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Autore: Laurie    02/04/2013    1 recensioni
Akito, un fiore e ciò che significa la morte.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Akito Soma, Hatori Soma
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Camelia

(scent of dried flowers)

 

Anche questo mi abbandonerà…

 

Sentiva che qualcuno lo stava osservando e sapeva con certezza chi era, senza bisogno di verificare la sua intuizione. Non si può, del resto, sfuggire al proprio Dio.

Hatori posò il libro scolastico che stava studiando fino a qualche attimo prima, e si girò verso l’ingresso della propria stanza. In piedi sulla soglia, come cornice la penombra polverosa del corridoio che metteva in rilievo la sua candida figura, ella attendeva, un piccolo Dio con in mano un fiore.

“Vieni pure, Akito.”

Un tenue scalpiccio di passi, un’ombra albina che attraversava rapida la distanza che li separava, e quando Hatori abbassò lo sguardo, un viso infantile lo stava osservando con insistenza, come a richiedere la sua attenzione.

Il fiore, lo riconobbe subito, era una camelia dal rosso sgargiante fra le sottili dita di cera di Akito.

“Guarda, Hatori. Questo fiore non sta bene.”

Delicatamente il ragazzo lo prese tra le mani. I colori erano chiassosi, ma la leggera balza di petali aveva un aspetto fragile. Hatori notò con compassione le macchie nerastre che lo infettavano come un cancro.

“Vedo…”

“Cosa ha?” chiese preoccupata Akito.

Con quali parole si può spiegare ad un bambino il lento, ineluttabile decadimento che conduce alla morte? Hatori non le trovava.

“Sta male.”

“Lo puoi curare, vero?”

“Non lo so.”

Gli occhi che lo supplicavano si allargarono per il terrore.

“Ma tu vuoi essere un medico, Hatori!”

“Non è facile curare. Alcune volte si riesce, altre si fallisce.”

“Hatori, non devi fallire!”

Akito parlava con la furia di un giovane Dio arrabbiato. Hatori chinò il capo, consapevole di dare una delusione amarissima. Come giustificare la perdita a chi aveva già perso qualcuno di importante? La morte falciava fiori ed uomini, e lasciava dietro di sé solo lacrime e solitudine. Poteva essere un amico, un amante… o un padre.

“Questo fiore è importante per te,” disse piano Hatori, reggendo con cura la fragile corolla di petali scarlatti. “Dove lo hai preso?”

“Non è importante,” Akito arrossì.

“Hai ragione.”

Era importante, invece, Hatori lo comprese subito. Quel fiore non era stato dato per caso. Sentì ancora più la pena di procurare un dolore maggiore di quanto sembrasse.

“Tieni, Akito.”

Le mani della bambina raccolsero la camelia con delicatezza, ma la sua presa sembrava non voler lasciarla mai più.

“Allora?”

Hatori la fissò con determinazione: era giovanissima, ma non più tanto piccola. Era una fragile bambina, ma era anche il capofamiglia dei Soma. Doveva accettare la morte oltre che la vita.

Eppure avrebbe preferito delegare a qualcun altro il suo compito, pensò con una punta di vigliaccheria.

“Non posso fare niente.”

“Perché? Perché?!” la sua voce stava diventando isterica.

“Akito, calmati. Potresti sentirti male.”

“Perché?” lo accusò di nuovo.

Lei rifiutava quelle sterili parole di conforto, quella speranza infranta. Il suo sguardo aveva la nera follia nascosta tra le ciglia.

Un fiore muore appena lo cogli, pensò Hatori, ma non ebbe il coraggio di pronunciare quelle parole.

E guardò, sconfitto, un giovane Dio correre via con la forza con cui si sfugge a qualcosa che spaventa.

 

***

Akito aprì i pannelli della finestra, per respirare l’aria nuova della mattina. Ogni anno, al tempo in cui l’inverno cedeva il passo alla primavera, le piante di camelia che crescevano nel giardino si coloravano di giallo e di scarlatto, rendendo il panorama che poteva osservare dalla sua stanza pieno della vistosa bellezza di quei fiori.

Ma per lei era una visione che irritava.

Sentiva sempre il sottofondo insistente dell’odore amaro di una camelia seccatasi. La inseguiva quella sensazione, tanto che lei abbandonò bruscamente la finestra, tormentata.

Era lo stesso odore che oscurava il ricordo di una promessa sussurrata e di un fiore tra le sue mani di bambina, mentre quelle parole così dolci la riscaldavano: il mio cuore rimarrà sempre qui, sempre rivolto a te…
Ma anche questo fiore l’aveva abbandonata.

Se si fosse voltata verso la finestra, avrebbe visto solo una distesa di petali incancreniti da macchie scure, di foglie ingiallite e di piante rinsecchite che si contorcevano come vecchi artritici a ricordarle che nulla sarebbe mai stato eterno.

  
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