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Autore: Pwhore    03/04/2013    2 recensioni
Un Jack che per Alex darebbe l'anima, un Alex che all'anima non può rinunciare.
Quando il ragazzo che ami si trasforma in un sogno e in un incubo allo stesso tempo, cosa ne resta di te?
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cute Without The 'E' migliore È strano come la gente dia le cose più piccole per scontate, come questo gigantesco cielo appannato dalla nebbia e queste enormi strade deserte, perfette per chi vuole sentirsi in un film; voglio dire, ci sono persone che per queste due particolarità sono disposte a pagare decine di migliaia di euro ad un'agenzia viaggi e altre che ci si svegliano ogni mattina e arrivano a detestarle come nessun'altra cosa sul pianeta. Eppure quando qualcosa è bello bisognerebbe apprezzarlo sempre, perché nessuno si rende mai conto di quanto qualcosa sia speciale finché non è tutto perso e nessuno riconosce mai il vero valore delle cose finché non gli vengono strappate via, e bla bla bla. Conoscete la solfa.
Tutto questo per dire che oggi è una giornata più che decente che prospetta di diventare una giornata magnifica, visto che la passerò assieme al mio migliore amico Alex, e che sono più che felice di essere qui. Abbiamo suonato ieri sera, l'ultimo concerto per qualcosa come una, due settimane, e da questo momento in poi siamo liberi come l'aria per un tempo che per chi è abituato ai ritmi pressanti dei tour è interminabile. Mi piace camminare con lui, andiamo sempre a finire nei posti più impensabili e quando torniamo a casa abbiamo sempre almeno una nuova cazzata, acquistata in qualche nicchia mai vista dal resto della città che probabilmente in poco tempo sarà rasa al suolo per far spazio a un parcheggio o a un più redditizio centro commerciale. Quando camminiamo ci fermiamo in qualunque posto c'ispiri, senza farci domande sul perché della nostra pausa, e parliamo. Parliamo finché non ci si seccano le lingue, parliamo finché non si esauriscono le parole. Equivale a una specie di terapia, io sono lo psicologo di Alex e lui è il mio, e funziona da dio, perché io non ho paura di dirgli ciò che mi passa per la testa e lui non ha paura di essere sincero con me, quindi la nostra amicizia non può che prosperarne e diventare ogni giorno più solida. Più gli parlo e più mi rendo conto di quanto sia speciale, di quanto sia diverso da tutti gli altri ragazzi che abbia mai incontrato, di quanto le sue opinioni contino per me, di quanto ogni suo respiro sia essenziale per far funzionare al meglio il mio organismo, di quanto semplicemente io abbia bisogno di lui. La mia terapia è ascoltarlo per ore, ascoltarlo fino a non sentire più nulla, perché non c'è nulla al mondo che sia capace di farmi sentire come lui, anche se questo non ho mai avuto il coraggio di dirglielo. Non che io sia un fifone, anzi, ma ho come l'impressione che l'occasione giusta non mi si sia ancora presentata, che questo non sia il momento adatto, quindi aspetto e ascolto, anche se da come si comporta penso che potrei anche mandare al diavolo il momento giusto e dirglielo ora, tanto non cambierebbe nulla. Non penso sia la paura a fermarmi, come non penso che sia il buonsenso, forse è solo un timore infondato basato sul fatto che è troppo importante per me perché possa anche solo rischiare di perderlo; non so; ma non penso che il nostro legame potrebbe mai incrinarsi per una cosa così... mutevole? Voglio dire, puoi interpretare la frase come vuoi, come la classica 'I love you', che può significare tutto o niente; quindi non penso che possa bastare questo a dividerci. Non penso proprio che niente sia in grado di dividerci, ad essere sinceri, ma d'altronde chi sono io per giudicare?
Qualche volta quando comincia a parlare lo fa dal nulla, dopo che abbiamo preso a camminare da un quarto d'ora o giù di lì, quando io sono talmente perso nei miei pensieri da non accorgermi neanche degli sguardi che gli altri ci lanciano, chi riconoscendoci, chi ridendo dei nostri capelli, così sobbalzo.
– Sai Jack, mi fa strano pensare ai nostri fan – mormora, alzando lo sguardo al cielo per concedersi un sorriso placido.
– Come mai? Direi che ce li meritiamo, siamo grandiosi – ribatto, facendolo scuotere la testa con una risata trattenuta.
– No, scemo, non intendo quello – sottolinea.
– Cosa intendi allora? – domando, fermandomi davanti a una libreria a cielo aperto.
– Voglio dire che è strano che ci amino così tanto, se fossimo persone qualunque probabilmente non ci cagherebbero di striscio o penserebbero che siamo dei maniaci depravati – comincia, girandosi a guardarmi nel pronunciare 'maniaci'.
– Sbaglio o avevamo un discreto successo con il gentil sesso anche quando eravamo persone comuni? – gli ricordo.
– Tu di sicuro, sei sempre stato una calamita per donne – scherza punzecchiandomi con un dito.
Oddio che fossette carine che ha.

– Anche tu eri un bel latin lover, eh – controbatto, cercando di sminuirmi. 
– Hai detto bene, ero. Adesso non piaccio più a nessuno – ride, scorrendo le dita su una copertina a caso. Prendo in mano un libro senza pensarci e glielo mostro, lui si gira soprappensiero e sussulta nel leggerlo. 'A me molto'. Non credo che i suoi occhi sbarrati si riferiscano al titolo assurdo del volume e mi sento morire. Non gli piaccio. Il suo sguardo sgomento si fa insostenibile e abbasso gli occhi, fissando il marciapiede così intensamente che se avessi avuto dei superpoteri qualsiasi ora sarebbe sciolto e la gente si sarebbe fermata a guardare, sbalordita e spaesata dal risultato. Per la prima volta da anni, ho paura. Una paura arcana, pesante, che vorrei non aver mai provato.
Rimane in silenzio, ma sento il suo sguardo bruciare contro la mia pelle. Rimetto a posto il libro e riprendo a camminare, senza voler affrontare la sua reazione. Ho come l'impressione che non risponderà presto, e la cosa mi fa sentire come se tutte le mie budella fossero state sostituite con dell'acido abbastanza potente da corrodermi lo stomaco ma troppo lento perché qualcuno non se ne accorga prima e mi salvi dalla morte, e fa schifo. Fa così schifo che non ho neanche la forza di fermarmi e piangere, così continuo a camminare, avvertendo la sua presenza dietro di me, confusa e spezzata dalla sorpresa, e tengo lo sguardo fisso, troppo stordito per osare un qualsiasi altro movimento. Alex dal canto suo tace, tace come non ha mai fatto prima, e il suo silenzio è un silenzio accusatorio, che mi rimprovera di averlo privato del suo unico sostegno reale, di essere stato egoista e di aver scelto un momento così poco adatto per rivelarmi a lui. Tra tutti, non penso potesse immaginare che io potessi essere non dico gay, ma anche solo bi. Che poi non sono neanche bisessuale o in crisi sulla mia identità, penso che lui sia un gruppo a parte, una di quelle persone che non importa di che sesso siano, non puoi evitare di innamorarti di loro e perderti nei loro occhi scuri, qualunque sia il tuo legame con loro; ma non credo che Alex lo capisca. Per questo il suo silenzio è così duro. Non penso che abbia mai detto tanto come con questo silenzio, e la cosa mi terrorizza. Ho paura di aver appena perso il mio migliore amico, e fa male. Fa terribilmente male.
Arriviamo all'hotel che non ho ancora mai staccato lo sguardo da terra, ho la lingua incollata al palato e la bocca secca, del tipo che anche volendo non riuscirei a spiccicare parola; ma a lui non sembra dispiacere così tanto, e se lo fa non lo da comunque a vedere, come fa quando è turbato ma non vuole che gli altri lo compatiscano o cerchino di capire cosa gli giri per la testa. Mi siedo su un pilastro di marmo che si trova davanti all'entrata e cerco di farmi il più piccolo possibile, mentre lui si sistema sulle scalette e guarda davanti a sé, assente, vedendo cose a me ignote che mi fanno sentire ancora più impotente di prima. Non mi ricordo di aver infilato la mano in tasca, ma quando la tiro fuori noto che c'è un paio di forbici tra le mie dita, e senza neanche pensarci mi graffio sul palmo, prima in modo lieve poi con più decisione, finché la mano non comincia ad arrossarmisi e a bruciare. Almeno sento qualcosa, mi viene da pensare, ma osservando la mia mano non la riconosco e il bruciore finisce, dando spazio all'apatia. Non voglio l'apatia, l'apatia mi fa paura. È uno stadio che non voglio raggiungere; voglio ancora sorridere pensando a lui, voglio ancora sentire le farfalle nello stomaco guardandolo in faccia, voglio ancora svegliarmi con la nausea nel sapere che la sagoma nel letto accanto a me è l'ennesimo sostituto della sua figura e non lui. Infilo la lama nella pelle e comincio a sanguinare, prima delicatamente, lentamente, come se il cielo stesse piangendo rosso per sbaglio, poi il flusso aumenta e comincia a rotolarmi lungo il polso, accarezzandomi l'avambraccio e lanciandosi nel vuoto una volta raggiunto il gomito, e nel nulla comincia a farsi spazio la consapevolezza che quello che ho appena fatto non ha rimedio. Ho mandato a puttane tutto e ci vorranno anni per ristabilire un rapporto di qualunque tipo con lui, a meno che... Alzo lo sguardo e incontro il suo. Vedo che mi guarda in volto, che osserva il sangue, che si sofferma sulle forbici; lo vedo alzarsi, togliersi la polvere dai jeans e andarsene, impassibile, lasciandomi lì da solo.
Rimango immobile per non so quanto tempo. So però che le forbici le ho rimesse in tasca e che in qualche modo il sangue si è fermato da solo, anche se non si è ancora seccato del tutto, e che Alex non è qui con me ad abbracciarmi e dirmi che andrà tutto bene. Fa male da far schifo, mi sento come se una bomba fosse sul punto di esplodere nel bel mezzo del mio cervello e nessuno fosse lì per cercare di disinnescarla e salvarmi la vita, come se a nessuno importasse un bel niente di sapermi sano e salvo nel mio letto dopo una catastrofe naturale. Vorrei piangere ma i miei occhi sono aridi, l'unica cosa che riesco a sentire è questo dannato peso che mi opprime il petto e m'impedisce di muovermi in qualsiasi modo. Ho paura e non ho nessuno a cui dirlo. Vedo Rian tornare all'hotel e capisco che mi ha notato; si avvicina e sopprime per qualche secondo il sorriso che ha sulle labbra, sporgendosi verso di me. 'Ehi, campione, tutto a posto?'.
– Uh-huh – mormoro, lui annuisce e se ne va, lasciandomi da solo e tornando a chiacchierare al telefono con qualche sua amica di lunga data. Il mondo mi cade addosso una seconda volta.

Non so come siano passati questi dieci giorni, so solo che i tecnici mi hanno guardato con delle facce oltre il preoccupato quando mi hanno visto arrancare nel backstage con le mani fasciate e un colorito che definire bianco non è abbastanza. Mi hanno chiesto come stessi e ho liquidato la domanda, ho afferrato una chitarra, me la sono messa al collo e mi sono chiuso nel camerino finché non è stata ora di uscire e andare a suonare con gli altri.
Quando sono salito sul palco mi sono sentito meglio, nel vedere il pubblico ho pensato che ehi, magari le cose non erano poi così terribili, magari Alex aveva assorbito il colpo ed era pronto a guardarmi in faccia senza sembrare la persona più negativamente sorpresa del mondo, magari si era trattato solo di un brutto sogno; ma quando l'ho visto le mie illusioni si sono frantumate istantaneamente. Mi ha guardato attraverso, come se fossi davvero fatto di cellophane, e non ha cercato il mio sguardo prima di attaccare con la prima canzone, lanciandosi nella performance come tutte le altre volte, come se non fosse successo niente. Solo che per quanto mi sforzassi di comportarmi come se niente fosse, per quanto corressi e saltassi come un ossesso, per quanto dessi il meglio di me per sembrare a mio agio sul palcoscenico e in mezzo ai ragazzi, lui non voleva saperne di avere contatti di alcun tipo con me. Non mi guardava, non mi cercava, non mi calcolava in nessun modo; era come se non esistessi, come se fossi solo un brutto scherzo o un intoppo nella sua strada per il successo. Non mi sono mai sentito tanto male in vita mia. Più mi sforzavo, più mettevo l'anima in ciò che facevo, più lui si ritraeva da me e più faceva male realizzare che non voleva più avere a che fare con me in assoluto, non solo per quel concerto. Non volevo e non voglio crederci, non credo sarò mai capace di afferrare pienamente questo concetto. Lui è Alex, il mio migliore amico, quello che è sempre rimasto quando tutti gli altri se ne andavano, quello che veniva picchiato con me quando ci provavo con una senza sapere che il fidanzato era nei paraggi e che quando inevitabilmente quello compariva si rifiutava di lasciarmi andare da solo incontro al mio destino, quello che non importa quanto mi ficcassi nella merda, mi tirava sempre fuori dai guai con un sorriso; quello il cui solo sorriso mi ha permesso di andare avanti per tutti questi anni. Alex è questo e tanto altro, e ora non vuole più saperne di me. Mi sembra di morire, come se mi si fosse aperta una voragine sotto ai piedi e io non riuscissi a scomparire se non particella per particella, con un ritmo che richiede milioni di anni solo per smaltire un pezzo d'unghia, e mi domando se ci sia davvero una via d'uscita a questo processo di autodistruzione. Finora la via d'uscita è sempre stata Alex, ma non credo si sia mai reso conto di quanto abbia sempre avuto bisogno della sua presenza, altrimenti non se ne sarebbe andato così, altrimenti... Altrimenti cosa? Ho fatto un'uscita di merda, è normale che non voglia più guardarmi in faccia, non posso biasimarlo. È colpa mia, avrei potuto scegliere un altro momento, avrei potuto trovare un modo più carino, avrei potuto aspettare che si sentisse a proprio agio o qualcosa del genere. Avrei potuto usare delle parole più adatte, avrei potuto cogliere un frangente più felice, avrei potuto essere migliore; ma ora come ora non so come potrei dirglielo. Ogni volta che provo ad avvicinarmi sguscia via verso l'altra metà del palco, e anche se provassi a seguirlo dubito che otte
rrei il risultato che desidero, anzi. Ho paura che se lo guardo in faccia mi sputerà addosso, penso che non alzerò più lo sguardo da terra. Almeno così, posso continuare a illudermi che le cose possano migliorare.

Il concerto è finito da poco, siamo rientrati nel backstage e Alex non mi ha cagato di striscio neanche quando mi è passato davanti; è andato dritto verso le docce chiacchierando fitto con Rian e penso che ora si stiano cambiando, come farei anch'io se fossi sicuro di non essere costretto a incrociarli e alzare lo sguardo verso di loro. Noti un sacco di cose che non crederesti mai possibili quando chiudi la bocca per più di cinque minuti e tendi le orecchie per captare i discorsi degli altri, e una di queste è che per Alex tutti i 'if the kids don't believe, make them believe', i 'I just fell in love with you again, Jack', i 'I think Jack is just so pretty' sono una cazzata, un modo per ottenere più seguito di quanto avremmo altrimenti, una maniera per renderci le cose più facili. Mi sento svuotato, come se tutto ciò in cui avessi sempre creduto si rivelasse una grande, immane bugia buttata lì solo per marketing, e in effetti è così, e l'ho scoperto nel peggiore dei modi, perché il mio migliore amico non ha neanche avuto il coraggio di dirmi in faccia che per lui questo non è mai stato più di un gioco e che in realtà per lui non sono niente più che un amico, per quanto buono e disponibile io sia. Non penso alzerò più gli occhi da terra.

Pensavo che il bagno fosse un posto costantemente frequentato durante i tour, ma ultimamente mi sto rendendo conto che non è così, che posso entrarci e rimanerci chiuso dentro per ore senza che a nessuno passi per la testa di entrare a darsi una sistemata al trucco, che in qualunque momento io spalanchi la porta c'è solo un piccolo margine di possibilità che ci sia qualcuno al suo interno e che questo qualcuno non se ne vada entro i primi due minuti dal mio arrivo. Questo mi lascia parecchio tempo per pensare, se solo riuscissi a pensare in modo coerente a qualcosa che non sia il viso sgomento di Alex di quando mi sono dichiarato. Diciamo che se ne fossi in grado, potrei farmi delle gran belle pensate chiuso qui.
Ho perso il conto dei giorni in cui non ho aperto bocca in sua presenza e in cui i miei occhi non hanno incontrato i suoi neanche per sbaglio, comincio a temere che non coglierò mai più il loro guizzo sulla mia pelle e che non vorrà mai più far sì che le nostre mani si sfiorino sul palco dopo esserci lanciati quelle occhiate che fanno tanto impazzire i fan. Ho paura che tra noi non ci sarà più niente, neanche amicizia. È tanto che non parlo neanche coi ragazzi, ma non credo che loro abbiano notato la cosa; in fondo non ci siamo mai parlati davvero, la mia attenzione è sempre stata rivolta ad Alex e la sua a me, anche se ultimamente ho avuto tempo per rifletterci. Mi vengono in mente sempre più incongruenze nel suo comportamento ma le spingo via, nei meandri più remoti della mia testa; non voglio credere che per tutto questo tempo mi abbia mentito, fa meno male pensare che sottovalutasse la cosa e che non credesse che potessi sentirmi in questo modo dopo tutti questi anni di amicizia e fratellanza. No, lui mi vuole bene, è solo che non sa come comportarsi e pensa che il modo migliore per ferirmi di meno sia non parlarmi ed evitare gaffe o fraintendimenti illusori, solo questo. Però non posso permettermi di guardarlo comunque, non credo riuscirei a non piangere. Dio, quanto fa male.

È lacerante sapere che sta dormendo qui, a due passi da me, e non potermi girare per vederlo, sfiorargli i capelli, sorridere del ritmo rilassato del suo petto; eppure è ancora più devastante sapere che non c'è più, che si è fatto cambiare cuccetta per non dover stare vicino a me, che pur di non essere costretto a parlarmi si è trovato disposto a prendersi il posto letto più scomodo di tutto il tourbus. Se me l'avesse chiesto mi sarei spostato io, almeno avrei avuto la sicurezza di saperlo fisicamente a posto, ma non mi rivolge la parola da qualcosa come una, due settimane ormai, quindi anche volendo non avrei potuto. Ho perso il conto dei giorni di silenzio, tra noi, anche se non credo di essere mai stato in grado di tenerlo in maniera decente, e di questo in parte sono felice, così non posso buttarmi giù contando le ore. Come se potesse bastare questo a farmi star meglio; non riesco a non desiderare di essere investito da un'auto in corsa e di morire sul colpo, magari tra le braccia di un Alex piangente che si scusa e mi dice quanto mi vuole bene, pregandomi di non lasciarlo così presto perché ha bisogno di me, del mio sorriso, della mia risata per andare avanti e continuare a essere la persona che è. Mi è venuta la pelle d'oca nel pensarci, mi sento così patetico e solo che mi viene da piangere. E invece non ci riesco, le mie guance sono più secche di una città in piena estate e l'unica cosa che riesco a fare è tremare e stringere sempre più forte queste cavolo di forbici, in un vano tentativo di far svanire tutto ciò che mi circonda. Mi chiedo se siano maledette, non riesco più a farne a meno e ovunque guardi loro sono lì, pronte ad aspettarmi. Questa cosa mi distrugge. Dio, Alex, come fai ad essere così vicino e così lontano allo stesso tempo? Mi sento sempre più perso.

Oggi ho scorto il suo riflesso in una pozzanghera. Si è fatto più magro, ho notato un accenno di zigomi dove prima c'erano delle guance morbide e allegre e gli skinny jeans che ha sempre indossato ora sono più larghi di quanto ricordassi. Spero che non sia colpa mia, che non si sia guastato l'appetito pensando e ripensando alla mia dannata uscita, che la sua vita abbia continuato a girare per il verso giusto anche dopo che ho fatto quel che ho fatto; non riuscirei a perdonarmi di avergli rotto le uova nel paniere. Un conto è rovinare la mia, di vita; un conto è mettere in ginocchio l'unica persona che ha davvero importanza per me in quest'universo bigotto ed egoista, soprattutto calcolando che tutti i miei gesti sono sempre stati calcolati per farlo star bene in ogni istante. Dio, mi sento la merda più merda del pianeta; spero solo che un giorno riesca a perdonarmi e guardarmi in faccia senza sentirsi deluso, arrabbiato o sgomento. Spero che passi. Ho paura di tutto, perfino della mia ombra 
non avrei mai pensato che quella presenza scura che si diverte tanto ad accompagnarmi in tutto potesse assumere un aspetto così negativo per me; mi sembra di essere perseguitato da un fantasma tristo e scheletrico che non aspetta altro di vedermi finire come lui – e quando devo uscire a fare le commissioni più comuni mi sento assalire dall'ansia più pura, al punto che ho preso l'abitudine di non guardare neanche il commesso quando pago. Mi sto ritirando dal mondo sempre di più e ho perso ogni stimolo base, mi sto riducendo a esistere docilmente e a fare tutto quello che mi dicono gli altri, senza mai ridere o parlare a voce più alta di un mormorio, come tutti hanno sempre detto non avrei mai fatto. Anche loro non consideravano il jalex reale evidentemente, oppure ci avrebbero pensato due volte prima di dire cose del genere. Se qualcuno avesse amato Alex come lo amo io allora potrebbe capire, ma ho paura di essere ancora una volta solo, abbandonato a me stesso e alle mie paure, e la cosa mi lacera nel profondo. Non voglio che il mio unico sostegno sia questo paio di forbici e una decina di colpi ben assestati sulle mie mani troppo scarne, non voglio che l'unica cosa in grado di farmi svuotare la testa sia questa pioggia rossa di dolore e sensi di colpa, non voglio che la mia esistenza si riduca a una vita piatta, priva di gioia, stimoli e amore, non voglio che l'apatia mi spinga a dimenticare lui e il suo splendore, non voglio smettere di amarlo e amare la sua esistenza, non voglio che nulla cambi. Lo amo e amo amarlo, anche se farlo mi sta uccidendo, e non cambierei le cose per nulla al mondo, per quanto questo potesse essere in grado di farmi risorgere. Se amarlo vuol dire soccombere, soccomberò; a costo di portarmi queste forbici nella tomba. 

Una voce metallica preregistrata ci annuncia che questa è la fermata del nostro hotel, i ragazzi scendono e io seguo docilmente il loro esempio, senza alzare lo sguardo per controllare che non ci sia gente attorno a me: tanto lo so che sono sempre l'ultimo a uscire quando siamo in un posto affollato e che quando le persone mi vedono in genere si fanno da parte perché le mie occhiaie fanno paura, non c'è bisogno che abbassi la guardia e li guardi in faccia per ottenerne un'ulteriore conferma. Quando mi avvicino le persone smettono di parlare e l'atmosfera si raffredda istantaneamente, qualcosa vorrà pur significare, no? Ormai non ci faccio neanche più tanto caso, è una cosa che mi tocca unicamente quando sono solo per davvero e la mia testa mi costringe a rifletterci su seriamente; altrimenti proseguirei a testa bassa e mi lascerei
scorrere tranquillamente la cosa addosso, come se riguardasse qualcun altro. E se non fosse per quest'alone di tristezza che mi segue ovunque vada potrei anche fingere che sia così, che io non sia mai stato rifiutato, che il gruppo stia andando alla grande, che la mia vita proceda a gonfie vele e che tutto sia assolutamente perfetto in ogni minimo dettaglio; perché in fondo ingannando me stesso non ferisco nessun altro. Comunque quando provo a scendere non ci riesco. I ragazzi mi si parano davanti e m'impediscono di mettere piede a terra, così rimango lì un po' stranito in cerca di un'idea sul da farsi. Cerco di scendere un'altra volta e un'altra volta mi spingono indietro, con Rian che dice 'no, tu no', così aggrotto le sopracciglia, scrollo le spalle quasi impercettibilmente e torno sui miei passi, lasciandogli questa piccola vittoria. Strascicando in piedi però incontro un altro paio di scarpe, che mi allarmano e mi costringono ad alzare lo sguardo, la prima volta dopo quasi tre settimane. Alex. Mi sta guardando con un'aria a metà tra la preoccupazione, il distacco e la decisione, e si vede da lontano un miglio che preferirebbe essere altrove piuttosto che qui, in questo momento, in preda alla confusione e a una manciata di sentimenti in feroce contrasto tra loro, faccia a faccia col suo - ex? - migliore amico. Aggancia il mio sguardo per una decina di secondi e sento le mie budella accartocciarsi e allungarsi come non facevano da tempo, sotto la presa dei suoi occhi magnetici, e non riesco a far altro se non cercare di respirare, disperatamente, mentre perdo il controllo dei miei muscoli. Pochi istanti dopo lui è davanti a me in tutta la sua certosina perfezione, confronta le nostre due altezze e scruta amaramente i miei zigomi improvvisamente sporgenti, scuote mestamente la testa e sospira. M'irrigidisco, serro le labbra e lo osservo con la coda tra le gambe, mentre chiude gli occhi, stringe i denti e deglutisce, per poi tornare a guardarmi con un muto rimprovero nascosto dietro le iridi. Si muove per la prima volta da quelli che mi paiono secoli, mi mette una mano sulla spalla e punta le sue pupille scure sulle mie, fregandosene altamente del fatto che tremo come una foglia e assumendo un'aria distorta, lontana e vicina allo stesso tempo, che sembra terrorizzare solo me.
– Non hai niente da dirmi? – domanda, le sue labbra rosee lontane solo una ventina di centimetri dalle mie. Non riesco a sopportare il suo sguardo e abbasso gli occhi, cercando conforto nelle mie scarpe, ma continuo a sentire la sua decisione premermi sulle guance, bollente e dolorosa come non mai. Nel silenzio più completo, scuoto la testa e mi seppellisco con il pensiero, desiderando di morire all'istante. Lui rimane lì, la mano posata sulla mia spalla, e continua ad osservarmi senza muovere un muscolo, imperscrutabile e misterioso come suo solito. Sento che si aspetta un mio cambiamento d'idee, ma non sono abbastanza forte per anche solo pensare di aprire la bocca e dirgli che lo amo ancora con tutto me stesso, così taccio, svuotato, sperando che i miei sentimenti gli sfiorino il cuore grazie alla forza del pensiero e non a quella delle parole. Cosa che però non succede. Respira, tira indietro la mano, mi lancia un ultimo sguardo e se ne va. Rimango in piedi a fissarmi le scarpe per non so quanto tempo, poi trovo la forza di spingermi in avanti e arranco verso un sedile sulla destra dell'autobus. Mi ci lascio cader sopra e mi stringo le ginocchia al petto, cominciando a piangere improvvisamente, dopo aver passato settimane pensando di non saperlo fare più; ma la cosa non mi conforta affatto. Mi stringo le mani e mi rendo conto che le forbici si sono di nuovo materializzate lì, senza che me ne rendessi conto. Annaspo per un po' d'aria trattenendo un gemito ma non si sente più niente intorno a me, né il traffico, né Alex, né i ragazzi, e mi rendo conto di essere solo un'altra volta, quando avrei tanto bisogno di un abbraccio. Normalmente questo sarebbe il momento in cui Alex salta fuori da chissà dove con in mano un frullato per stringermi a sé e dirmi che va tutto bene, c'è lui con me e non ho nulla da temere, ma ora Alex è lontano, e non credo si riavvicinerà mai più. Mi pianto le forbici nella carne e lascio che siano loro ad abbracciarmi, permettendo ai miei sensi di assopirsi e chiudersi a riccio, e tutto diventa nero, di nuovo; come ogni notte da tre settimane a questa parte, come ogni minuto da tre settimane a questa parte, come in ogni incubo da tre settimane a questa parte.
Walked upon the edge of no escape and laughed, 'I've lost control'
He's lost control, again.



Angolo dell'autrice: Finale di merda improvviso e senza una vera fine? Sì. Ma essendo un sogno, ed essendomi alla fine suicidata, penso che sia meglio lasciarlo in sospeso così, con la speranza che Alex cambi idea su Jack e torni ad essere il suo amicone come ai vecchi tempi e senza tirare troppo la corda. Terribilmente deprimente e ridondante, senza una lezione da imparare o una promessa di un futuro migliore? Assolutamente sì, ma la scusa del sogno mi para il culo un'altra volta. Non lo so, viverla in prima persona mi ha messo addosso una devastazione immensa e sono quattro notti che non riesco a non sognare le fini più terrificanti per questa storia, con conseguenti stordimenti per tutta la durata delle relative giornate, ma mi rendo conto che leggerla o non leggerla, a voi non cambia molto. Se devo essere sincera, ne sono felice. Sentire sulla propria pelle l'intensità dell'amore di Jack e il dolore del successivo abbandono è stata una cosa orribile che non riesco a togliermi dalla testa, spero che non la sentiate mai e che vi dimentichiate presto di questa storia. Fine di merda, lo so, ma mi sentivo troppo uno schifo a farlo morire e farli mettere assieme è troppo assurdo anche solo da pensare, quindi boh, sì, insomma, avete buttato una parte delle vostre vite a farvi inquietare senza trovare neanche una fine adeguata, condivido il vostro infinito amore nei miei confronti. Tra l'altro 'She's lost control' non mi piace neanche così tanto, ma mi è venuto d'impulso d'inserirla, quindi vi appoggio se pensate che un'altra canzone ci sarebbe stata meglio e che c'ho pensato poco su. Verissimo, è stata questione di pochi secondi. Che dire, grazie di essere passati e niente, alla prossima. Ciao (:


'Ho fatto un sogno orribile
Io ero Jack ed ero innamorato perso di Alex
E dopo tutto quello che succedeva sul palco pensavo che un po' mi ricambiasse
E dovevamo tipo passare da una libreria per tornare a casa
E lui diceva qualcosa scherzando, del tipo 'non piaccio a nessuno' o giù di lì
E io gli passavo un libro che sulla copertina diceva 'a me molto'
E lui mi guardava con occhi sgranati e io capivo che non provava la stessa cosa e abbassavo lo sguardo
Poi procedevamo in silenzio e io guardavo sempre in basso
Arrivavamo all'hotel e mi sedevo su un pilastro di marmo che si trovava davanti all'entrata
Lui si sedeva sulle scalette e io tiravo fuori delle forbici e cominciavo a farmi dei graffi sui palmi delle mani, senza mai alzare lo sguardo
E dopo un po' cominciavo a sanguinare di brutto, però lui non diceva niente e neanche io
Alla fine lui entrava e io rimanevo lì e nascondevo le mani
Arrivava Filippo e mi faceva 'oi tutto a posto?'
E io 'uh-huh'
Lui annuiva e se ne andava
E poi c'erano tutti spezzoni di scene in cui c'era Alex e io non avevo il coraggio di alzare lo sguardo
Però avevo queste forbicette sempre con me e qualche volta le tiravo fuori, ma nessuno a parte me le notava
E mi graffiavo
Non volevo tagliarmi, volevo graffiarmi e sentire qualcosa
Ma non ci riuscivo
E Alex non mi cagava di striscio, e io stavo male
Poi un giorno stavamo in pullman tutti insieme e i nostri amici scendevano
Io facevo per scendere ma mi rispingevano dentro e dicevano
'No, tu no'
E io non capivo però non facevo nulla e tornavo dentro
E dentro c'era Alex
Io lo guardavo per qualche secondo e abbassavo lo sguardo e lui si avvicinava
Mi metteva una mano sulla spalla e mi diceva 'non hai niente da dirmi?'
Io non alzavo gli occhi e scuotevo la testa
Lui però non se ne andava e io mi sentivo sempre peggio, però non volevo togliergli la mano perché era tanto che non mi stava così vicino
Allora rimanevamo lì per un po'
Poi lui smetteva di guardarmi e scendeva dall'autobus
E io rimanevo in piedi
Mi sedevo e tiravo fuori le forbici
Mi portavo i ginocchi all'altezza del petto e cominciavo a graffiarmi
Poi è cominciato a uscire il sangue ma io non sentivo nulla
Credevo che Alex mi detestasse perché mi piaceva e mi detestavo per aver pensato di essere ricambiato
Allora continuavo e continuavo
L'autobus non ripartiva ma da fuori non si sentiva nulla
E io continuavo
Ed ero...
Non lo so
Sollevato
Continuavo e continuavo
E l'autobus non ripartiva
E vedevo Alex dappertutto
E tutto era nero
E tutto era perso.'
   
 
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