Lovers' Path
Gli incubi che ha sempre cercato di ignorare, ora lo stanno
torturando.
Come ogni ninja, lui, prendeva tutta la forza dal suo
sonno.
Ma ormai è vecchio, e i vecchi dormono poco.
Si sveglia, ogni notte
e, no, non prende più sonno.
Ah! Quand'era giovane, anche se era
sempre all'erta, dormiva beato. Anche quando quel viaggio, quel lungo e tortuoso
viaggio, si faceva sempre più pericoloso, dormiva come un bambino.
Ogni tanto
riprende in mano Ginryu, solo per vedere se è vero che non è poi così vecchio.
Ma lui, sì, si sente vecchio. E non avendo figli, non avendo nessun altro,
quella spada resterà a lui, nella sua tomba.
È solo, Kurogane, e lo è da
tanti anni.
È solo ed è un patetico, patetico vecchio. Probabilmente, se
avesse qualcuno con cui parlare, racconterebbe di quei tempi andati, di quando
era un ninja e di quel viaggio che l'ha portato ai confini del tempo e dello
spazio. E forse, solo sotto delle domande particolarmente pressanti, potrebbe
raccontare di lui.
Kurogane è solo, semplicemente perché lui ha deciso di
stare solo. Avrebbe potuto vivere al castello, ma no, non sarebbe stato lo
stesso. Vivere da solo è meglio, perché pur essendo da solo in quella casa che
sarebbe grande anche con lui, ogni tanto non si sente poi tanto solo.
Gli
incubi che lo svegliano ogni notte, gli ricordano la cruda realtà, è vivo,
mentre lui se n'è andato.
Quella casa, lui neanche l'ha vista, eppure
Kurogane l'ha pensata per loro due, come se continuasse a sperare, anche dopo
tutto quel tempo. Eppure, lui, ha cercato di smettere di sperare, di
dimenticarsi del dolore. Però non c'è mai riuscito, mai, malgrado l'impegno. Ha
semplicemente cercato di nascondere tutto, di infilare tutto sotto il materasso
e di dormirci sopra.
Quando era giovane, si parla ormai di decenni fa, ci
riusciva perfettamente. Ogni volta che lui gli veniva in mente, assopiva il suo
ricordo sotto il materasso, e pensava ad altro.
Ora, invece, come un vecchio
vedovo, quando cucina, cerca di ricordarsi gli stessi sapori, le stesse pietanze
che lui cucinava per loro. Un magone enorme gli sale in gola e si dà
dell'idiota, perché non dovrebbe pensare più a lui. Si parla di anni fa, di
tanti, troppi, anni fa.
Ha smesso di lottare da tanti anni, Kurogane, contro
la senilità e contro la vita. Ha smesso di farlo definitivamente quando l'ultima
anima amica si è spenta alla veneranda età di novantasei anni. Tomoyo si era
dimostrata una vecchietta arzilla, tant'è che l'andava a trovare tutti i giorni
anche quando l'età aveva cominciato a gravarle sulla schiena esile e curva.
Aveva cercato sempre di tirarlo un po' su di morale, di ricordargli che,
dopotutto, lui non avrebbe voluto mai nulla di simile, nè quella tristezza che
il ninja si portava addosso come un pesantissimo fardello, né quella fedeltà
morigerata che solo chi ama molto può provare. Così, quando gli era parso
evidente che il percorso di Tomoyo andava verso una conclusione, Kurogane
cominciò a sorridere di più, a essere un po' più allegro, per farla andar via
tranquilla. Aveva preso a uscire per andare a trovarla, ma quando anche lei ebbe
esalato il suo ultimo respiro, allora tornò quello che era stato fino a qualche
tempo prima. Smise di lottare del tutto dopo aver assistito all'ennesimo
funerale.
Era solo, definitivamente, terribilmente solo. Non avendo avuto
figli, non avendo più nessuno della sua generazione, era rimasto completamente
solo.
Ed è rimasto lui, solo coi suoi ricordi.
La vita era stata grama con
lui. In effetti, se non avesse voluto portarlo altrove, in un luogo che lui
aveva definito la loro casa, una volta, sarebbe potuto restare col ragazzo e la
principessa, ma no, non sarebbe stato molto più felice di così. Avrebbe sentito
la mancanza del mago dieci o cento volte più del normale. E già era un qualcosa
di enormemente pesante, quell'assenza. Vivere con loro, gli avrebbe ricordato
ogni giorno quel viaggio e che lui, beh, lui non c'era più. Che lui da quel
viaggio non era tornato.
Kurogane l'ha visto cadere, l'ha visto andare via,
il suo mago, ma non come s'è spenta la sua principessa, tranquilla, a quasi
cent'anni, lui era giovane, troppo giovane per morire così.
Non puoi riportare indietro chi ormai non c'è più.
Questo è ciò che quel lungo e tortuoso viaggio ha insegnato loro.
Kurogane lo
sa, lo sa perfettamente, e ha smesso di sperare, per il suo stesso bene, perché
non c'è più motivo di farlo.
Il mago ha lasciato la vita quand'ancora era nel
fiore, seppur non ben precisato, degli anni.
Kurogane l'ha visto cadere in
terra, il suo mago, e non rialzarsi più.
Ma non ha potuto raggiungerlo
subito, non ha potuto abbracciarlo e fargli forza, non ha potuto coprire
l'enorme ferita che gli attraversava il petto da parte a parte. Lui era
accerchiato da tanti altri nemici, da gente di un paese sconosciuto che voleva
toglierli di mezzo, perché poi?
Di tutti gli spettacoli che la vita gli aveva
riservato, quello, di certo era stato il peggiore, forse secondo solo alla
conclusione del cammino dei suoi genitori.
Quando era riuscito finalmente ad
allontanarsi da quei suoi nemici sconosciuti, solo allora, ha potuto
vederlo.
Per un istante gli era parsa una scena tristemente già vista, gli
abiti bianchi irrimediabilmente macchiati di rosso, la ferita enorme alla bocca
dello stomaco. Sì, somigliava proprio a una scena già vista.
Si era
avvicinato a lui, l'aveva guardato e l'aveva raccolto, con un peso enorme nella
gola. Come aveva fatto con sua madre, tanti e tanti anni prima.
Era già
tardi, Kurogane lo sapeva, anche lui ne aveva inferte di ferite simili.
L'aveva guardato, inerme, senza poterlo aiutare, senza avere le parole di
conforto che lui si sarebbe meritato, senza potergli regalare niente neanche in
quel suo ultimo momento.
Era stato delicato, gli aveva accarezzato il viso e
i capelli come se davvero avessero potuto avere un futuro, come se non si
stessero trovando in un lago del suo sangue ma nell'intimità di una camera da
letto.
Le ultime forze che il mago aveva in corpo le usò per salutarlo, con
quelle sue dita tremanti gli aveva accarezzato le labbra con un mezzo sorriso
che faceva intravedere i denti insanguinati.
La sensazione di quel tocco, a
distanza di tutti quegli anni, c'è ancora. C'è ancora e brucia ogni volta,
quando le sue labbra si sentono sole.
Kurogane ricorda di non aver detto o
fatto niente, l'aveva semplicemente stretto a sé, come a intimargli, muto, di
restare con lui. Gli aveva sfiorato le labbra, delicatamente, come a imprimersi
il suo sorriso nella testa. Gli aveva baciato dolcemente la fronte, inalando a
fondo l'odore di sangue e arena bruciata, che ogni tanto sente ancora, quando il
mago gli manca un po' di più, come a ricordargli crudelmente che è inutile farsi
prendere da certi pietosi ricordi perché lui è morto, e pensare a lui non lo
riporterà certo indietro.
Era sceso lentamente sulle sue labbra, e aveva
poggiato dolcemente la bocca sulla sua, ad accogliere il suo ultimo
respiro.
Se n'andò così, per nulla chiassoso, senza dire una
parola.
Paradossale, un cosino tanto rumoroso se n'era andato senza fiatare,
in sordina. Gli occhi socchiusi, come faceva sempre quando si baciavano,
l'espressione assolutamente felice, come se gli importasse relativamente di
essere arrivato alla fine del suo percorso, d'aver scoccato la sua
scadenza.
I suoi incubi gli fanno vedere quello che ha perduto. Non solamente
il suo mago, ma anche quelle cose che non hanno potuto fare insieme. Non sono
incubi, in teoria, sono sogni. Sogni meravigliosi in cui il suo mago è lì, e
ride, e cucina, e l'ama, come non ha potuto fare. Lo vede in una versione
invecchiata, come se davvero stesse lì con lui, ingrigito. Questo è atroce. È
questo ad essere atroce. Vedere cosa puoi fare e sapere che quando aprirai
gli occhi sarà tutto finito.
Kurogane ricorda ogni sensazione, ogni
dettaglio, ricorda di aver sentito quella vita così importante scivolare dalle
sue dita.
Era rimasto lì, l'aveva stretto forte a sé per ore, finché
qualcuno non gliel'aveva portato via.
Gli avevano detto ciò che aveva detto
lui al suo mago, nel suo infelice regno, doveva lasciarlo riposare, ora.
Lui
aveva guardato male chiunque fosse stato a dirgli quella cosa e poi aveva
lentamente sciolto l'abbraccio, l'aveva stretto nel suo mantello, in maniera
tale da tenergli caldo laddove fosse andato, così da avere con sé un pezzetto di
lui.
Ogni tanto ci pensa, avrebbe davvero potuto cambiare
le cose? Nah, certamente non è stato un caso che si conoscessero e si
innamorassero, certo, forse sarebbe stato meglio velocizzare le cose e consumare
un po' la candela del loro rapporto, ma probabilmente era semplicemente
inevitabile tutto questo.
Quando era tornato a Nihon, era già tutto finito da
molto tempo. Il viaggio era proseguito anche con un membro di meno, in silenzio,
ogni tanto era la polpettina ad aprire qualche discorso, che però restava lì a
mezz'aria. Però, il più delle volte si sentiva sospirare, non Kurogane, lui non
aveva mai dato segno di cedimento, qualcuno sospirava forse perché mancavano
quelle cretinate che il mago sciorinava a ogni respiro.
Ma, quando era
tornato a Nihon, poté crollare tranquillo. Lontano da occhi indiscreti e dagli
sguardi accorati di chi l'aveva visto respirare quell'ultima volta.
Portava
con sé questo fagotto, stretto nella stoffa bianca del suo mantello, quand'era
arrivato a Nihon. Aveva chiesto all'aiutante della strega di fargli un
incantesimo e di tenerlo con sé finché il viaggio non si fosse del tutto
concluso. Se l'era fatto riconsegnare a patto di non poter porre fine alla
propria vita, a patto di restare vivo fino all'effettiva conclusione della sua
strada. Che richiesta crudele. Però aveva acconsentito.
Comunque, così lo
portò nel suo paese, e aveva cercato di ricostruirsi.
La casa in cui abita,
Kurogane l'ha pensata per loro due, anche se quando l'ha costruita, lui già non
c'era più. Ma il mago l'aveva detto, il mago aveva parlato di quella casa, anche
se non era ancora costruita, come la loro casa. Ed era loro, anche se lui non
l'aveva mai vista.
L'aveva portato a Nihon per tenerlo vicino, anche se
sapeva perfettamente che lui lì non c'era proprio e che la sua anima era stata
fagocitata in un mondo lontano lontano. L'aveva portato lì per poter fare una
cosa di cui non va particolarmente fiero, l'aveva portato lì per poterlo
salutare ogni tanto, per sentirlo più vicino.
L'aveva interrato vicino a sua
madre, sempre avvolto nel suo mantello. Aveva scoperto il suo viso solo
un'ultima volta prima di dirgli addio per sempre. Quella volta ebbe il coraggio
di parlare, gli disse che l'amava e che l'avrebbe fatto sempre. Sempre. Glielo
promise.
Gli manca, il mago, ogni notte, ogni giorno, anche se
hanno avuto poco tempo per consumare il loro amore, lui era già diventato
indispensabile per la sua vita, e perderlo così presto gli ha tolto ogni cosa.
Gli ha tolto la speranza. Gli ha tolto l'amore. Gli ha tolto la voglia di amare,
anche se lui l'ama comunque quello stupido e sventurato idiota.
Ricorda
esattamente il suo viso, nei suoi incubi, però quando si sveglia ha sempre il
terrore di non ricordarsi di lui, il suo viso, la sua voce, il suo
sorriso.
Così anche questa notte un sogno troppo bello gli sta pesando
addosso. Lui è lì, al suo fianco, nel letto, nel loro letto, in quella camera
che lui non ha mai vissuto.
Si sente vicino a lui in certi momenti, perché
sente, perché sa che lui è lì, davvero. Sente la sua presenza, sente il suo
tocco sulla sua pelle, anche solo per un istante. In quei momenti la razionalità
sparisce, sì, in barba al suo essere ninja.
Eh, e oggi è bello il
suo mago. Lo è sempre, ma oggi anche di più, probabilmente perché il sogno è più
bello. Forse può anche toccarlo, oggi.
Ah, quando si sente così
mostruosamente solo, così vicino eppure così tanto lontano da lui, si sveglia,
col cuore dolorante e lo cerca.
Lo cerca nel letto, lo cerca nella casa. Ma
poi si dà dell'idiota, crudamente si ricorda che lui non c'è mai stato lì. Se ne
ricorda, sì, perché c'è sempre un momento, appena sveglio che la sua assenza non
gli pesa addosso, che si dimentica di essere solo, scapolo e vedovo insieme.
Lo cerca sempre, fino ad andare dove lui riposa. Si siede davanti a quella
tomba senza nome e l'accarezza, come accarezzerebbe lui, se solo fosse lì.
E
così fa oggi. Percorre tutta la lunga strada verso il cimitero, col favore del
buio, e raggiunge quella bella lapide di marmo bianco.
Saluta sua madre,
prima di tutto, e poi, passa a lui.
Sfiora la lapide, quell'unico fiocco di
neve, perché non sapeva cosa bisognasse scriverci, su quella lapide, perché lui
aveva tanti nomi complicati e Tomoyo s'era opposta al farci "idiota".
Anche se sarebbe stato distintivo, in effetti...
Sta' in silenzio.
Non
dice mai niente, non parla mai a lui, non ce n'è motivo. Quando Tomoyo era viva,
parlava spesso di lui, ma poi, in tanti anni gli aneddoti erano finiti ed era
rimasto con tanta tanta aridità nella gola e nel cuore.
Gli basta stare lì
per cancellare tutto, per ricordarsi che quell'amore c'è stato, e c'è ancora.
Anche se lui si è spento, il loro amore, il suo amore continua ad ardere, e lo
farà sempre.
Oggi sente il bisogno di sedersi, di accucciarsi lì vicino, come
a comunicargli il suo calore, ovunque lui sia. Oggi è davvero stanco, avrebbe
bisogno di stare lì e riposare accanto a lui per un po'.
Si sente meglio,
ora, non sente più la vecchiaia che gli scorre nelle ossa, si sente la testa
leggera, come se fosse finalmente in grado di respirare.
Chiude gli occhi e
inala a fondo.
È un minuto che dura a lungo, tanto da sembrare
un'eternità.
Poi apre gli occhi. Una sensazione strana gli si
raccoglie sul cuore. È come se lui fosse seduto lì, vicino a lui.
C'è una
strana luce, una luce così strana da non sembrare neanche naturale.
Che sia
finalmente arrivata la sua ora?
Mh, forse potrà vederlo, potrà finalmente
riposare lì, con lui. O forse è solo un sogno il suo, forse, sì, è solo un
sogno. Il suo mago è andato via in tremendo anticipo mentre lui è in ritardo, in
terribile ritardo.
La luce prende le forme abbozzate di qualcuno che gli
porge la mano.
Poi piano piano lo vede, alla luce del buio, lo riconosce. È
vestito come quando l'ha salutato, ha i capelli lunghi, lasciati in quella coda
morbida. È lui, e no, i suoi ricordi e i suoi sogni non gli avano reso
giustizia.
Ci ripensa. Deve essere un sogno. Deve per forza essere un sogno.
Perché altrimenti dovrebbe essere lì il suo mago? Perché non è passato
oltre?
Forse può davvero toccarlo, stavolta, forse può sentire il sapore dei
suoi baci.
«Alla tua età non dovresti andare in giro di notte, sai?»
sussurra, sorridendo.
«Sono vecchio, eh?» domanda.
Il sorriso del mago è
adorabile, anche se forse è solo nella sua testa. «Sei sempre tu».
Sospira,
debole. «Mi hai aspettato fino a oggi?» chiede.
«Che motivo avevo di andare
oltre?» replica. «Per un po' ho pensato di aspettare, di vedere se... Saresti
stato in grado di andare avanti. Di dimenticarmi... Ma tu mi sei stato fedele...
Tu mi hai amato... Sempre... Perché avrei dovuto lasciarti?».
«Settant'anni.»
bofonchia. «Mi hai aspettato per settant'anni?».
«A differenza tua, io
potevo vederti... Inoltre...» sospira e poi sorride, con uno di quei suoi
sorrisi malinconici eppure così belli. «Inoltre, ogni tanto mi sentivi,
eh?».
«Settant'anni sono tanti...» mormora.
«Sì, lo sono.» annuisce.
«E
perché ti vedo?» domanda.
«Forse perché volevi vedermi...» sussurra con
trasporto. «Non riesci proprio a dimenticarti di me, eh?».
Sospira. «Scemo di
un mago... Anche se sei andato via presto... Io non─».
«Può essere che è
arrivato il tuo momento...» mormora.
«Quindi sei venuto a prendermi...
Finalmente.» farfuglia. «Mi hai aspettato e... Mi sei mancato così
tanto...».
Il suo mago sorride, ancora di più. «Anche tu mi sei mancato. E mi
dispiace averti lasciato così presto...».
Kurogane non dice niente, lo guarda
in silenzio.
«Che c'è?» domanda, sedendosi vicino a lui.
Il ninja scuote
il capo. «Sono... Sono stato così arrabbiato con te. Ti ho dato la colpa di
avermi lasciato solo... Mi hai lasciato solo per così tanto tempo... E invece
non te ne sei mai andato».
«Come potevo lasciarti, mh? Sarebbe stato come
abbandonarti di nuovo e... Volevo vegliare su di te.» annuisce. «Tu mi hai
voluto bene, sempre. Con quel tuo modo burbero di... Dimostrarmi il tuo amore.»
sorride, e il suo sorriso è così tenero, ora. «Ci siamo amati sempre, anche se
siamo stati così poco tempo insieme... Ci siamo amati sempre».
«A che punto
vuoi arrivare, mago?» domanda. «Se vuoi la verità sono stato così tanto
arrabbiato con te, te l'ho detto, che ho pensato che sarebbe stato meglio non
amarti affatto, non averlo mai fatto... Ho anche pensato che forse sarebbe stato
meglio smettere di─».
«Avresti fatto bene. Sarebbe stato giusto.»
annuisce.
«No. Non dire cretinate. No!» replica, alterato. Dio!
Quello è idiota pure da morto. Ma Kurogane sospira, la sua espressione è
così carica di affetto e di trasporto da non sembrare più neanche se stesso.
Ah, la vecchiaia è una brutta bestia, eh?! «Non avrei potuto... E penso
che fossimo comunque destinati a stare insieme... Comunque, malgrado
tutto...».
«Lo so. Ed è per questo che mi dispiace.» sospira. «Mi dispiace,
Kuro-tan.» annuisce il suo idiota. «Il punto a cui voglio arrivare è che tu mi
hai reso felice. Sempre. E mi dispiace averti reso infelice... Mi dispiace
averti lasciato solo...» sospira. «Tu mi hai amato comunque... E─Ed è triste.
Perché meritavi di meglio, Kurogane. Meritavi amore e fortuna... Meritavi
felicità... E─».
«E─?» gli intima di continuare.
«E il minimo
che potessi fare è stato aspettarti...» annuisce.
«Anche tu meritavi
felicità. Anche tu meritavi amore e fortuna...» sospira. «Idiota...» si
lascia sfuggire, poi a mezza voce.
«Sbagli.» sorride, con quel
sorrisetto mezzo saccente, con quegli occhi vispi, seppure sia ormai spento e
scaduto da tempo.
«Sbaglio?» ripete.
«Tu mi hai dato tutto l'amore che
meritavo. Tutto l'amore che avrei potuto desiderare. Mi hai dato tutto te
stesso. Mi hai dato un braccio, tu. Nel vero senso della parola...»
ridacchia.
«Però potevi aspettarmi dall'altra parte, comunque, no? Cos'è? Non
ti fidavi di me?» bofonchia.
«No.» mormora. «Tutt'altro, avrei preferito che
tu smettessi di amarmi...» sospira.
«Ancora con questa
storia?» rimbrotta.
Sospira a lungo. «Eh, sono
scemo...».
«Non hai mai avuto paura che mi dimenticassi?»
domanda. «Io... Temo ogni giorno di dimenticarmi. Perché io sono vivo e... Sono
passati tanti anni. Settant'anni sono tanti.» farfuglia. «Quando mi sveglio...
Per un secondo non sento... La solitudine... Per un secondo sto bene e, se penso
a te, non ti vedo bene come ti vedo adesso... Quindi─».
«Eh... No. Tu non ti
saresti mai dimenticato di me. Io lo so, lo sapevo e l'ho sempre saputo... Come
posso spiegartelo? Era una cosa di pancia...» sorride. «Però, aspettandoti,
vegliando su di te... Vegliando su di te ho visto tutta quella gente così felice
di passare oltre... Di andare avanti... Di attraversare quella luce... Che mi
sono domandato: "ma non è che, passando di qui, poi io mi dimenticherò di lui?".
E poi ho pensato che se attraversiamo insieme, mano nella mano, allora forse
quella luce non cancellerà il nostro legame, allora... Allora─».
«Sei proprio
un idiota!» ringhia. «Nulla può cancellare il nostro legame».
«Lo stesso vale
per te, mh?» mormora. «Non m'importa se la morte mi ha portato via da te. Il mio
amore per te rimane. E rimarrà sempre».
«Che vuoi dire?» domanda.
Lui
sorride. «Che ti amerò sempre».
«E non c'è una seconda interpretazione a
queste parole? Sei sicuro?» sussurra.
Lui sorride. «Ti amo».
«Questo lo
so, mago.» annuisce.
«Se ti dicessi che ancora non è il tuo momento?»
domanda, alzandosi in piedi.
«Ma io... Io ho... Ho vissuto per
settant'anni... Io─» bofonchia.
«Io, cosa?» sorride.
«Io sono
stanco. Io voglio venire con te. Tu mi manchi così tanto e io...» scuote il
capo.
Il mago gli porge la mano. «Andiamo, allora. Vieni via con
me».
Kurogane prende la sua mano, può toccarlo finalmente. Può toccarlo
e andare via con lui.
«Scusa il ritardo.» sussurra.
Ah, la voglia di
abbracciarlo è così forte da fargli dimenticare ogni altra cosa. È morto anche
lui? È solo un sogno? Ah, ma che importa! Che importa? È con lui, ora, è con
lui, in questo momento. Ora può toccarlo, che importa se è solo un sogno, questo
qui? Che importa? Stanno insieme, finalmente.
Si allunga a strappargli un
bacio che sa di fame, che ha il sapore di settant'anni di lontananza, d'assenza.
Però quello è il sapore del mago che si mescola a quello asprigno e secco delle
sue labbra secche. Il suo idiota si stringe a lui, nel suo tiepido e debole
abbraccio.
«Ciao.» sussurra, stringendoselo più forte. Quel momento è tutto.
Quel tocco dice tutto. Non vuole più lasciarlo. Mai più. «Vogliamo
andare?».
Il vento stropiccia i fiori dei ciliegi e i petali
piovono intorno a loro, su quella lapide bianca.
È il momento. L'alba tinge
di lillà le colline a est.
La luce è lì, davanti a loro. È abbacinante,
forte. Calda e accogliente.
Kurogane stringe di più la mano del mago.
Intreccia il mignolo col suo. Gli lancia un sorrisetto tenero, adorabile, e
cominciano a camminare.
Non gli pesa più niente addosso, né la vecchiaia, né
null'altro. È perfetto. È giovane.
Lo guarda, sorridendo. E piano piano si
avvicinano, l'uno accanto all'altro, verso quella luce splendente.
È finita.
È finita la sua vita, la sua sofferenza. Sono finiti quei settant'anni di
solitudine.
Ma ora comincia la felicità. Ora comincia un'eternità insieme.
E
comincia così, come la passeggiata di due innamorati.