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Autore: Daisy Pearl    01/04/2013    3 recensioni
Una foresta buia, delle labbra carnose, un rito d'iniziazione, la caccia e la scoperta.
Un turbinio di immagini che porteranno ad un'unica grande verità: gli uomini sanno, gli uomini giudicano, gli uomini disprezzano ciò che è male.
Ma cos'è davvero il male se non la proiezione delle nostre paure?
Genere: Angst, Fantasy, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Avete presente quando non avete nulla da fare e vi mettete a fantasticare? A me capita spesso... prima di dormire, mentre cammino da sola, quando viaggio in treno. 
Riflettendo con un amico sono giunta alla conclusione che è un peccato che queste 'fantasticherie' vengano buttate via, che siano dimenticate, così ho deciso di scriverle.
Dopotutto così è nata 'Glances game' (L'altra storia che ho scritto), solo che sta volta ho in mente qualcosa di diverso. Glances Game era calcolata nei minimi dettagli tutto doveva combaciare alla perfezione, quando ho iniziato a scriverla sapevo già come doveva andare a finire.
Stavolta ho solo il punto di partenza, narrerò questa storia così come mi viene, senza sapere dove mi porterà. Magari sarà lunga, magari sarà corta, magari sarà bella, magari sarà brutta, se vorrete lo scopriremo insieme.
Il titolo andrà sicuramente modificato, se leggendo i vari capitoli vi verrà qualche idea sono pronta ad ascoltarvi!!


E con molta fantasia questo capitolo si intitola 1!!!
Perdonatemi!!

1


Richard si muoveva lentamente nella foresta. Metteva un piede dietro l’altro per proseguire il suo cammino e prestava attenzione a non fare il benché minimo rumore. Era certo che se qualcuno fosse stato lì a guardarlo lo avrebbe paragonato ad un leone che silenziosamente si avvicinava alla sua preda. Lo avrebbero visto come un ragazzo abile che annusava l’aria perché era capace di distinguere gli odori del bosco, lo avrebbero etichettato come aquila che perlustra il territorio di caccia. Si sentiva potente con l’arco in spalla e un mucchio di frecce che gli pesavano sulla schiena, si sentiva forte mettendo la mano sull’elsa della spada che gli pendeva dal fianco.
Credeva di evitare ogni singolo ramoscello che lo poteva indurre a fare rumore, credeva di schivare abilmente ogni ramo basso di quell’intricato sottobosco. Peccato che non si sia mai come ci si aspetta.
Effettivamente Richard, guardato da fuori sembrava un comunissimo ragazzo, magari un po’ più goffo rispetto alla media. Riusciva a calpestare tutto ciò che poteva renderlo noto agli animali della foresta che prontamente si erano tenuti a debita distanza da lui. Non aveva avvistato una preda, non aveva mai ucciso un singolo animale, sapeva solo usare bene arco e frecce, ma persino la spada era davvero troppo pesante per lui.
Così continuava ad avanzare lentamente, cercando di schivare rami e radici finchè non inciampò cadendo rovinosamente al suolo.
Sospirò mentre tutte le sue manie di grandezza andavano in fumo  e si sdraiò a pancia in su rivolgendo il suo viso verso le chiome degli alberi.
Chissà perché la comunità di Atrel obbligava i propri figli a ben tre riti d’iniziazione.
Il primo si teneva a 13 anni e aveva come obbiettivo l’apprendimento della pazienza e della sopportazione: i ragazzi si dovevano sottoporre a due giorni di digiuno completo, durante il quale dovevano meditare  e pazientare senza mai chiedere del cibo. La secondo prova si teneva a 15 anni e comportava l’insegnamento dell’altruismo: i giovani per una settimana dovevano provvedere a dare aiuto a chi ne aveva bisogno. Spesso accadeva che fossero sfruttati dalle anziane signore che approfittavano di tutta quella manodopera gratis e questo rendeva la seconda prova quella che tutti odiavano.
La terza invece doveva essere molto più semplice e comportava la sopravvivenza nella foresta: a 18 anni il ragazzo doveva aver appreso tutto ciò che riguardava la caccia e l’arte del cavarsela, perciò doveva andare a cercare una preda da solo, nelle insidie del bosco che si estendeva a nord di Atrel.
Per questa ragione Richard si trovava nella foresta, per cacciare la sua prima preda, solo che fino ad allora non aveva avuto molta fortuna.
Il vento muoveva le fronde degli alberi e le ombre iniziarono ad aumentare segno che stava giungendo la sera. Richard si rimise velocemente in piedi perché non aveva la benché minima voglia di passare la nottata il quel posto orrendo. Riprese la sua ricerca concentrandosi per captare un qualsiasi movimento o un qualsiasi rumore, tuttavia ciò che gli appariva dinnanzi erano ombre e cupi sfrusci che giungevano dalle sue spalle. Più volte si voltò di scatto con il cuore che gli martellava velocemente nel petto, se sentiva osservato. Gli avevano sempre detto che il bosco era pieno di occhi, ma lui l’aveva sempre reputata una sciocchezza che si usava per spaventare i bambini. Eppure lì, nel buoi crescente non gli sembrava pio una cosa così stupida. Chissà quanti animali stavano silenziosamente appollaiati sui rami e lo osservavano, chissà quanti lupi l’avevano fiutato e si trovavano lì nell’ambra ad aspettare un suo segno di debolezza. Improvvisamente si sentì osservato da migliaia di occhi invisibili che calibravano ogni suo movimento. Col calare della notte gli parve che i rumori aumentassero, lo scricchiolio causato dal vento somigliava così tanto al rumore di rami rotti dal procedere di qualcuno alle sue spalle; si voltò una volta, due, tre, ne perse il conto e iniziò a procedere più velocemente, ma nel tenere gli occhi puntati alle sue spalle non prestava attenzione a dove andava, così iniziò a sbattere contro tronchi nascosti da cespugli, ad inciampare e a cadere.
Ad un certo punto arrivò in una radura. L’ampio spazio gli diede l’illusione di essere al sicuro, di avere una visuale migliore. Cercò di calmare il ritmo accelerato del suo cuore con profondi sospiri, alzò gli occhi al cielo lasciandosi illuminare il volto dalla luce della luna calante. Doveva accendere il fuoco per tenere lontani gli animali che dovevano già essere sulle sue tracce, ma non aveva la forza di allontanarsi da quel piccolo spazio illuminato per tornare nel buio pesto della foresta a cercare rami secchi. Raccolse così la poca legna che trovò nella radura e ne fece un mucchio proprio al centro di essa.
Sospirò mettendosi a gambe incrociate di fianco alla piccola pira e iniziò a strofinare tra di loro due bastoncini, che sotto la pur debole pressione si ruppero.
Lanciò i due frammenti che gli erano rimasti tra le mani nel mucchio e sospirò cercando di non farsi prendere dal panico e di controllare la rabbia che pian piano lo pervadeva a causa dell’insuccesso del suo tentativo.
In quel breve momento di silenzio risentì i rumori che lo avevano spaventato nel buio della foresta. Si era illuso di essere al sicuro in quel piccolo spazio sotto il cielo aperto, ma comprese che non era così, sicuramente non sarebbe stata la luna a bloccare qualunque cosa fosse sulle sue tracce.
Si alzò in piedi e prese una decisione: dato che fino a quel momento non aveva trovato uno straccio di preda avrebbe aspettavo che la preda venisse da lui, anche se essa veniva nelle vesti del cacciatore. Con le dita sottili afferrò una freccia e la posizionò sull’arco tendendo la corda. Chiuse un occhio per prendere la mira ed essere pronto a scoccare la frecce al benché minimo rumore.
Forse passarono minuti o forse secondi, fu allora che un leggero scricchiolare giunse al suo orecchio. Fu così che il suo cuore aumentò i battiti e l’adrenalina gli annebbiò il cervello, fu così che finì per scoccare la freccia senza prendere bene la mira.
“Merda!” sussurrò riportando la mano alle sue spalle per afferrarne un’altra. Non appena l’ebbe tra le dita una sagoma saltò dal margine della radura verso di lui. Preso alla sprovvista la freccia gli cadde dalla mano, fece un passo indietro e inciampò nei suoi stessi piedi cadendo sul sedere. Cercò di raddrizzarsi poggiandosi sui gomiti, ma forse sarebbe stato meglio se non lo avesse fatto.
Una sagoma sottile si muoveva sul bordo dello spiazzo puntando su Richard i suoi occhi gialli che come fari spiccavano nella notte. Era un animale snello che si muoveva sulle quattro zampe, poteva essere una cane o un lupo a giudicare dalla sua corporatura, in ogni caso non era nulla di amichevole dal momento che gli stava girando attorno senza staccargli gli occhi di dosso. Come un cacciatore con la sua preda.
Richard non sapeva cosa fare, era lucido quel poco che bastava alla sua coscienza di impedirgli di fare movimenti bruschi o gesti affrettati che avrebbero potuto spaventare l’animale, o peggio che l’avessero spinto ad attaccare prima che il ragazzo fosse pronto per difendersi. Lentamente portò la mano sull’elsa della spada pronto ad estrarla.
L’animale si fermò e iniziò ad incamminarsi verso di lui inclinando la testa di lato come se lo stesse studiando da tutte le angolazioni.
“S- stai indietro!” tentò, come se il suo cacciatore potesse capirlo e decidere, così perché glielo aveva chiesto, di andarsene e lasciarlo in pace.
“Sono armato!” estrasse la spada lentamente e la pose di fronte a lui per rendersi minaccioso. La lama splendette alla luce della luna, ma l’animale non sembrò particolarmente spaventato dalla cosa, anzi, in tutta risposta chinò la testa dall’altro lato.
Il ragazzo iniziò a tremare mentre il suo campo visivo era occupato da quegli inquietanti occhi gialli. In un momento di rinnovato coraggio repentinamente si mise in piedi e mosse la spada di fronte a se per allontanare la bestia. Essa mosse due passi indietro prima di scoprire i denti e ringhiare. A Richard si accantonò la pelle e era così terrorizzato da non essere capace di fare nulla quando l’animale gli si lanciò addosso facendogli perdere l’equilibrio e facendolo nuovamente finire a terra.
Chiuse gli occhi pronto al colpo finale quando sentì altri passi. Mosso da curiosità aprì gli occhi e vide una sagoma nera stagliarsi al bordo della radura. Non era un altro lupo, come aveva temuto, ma era senz’ombra di dubbio un essere umano. Aveva una lunga mantella scura, che avrebbe potuto essere di qualsiasi colore, ma nel buio della notte a lui parve nera. L’indumento copriva la sagoma completamente dalla testa, con un cappuccio che gli impediva di scorgere il volto, fino ai piedi.
Il suo primo pensiero fu che era in salvo, questo però fu prima che udisse la risata che proveniva da quell’ombra, una risata femminile che gli mise più paura di quella avuta fino a poc’anzi.
Rabbrividì e cercò di sedersi per guardare meglio.
“Asgard! La cena è servita!” sussurrò lei molto divertita. Il lupo o cane che fosse rivolse il ringhio che poco prima stava rivolgendo a Richard in direzione della donna. Un secondo dopo fece sparire i denti e piegò la testa in avanti in una specie di inchino rispettoso.
La donna fece lo stesso con un lieve cenno del capo prima di muovere qualche passo in direzione del ragazzo.
“Bene, bene, bene, chi è questo ragazzo che coraggiosamente si aggira nella notte?” il suo tono lasciava trasparire dello scherno, accentuato sulla parola ‘coraggiosamente’, ma Richard era troppo terrorizzato per offendersi.
La donna si piegò sulle ginocchia rivelando una gamba fasciata da stretti pantaloni che potevano essere di pelle a giudicare dalla fioca luce che illuminava la radura.
Lei avvicinò il suo viso a quello del ragazzo prima di raggiungere il suo orecchio “Ti ho fatto un a domanda!” sussurrò. Quando si allontanò da lui egli potè vederle solo le labbra piene perché il resto del viso era avvolto dall’ombra che il cappuccio gettava su di esso.
Richard deglutì e provò a parlare, ma dalla sua bocca uscì solo un suono gutturale e spezzato.
La donna si rimise in piedi sollevando le labbra in un sorriso sinistro.
“Hai sentito Asgard? Il ragazzo parla come te!” rise prendendosi gioco della sua paura. Il lupo mugugnò come se le stesse dando ragione.
“Peccato che io non ti capisca Asgard!” finse un tono dispiaciuto mentre si avvicinava all’animale. Posò una mano sul suo capo e lo accarezzò dolcemente prima di chinarsi e dire al suo orecchio, in modo tale che anche Richard potesse sentire: “Dato che il ragazzo non ha nulla di interessante da dire puoi finire il tuo pasto!”
Richard sgranò gli occhi e si morse la lingua per costringersi a parlare. Mentre iniziava a sentire il sapore del sangue rispose alla domanda rivoltagli poco prima.
“M-mi chiamo Ri-richard!” sussurrò.
La donna si voltò verso di lui mostrandogli i denti in quello che doveva essere un sorriso.
“Ririchard!” assaporò il suo nome come se fosse una pietanza succulenta, beffeggiandolo ripetendo, come aveva fatto lui, due volte la prima sillaba.
“Che nome virile!”rise “E da dove vieni Ririchard?”
“Da Atrel!”
“Mmm Atrel, molto interessante! E cosa ti porta qui?”
“Il terzo rito di iniziazione!”
“Ahahah il terzo rito di iniziazione! Fanno ancora certe cose ad Atrel? Pensavo che col tempo si sarebbe evoluta la cittadina! Invece stolti eravate e stolti rimarrete!”la sua voce lasciò trasparire un po’ d’astio.
“E cosa dovrei farne di te, Ririchard di Atrel?”
“Lasciarmi vivere?” tentò lui.
La donna rise facendolo rabbrividire nuovamente.
“E perché dovrei? Hai cercato di uccidere Asgard! Occhio per occhio!”
“Ma non è s-successo!”
Il sorriso sulla bocca della donna si spense.
“Ma sarebbe potuto succedere!”
Il silenzio divenne assordante mentre lui percepiva lo sguardo della donna su di se, pur senza riuscire a vedere i suoi occhi.
“Ti lascerò, mmm vediamo … cinque clessidre di vantaggio!” distese il palmo della mano sul quale apparve una clessidra, capovolse la mano e la clessidra ondeggiò davanti a lei senza essere sorretta da nulla se non dall’aria. Richard rimase ipnotizzato un secondo dal cadere dall’alto verso il basso della sabbia.
“Allora cosa stai aspettando? Corri!” gli ordinò assaporando quelle parole.
Richard sgranò gli occhi e in un attimo si mise a correre verso il bosco ansioso di mettere il maggior numero possibile di alberi tra la donna e lui.
Corse a perdifiato per delle ore sentendo il bosco che prendeva vita, sentendosi osservato, avendo la consapevolezza di essere seguito da quei terribili occhi gialli e da quella risata sinistra.


Spero che lo stile non sia troppo semplice, non sono molto abituata a scrivere in terza persona. E poi ho una grande paura: dicono che chi faccia ingegneria pian piano diventa un'analfabeta, spero davvero di non diventarlo anche io XD (sempre se non lo sono già diventata)
Al prossimo capitolo :)
Daisy
   
 
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