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Autore: Orient_Express    02/04/2013    7 recensioni
[…] questa sera salirà su un treno che percorrerà in notturna mezza nazione per raggiungere il suo sperduto paese di montagna di duemila anime e busserà ad ogni porta chiedendo di lui pur conoscendo solamente il suo nome e l’aspetto fisico finché qualcuno non gli dirà dove trovarlo.
Potrebbe non vivere più lì, potrebbe averlo dimenticato da mesi, potrebbe essere la cosa più stupida della sua vita, ma è decisamente una cosa abbastanza stupida da farlo sentire vivo.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Max Changmin, U-Know Yunho
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Note dell’autrice:
Buongiorno a tutti =)
Solo due parole su questa oneshot: ho sempre pensato che se mai avessi visto qualche idol dal vivo, poi non sarei più riuscita a scrivere fanfic con quegli stessi idol come protagonisti. Ovviamente, quattro giorni dopo l’SMTown in Paris del 2011 è nata questa storia xD Giusto per dire che la coerenza non è la mia maggiore qualità <.< (In realtà, ho anche sempre pensato che sarei morta non appena li avessi visti, e invece eccomi qui <.<)
Questa fanfic è stata ideata in una sera d’eclissi lunare e lo ricordo ancora come fosse oggi.
Vorrei ringraziare mia sorella per avermi dato dei consigli durante l’ideazione della trama, quella sera; inoltre, dedico questa fanfic a Kleos_8, che ha detto quelle poche parole, quelle giuste, che mi hanno convita a postarla, e a d_motion, che ama la coppia.
So che i denti di Yunho nella realtà non sono così dritti! O di certo, non lo sono stati in passato… Forse per questo mi sono presa la licenza poetica di farglieli avere più dritti, in questa storia: non gli manca altro per essere perfetto T.T
Bene, vi lascio al racconto.
Ringrazio chi vorrà fermarsi a leggere, spero che sia di vostro gradimento
 =)





Ogni volta che guida non può evitare di pensare questa cosa: l’automobile si guida con i piedi, non con le mani. Certo, le mani danno la direzione e cambiano le marce, ma se si riesce a viaggiare è solo perché i piedi premono il pedale del gas, o quello del freno per fermarsi. Trova che sia molto strano usare una parte del corpo generalmente sottovalutata per fare una cosa di tutti i giorni come guidare, perché di solito nessuno sa fare nulla o quasi con i piedi. Beh, a parte camminare. Allora, in questo senso forse invece è molto normale usare i piedi per viaggiare: camminare o premere pedali non sembrano azioni poi così diverse se la si guarda così…
Sta pensando a questo anche ora, mentre guida e torna casa cantando a squarciagola le canzoni del lettore CD, col finestrino un po’ abbassato anche se è gennaio e fa proprio freddo. Gli piace sentire l’aria fredda sul viso che lo tiene sveglio, perché questa notte ha fatto un po’ tardi e ha paura di addormentarsi e poi fare un incidente.
Nell’abitacolo si diffondono le note lente e intense di una canzone, si sovrappongono a quelle pop del lettore CD. È la sua canzone preferita che ha impostato come suoneria degli sms: canta anche quella, alternata alla canzone che stava ascoltando prima che gli arrivasse il messaggio.
Quando finisce la suoneria afferra il cellulare per leggere.
È una cosa che di solito non fa, perché quando guida gli piace restare attento e sentirsi sicuro, ma questa volta non ci pensa proprio, ha come la sensazione che potrebbe essere un messaggio importante.
Legge il mittente: Yunho.



     -Ma tu a quel messaggio non hai neanche risposto!!- lo spinge via, poi si volta di scatto e afferra la maniglia per sbattersi la porta alle spalle, ma Changmin si aggrappa alla manica del suo pullover, consapevole di non avere la forza sufficiente per bloccare la porta.


***


Changmin è abbastanza carino ma ha un fisico strano. È molto alto, ha il petto piuttosto ampio ma le spalle non sono particolarmente larghe, e ha le gambe magre. È una magrezza che non attrae ma non impietosisce nemmeno. Però ha un bellissimo naso, una rampa di lanciocosì dice la sua migliore amica. (Ma è una ragazza un po’ strana e lui non ha mai capito cosa volesse dire.) Le mani, probabilmente, sono la parte più interessante del suo corpo: anche da ferme sembra stiano raccontando una storia. Sono mani da uomo.
Anche Yunho ha le mani così, ma tutto il resto è completamente diverso. Ha un fisico più proporzionato e solido, corporeo. E due file bianchissime di denti perfetti. È proprio maschio, sembra molto virile e molto gay.
È una sera d’agosto, lungo le sponde d’un lago c’è un campeggio e in questo campeggio c’è questo ragazzo di nome Changmin che, davanti alla tenda, alza gli occhi dal libro, interrompendo la lettura per perdersi nei propri pensieri. Pensa sempre molto, e ora pensa ai denti. Pensa che non ha mai incontrato nessuno di cui gli piacessero davvero i denti e pensa anche che forse sarebbe capace di rinunciare a un buon partner per colpa dei denti. Certo, a meno che non si innamori… Ma se i denti sono belli è tutto più facile. Non basta che siano bianchi. Non basta neanche che siano dritti. Devono essere proporzionati tra di loro e con il resto della bocca e devono essere l’unica cosa che si vede quando una persona sorride: le labbra non dovrebbero mai scoprire la gengiva. Gli piace che formino una linea dritta ma non devono essere troppo lisci, né troppo seghettati… Non gli viene in mente un'altra parola.
Yunho ha davvero dei bei denti. 
Pensa questo mentre lo guarda chiacchierare con delle ragazze del loro gruppo, a una decina di metri da lui.
Insomma, lo guarda ma non lo guarda davvero, lo guarda ma pensa ai denti, e pensa ai denti perché pensa sempre molto e forse per questo gli piace stare in compagnia ma gli piace anche stare da solo. Forse per questo sa come si chiama questo ragazzo dai denti bellissimi e sa come sono belli i suoi denti ma non gli ha mai davvero parlato prima. Forse non gli ha mai parlato perché ha passato tutta la vita a pensare, cioè, perché ha passato quelle poche settimane di campeggio a pensare ai denti. A volte crede che ci sia qualcosa di autistico in questo proprio modo di relazionarsi col mondo, ma non può fare a meno di pensare che si sente davvero vivo solo quando pensa, non può fare a meno di pensare, e basta.
Yunho ha salutato le ragazze, si avvicina e gli si piazza davanti, in piedi, gli punta lo sguardo dritto nel fondo degli occhi:
    -Ho notato che in questi ultimi giorni mi hai guardato molto.
Changmin alza un sopracciglio, è sorpreso e divertito.
    -Devi avermi guardato molto anche tu, sennò come potevi capirlo?
Pensa molto ma ha la risposta pronta.
Yunho sorride e abbassa lo sguardo sul libro.
    -Cosa stai leggendo?
Changmin gli mostra la copertina, reggendo il libro tra l’indice e il medio e lasciando il pollice tra le pagine a tenere il segno.
    -Ma… che lingua è?!
    -Italiano.
    -Ita…
    -È la lingua parlata in Italia.
    -E dov’è l’Italia?
    -È in Europa!
    -Ah- sgrana gli occhi -Ah…!- ripete, come se capisse solo ora la distanza.
    -Già.
    -Ma ci sei mai stato?- gli brillano gli occhi.
    -No…
    -E… scusa, eh… ma capisci quando leggi?
    -Mah, è un libro abbastanza facile…- viene interrotto:
    -E dimmi qualcosa in Italiano.
    -Qualcosa in Italiano…- guarda in alto e ci pensa un attimo, poi, come assorto: 
    -Prima che tu vada, vorrei parlarti ancora una volta... Ma se anche potessi, non saprei cosa dire...
    -Cos’hai detto?
    -È una canzone… Te la faccio sentire?
    -Dai!- gli si siede accanto, allunga le gambe e fa perno con le mani dietro di sé per restare stabile.
Changmin gli infila l’auricolare destro nell’orecchio e fa partire la musica; Yunho chiude gli occhi e inclina la testa da un lato.
Finita la canzone sfila l’auricolare:
    -È un cantante molto giovane, vero?
    -Ha la nostra età, più meno. Sui ventiquattro, credo…
    -Mi sto chiedendo… come faccia una persona tanto giovane a produrre suoni così strani…
    -Non ti capisco… Poi, in realtà è una lingua dalla fonetica abbastanza semplice.
    -Ma non parlo di questo. Non so spiegarti… Sono proprio rumori buffi, mi dà una strana sensazione pensare che qualcuno ascoltando questa canzone possa percepire un messaggio… ed è anche un messaggio profondo, no?
    -Sì…
    -Se penso che è una persona giovane a parlare, mi sembra ancora più strano.
    -Tu sei proprio strano.
    -Allora sto per dirti una cosa che mi farà sembrare ancora più strano.
    -Spara.
    -Bang!
    -Idiota.
    -Ahah. Dai, ascoltami.
    -Se parli…
   -Sì. C’è questa cosa… io… vedo i colori. Cioè, no, aspetta, non li vedo, vedo i colori che vedi tu, e va bene, però… Quando sentivamo la canzone, io vedevo blu. Beh… Aah, non riesco a spiegarmi. Allora, ricominciamo. A livello visivo, sai, di occhio, vedo esattamente gli stessi colori che vedono tutti, ma ci sono alcune cose a cui associo istantaneamente un colore. Si tratta di cose come le lettere o i numeri, e soprattutto le vocali, o anche… i giorni della settimana, i mesi… le stagioni… Poi, che altro… I numeri… Li ho già detti, i numeri? I nomi propri, a volte, alcune voci e anche alcune persone. E le canzoni, quasi tutte. È qualcosa a metà tra dire che li vedo e dire che li invento. Li vedo nella testa, ecco, li visualizzo… Ma non li invento perché se fosse così potrei inventare qualunque cosa, mentre invece associo sempre un solo colore a ogni cosa, e mi dà fastidio pensare che qualcuno possa scambiare questi colori. Ecco, diciamo che spesso il colore è la prima cosa che mi viene in mente quando penso a una tra le cose che ti ho detto… Quindi, associo alla canzone che mi hai fatto sentire il blu e se mi dicessero che è rosa questo mi farebbe incazzare, perché non esistono banane fucsia, no? Le banane sono gialle e basta e questa canzone è blu e basta. E il marrone è il colore più virile che posso pensare, ma non lo uso quasi mai.
Changmin lo guarda con gli occhi sbarrati. E lui che pensava di essere un tipo particolare…!
    -Ma certo che tu sei strano forte, eh!
    -E tu sei proprio stronzo!
    -Ehi!
    -No, scusa.
    -Niente… Allora, con me che colore vedi?
    -Color sughero.
    -Eh?! Ma che colore è??
    -Sì, quando parli vedo questo marroncino un po’ strano… Ma non è il marrone virile, eh!
    -Grazie tante…!- sarcastico.
    -È la tua voce… Perché il tuo nome è bianchiccio.
    -Oddio, ma sono colori proprio strani.
    -Hai mai pensato di cantare?
    -Ahah, ma no!
    -No?
    -No…!- come se fosse ovvio.
   -Comunque, dare un colore alle persone è la cosa più difficile, perché ci riesco solo prima di sapere il loro nome e prima di sentirle parlare, sennò queste altre due cose hanno il sopravvento. E comunque, anche in quel caso non succede spesso.
    -Però, ma senti che storia…! È stata una chiacchierata interessante.
    -Ahah, non ne dubito!- gli fa l’occhiolino.
    -Già! Ora… Ti offendi? Vorrei finire questo libro.
    -Sì, ti lascio leggere. Ci sei domani al torneo di pallavolo?
    -Mah, forse… Non sono un tipo sportivo.
    -Dai, ti aspetto lì.
    -Vedremo…
    -Lo prenderò per un sì. Buonanotte!
Si allontana.

 

“Muovo la mano. È davvero la mia mano? Provo ad aprire e chiudere le dita. 
Alcuni hanno una consapevolezza del proprio corpo che la maggior parte delle persone non conosceranno mai: i tuffatori, ad esempio, o i ballerini o gli atleti. In ogni istante conoscono ogni parte del proprio corpo e sanno come muoverla. Mi viene in mente… i pettorali. Ma chi sa davvero cosa sono i pettorali? Voglio dire, nessuno pensa mai davvero ai propri pettorali quando vive, ma loro sanno muoverli… Vivono il corpo in un modo completamente diverso dal mio. 
Io… io non so neanche cos’è la punta delle mie dita.”



Changmin pensa sempre molto ma parla anche molto.
Forse per questo gli piace stare da solo ma, quando trova le persone giuste, gli piace molto anche stare in compagnia.
Con Yunho ha parlato tanto, nei giorni successivi alla loro prima chiacchierata: hanno parlato dopo il torneo di pallavolo e durante le escursioni e alle cene organizzate con tutti gli altri intorno al falò. 
Durante una di queste sere a Yunho è successa una cosa strana.
Changmin era seduto vicino a lui e stava facendo qualcosa col suo cellulare all’ultima moda, poi si è alzato per andare in bagno lasciandolo appoggiato sulla panchina. Dopo due minuti gli è arrivata una chiamata e Yunho l’ha preso in mano per rispondere e dire alla madre che suo figlio era in bagno. Insomma, essendo davvero negato con la tecnologia e con lo schermo touchscreen in particolare, è successo che ha sbagliato tasto ed ha aperto la galleria delle immagini (la chiamata nel frattempo era terminata, o forse l’aveva proprio chiusa lui per errore). Per un paio di secondi è rimasto senza fiato, ad occhi sbarrati davanti ad una foto molto… particolare…
Il soggetto era Changmin, senza dubbio, ed era nudo.
Senza dubbio.
Era in posa, visto di fronte, o quasi: puntava le ginocchia a terra e faceva pressione sulla stoffa blu con le dita dei piedi. Le cosce formavano un angolo retto con il pavimento, aveva le mani appoggiate dietro la nuca e i gomiti bene aperti: anche i peli ascellari avevano qualcosa di sessuale, forse perché richiamavano così esplicitamente i peli del pube. Non guardava in faccia la macchina fotografica: aveva il viso appena inclinato verso il basso, a sinistra, e il busto leggermente piegato nella stessa direzione. La luce era impietosa e la qualità dell’immagine altissima.
Senza malizia, solo sorpreso dalla scoperta, Yunho ha scorso le immagini successive, meno esplicite: in una era sdraiato su quella stessa stoffa con le spalle bene aderenti al pavimento, rivolgendo all’obiettivo il lato sinistro. La gamba sinistra era piegata, in modo da appoggiare il piede sulla stoffa e, allo stesso tempo, puntare il ginocchio verso il soffitto. Così, la coscia copriva ciò che nella foto precedente era invece mostrato senza pudore (e poteva permetterselo, si ritrovò a pensare). Il braccio sinistro era adagiato sul pavimento con il palmo rivolto verso alto e il destro piegato dietro la testa. Il viso guardava il soffitto, mostrando la linea del naso che ricordava vagamente quella della gamba piegata. In un’altra era sempre sdraiato, appoggiato sul fianco sinistro, e la foto era stata scattata dall’alto. Teneva le gambe piegate e appena divaricate, il braccio destro era allungato sull’inguine e c’era qualcosa di discordante tra quella mano che si copriva, quasi si vergognasse, e lo sguardo che sfidava esplicitamente lo spettatore, guardandolo questa volta negli occhi.
    -Ehi, ti sei incantato?
Una ragazza, incuriosita, ha allungato lo sguardo sul cellulare e lui, senza neanche sapere come, è riuscito a chiudere tutto.
Changmin, che nel frattempo era tornato chissà da quanto, ha teso il braccio in avanti per riavere il telefono.
    -C’è nulla che ti interessa?
    -No… no, niente. Non ci capisco niente di tecnologia.
Ma non poteva fare a meno di sentirsi imbarazzato e anche, all’improvviso, stranamente sudato.
Poi, altre volte, quando sono rimasti soli, hanno anche parlato di cose un po’ strane, cioè di quei pensieri che a Changmin vengono in mente, a volte, e che altri hanno definito strani, mentre Yunho invece gli ha detto questa cosa molto bella: tu fai domande strane... Cioè, no, fai domande normali ma poi chiedi se sono strane e questo è... strano...
Beh, era quasi ubriaco. Però gli è sembrata comunque una cosa bella perché ha incontrato qualcuno che trova normali le cose che gli vengono in mente, forse perché anche a lui vengono in mente cose così strane ogni tanto.
Sta di nuovo pensando troppo.
    -Hai di nuovo avuto un pensiero?- Yunho gli schiocca le dita davanti alla faccia -Sei tra noi?
    -Sì, pensavo…
    -Ma dai?- con tono ironico.
    -Certo che non sono molte le cose che si possono fare quando si è in due, no?
    -Poi se uno dei due si mette a pensare, sono ancora di meno.
    -Ma no, voglio dire: se stiamo insieme con uno scopo preciso, per fare qualcosa di specifico, insomma, con un obiettivo, allora va bene. Ma sennò, si può solo parlare… Certo, alcuni stanno bene insieme anche in silenzio, ma io credo che serva molta intimità e confidenza.
    -Si può anche fare sesso. Beh, anche per quello servono intimità e confidenza.
    -Vuoi fare sesso?
    -Sei serio?
    -Tu sei serio?
    -Ma che c’entra?
    -Non so, tu l’hai detto.
    -Lascia perdere.
    -Guarda che non c’è bisogno di questi discorsi per sentirsi in imbarazzo, basta quello che stiamo facendo…
    -Non ti piace?
    -Solo io e te, fa molto gay.
    -E non ti piace?
    -Sì invece, mi piace.
Sono sdraiati sul prato a guardare le stelle.
Yunho allunga un braccio e gli preme la punta delle dita sull’indice della mano sinistra, un tocco leggero per attirare la sua attenzione. Changmin ha il palmo della mano rivolto verso il cielo e non fa una piega, non si muove.
    -Io… ho visto le foto. Quelle foto.
    -Ah… Capisco.
    -Chi te le ha fatte?
    -È un mio amico, vuole diventare fotografo.
    -E perché?
    -Beh, perché è il suo sogno.
    -No, perché te le ha fatte.
    -Perché io gli ho chiesto di farlo…
    -E perché gli hai chiesto di farlo?
    -Perché mi andava. Perché l’essere umano è irrazionale e a volte fa cose strane solo perché gli va.
    -E non le usi su qualche sito strano per attirare partner, vero?
    -Ahah, ma io non ho bisogno di foto di nudo per attirare partner! Tu invece non hai mai pensato di farne?
    -Devo ricordarti che vivo in uno sperduto paese di montagna di duemila anime? Io non riuscirei neanche a pensare di fare una cosa così… E poi, se si sapesse sarebbe uno scandalo!- ridacchia -Voglio dire, io non mi considero una persona ottusa, o all’antica, ma il posto in cui viviamo ci condiziona e il fatto che tu viva in una grande città sicuramente ti ha… elasticizzato, sì?, mi capisci?, le vedute.
    -E pensi di vivere lì per sempre?
   -Scherzi? Anche volendo, non potrei… Che futuro c’è? Trovo che questo sia molto triste… Già con l’università passo meno tempo a casa… Comunque, dopo la Laurea cercherò lavoro in qualche città… Forse anche nella capitale.
    -Allora, in quel momento potrai posare per delle foto di nudo!
    -Ahah, sì, potrei!
    -Credo che chi ha un bel fisico non dovrebbe vergognarsi… Che senso ha coprirlo?
    -Allora pensi d’avere un bel fisico!
    -Penso che tu abbia un bel fisico.
    -Ah. Grazie…
    -Di nulla.



“Mi ricordo di quando andavo in gita scolastica e camminavamo per ore. Un secondo prima i miei piedi non esistevano e poi all’improvviso iniziavano a fare male. E quando facevano male sembrava che non avrebbero mai smesso di fare male e non riuscivo proprio a ricordarmi come fosse avere dei piedi che non facessero male… Ma ripensando a quando invece non facevano male, mi rendo conto che in quei momenti non sentivo nulla di particolare: l’assenza di dolore implica forse questo? Si può solo provare dolore oppure non provare nulla? Credo di no, perché se si chiede ad una persona normale che non sta provando dolore di focalizzarsi sui propri piedi, immagino che sappia cosa siano… Per me ora è come se non facessero parte del mio corpo. Ma i medici dicono che i primi tempi è normale.”



Sono rimasti soli accanto al fuoco.
Per Yunho è l’ultima serata della vacanza, ha già le valigie pronte e domani mattina partirà presto.
Ormai agosto è quasi finito, l’aria si fa già più fresca ma attorno al falò si sta bene ed è piacevole restare seduti a chiacchierare come hanno fatto tante volte durante quelle settimane. 
Changmin attizza il fuoco e ha un pensiero:
    -Prima che tu vada, voglio proporti un gioco.
    -Dimmi.
    -Hai presente quei film dove due personaggi si fanno le domande? Ecco, io faccio una domanda a te e tu ne fai una a me e così via. È solo un giochino stupido, ma l’ho sperimentato e ti assicuro che si possono scoprire cose nuove anche di persone che pensavi di conoscere bene…
    -Dai, giochiamo.
    -Però ci sono delle regole: prima di tutto, la risposta è obbligatoria, e cerca di essere sincero, sennò è tutto inutile! Poi… si può rispondere anche solo “sì/no”, ma gli approfondimenti sono graditi- sorride -E non puoi rigirarmi la stessa domanda che ti ho già fatto io se prima non me ne fai un’altra che inventi tu.
    -Okay, ho capito. Inizia tu.
    -Inizio io?
    -Inizi tu.
    -Mmh, allora… La cosa più vergognosa che ti è successa.
    -Ma non è una domanda!
    -Qual è la cosa più vergognosa che ti è successa?- ghigna -Ogni frase può essere trasformata in una domanda.
    -Che ti sghignazzi? Dunque… stavo ballando nudo per casa cantando come un matto facendo finta che la scopa fosse l’asta di un microfono. Insomma, avevo lasciato le chiavi sulla porta.
    -No!
    -Giuro!- scoppia a ridere -E non vuoi sapere chi è entrato!
    -No che non voglio!- ride anche lui.
    -Okay, tocca a me.
    -Vai.
    -La storia d’amore più bella della tua vita?
Changmin guarda un attimo le fiamme. È serio e tranquillo.
    -Quella che devo ancora vivere. Tocca a me.
    -Ma…!
    -Tocca a me. Hai mai fatto qualcosa di stupido solo per sentirti vivo?
    -Sì, ho rimorchiato una persona sul treno e poi sono andato a cercarla nella sua città solo perché in quel periodo mi annoiavo. Volevo fare una di quelle cose che avrei potuto poi raccontare, nel momento in cui qualcuno mi avesse chiesto: raccontami una cosa particolare che hai fatto. Non so se mi sono spiegato…
    -Sì, ho capito che vuoi dire. Mi viene in mente una cosa. Una volta…
    -Ma tu hai sempre un aneddoto per tutto!- sorride.
    -Tu hai fatto qualcosa solo per avere poi un aneddoto da raccontare…!
    -Giusto… Una volta?
    -Ho visto un film. Questo ragazzo e questa ragazza s’incontrano sul treno. Tra l’altro, fanno anche il gioco delle domande! Insomma, passano insieme tutto il giorno e tutta la notte e poi alla mattina si separano e si promettono di rivedersi dopo sei mesi allo stesso binario. Ma non so se poi l’hanno fatto… Beh, era un bel film.
Si guardano.
    -Okay, non c’entra niente!- Changmin scoppia a ridere -Insomma, mi è venuto in mente quando hai detto del treno…
    -Facciamolo anche noi.
    -Mh, cosa?
    -Rivediamoci qui l’anno prossimo.
    -Va bene! Lo stesso periodo?
    -Certo. Ora, la mia domanda.
    -Stiamo ancora giocando?
    -Stiamo ancora giocando. Verrai?
    -È questa la tua domanda?
   -Sì, è questa. Voglio dire, verrai davvero? Non rispondermi subito, pensaci un attimo, cerca di immedesimarti nel te stesso dell’anno prossimo e dimmi se pensi davvero che il fatto di venire qui farà parte della tua vita oppure no. E pensaci bene, perché non sopporto chi prima dice sì e poi non onora la parola data- Yunho usa parole molto importanti.
Un attimo di silenzio.
    -Verrò.
Si scambiano i numeri di cellulare ed una promessa.
 

***


Ogni volta che guida non può evitare di pensare questa cosa: l’automobile si guida con i piedi, non con le mani. Certo, le mani danno la direzione e cambiano le marce, ma se si riesce a viaggiare è solo perché i piedi premono il pedale del gas, o quello del freno per fermarsi. Trova che sia molto strano usare una parte dei corpo generalmente sottovalutata per fare una cosa di tutti i giorni come guidare, anche perché di solito nessuno sa fare nulla o quasi con i piedi. Beh, a parte camminare. Allora, in questo senso forse invece è molto normale usare i piedi per viaggiare: camminare o premere pedali non sembrano azioni poi così diverse se la si guarda così…
Sta pensando a questo anche ora, mentre guida e torna casa cantando a squarciagola le canzoni del lettore CD, col finestrino un po’ abbassato anche se è gennaio e fa proprio freddo. Gli piace sentire l’aria fredda sul viso che lo tiene sveglio, perché questa notte ha fatto un po’ tardi e ha paura di addormentarsi e poi fare un incidente.
 

Prima che tu vada, oh, prima che tu vada…


È la sua canzone preferita che ha impostato come suoneria degli sms: canta anche quella, alternata alla canzone che stava ascoltando prima che gli arrivasse il messaggio.
Quando finisce la suoneria afferra il cellulare per leggere. (È una cosa che di solito non fa, perché quando guida gli piace restare attento e sentirsi sicuro, ma questa volta non ci pensa proprio, ha come la sensazione che potrebbe essere un messaggio importante.)
Non riesce a tenere ben salda la mano che lascia sul volante e inavvertitamente fa troppa pressione verso il basso; la macchina finisce contromano.
Legge il mittente: Yunho.
Il problema è che le automobili possono accartocciarsi e la fisica non tiene conto dell’uomo.


***


Socchiude gli occhi, la luce accecante gli provoca un dolore acuto che lo costringe a richiuderli.
Li riapre più lentamente.
Non riesce a mettere bene a fuoco… Si sente le palpebre completamente appiccicose, gli occhi sono gonfi come due rospi. Questo pensiero gli fa davvero schifo.
Quando si dorme qualche notte fuori casa a volte succede che al mattino, per un secondo, non ci si ricordi di aver cambiato letto.
Si sente proprio così, il soffitto bianco non sembra quello di casa sua ma non ricorda proprio dove potrebbe essere andato a dormire…
Prova dolore in tutto il corpo e ha un sapore terribile in bocca.
Sua madre scoppia a piangere.
Volta lentamente il viso verso sinistra e la porzione di spazio che riesce a vedere aumenta, insieme ad un senso di vertigine e alla nausea che gli stringe la bocca dello stomaco. È sua madre, certo, ha urlato qualcosa e ora gli stringe la spalla con una mano, con l’altra si copre il viso e piange.
Vorrebbe chiedere: perché piangi...?, ma dalle labbra secche e spaccate esce solo un rantolo strano.
Ma quella voce dall’oltretomba non può essere la sua voce…
Una musica gli colpisce l’orecchio.


Ma se anche potessi, non saprei cosa dire…


Il suo stereo, poggiato su un comodino che non è il suo, canta la sua canzone preferita.
C’era qualcosa… che doveva fare… un messaggio…
    -Il… cellulare…- riesce a biascicare.
    -Ma che cellulare…?
È la sua migliore amica, gli stringe la mano destra con entrambe le mani e piange anche lei.
    -È andato distrutto… 
E a questo punto deve aver fatto un’espressione strana, forse confusa, perché lei non riesce a trattenere un singhiozzo e tra le lacrime balbetta:
    -Hai avuto un incidente…!


La consapevolezza colpisce allo stomaco come un mattone.
Tra mille pensieri che non riesce ad afferrare, che non riesce a razionalizzare, una vocina da qualche parte dentro di sé gli sussurra l’amara verità: l’unico mezzo che avevano per comunicare era stato la causa dell’incidente e in quell’incidente era andato perduto.
 

***


Ha dovuto ricucire due lembi di vita separati da pochi giorni di vuoto, pochi giorni che hanno cambiato tutto.
Quella notte la sua automobile è stata colpita da un camion, deve aver sbattuto la testa perché il trauma cranico gli ha fatto perdere i sensi lasciandolo privo di conoscenza per qualche giorno, fino al suo risveglio in ospedale. Pieno di lividi, tagli, ematomi, con un braccio rotto malamente ed una vertebra incrinata.
Ma lui di tutto ciò non ricorda nulla.
Vuoto.
Un attimo prima afferrava il cellulare, leggeva il suo nome, e un attimo dopo si sentiva molto peggio che dopo le più brutte sbornie della sua vita, sdraiato con il braccio ingessato senza capire come ci fosse arrivato.
I mesi successivi… sono stati faticosi. La vertebra l’ha costretto a letto, immobile, per settimane, e anche dopo aver ripreso a muoversi i controlli in ospedale sono stati numerosi, compresi quelli per i danni cerebrali.
È stato fortunato, i medici l’hanno detto subito e nel corso dei mesi l’hanno confermato, e quando si guarda allo specchio ne è convinto anche lui: non ha perso neanche un dente, il viso non è sfigurato, ha solo una leggera cicatrice sulla tempia sinistra.
È stato fortunato.
Ha rischiato di morire ed è sopravvissuto e non ha la minima idea di cosa questo voglia dire, perché non ha consapevolezza di quell’incidente in cui ha rischiato la vita e che sembra non far parte di quella vita e che tuttavia l’ha cambiata.
Però non è stato facile riappropriarsi del proprio corpo, ricominciare a camminare, muovere la mano… Non è sempre facile riconoscere questo corpo come proprio. Per questo lui e i suoi genitori sono seguiti da un’equipe di psicologi, due volte a settimana. A volte pensa a quei pochi giorni in ospedale in cui non ha vissuto e si chiede… Chi lo lavava? Quali tubi profanavano il suo corpo? Quel corpo in cui si era sempre sentito se stesso e che non aveva mai avuto timore di mostrare… È difficile ricominciare a volersi bene.
Cosa penserà Yunho del suo corpo, adesso?
È una sera d’ottobre, si trova in stazione mentre riflette sui mesi passati e ripensa a tutto questo.
La riabilitazione è stata lunga e non è riuscito a raggiungerlo al campeggio, in agosto.
Non aveva nessun modo di avvertirlo e in internet non c’era traccia di lui.
Per questo ha deciso di fare quello che sta per fare, ora che riesce di nuovo ad essere autosufficiente e a vivere come tutte le persone normali. Sua madre non ne è stata molto contenta, ma ha capito che per lui era importante e alla fine ha acconsentito a lasciarlo partire. Probabilmente aveva ragione lei: non è ancora pronto, si sente debole e sa di essere dimagrito molto, deve fare parecchia pena; ma l’incidente l’ha cambiato.

“Non voglio più dire no alla vita, non voglio più censurarmi o autofrenarmi, voglio prendere fin dove riuscirò a prendere e, finché il mondo non mi sbatterà in faccia un rifiuto, io voglio solo andare avanti. Non riuscirei a sopportare l’idea di aver perso qualcosa d’importante solamente perché non ho avuto il coraggio di provarci.”

Per questo, questa sera salirà su un treno che percorrerà in notturna mezza nazione per raggiungere il suo sperduto paese di montagna di duemila anime e busserà ad ogni porta chiedendo di lui pur conoscendo solamente il suo nome e l’aspetto fisico finché qualcuno non gli dirà dove trovarlo.
Potrebbe non vivere più lì, potrebbe averlo dimenticato da mesi, potrebbe essere la cosa più stupida della sua vita, ma è decisamente una cosa abbastanza stupida da farlo sentire vivo.
Sale sul treno e trova il suo scompartimento, i coinquilini sono due genitori con un bimbo piccolo. Si arrampica sulla scaletta un po’ traballante, butta lo zaino sull’apposito ripiano e si sdraia sulla cuccetta. Se allunga il braccio verso l’alto può toccare il soffitto, a meno di un metro di distanza. Non riesce a stare seduto perché non c’è abbastanza spazio, ma non riesce neanche a dormire perché stare lì gli fa proprio schifo. Però gli piace il fatto di trovarsi a due metri d’altezza, senza un particolare motivo. Si sente… sollevato… Gli viene in mente il termine italiano e questa parola lo fa ridacchiare.
Già, sollevato.
Chiude gli occhi e si sdraia su un fianco facendo attenzione a non cadere.
In assenza di qualcosa di meglio da fare, infila gli auricolari e mentre scorrono le note della sua canzone preferita si dedica all’attività che gli riesce meglio: si mette a pensare.
Anzi, no, non pensa.
Ricorda.
Ricorda una sera d’agosto e un falò in un campeggio sulle sponde di un lago.
    -Verrò.
Aveva detto proprio così.
Si erano scambiati il numero di cellulare ed una promessa.
E non solo.
Avevano continuato a parlare.
    -Sai- gli aveva detto, poi -tu hai un modo di muovere le mani davvero bello.
    -Dici?
    -Sì, quando parli gesticoli tanto, ma lo fai in un modo che ha senso… Sembra che parli anche con le mani!
Le sue mani raccontavano storie.
Yunho si era girato a guardarlo negli occhi, sorrideva beffardo.
    -So fare molte altre cose con le mani…
E l’aveva guardato in un modo strano…
Più caldo…
    -Vuoi vedere?- si era avvicinato.
    -Fammi vedere…
Con un movimento improvviso gli aveva appoggiato la mano destra sulla guancia, disegnando col pollice la linea del labbro inferiore, mentre la mano sinistra risaliva la sua coscia, lentamente, dal ginocchio all’inguine. Aveva una presa salda, maschile, possessiva, calda, il palmo della mano aderiva perfettamente alla sua pelle come se volesse farlo proprio.
Changmin lo aveva guardato negli occhi e con voce ferma aveva sussurrato:
    -Mi baceresti?
    -Sembro uno che sta per baciarti?
    -Sembri uno che voglia farlo.
    -Tu vorresti?
    -Vorrei.
Si erano scambiati anche un bacio.
Il numero era andato perduto, la promessa non era stata mantenuta.
Ma quel bacio?
Che ne era stato del bacio?
Scuote la testa, dicendosi che farebbe meglio a non pensarci. Molte volte era tornato con la mente a quel giorno e molte volte aveva scosso la testa scacciando il pensiero. Quel ricordo era troppo doloroso, ma allo stesso tempo era anche l’unica cosa che era riuscita a sostenerlo.
Changmin è uno che generalmente non ama baciare.
Questo succede perché quando pensa a se stesso non gli viene in mente la propria immagine allo specchio, ma visualizza l’interno della propria bocca, la sensazione della lingua che sbatte sui denti.
Si sente davvero se stesso solo nella bocca e non riesce a sopportare corpi estranei che lo privino del suo spazio vitale. Eppure, il bacio con Yunho era stato eccitante, forse per la forma perfetta dei suoi denti che ricorda d’aver tracciato con la lingua, forse per la mano destra che l’aveva afferrato dietro la nuca impedendogli di allontanarsi (cosa che di solito avrebbe odiato e che invece in quel momento aveva amato), o forse… per quello che faceva con l’altra mano…
Il treno cambia binario in una curva particolarmente brusca che lo fa sussultare.
Yunho aveva ragione, sapeva fare molte cose con le mani.
Sospira e si volta dall’altro lato.
Si chiede cosa voglia dire essere… lui… Vorrebbe sapere che sensazione prova Yunho quando tocca con la propria lingua quei denti perfetti.
Lui li ha toccati, certo, ma sono due cose completamente diverse. Nessuno saprà mai cosa vuol dire avere quei denti, nessuno potrà mai capire davvero cosa vuol dire avere… essere… quella bocca…
I pensieri si fanno più confusi, impalpabili… non riesce a fermare le immagini, tutto si dirada e diventa sempre più chiaro…
Si addormenta.
Continua a svegliarsi e riaddormentarsi per tutta la notte, finché al mattino presto esce senza far rumore, va nel minuscolo bagno per lavarsi come meglio può e alla sua fermata scende per cambiare treno. Questo secondo treno lo porta in un’altra città, vicina e meno popolosa, e da lì prende un autobus che s’inerpica sulla montagna. Finalmente arriva a destinazione. Si sente davvero rincuorato al pensiero di non doverlo cercare in una città grande come la propria.
La prima tappa è un bar, ordina un cappuccino (cibo italiano) e nonostante il barista lo guardi un po’ male si rivela poi particolarmente bravo.
Inizia la sua ricerca.
Alle cinque del pomeriggio il sole sta già calando dietro ai monti, lo spettacolo toglie il fiato. La cima delle montagne è bianca di neve e si tinge di rosso, rosa, viola… L’architettura delle case in legno è davvero bellissima. Pensa che sia davvero triste non poter vivere lì per tutta la vita.
Si trova davanti ad una casa circondata da un giardino pieno di alberi di cui non conosce il nome, il piccolo cancello è socchiuso. Lo spinge e percorre il vialetto. Spera davvero non ci sia un cane, da quando a quattro anni è stato morso da un cucciolo non gli piacciono i cani, e spera anche che i proprietari non lo scambino per un ladro.
Ha deciso, se non sapranno dirgli niente di lui chiederà di qualche posto in cui passare la notte, sperando che ce ne sia uno. Come ha potuto essere tanto disorganizzato? Non si riconosce, a lui non sfugge mai nulla.
Bussa.
Silenzio.
Suona il campanello, il cognome non gli dice nulla.
Dopo un minuto si apre la porta.
E c’è proprio lui. 
L’istante si congela.
Yunho è proprio lì davanti a lui, immobilizzato per un attimo dallo stupore, il tempo sufficiente per fargli avere una visione d’insieme (pullover bianco, pantaloni grigi da ginnastica e occhiali da vista con la montatura nera, leggera; ha i capelli più corti e il viso più pulito, forse perché ora si fa la barba tutti i giorni e in campeggio non poteva). Il tempo si dilata, come le sue pupille, lo sta guardando ad occhi sgranati pieni di sconcerto, a Changmin sembra quasi di intravedere un luccichio in fondo ai suoi occhi, ma probabilmente si è sbagliato, perché in mezzo secondo il tempo riprende a scorrere normalmente, Yunho torna in sé e gli si scaglia contro come una furia.
Proprio così, ha ignorato il suo aspetto emaciato, le occhiaie, gli occhi gonfi e rossi, il pallore pietoso, i capelli scomposti, ha ignorato l’istinto che ha avuto, fortissimo, di abbracciarlo (di baciarlo?), ha ignorato anche il battito strano che ha sentito in fondo al cuore e gli si è scagliato contro come una furia.
Afferra il bavero della sua giacca, anche se Changmin è più alto di lui, e lo sente talmente debole sotto la sua forza che potrebbe spezzarlo. Se non l’avesse sentito tanto debole, probabilmente l’avrebbe anche colpito.
    -Dove cazzo sei stato? Verrò, avevi detto! Ma con chi eri?!- il suo sguardo è pesante, c’è rancore, disprezzo…
    -No, aspetta, io…
    -Il tuo numero è inesistente! Irraggiungibile! E adesso arrivi qui, e…
    -Ascoltami!
   -No, tu ascoltami! Cazzo! Sparisci per mesi, e adesso torni qui e cosa vuoi?! Ti ho aspettato, ti ho chiamato, t’ho mandato un messaggio…
    -Quel messaggio…
    -Ma tu a quel messaggio non hai neanche risposto!!- lo spinge via, poi si volta di scatto e afferra la maniglia per sbattersi la porta alle spalle, ma Changmin si aggrappa alla manica del suo pullover, consapevole di non avere la forza sufficiente per bloccare la porta.
    -Ho avuto un incidente.
Yunho si blocca.
Si gira lentamente e lo guarda in faccia con il viso stravolto da un’espressione strana: ha le sopracciglia aggrottate, le narici dilatate e le labbra hanno assunto una piega rigida verso il basso; scuote piano la testa come a dire: non è vero.
    -Quella sera… quando mi hai mandato il messaggio… io, stavo guidando… ho letto il tuo nome, poi, la macchina è andata contromano, e… un camion… io… ho battuto la testa… e la schiena… ho perso conoscenza per giorni, mi sono rotto un braccio… ho passato mesi a letto… il cellulare è andato distrutto e io non ho mai… letto il tuo messaggio…
Yunho ha gli occhi pieni di dolore.
    -Hai gli occhi lucidi…
    -Sono… le lenti…
    -Ma porti gli occhiali.
    -Cazzo…- si copre il viso con una mano. Gli passa il braccio destro dietro le spalle e se lo stringe al petto.
Changmin gli sussurra all’orecchio:
    -Sono venuto a chiederti… cosa dicevi in quel messaggio…
    -Ti dicevo che non vedevo l’ora che venisse agosto per portarti a mangiare giapponese…
    -C’è anche qui un ristorante…?
Yunho sorride appena:
    -Te la senti di salire in macchina?


È sera ormai, stanno mangiando sushi nella veranda del ristorante. Il salmone è così tenero da sciogliersi in bocca non appena la lingua preme contro il palato.
    -Guarda…!- Changmin gli afferra la mano e con l’altra indica il cielo -Ma lo sapevi che oggi c’era l’eclissi?
    -Ah, ma è vero! L’avevo scordato!
La luna si è tinta di un rosso bellissimo.
Yunho gli stringe la mano, Changmin si gira a guardarlo. La stretta è ferma, ma dolce.
Anche il suo sguardo lo è.
Yunho si china sul tavolo, avvicinandosi affinché lui solo possa sentire:
    -Mi baceresti…?

  
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