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Autore: IronicNarwhal    03/04/2013    2 recensioni
[Seguito di Finding John]
Forse Anima Gemella si riferisce, di fatto, alla persona che è la chiave della tua serratura. Di tutte le tue serrature. È la tua chiave di casa, della macchina, della cassetta di sicurezza, tutte in una volta. Forse è questo il motivo per cui, finché non la incontri, sei solo una parte di te stesso. Non puoi sbloccare le tue serrature. Non puoi spegnere la scintilla, fare un passo indietro e goderti il silenzio finché, finalmente, non incontri la persona che tiene, o è, la tua Chiave.
[SoulBond!AU]
[Sherlock/John]
[seconda storia della serie Inscriptions]
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Lestrade , Mycroft Holmes , Sherlock Holmes
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Inscriptions'
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Note:

Questa storia è una traduzione di cui potete trovare l'originale qui -> AO3 oppure qui -> fanfiction.net

Non scrivo/traduco a scopo di lucro ma solo per piacere mio e nella speranza che qualcun'altro possa divertirsi con questa storia.

I personaggi appartengono a Sir Arthur Conan Doyle, Mr Moffat, Mr Gatiss

 

 

Sommario:

Forse Anima Gemella si riferisce, di fatto, alla persona che è la chiave della tua serratura. Di tutte le tue serrature. È la tua chiave di casa, della macchina, della cassetta di sicurezza, tutte in una volta. Forse è questo il motivo per cui, finché non la incontri, sei solo una parte di te stesso. Non puoi sbloccare le tue serrature. Non puoi spegnere la scintilla, fare un passo indietro e goderti il silenzio finché, finalmente, non incontri la persona che tiene, o è, la tua Chiave.


Avvertenze: lievi imprecazioni

 

 

Unlocking Sherlock di IronicNarwhal

Traduzione di Myreen

 

 

Capitolo 1: To Have Quiet

 

La birra cinese ha uno strano retrogusto. Non è sicuro gli piaccia davvero, ma continua a tracannarla perché, dopo la giornata che ha avuto, qualcosa di non alcolico semplicemente non va. Sherlock, a quanto pare, condivide il suo sentimento; continua a guardar male la bottiglia ma, come John, prende deciso un sorso dopo l’altro. Impavido allo strano sapore. Onestamente, John non aveva inquadrato Sherlock come un bevitore, in primo luogo, e di certo non un bevitore-di-birra. C’è qualcosa nella sua Anima Gemella che semplicemente urla snob ed alta società, nessuna delle quali è tipicamente associata con bevitore-di-birra.

È ancora strano, avere un viso a cui associare il titolo di Anima Gemella. Per molto tempo, la persona che vedeva nella sua mente era stata senza volto, e cambiava continuamente la sua altezza, il colore dei capelli, l’etnia. Quand’era un bambino ovviamente aveva immaginato qualcuno come suo padre. Alto, robusto, voce roca ma dalla natura gentile. A volte, inoltre, i tratti di sua madre vi si sovrapponevano; rapido all’arrabbiarsi ma ugualmente veloce a perdonare, dal carattere spumeggiante. Era solito fissare gli sguardi che i suoi genitori si scambiavano a vicenda e chiedersi se fosse così che tutte le Anime Gemelle Legate si guardavano l’un l’altro. Desiderando di avere anche lui, un giorno, qualcuno che lo guardasse in quel modo.

Quand’era un adolescente, gli ormoni presero il sopravvento, e l’immagine nella sua mente divenne qualcuno di molto simile alle celebrità che idolatrava. Cambiava quotidianamente, così non poteva davvero fare un resoconto preciso di quali fossero i suoi pensieri a quei tempi. Si ricordava di essere stato ossessionato, come tutti gli adolescenti, dall’idea del sesso, e Dio se solo avesse potuto incontrare la sua Anima Gemella prima. Tuttavia conosceva le probabilità; davvero poche Anime Gemelle si incontravano durante l’adolescenza.

Quando era nell’esercito, a volte, l’unica cosa che lo faceva andare avanti era il pensiero che da qualche parte, in Inghilterra, c’era un uomo di nome Sherlock, con il suo nome sul suo dito. Passava ora dopo ora, sulla sua branda sabbiosa, fissando il nome sul suo dito e domandandosi come sarebbe stato questo Sherlock. Alto/basso? Biondo/castano/rosso? Slanciato e magro, aggraziato ─ il corpo di un danzatore? O più come John: compatto e tozzo?

Abbastanza stranamente, non aveva mai ottenuto la combinazione di Sherlock Holmes. Alto e aggraziato, sì, ma a volte riesce a sembrare coordinato quanto un cerbiatto appena nato. In quei momenti John non sa se ridere o emettere suoni dolci. Vuole fare entrambi, non ne fa nessuno. Conoscendo Sherlock, non lo avrebbe apprezzato.

Ogni volta che lo guarda, non può far a meno di sorridere un po’. Ma, in un recesso della sua mente, c’è la sensazione che si prova dopo aver staccato un boccone tanto grosso da non riuscire a masticarlo[1]. Quel panico che ti fa brancolare nel Oddio, ormai l’ho fatto; avrò questa caramella che mi appiccica i denti insieme per il resto della mia vita. Assurdo, ma allo stesso tempo non può farne a meno perché, davvero, anche dopo trentacinque anni non si sarebbe mai aspettato di trovare qualcuno come Sherlock Holmes alla fine della sua Ricerca.

Sherlock Holmes che può dirti cose su te stesso che tu, in persona, non conoscevi. Può elencare dettagliatamente l’esistenza di un trolley rosa nonostante questo non sia nello stesso edificio in cui si trova lui. Inseguire una pista fino alla fine del mondo e quasi uccidere sé stesso per il divertimento di tutto ciò.

Forse è quello che ha fatto sì che John avesse le balle così girate [2], come avrebbe detto sua sorella. Davvero, chi avrebbe permesso ad un tassista psicopatico di convincerlo a prendere una pillola avvelenata, un giorno e mezzo dopo aver incontrato, per la prima volta, la propria Anima Gemella? In questo momento avrebbero dovuto star seduti in un bel ristorantino. Giocando al gioco del cominciare a conoscersi meglio che è sempre il primo appuntamento. Avrebbero dovuto baciarsi sulla soglia dell’uno o dell’altro, una cosa piccola e casta. Sorridere timidamente e separarsi. Incontrarsi qualche altra volta, andare a qualche altro appuntamento. Cadere nel letto insieme, fare una copiosa quantità di amore. Bisbigliarsi dolci sciocchezze. Continuare il modello per diversi mesi e poi ─ e solo poi vivere insieme.

Invece, sono in uno squallido ristorante cinese il quale, nonostante le iniziali riserve di John mentre posava lo sguardo sul posto, in realtà fa del cibo fantastico. Sono anche coinquilini ora, a quanto pare. Sembra che stiano facendo le cose nell’ordine sbagliato. Sempre di più, tuttavia, John cominciò a realizzare che non avrebbe mai potuto immaginare Sherlock fare qualsiasi cosa in modo convenzionale.

“Sai che pensi molto rumorosamente?”

Alza gli occhi dal suo piatto, che ha fissato, fin quasi a farci un buco, negli ultimi venti minuti, e si rende conto che Sherlock ha cambiato posizione. Sono in un separé d’angolo ed è piccolo come qualsiasi altra cosa nel ristorante (tranne le porzioni, quelle sono enormi), ma è isolato dalle rumorose cameriere che stanno facendo una pausa intorno al registratore di cassa. Sherlock è appoggiato alla parte di separé di John, braccia incrociate e gambe sulla panchina. John si chiede se sia permesso. Per Sherlock Holmes, probabilmente sì.

“Lo faccio?” borbotta John, appoggiando la sua birra. “Uh... Scusa.”

“No, va piuttosto bene...” Sherlock sorride, lo sguardo al suo grembo, dove sta togliendo l’etichetta dalla sua bottiglia. “È rassicurante. A volte mi domando perfino se le altre persone non pensino affatto. È bello avere la prova del contrario.”

“... Quello era un complimento?”

“Era inteso come tale.” Sherlock gli lancia un’occhiata da sotto le sue ciglia. Ridacchiano a vicenda prima di distogliere lo sguardo. C’è qualcosa d’imbarazzante già familiare in tutta questa situazione. Non è una brutta sensazione. “A cosa stavi pensando?”

John scrolla le spalle. “Molte cose. È stata una giornata impegnativa.” Lancia uno sguardo a Sherlock e borbotta, “Mi hai spaventato, sai. Pensavo che non avrei fatto in tempo.”

I picchietta graffia picchietta picchietta delle dita di Sherlock sulla bottiglia si fermano. John può vederlo inarcare le sopracciglia. “Non avevo programmato che mi seguissi. Sapevo che sarebbe stato pericoloso.”

Sbuffa. “Pericolo. È per questo che sono qui, ricordi?”

“Ci sono diversi tipi di pericolo.” Sherlock ruota la testa contro il retro del separé, appoggiando la sua guancia contro il poliestere scrostato. Alza le sopracciglia verso John, come in una scrollata di spalle, e sospira, “Stai bene? A parte i giochi di parole, hai appena ucciso un uomo, e sei stato silenzioso da quando abbiamo lasciato la scena del crimine. O è stato qualcosa che ha detto mio fratello?” Ridacchia alla sua stessa battuta. John ridacchia con lui, ma si calmano abbastanza in fretta. Sherlock torna a grattare l’etichetta e John guarda. Dita agili che sono quasi ipnotiche nei loro movimenti ripetitivi.

“Sono stato in guerra”, dice alla fine John. “Uccidere le persone era un evento quotidiano. Guardare le persone morire era un evento quotidiano.” Raggiunge il polso di Sherlock e lo stringe. “Ma non sarei rimasto a guardare la mia Anima Gemella morire dopo averla appena trovata. Neppure l’avrei lasciata correre incontro ad il Signore sa quali tipi di pericolo da sola. Voglio dire, non avresti potuto avvisarmi?”

“No” sospira Sherlock. Il tono di voce che ha usato è già troppo familiare: Tu non capisci! inframmezzato di esasperazione. John ha già capito che questa particolare stranezza di Sherlock sarà una fonte inesauribile di peggioramento. “Perché poi avresti cercato di fermarmi, e probabilmente ci saresti riuscito e poi non avrei mai saputo. Se tu mi avessi fermato, o anche se fossi venuto con me, non mi avrebbe mai detto come faceva a fargli prendere le pillole. E io ho bisogno di sapere, John. È quasi una compulsione. Non mi aspetto che tu capisca, perché perfino io non so perché faccio ciò, semplicemente lo faccio.”

“Ehi,” dice John, gentile ma fermo. “Chi ha mai detto che avrei voluto fermarti?”

Sherlock sospira, roteando gli occhi. “È la natura umana. Proteggere ciò che è tuo. È vero che ci siamo appena conosciuti, ma la scritta sulle nostre mani significa molto… non pensi?” Come lo dice, fa scivolare il suo anello verso l’alto e fissa la sua SBI. Anche John la fissa. È così strano vedere la SBI corrispondente alla propria. Ovviamente ne ha viste un sacco, è una delle conseguenze dell’essere un dottore. Alcune erano state perfino John. Mai, tuttavia, in questo colore. Mai sulla persona che sapeva essere sua.

“Se prometto di non provare a fermarti,” inizia John, raggiungendo e facendo scorrere la punta del suo dito sulla SBI di Sherlock. Le lettere spiccano in sottile rilievo contro la sua liscia pelle d’alabastro. “Mi dirai, per favore, cosa progetti di fare, la prossima volta?”

“A che scopo se non cercherai di fermarmi?”

È il turno di John di roteare gli occhi. C’è da chiedersi se Sherlock stia facendo l’ottuso di proposito.
Perché almeno poi saprò cosa stai facendo, e cosa pensi che stia per accadere. E se non puoi portarmi con te, almeno avrai qualcuno che sa dove sei, se le cose dovessero andar male. Ho dovuto contare su un GPS in un telefono per trovarti, ed era quasi troppo tardi.” Incrociando le braccia aggiunge “E quello era un rischio stupido, Sherlock. Cosa sarebbe successo se avessi avuto la pillola sbagliata? Cosa se fossero state entrambe avvelenate?”

Le pupille di Sherlock deviano bruscamente, tuttavia la sua testa è ancora adagiata pigramente sul lato, faccia a faccia con John. Si sta fingendo interessato a un papiro sul muro. John si chiede se possa effettivamente leggerlo. Non è al di là del dominio delle possibilità.

“Mi rendo conto che potrei aver… fatto un errore di calcolo.”

“Lo fai suonare come se pensassi di aver sbagliato un’equazione matematica. Saresti potuto morire.” Quando Sherlock non dice nulla, John sospira e decide che forse è un argomento di cui dovrebbero parlare in seguito. Roma non è stata costruita in un giorno, neppure Sherlock Holmes può cambiare in uno. Almeno sembra dispiaciuto.

“Proverò ad informarti delle mie intenzioni, d’ora in poi,” dice Sherlock, dopo diversi momenti di silenzio pesante. “Ma non posso fare nessuna promessa.”

John annuisce. Le promesse sarebbero meglio, ma può solo far si che Sherlock sia d’accordo con così tanto. Far promettere a Sherlock di pensare ogni volta prima di mettere sé stesso in pericolo, vorrebbe dire andare troppo oltre. Sarebbe terribilmente ipocrita nei confronti di sé stesso. Sa fin troppo bene che a volte, semplicemente non c’è tempo per pensare. A volte, prima agisci d’istinto e poi ti poni le domande. Come ex-soldato, John ha la sensazione di poterlo capire meglio di molti altri.

Si rende conto bruscamente che la sua mano è ancora su quella di Sherlock, ma non si sente incline a tirarla via. Neppure Sherlock sembra preoccuparsene; la muove solo un po’ per appoggiarla sulla propria coscia quando è stanco di tenerla alzata. Non ha nemmeno rimesso il suo anello. La sua SBI è allettante e John non può trattenersi dal toccarla. Entrambi guardano come il dito di John accarezza le lettere, ancora e ancora. Si ferma solo quando Sherlock incastra la sua mano contro quella di John. La stringe, batte una pacca sul dorso della lunga ed elegante mano di Sherlock e prende un altro sorso di birra.

“Posso vedere la tua?” domanda Sherlock dopo che John ha deglutito. Gli ci vuole un secondo per capire di cosa sta parlando.

“La mia SBI? Sì, certo.” Le SBI sono intimi collegamenti vitali tra Anime Gemelle. Non è insolito per le Anime Gemelle stare senza anelli in privato, almeno per le prime settimane, mentre iniziano a conoscersi. È un bene per loro. Incoraggia l’inclinazione del semplice raggiungersi e toccare, che alcune volte non viene naturale come ci si aspetterebbe. È qualcosa di simile ad una madre che stringe il proprio bambino appena nato contro il suo petto. Un esercizio di legame. Inoltre, Sherlock  non ha avuto molte occasioni per osservare la SBI di John, ieri pomeriggio, apparentemente a causa di un cliente. Qualcosa a proposito di una scala a pioli verde; John non ne è ancora sicuro. Non ha mai trovato il tempo per chiedere.

Togliendo il suo anello, si gira verso Sherlock. Porta la sua ex-dolorante gamba sulla panchina e la piega, con il piede sotto l’altra sua coscia. Per lo più per nascondere la sua SBI sotto il tavolo. Non è esattamente rispettabile far questo in un ristorante. Ma è presto, e non c’è nessuno intorno, eccetto le cameriere. Non ci vede alcun male.

Girato in questo modo, il suo ginocchio preme contro il fianco di Sherlock. Il calore da quel punto si irradia su e giù per la sua spina dorsale.

Sherlock districa le loro mani per appoggiare la sua in basso, sul ginocchio di John. Permette alla mano di John di rimanere sulla sua coscia, girata verso l’alto come lo è stata la sua. Le fresche dita di Sherlock toccano la pelle in rilievo della sua SBI, solleticando i suoi nervi. Anche questo sembra viaggiare in ogni sua terminazione nervosa.

“Ti deluderò,” dice Sherlock mentre traccia attentamente le lettere del suo nome. Continua velocemente, prima che John possa rispondere, “Non lo dico per essere autolesionista. È vero per tutti noi. Passiamo la nostra vita intera a cercare una persona, quindi le nostre aspettative diventeranno sproporzionate. Io, soprattutto, non sono per niente… una persona affettuosa. Non mi viene naturale. Sarà difficile abituarmi ad avere un’altra persona così completamente intrecciata con la mia vita. Io… potrei non venire mai completamente ai patti con questo.” Lo sguardo determinatamente fisso sulla SBI di John. Non incontra i suoi occhi.

“Penso che chiunque abbia queste paure, in certa misura,” dice John, tuttavia non può dire che la prudenza di Sherlock non sia ampiamente fondata. Se il maggiore degli Holmes pensa che assumere l’Anima Gemella di Sherlock per tenerlo d’occhio sia un modo per mostrare preoccupazione fraterna, non vuole sapere quanto socialmente stentato sia il resto della famiglia.

“Non sono paure,” dice Sherlock inclinando all’indietro la testa per fissare il soffitto, “sono deduzioni.”

“Mmm. Beh, io deduco che dovremo semplicemente affrontarlo un giorno alla volta. È così che queste cose vanno. Ricorda, ci siamo dentro insieme ora. Se provi a comunicare con me, sarò più che felice di restituirti il favore.” Sherlock afferra di nuovo la sua mano, e John ricambia la stretta. Si inclina in avanti, spazza via i capelli castano-ramato-corvini di Sherlock, bloccandoli di lato, e posa un bacio sulla sua tempia. È premiato con un mormorio che è quasi certo di poter classificare come felice.

Molto lentamente, Sherlock gira la testa di lato. Aggrotta le sopracciglia come cercando di risolvere un problema particolarmente difficile. John continua ad accarezzare i suoi capelli, si ferma solo quando Sherlock si inclina in avanti e chiude gli occhi.

Le labbra della sua Anima Gemella sono piene e inaspettatamente morbide. Il labbro inferiore di Sherlock si incastra perfettamente tra quelle di John; due pezzi di un puzzle che scivolano vivacemente insieme per la prima volta. John muove la sua mano verso la nuca di Sherlock, cullandola. La tiene lì anche quando si separano. Strofina il proprio naso contro quello dell’altro, le loro fronti appoggiate l’una all’altra, e deposita un altro breve, casto bacio sulle labbra di Sherlock.

“Non affettuoso, hmm?” mormora John, e Sherlock ride. Gli piace davvero quel suono, veramente.

“Sono una persona completamente diversa quando sto lavorando ad un caso, John. Penso che tu abbia visto abbastanza finora da rendertene conto. Non c’è nulla che possa fare per fermarlo. Credimi, ci ho provato.”

John non sa esattamente cosa intenda Sherlock con questo, ma immagina che non sia una storia per quella notte. Forse neanche per l’immediato futuro. Ci sono certe cose di cui semplicemente non si parla mentre le Anime Gemelle stanno ancora approfondendo la loro conoscenza, i dettagli raccapriccianti delle loro Ricerca sono uno di quelle. John ha fatto cose di cui non è orgoglioso, ovviamente. È sicuro che anche Sherlock le abbia fatte.

“Bene, ti crederò sulla parola.”

Finiscono di mangiare e lasciano il locale quando Sherlock comincia ad avere l’aria di volersi addormentare sulla spalla di John. Anche perché le tre cameriere avevano finito la pausa e cominciavano a cercare qualsiasi motivo possibile per passare dal loro tavolo, ridacchiando incessantemente. Tutte e tre erano giovani donne non-legate all’inizio dei loro vent’anni, quindi è ovvio che ridacchino accanto ad una coppia di uomini appena-legati. [3]

Il 221B è silenzioso quando tornano a casa. Non è abituato a chiamare casa questo posto, ma apparentemente ora è quello per lui. Mrs. Hudson era ovviamente andata a letto ore fa. John quasi inorridisce quando lancia uno sguardo all’orologio sulla parete e si rende conto che sono le tre passate, del mattino. Non aveva idea che fosse così tardi.

Almeno non ha nulla da fare domani.

Si assicura che Sherlock vada a letto in modo appropriato, e non che si butti semplicemente sopra le coperte. In qualche modo riesce anche a convincerlo a cambiarsi; lo guida verso il bagno con tra le braccia un pigiama in soffice cotone e rimane sulla porta per assicurarsi che non si addormenti con la maglietta infilata a metà o qualcosa del genere.

Lo Sherlock in modalità-caso, stava scoprendo John, è molto diverso dallo Sherlock normale (o è lo Sherlock in modalità-caso ad essere lo Sherlock normale e John ha semplicemente visto lo strano modo in cui l’uomo si comporta nel frattempo?) quand’è quest’ultimo, sembra essere disposto a mangiare e dormire. Tuttavia, non è del tutto una sorpresa. Quando uno si astiene dal soddisfare i bisogni a causa di certe circostanze, farà provvista dei suddetti bisogni una volta passato il momento. È una tattica usata comunemente nel esercito.

John è semplicemente felice ci siano momenti in cui Sherlock dorme e mangia.

“Beh, buonanotte,” dice John indugiando imbarazzato sulla porta della camera da letto di Sherlock. È uno strano pervertimento del classico stare-in-piedi-sulla-soglia-di-casa, giocherellare-con-le-chiavi, aspettarsi-un-bacio, il comportamento del dopo-appuntamento di uomini e donne in decenni di commedie romantiche. Sherlock lo esamina attraverso gli occhi socchiusi, per la stanchezza piuttosto che per civetteria o imbarazzo, ed annuisce.

“Mrs. Hudson avrà preparato il tuo letto,” dice, al ritmo di una persona normale, che equivale a lento per Sherlock. John si domanda se di fatto abbia dormito la notte tra il loro primo incontro e il secondo. È ancora troppo presto per contarla come la ‘notte scorsa’. Di fatto, sono bastate quarantotto ore perché si preoccupi del riposo di Sherlock.

“Pensavo non fosse una governante.”

Sherlock sbuffa piuttosto sgraziatamente. Niente a che vedere con il delicato, raffinato suono di poco prima quella sera. John ha l’impressione di aver visto qualcosa di molto dignitoso nel suo stato rozzo e, per questo, proibito. Come un paggio che vede il monarca in biancheria intima; la star di una recita senza trucco, senza costume. Uno Sherlock in questo modo è qualcosa che davvero poche persone dovevano aver mai visto. John non sa se sentirsi compiaciuto, privilegiato o imbarazzato.

“Lo negherà fino alla fine dei tempi ma, in realtà, la signora non riesce a stare in una casa sudicia, e se resta troppo tempo senza nulla da fare, diventa nervosetta. È compulsivo per lei.”

“Ti prego, non dirmi che ne hai approfittato.”

“Sono famoso per questo. Non sono nulla, se non un opportunista.”

John rotea gli occhi, ma non si disturba a sgridare Sherlock; cose come queste normalmente attraversano la testa di Sherlock senza soffermarsi, sarebbe uno sforzo inutile, in questo momento, mentre non è nemmeno coerente. Invece, John prende nota mentalmente di convincere Sherlock a fare le faccende domestiche durante un appuntamento successivo, prima di gesticolare verso il letto. “Avanti. Dentro. Sotto le lenzuola, non sopra.”

Sherlock sospira e tira indietro le coperte del suo letto, vi scivola dentro e si gira su un lato. John indugia sulla porta, assicurandosi che sia a posto, quindi spegne la luce. “Buonanotte.”

Tutto ciò che ottiene in risposta è un vago mormorio. Probabilmente già mezzo addormentato, beato lui (come direbbe sua mamma). John chiude la porta silenziosamente ed augura alla sua Anima Gemella sogni d’oro, prima di ritirarsi al piano superiore, nella propria camera da letto.

***

Scopre presto che la personalità di Sherlock ha molte sfaccettature di ‘Durante-Un-Caso’ e ‘Fra-Due-Casi’. Lo Sherlock Durante-Un-Caso può essere molto distaccato, non comunicativo ed irrispettoso. Mentre è meno probabile che lanci insulti a caso, tende anche verso un’evidente superbia. Corre via senza avvisare nessuno e, nonostante stia migliorando in questo, John continua a ritrovarsi lasciato indietro un po’ troppo spesso per i suoi gusti. A volte Sherlock lo spedisce fuori con degli incarichi quasi senza informazioni, quindi procede a sparire, lasciando John ad elaborare gli ordini Sherlockiani. A volte non riesce a venirne a capo, e rimane a chiedersi come trovare qualche idea su cosa si suppone dovesse fare. Questo non lo fa mai restare nelle grazie di Sherlock, e di solito fa di lui il soggetto degli insulti.

Lo Sherlock Fra-Due-Casi è, in qualche modo, meglio e peggio. Generalmente, collassa dopo i casi. Passa quindici o sedici ore dormendo, a volte John non lo vede per una giornata intera, poiché Sherlock si sveglia solo dopo che John è già tornato a letto. Per circa due giorni, Sherlock è quasi come una persona normale. Si siedono nelle loro poltrone e guardano la tv. Sherlock ha delle conversazioni a senso unico con le persone dei reality-show spazzatura. Discutono per lavare i piatti (John perde sempre). In confronto al suo solito comportamento, questo è normale in modo surreale.

Ma poi il periodo tra due casi si protrae troppo a lungo e Sherlock diventa irritabile. Comincia a sbattere ed insultare qualsiasi cosa si muova e anche alcune cose che non lo fanno. Nel momento peggiore, quando passano due settimane o più tra i casi, comincia a fare quanto più rumore può. Lanciando oggetti, rompendo oggetti. È in questi momenti che John esce.[4] Gironzola per l’isolato per qualche ora, lasciando Sherlock con i suoi aggeggi. Dando a sé stesso il tempo per pensare e calmarsi. Qualche volta va a prendere una birra, ma cerca di non indulgere in quell’impulso troppo spesso. Conosce fin troppo bene la tendenza dei Watson verso l’alcoolismo. Aveva preso sia suo nonno che suo zio, prima di giungere a sua sorella.

A volte, quando il periodo tra due casi si trascina troppo a lungo, sembra che Sherlock si sia trasformato permanentemente in una selvaggia ed inavvicinabile creatura. Ha l’impressione che sia sempre stato così, e la fiducia di John sbanda momentaneamente pensando Non posso gestire questa situazione, come si suppone che gestisca questo?

Sempre, sempre, si sente immediatamente in colpa. Anzi, odia sé stesso. Non cambia il fatto che Sherlock sia irritabile ed intollerabile.

Cioè, finché non torna a casa da quelle passeggiate. Dice sempre a sé stesso che andrà dritto nella sua camera, senza nemmeno lanciare uno sguardo al salotto, perché sa che Sherlock sarà seduto lì, apparendo assolutamente infelice, e questo lo farà sentire ancor di più come un bastardo.

“Mi dispiace,” bisbiglia sempre Sherlock. Diversamente da quello che si potrebbe credere, Sherlock non ha nessuna riserva a scusarsi. È ammettere di essersi sbagliato, con cui ha un problema. Per la maggior parte delle persone, sono sinonimi. Per Sherlock Holmes, sono mutualmente esclusivi in un modo che John non è ancora riuscito a capire.

“Il tuo scoppio d’ira è finito, quindi?” chiede John quando si sente particolarmente irritato. Non è al di sopra dell’essere crudele quand’è completamente incazzato.

Altre volte accetta solo le scuse e va comunque a letto, oppure si siede sulla sua poltrona affondando in un imbarazzante silenzio. Ma alcune volte, come la notte in cui Sherlock riesce a rompere una delle antiche tazze da tè  della madre di John, servono più che occhi da cucciolo e due-parole di scusa per calmarlo.

“John,”dice Sherlock, e suona in egual parte rimprovero e supplica, “sai che non posso farci niente quando mi succede. Non voglio farlo. Non è colpa mia.”

“Allora di chi cazzo è la colpa, Sherlock?” chiede John. Agita le sue braccia in modo irritato. “La mia bisnonna ha dato queste tazze a mia madre, Sherlock. Lei le ha date metà a me, e metà ad Harry. Harry ha rotto tutte le sue. Ne sono rimaste solo quattro, e il set partiva da dodici. Le mie cose hanno davvero così poco valore per te?”

“Certo che no!” abbaia Sherlock, e non ha neanche bisogno di aggiungere ‘Che domanda idiota!’ perché è molto ben sottointeso. “Io solo… È difficile! Non hai idea di come sia, John. Avere il tuo cervello che corre a un miglio al minuto costantemente e non aver nulla su cui concentrarsi. A volte mi sembra che potrei esplodere, o almeno diventare pazzo. Altre volte diventa quasi doloroso e semplicemente non posso solo star seduto ancora. Quando fa male, mi arrabbio, e quando sono arrabbiato non sono razionale!” si ferma, strofina i suoi occhi e dice, “Quando ero un bambino mi è stata diagnosticata l’Asperger.”[5]

“Oh.” È tutto ciò che riesce a dire. Si siede sul tavolino da caffè in modo da poter essere di fronte a Sherlock. Posiziona le sue ginocchia all’esterno di quelle dell’altro. “Autismo. Avrei dovuto capirlo.”

Sherlock esala rabbiosamente e lancia uno sguardo a John da sotto le ciglia, la furia nei suoi occhi. “Sindrome di Asperger è come loro l’hanno chiamato. Resto non convinto che sia realmente quello che ho. Comunque, ho diversi sintomi che combaciano. Uno di questi è… una cronica incapacità di giudicare come gli altri reagiranno alle mie azioni. Rende la socializzazione difficile, e non ci sono mai riuscito molto.”

“Ci hai mai provato?” chiede John. Sherlock abbassa lo sguardo e scuote di poco la sua testa. John prova duramente a non esasperarsi perché, beh, forse non è tutta colpa di Sherlock come pensava. Invece, raggiunge ed accarezza le guance di Sherlock, tirando su la sua testa così che i loro occhi possano incontrarsi. “Hai ragione, non posso immaginare come sia. Tutto ciò che so è che deve essere molto doloroso per te.”

“Non intendevo le cose che ho detto,” mormora Sherlock. “Ho solo… è come ho imparato a difendere me stesso.”

“Contro cosa?”

“La gente.”

John ha un’immediata visione di Sally Donovan, mentre gli dice che sarebbe stato meglio senza la sua Anima Gemella se fosse saltato fuori essere Sherlock Holmes; che l’uomo era uno psicopatico. Un mostro. Mostro è la parola che aveva usato.

“Sherlock…” esala, non esattamente sicuro di come reagire. Si chiede quanti Sally Donovan ci siano stati nella vita di Sherlock. Quanti siano stati anche peggio di Sally Donovan.

“Sminuisce l’insulto se posso rispedirglielo. Mi chiamano mostro, psicopatico, macchina. Io li chiamo adulteri, bugiardi, sgualdrine. E sanno che è vero. Fa sì che mi odino, ma almeno ho delle munizioni per quando decideranno di darmene altri.”

L’intera cosa fa quasi venir voglia a John di urlare. L’idea che qualcuno possa crescere essendo così non-amato da dover imparare a difendere sé stesso, facendo il bullo con i suoi bulli, è atroce. Sfiora i capelli di Sherlock spostandoglieli dagli occhi, via dalla sua fronte, e quasi desidera poter stare occhi-negli-occhi con il suo meraviglioso e spietato cervello. Dirgli di stare zitto per un secondo, così che Sherlock possa avere un istante di quello che non ha mai avuto prima. Quello che così tante persone prendono completamente come garantito.

Silenzio.

Le mani di Sherlock si alzano ad avvolgere quelle di John, abbassandole sul suo grembo. Lentamente, rimuove entrambi gli anelli, appoggiandoli sul tavolino da caffè, e muove le sue mani per tornare a far scivolare le loro dita insieme e stringe. Le affettuosità sono ancora rare tra loro. Una pacca sulla schiena, lo stringere una spalla è tutto quello che hanno realmente fatto. L’aria è intima. John vuole sporgersi in avanti, catturare quelle labbra rosa a forma di cuore. Sa di potere, che Sherlock molto probabilmente non reagirebbe in modo negativo, ma c’è ancora qualcosa che lo trattiene.

“Non intendevo farti arrabbiare. Sono solo… molto volubile quando divento così.” Gira la mano di John, fissando la sua SBI. Tiene una delle sue magre dita su quella di John. “Sei la prima persona che abbia mai provato a capire, a parte mio fratello e Lestrade. Capisco che è per senso del dovere, ma è comunque qualcosa. Non importa ciò che dico, non voglio che tu te ne vada. Quindi per favore, non farlo.”

Non è per senso del dovere─”

“Sì. Sì, lo è. Puoi dire onestamente che, se non fossi finito per essere la tua Anima Gemella, avresti cercato così strenuamente di tollerarmi?” gli occhi di Sherlock sono spalancati, chiedendo una contro argomentazione e aspettandosi un affermazione contemporaneamente.

Senza neanche pensare, John emette un veemente e stringe la sua presa sulle mani di Sherlock. “Siamo sulla stessa barca, Sherlock. La stessa, identica, barca. E so come ci si sente ad essere soli al mondo. Non l’ho sempre saputo, e non posso immaginare quanto solitario devi essere stato in tutti questi anni, perché io sono stato solo per pochi mesi ed ero pronto a…” la sua mascella scatta udibilmente con la velocità a cui la chiude, e guarda fisso, a occhi spalancati, Sherlock per un momento prima di mormorare, “Scusa, ho detto troppo.”

“John─”

“Il punto è,” interviene John velocemente, “ho bisogno di te tanto quanto tu hai bisogno di me. Quindi non vado da nessuna parte.”

Sembra che un grosso peso sia stato sollevato dalla stanza dopo quella ammissione. Gli occhi di Sherlock, che sembrano aver deciso di essere argento in quel momento, sfrecciano avanti e indietro, cercando di leggere gli occhi di John come un libro. Poi si fermano, fissando dritto verso John per dieci interi secondi. Pupille che incontrano pupille. Infine, quando John pensa di star per morire per l’attesa, sobbalza in avanti e schiaccia la sua faccia contro quella di John.

Non solo le labbra, no. Il suo naso sfrega contro la guancia di John, i loro occhi si mischiano, e le mani di Sherlock si aggrovigliano così a fondo nei suoi capelli da far male. A John, comunque, non può importare di meno. Non può immaginare che nessuno di loro sia davvero bravo in questo; nessuno lo è quando ha appena incontrato la sua Anima Gemella. Niente ha mai contato così poco per lui nella sua vita.

Si baciano ancora e ancora, con più denti di quanto John pensa sia solitamente accettabile. Sembra che Sherlock stia cercando di mangiare la sua faccia, ma comunque ne vuole ancora. Vuole avvicinarsi di più. Vuole sentire Sherlock premuto contro tutto sé stesso. Sta appena considerando di spostarsi sul grembo di Sherlock quando Sherlock fa esattamente quello su di lui. In qualche modo, le lunghe gambe di Sherlock si sono ripiegate su loro stesse così che possa sedersi su una delle cosce di John. Drappeggia le sue braccia intorno alle spalle del dottore. Un braccio di John va intorno alla vita del detective, premendo insieme i loro corpi. Dio è così caldo. Il soffice cotone del suo pigiama non è spesso abbastanza per mascherare il calore del suo corpo. John è lieto di star indossando uno dei suoi maglioni più leggeri, altrimenti potrebbe non essere in grado di sentire Sherlock; la sua forma flessuosa, i muscoli della sua schiena che si muovono.

Una parte di John è disperatamente eccitata. Una parte più grande, la maggiore, è semplicemente felice di avere Sherlock premuto contro di sé, caldo e mobile e . Onestamente, vuole solo aggrapparsi a Sherlock e non lasciarlo andare mai più. Non si era mai reso conto di quanto avesse bisogno di questo finché Sherlock non è entrato nella sua vita un mese prima e ora ogni volta che lo guarda, viene sopraffatto dall’urgenza di prenderlo tra le sue braccia, tenerlo lì.

Ora la lingua di Sherlock è nella sua bocca, e quello dovrebbe essere fastidioso ma, no. Non davvero; è molto più non fastidioso. Tutto di Sherlock è caldo e soffice, sembra, e sa di tè e limone, cioccolata e vaniglia. Mrs. Hudson doveva avergli portato del tè quel pomeriggio mentre lui faceva il suo giro. Sherlock è goloso dei suoi biscotti fatti in casa, John dovrebbe saperlo. I cibi sfornati da Mrs. Hudson sono le sole poche cose che Sherlock mangerebbe volentieri durante un caso, e John dovrà chiederle di preparare un’infornata di biscotti, quando un caso si trascinerà troppo a lungo da far diventare Sherlock pericolosamente denutrito.

Il bacio comincia a calmarsi. Sherlock muove languidamente la sua lingua in circolo intorno a quella di John. È sensuale in un modo strano. Almeno ha finalmente capito perché tutti quanti, quando era alle superiori, facevano pratica di baci con i migliori amici. (Lui non l’aveva mai fatto; sua madre lo avrebbe spellato vivo se lo avesse scoperto). Tuttavia non può davvero immaginare di farlo con chiunque altro se non Sherlock.

Sherlock si sposta e appoggia la sua fronte contro quella di John. Sorride e mormora, “Stai di nuovo pensando rumorosamente.” Preme di nuovo le sue labbra contro quelle di John, goffamente poiché è difficile baciare quando stai sorridendo. Rimane lì, il naso premuto contro la guancia di John, per una indeterminata quantità di tempo.

“La mia gamba,” mormora John alla fine. Sherlock è leggero, più leggero di quanto dovrebbe essere, ma è sulla gamba malandata, quella che ancora gli fa male nei giorni in cui il tempo è particolarmente brutto oppure se non si è mosso abbastanza quel giorno. La sua gamba reagisce allo stesso modo del cervello di Sherlock quando ha troppa poca stimolazione. Esplosiva, mal funzionante, dolore scatenante e irritabilità.

“Mmm.” Sherlock si stacca lentamente, premendo diversi lenti baci contro la bocca di John, prima di separarsi da lui. Lascia il suo sapore sulla lingua di John. “Potrei…” appoggia la sua fronte contro quella di John, premendo il suo naso contro la guancia dell’altro. “Spostarmi, o…?”

“Qui.” John si sposta sul divano, si mette comodo con la schiena accoccolata contro l’angolo tra il bracciolo ed i cuscini posteriori, e guida Sherlock giù verso la gamba buona. La gamba malandata è addormentata, grazie a Sherlock e alla mancanza di circolazione, e la sta stiracchiando davanti a sé sul divano. Il peso di Sherlock rimane sui cuscini, con una piccola parte della sua schiena appoggiata alla coscia di John.

Si mettono comodi. La testa di Sherlock sulla sua spalla, e il suo naso finisce seppellito tra le ciocche scure della sua Anima Gemella.

“Grazie.”

“Di… niente?” John non è sicuro per cosa lo stia ringraziando. Il bacio o quello che ha detto prima?

“Penso che avessi bisogno di sentirlo,” mormora Sherlock. “Ho sempre avuto questo sospetto, che una volta incontrata la mia Anima Gemella, mi avrebbe rifiutato. Sono davvero grato che tu non l’abbia fatto.”

“Sherlock.” Preme forte le sue labbra contro la tempia di Sherlock. “Lo dirò solo una volta. Quindi ascolta molto attentamente. Tu sei la mia Anima Gemella. Tu sei l’unico che mai avrò. Sono perfettamente soddisfatto di chi ho trovato alla fine della mia Ricerca. Rifiutarti sarebbe una palese manifestazione della cosa che gradisci di meno: Stupidità.” Un bacio. “Personalmente, penso di essere un uomo molto fortunato.”

“Lo sono anch’io.” Sherlock chiude i suoi occhi, premendo la fronte contro il collo di John. John si rilassa, crolla in realtà, contro il divano e chiude i suoi occhi. Una dormita suona davvero bene in quel momento, anche se sono appena le tre del pomeriggio. Dovrà alzarsi entro pochi minuti, cominciare a pensare alla cena. Ma per ora, Sherlock è caldo e assonnato contro di lui, e John non vuole disturbarlo per nessun motivo.

“John,” bisbiglia Sherlock, quasi urgentemente, quando John si è quasi addormentato. Sobbalza, cercando di riportare sé stesso alla piena coscienza.

“Cos?”

“L’hai fatto tacere,” dice Sherlock.

“Oh. Scusa.” Quindi appoggia di nuovo la testa sul divano, addormentandosi.

Solo per svegliarsi venti minuti dopo e processare quello che Sherlock ha detto. La sua Anima Gemella è addormentata, la bocca allentata e gli occhi che si muovono velocemente sotto le palpebre. Non c’è nient’altro da fare se non risistemarsi, poiché ora l’altra sua gamba si è addormentata. Lentamente, si stiracchia per la lunghezza del divano, si accoccola contro la schiena di Sherlock, tira una coperta, dallo schienale del divano, sopra di loro, e torna a dormire con il suo naso premuto contro il collo di Sherlock e la sua mano sinistra sovrapposta a quella dell’altro, il rigonfiamento del suo dito della SBI premuto contro l’inscrizione di Sherlock.


Ecco il primo capitolo del seguito di Finding John, (grazie a chi l’ha recensita/preferita/seguita/ricordata!) spero vi piaccia e di non aver fatto un altro enorme casino con la traduzione. Come sempre se avete suggerimenti/correzioni/critiche/commenti/ecc, non esitate a farmelo sapere! :)

L’autrice mi ha chiesto di dirvi che, per quanto ora la storia sia in stand-by, ha dei progetti per essa anche se potrebbero richiedere un po’ di tempo, ma che comunque ha almeno intenzione di provare ad aggiornare nuovamente. È stata molto contenta di ricevere i vostri commenti per la one-shot, vi ringrazia per averla letta e spera vi piacerà anche il seguito!

Per quando riguarda la periodicità degli aggiornamenti, spero di riuscire a caricare un capitolo ogni 2/3 settimane circa, anche se non sono certa di potervi garantire di spaccare il minuto, vi prometto che porterò a termine la traduzione, ok? *Scappa prima che decidano di tirarle addosso qualcosa di troppo pesante*

Bene, evidentemente la sintesi non è il mio forte, ora smetto di tediarvi, vi lascio solo delle Note alla Traduzione, se vi interessano:

[1] They’ve bitten for more than they can chew. È un’espressione idiomatica che equivale, grossomodo, al nostro “fare un passo più lungo della gamba”; per via della descrizione successiva che si riferisce ancora all’avere la bocca piena, non l’ho adattata, altrimenti avrei dovuto inventarmela io e non mi sembrava il caso. Comunque credo che abbia un senso anche in italiano, nonostante non sia un nostro modo di dire. Se avete suggerimenti, fatemi sapere, pls! :)

[2] […] John’s knickers al twisted up. Altra espressione idiomatica. Letteralmente vuol dire ‘[…] John aveva tutte le mutandine arrotolate’ e si usa per dire che qualcuno è arrabbiato; colloquialmente si dice ‘Don’t get your knickers in a twist’ a qualcuno di agitato o che si arrabbia facilmente, per suggerirgli di calmarsi/aver pazienza. Se viene detto a qualcuno arrabbiato per un buon motivo, potrebbe risultare offensivo. Esistono delle varianti, con parole differenti per knickers, ma che comunque indicano biancheria intima femminile, oppure twist sostituito da bunch. Non mi sono venute in menti frasi idiomatiche italiane equivalenti, così l’ho reso con ‘avere le balle girate’; anche qui, se qualcuno ha qualche idea migliore questa è un po’ troppo stiracchiata, forse mi faccia sapere! :)

[3] Newly-bonded: alterazione di newly-weds “sposini, sposi, novelli”, per assenza di un’idea migliore l’ho reso con “appena-legati”, suggerimenti? *Sbatte la testa contro ogni spigolo che le si offre a portata di mano*

[4] John will excuse himself: credo sia la formula di cortesia per quando, ad esempio, ci si alza da tavola o si lascia la conversazione con qualcuno; tradurlo letteralmente non ha senso in italiano, l’ho interpretato come un modo elegante per dire che usciva di casa, dire ‘in questi momenti John si esonera/scusa/giustifica’ non credo abbia senso. Sapete come si potrebbe rendere in italiano? A me non viene in mente. T.T

[5] Se volete approfondire l’argomento, vi rimando alla pagina wikipedia sulla sindrome di Asperger

Un’ultima cosa: qua e la ho sostituito i nomi propri di Sherlock e John quando mi sembrava ce ne fossero troppi nel giro di poche frasi e stonassero perché ripetitivi. Spero la cosa non vi dispiaccia, se ritenete che debba rimanere più fedele all’originale, fatemi sapere e mi regolerò per i prossimi capitoli. ^^

Baciotti Myreen :3

  
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