccarico ventitré marzo.
Un viaggio lungo e contorto, un confronto con tutto quello che hanno compiuto durante l'avventura spettacolare di cui ci hanno resi partecipi.
"La mia testa era solo un gomitolo nero.
Non avevo idea di come e dove cercare l’inizio del filo; dovevo farmi un’idea dell’accaduto , ma era tutto ancora da definire.
Dopo pochi attimi, ecco il sudatissimo esito: I My Chemical Romance finiscono qui."
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I’LL TAKE YOUR WORDS LIKE THE MOST PRECIOUS THING THAT’S EVER BEEN MINE.

 
23.03.2013
 
La mia mano scomponeva svogliatamente il mio viso quella mattina, la voglia di fare qualsiasi cosa era sotto zero, così come la mia energia, che andava perdendosi man mano che l’orologio scandiva il tempo.
Era terribilmente tardi, avevo perso sette pullman su otto, ma finalmente ero arrivata a scuola, con un magone sovrannaturale e una voglia di vivere pari a zero.
Gli esercizi di motoria mi scorrevano apaticamente, le ore dopo passate sull’inutilissimo compito sulla subacquea non facevano altro che alimentare in mio sconforto e il mio disagio.
Sensazioni inspiegabili e ansia immotivata padroneggiavano tranquillamente nel mio stomaco scombussolato, così passavo quelle quattro orette in mezzo alla mia classe, accompagnata da persone con le quali non ho in comune nemmeno l’età.
Per ravvivare la situazione, delle meravigliose e incredibilmente truci nuvole dal grigio più pesante che si possa immaginare, colmavano la parte più vulnerabile di me: la meteoropatia.
Riassumendo, sprizzavo energia da tutti i pori, ma la cosa comica è che non ne avevo motivo, così mi limitavo a ignorare tutto, aspettando solo il pomeriggio, per un sano e libero sabato pomeriggio con gli amici.
L’ora di matematica si avvicinava: una coinvolgente lezione sulle funzioni e sulle equazioni parametriche di secondo grado mi aspettava, niente di più ottimo per risollevare la mia voglia di vivere.

Per togliermi dalla testa il resto, controllai un attimo il telefono: “Cazzo. Cazzo. Delfi. Cazzo. È finita. Finita. Cazzo. Cazzo.”
Questo recitavano gli ultimi messaggi, ma la mia testa era solo un gomitolo nero.
Non avevo idea di come e dove cercare l’inizio del filo; dovevo farmi un’idea dell’accaduto , ma era tutto ancora da definire.
Dopo pochi attimi, ecco il sudatissimo esito: I My Chemical Romance finiscono qui.

Come una corda tirata da milioni di individui, come la scena di un elaborato film moderno, la mia mente mi trascinò per un millesimo di secondo all’annuncio dell’I-Day Festival, 2 Settembre 2012. “Il festival finisce qui.”
Gli olimpionici corridori dei miei irragionevoli neuroni non mi diedero il tempo di riflettere sul perché il primo pensiero cadde lì, ma per qualche attimo non riuscii a pensare ad altro.

Sentii un senso di colpa nascosto tra le tremila domande: non riuscivo a sentirmi male, non realizzavo minimamente, costringevo le lacrime a farsi vedere, per essere sicura di non essere davvero un’insensibile, ma non aveva senso.
Per i primi dieci minuti il mondo scomparve completamente, la mia compagna di banco, la mia classe, la lezione, tutto inesistente.
Se non fosse stato ovvio, faticherei a ricordare se, in quel momento, tutto quello esisteva o no.
Lentamente iniziai a umanizzarmi, la mia prima lacrima sincera venne accolta dai quaderni e libri, mentre ignoravo le domande della classe.
L’ultimo giorno di scuola prima delle vacanze: baci, saluti, abbracci, finzioni, finti auguri e tanta gioia.
La gioia è meravigliosa, ma in quel momento la mia testa era coperta e completamente riempita di: ‘Quando torno a casa?’, ‘Riuscirò a non perdere il pullman?’, ‘Quanti cazzotti dovrò dare per entrare dentro il mezzo?’
Finalmente scesi il vialetto, presi l’autobus e arrivai a casa prima del solito.

Cacciai chiunque ripetutamente, tentai di consolarmi pensando al fatto che sì, torneranno, che questa non è la fine, che loro sono molto più di questo, e l’amica che mi avvertì, nonché grande ottimista e killjoy di vecchia data, riuscì a strapparmi un sorriso.
Mi rifiutai di mangiare, continuai a passare la giornata pensando a quel gruppetto che tanti hanno definito ‘da quattro soldi’ e iniziai a rigirarmi nei confusi meandri della mia memoria.
Avevo forse undici anni quando, girando per i canali musicali, trovai per la prima volta Welcome To The Black Parade.
Le prime note al pianoforte mi catturarono particolarmente, ma ero piccola e abituata ad ascoltare musica protetta e sicura, quindi il video mi inquietava non poco.
Pochi secondi dopo arrivarono i miei genitori che mi chiesero di girare, così, sovrappensiero, cambiai canale. Una cosa però era certa: quel momento e quella curiosità non rimasero ignorati.
Qualche giorno, o forse settimana, dopo, ritrovai la rinomata melodia sullo stesso canale.
Mi appuntai il nome e decisi che l’avrei ascoltata interamente: la prima parte mi aveva catturata, ma più andava avanti, più i miei pregiudizi soddisfecero la mia curiosità e mi convinsero a cambiare anche stavolta.
Non sentii più parlare di My Chemical Romance fino all’anno dopo, quando, per la prima volta le mie orecchie ebbero il causale onore di sentire Sing: mi colpì davvero.
Brividi da capo a piedi, una sensazione di forza totale emerse da ogni preoccupazione e, ammirando la bella musica dal testo incoraggiante, mi sentii a casa, per la prima volta.

Accompagnata da un’amica, continuai ad approfondirli, cercando altre canzoni che potessero piacermi; tra tutte, ne risaltò una: The Ghost Of You.
Quella melodia mi fece innamorare come poche, così decisi di dare una chance a questi ragazzi, cambiare genere ed evolvermi, ma chi avrebbe pensato che me ne sarei innamorata fino a questo punto?

Iniziai ad approfondire le loro vite, sempre accompagnata dalle tracce di ogni singolo album: comprai tutti i cd e i live che comprai e passai le giornate ad ascoltarli, guardarli e soprattutto studiarli.
Nulla era mai stato più piacevole da studiare. Ci avrei passato le giornate, e in effetti lo feci davvero.
Le avventure di Gerard e Frank, il bullismo, la solitudine, le prese in giro, i fumetti, il rifiuto, l’adorata nonna Elena, i loro sorrisi, le loro cicatrici, i loro salti, la loro gioia: tutto questo mi faceva sentire la persona più fortunata del mondo.
Non facevo altro che ripetermi che quel poco che mi stava capitando era solo una stronzata (perché lo era), che quei ragazzi erano andati avanti egregiamente e che io non sarei stata da meno, e ci credevo davvero, perché mi sentivo bene.
Ero strettamente consapevole che loro erano vicino a noi, uno per uno, e l’hanno dimostrato lungo tutta la strada, dal primo all’ultimo giorno della loro unione.

Poche volte mi sono sentita così fiera di qualcuno in vita mia, nonostante non li conoscessi, hanno sempre fatto la cosa giusta, dal primo all’ultimo giorno.
Non hanno mai arrancato al passato, sempre sinceri con loro stessi, con noi, coi loro testi e, soprattutto, con le loro debolezze.

Fin dal primo album, con quella dolce rabbia di ragazzini incompleti, disagiati e infranti, combattendo dal primo momento per la loro felicità, hanno dimostrato ogni giorno di avere una forza così contagiosa da far innamorare milioni di persone delle loro caratteristiche.
Chiunque li ascolti non può rimanerne indifferente: hanno sempre fatto magie con le loro voci, nessuna eccezione.
Anche dopo tutti gli errori e gli inconvenienti, hanno reso le cicatrici e le ammaccature così insignificanti.
Niente è paragonabile rispetto a come hanno coinvolto gli adolescenti: un vero fenomeno, dalle caratteristiche vive e vissute.

Hanno continuato la loro strada con Three Cheers For Sweet Revenge, un album dove la rabbia inizia a diventare protesta: un inno a un idolo che ha aiutato ad assemblare ogni singola emozione di quei ragazzi senza la base morale di cui avevano bisogno, quell’aiuto che hanno reso loro, trasmesso a noi e regalatoci giorno dopo giorno.
E’ così che un album di sfogo diventa all’insegna dell’amore che una nonna può trasmettere, una more che chiunque può apprendere e distribuire.

Che dire di The Black Parade? Ancora un inno, ma non un grido qualsiasi, non una parte normale, L’Inno con la I maiuscola.
Non uno a caso, il più coinvolgente mai esistito, per me.
Perché non è la fine. Se The Black Parade è una voce alla vita dopo la morte, un motivo c’è.
Perché la morte, la chiusura di qualcosa, non è la fine, per quanto suoni scontato: è solo una parte travolta dalle circostanze, che resta viva, rossa e potente sotto alle macerie, che finirà per bruciare.
Così come loro, il ricordo non è spento, il grido non è soffocato e il messaggio non è assolutamente andato: loro vivono, ora più che mai.

Eccoci arrivati a Danger Days, dall’impostazione soddisfatta, dal carattere temprato e dall’energia totale: quest’album stravolge ogni loro genere, senza cambiare però il messaggio.

In quelle canzoni ho sentito la perfezione di un percorso.
La rabbia che sfuma in protesta, che arriva in proposta e che diventa vittoria.
Possiamo davvero pretendere di più da una cosa talmente perfetta?
Voglio dire, quanti sono davvero riusciti a farlo?
Con le raccolte di Conventional Weapons, siamo arrivati alla chiusura di un cerchio da sogno.
Ogni canzone è un tassello fondamentale del loro percorso, e avendo tempo passerei ore ad analizzarli, perché hanno davvero voluto dirci qualcosa di divero, ancora una volta.

The Light Behind Your Eyes dice tutto: dalla prima all’ultima parola, è l’angoscia, la tristezza, la continua voglia di mostrarsi vicini a noi, tutto questo simboleggia il mondo.
È normale che alla fine del percorso resti dell’amarezza, perché c’è un altro stravolgimento da affrontare, ma loro bruceranno di luce propria anche quando ogni candela sarà spenta, per accendere ogni singolo fiammifero e riportare vita e calore nel cuore, nello stomaco e tra i denti di ogni fottuto Killjoy, per dare ancora una voce che mai avrà fine.

Be strong, and hold my hand. 
Time becomes for us, you’ll understand. 
We’ll say goodbye today, 
And we’re sorry how it ends this way 
If you promise not to cry, 
Then I'll tell you just what I would say if I could be with you tonight.

 
My Chemical Romance è sempre esistito: non ha inizio, né fine, né luogo, né razza e tantomeno età.
È il concetto di lotta, lotta per il giusto, lotta per la libertà e, prima di tutto, è una battaglia per vincere ogni singolo vetro che specchia l’orrore del mondo.
My Chemical Romance is not a band: it is an idea.
 
 
Buon viaggio nuovi esploratori,
sarà un lungo e tortuosissimo cammino, ma resta il miglior momento per essere un passo avanti a ogni demone che ci stringe le caviglie per fermarci.
Questo non vuol dire che siamo giustificati a cadere, ma nemmeno che non possiamo farlo.
Solo trasformiamo la nostra protesta in proposta, la vittoria è ancora nostra.
 

“Fatality is like ghosts in snow and you have no idea what you're up against,
because I've seen what they look like. 
And as always, innocent like roller coasters.
Fatality is like ghosts in snow and you have no idea what you're up against 
because I've seen what they look like. 
Becoming perfect as if they were sterling silver chainsaws going cascading...
But there’s one thing they’ll never take from you.”

  
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