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Autore: deadjoke    04/04/2013    0 recensioni
Il mondo è diventato un posto dove chi possiede i soldi è un dio, non esistono più "credo" se non quello dei soldi, tranne che per un ex poliziotto, ora investigatore privato da quattro soldi, alla quale non rimane che un ultimo strano caso.
Genere: Avventura, Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non v’era più giustizia al mondo, i soldi avevano il potere, chi li brandiva si sentiva un dio, prima di essere annientato da un nuovo dio oscurato dalla lussuria e dall’avidità. I soldi distrussero tutto ciò in cui credevamo, ci fecero soffrire, ci uccisero e nonostante tutto li desideravamo sempre, ma non ci sembravano mai abbastanza e per averne altri eravamo disposti a tutto, anzi, siamo. Vivevo in un epoca segnata dalle grandi multinazionali che erano intenzionate a conquistare lentamente il mondo unendo le loro forze e dando un valore monetario a tutto ciò che non avrebbe dovuto averlo. Ero stato un poliziotto per oltre dieci anni, prima di rendermi conto che la vera legge non era racchiusa in un distintivo, ma in chiunque possieda un cuore. Con l’esperienza fattami durante i vari anni passati in polizia decisi di andarmene per diventare un detective privato, deciso a far rispettare realmente la legge e non quella che spacciavano per tale.

 

Passarono mesi e ogni caso sembrava sempre più simile e noioso a quello precedente, nulla che potesse darmi l’occasione di provare a cambiare le cose nel mondo, niente che potesse darmi l’occasione di redimermi. Dopo l’ultimo caso di tradimento risolto gettai la spugna, chiusi l’ufficio e me ne andai in un bar, intenzionato ad affogare i miei pensieri nel fetido mare dell’alcool. Sedetti solo in un tavolino posto all’aperto sul retro del bar, guardavo le stelle e tra un sorso e l’altro di liquore alla menta il vento mi accarezzava il volto con il suo soffice tocco che si faceva sempre più freddo. Avevo finito un altro bicchierino, il quarto da quando ero arrivato, l’alcool non aveva effetti su di me, sarei potuto rimanere a bere tutta la notte, ma non possedevo abbastanza soldi. Tenevo ben stretto il bicchierino, come se avessi paura che potesse scappare, presi una sigaretta dal pacchetto che tenevo sempre in tasca e iniziai a fumare. Quelle piccole bastarde, le odiavo, eppure non potevo fare a meno di loro, non mi avevano mai dato problemi di salute, si limitavano a svuotarmi le tasche. Me la godevo, ogni tiro lo assaporavo come se potesse essere l’ultimo, mi sentivo rilassato, esternato dal mondo intero, pensavo di stare per raggiungere il nirvana, ma poi la sigaretta finì. Dei ragazzi ubriachi dall’alito maleodorante si sedettero vicino a me, come fossero miei amici, il più basso con lo sguardo fisso verso di me puntò un piccolo coltello alla mia pancia, facendomi sentire la punta ben affilata per intimorirmi, l’altro, invece, con voce sicura mi ordinò di mettere sul tavolino tutti i soldi che avevo e anche il pacchetto di sigarette. Sorrisi al pensiero di quanto fossero ridicoli, avevo visto di peggio, ma poco dopo inorridii al pensiero di quello che potevano fare a degli innocenti.
Li accontentai tirando fuori il portafogli e le sigarette, il più alto mise la mano sul tavolo, pronto a gustarsi il malloppo, gli fermai la mano poggiandogli sopra la mia dove tenevo ben stretta la mia pistola, l’altro ragazzo fu paralizzato dalla paura, presi il suo coltello e lo appoggiai sul tavolo, non dissi niente, feci un cenno con la testa e prima che potessi sbattere le palpebre erano già fuggiti via come chi scappa da una casa in fiamme. Mi alzai, dando un’ultima occhiata alle stelle, buttai via il coltello nella spazzatura e tornai a casa. Durante il tragitto guardai la mia pistola, non l’avevo mai usata se non al poligono per l’addestramento e le esercitazioni, era un piccolo revolver con canna corta, nulla di eccezionale, conteneva un solo proiettile, ovvero quello che mi avrebbe salvato la vita o che me l’avrebbe tolta.
Uscì dall’ascensore, presi le chiavi di casa e mi fermai davanti alla porta, qualcosa non andava, forse mi sbagliavo, ma una luce usciva da sotto la porta di casa mia. Entrai dando una veloce occhiata al piccolo salotto che da troppi anni mi ospitava, mi accesi una sigaretta e gettai il cappotto sulla poltrona, andai vicino alla finestra per osservare il cielo, non v’era miglior collegamento costante col mio passato, tirai una forte boccata di fumo dalla mia sigaretta e prima di potermi girare venni colpito alla testa. La sigaretta cadde dalla mia bocca volando giù dalla finestra, io vidi un’ombra che si allontanava poi svenni. Mi svegliai in un letto d’ospedale qualche ora dopo, mi dissero che chi mi aveva aggredito si prese la libertà di ribaltami casa e di darle fuoco con me dentro, fui fortunato, il mio vicino vide il fumo uscire da sotto la porta entrò e mi tirò fuori da un piccolo cumulo di macerie che mi era caduto addosso. Avevo qualche ustione sul volto e un braccio ingessato, non m’importava nulla del mio aspetto, non ero mai stato un Adone. Appena dimesso chiamai un mio amico poliziotto, un ragazzo che avevo addestrato qualche anno prima, non stetti a chiedergli indizi sull’aggressore, chiesi solo cosa si era salvato nella mia casa, con voce stupita mi disse di passare a trovarlo in centrale per ritirare le poche cose che erano riusciti a prendere dalle macerie. Mi diressi in centrale, madre di molti fantasmi del mio passato che ancora mi perseguitavano nella mia mente. Presi un sospiro ed entrai, gli sguardi di tutti gli agenti ricaddero su di me, sapevo il perché, andai nell’ufficio di Tim, mi accolse con un abbraccio e una tazza di caffè che scolai nel giro di pochi secondi, disse che non vi erano ancora notizie sull’aggressore e alla domanda su quale poteva essere il movente gli risposi con un semplice “non ho idea”. Si assentò per qualche secondo per tornare con il mio cappotto bruciato sulla parte inferiore e la mia pistola, graffiata e leggermente annerita, disse che potevo riprendermeli subito senza neanche dover compilare i classici moduli per autentificare la proprietà. Tirai un sospiro colmo di tristezza, lo ringraziai per tutto ciò che aveva fatto e lasciai la centrale nel giro di pochi secondi, l’unico posto in cui potevo andare era il mio ufficio, era rischioso andarci, l’aggressore poteva aspettarmi anche la, ma non avevo paura di morire, sarebbe stato il minimo per ripagare le cose orribili che venni costretto a fare per colpa dei soldi.

 

 

Avrei voluto abbandonarmi alle spalle quel piccolo ufficio da detective privato fallito che mi ero imposto di fare, ma ormai era l’unico posto in grado di ospitarmi, almeno finché il mio appartamento non fosse stato rimesso in sesto. Presi le chiavi da sotto il sedile della mia macchina, una piccola 500 italiana che mi ero comprato quando andava ancora di moda, ora era vista come un residuo, un’antichità, qualcosa che solo chi possiede un museo la potrebbe possedere. Parcheggiai sotto l’edificio, aprì il portone principale dove a fianco era ancora presente la targhetta con su il mio nome e il piano a cui trovarmi per informazioni, l’ascensore dell’edificio si era rotto dopo che una coppia di obesi, residenti lì, decisero di mettere a dura prova la forza del povero macchinario, non aveva mai avuto una grande capienza, giusto il minimo per due persone anoressiche e un sacchettino della spesa formato risparmio. Il primo ciccione, da quel che mi disse un mio amico alla scientifica, entrò a fatica nel piccolo spazio, incastrandosi e occupando oltre metà dello spazio, il secondo riuscì ad entrare, quasi togliendo tutto l’ossigeno presente, riuscirono ad arrivare al loro piano, il primo, ma quando le porte si aprirono l’eccessivo spostamento di peso fece staccare i cavi dell’ascensore, facendolo precipitare con entrambi i poveri e pigri passeggeri al loro interno, non vi fu nulla da fare per loro e vi risparmio i dettagli sul ritrovamento dei corpi.
Le scale di quella topaia erano sempre state sporche, la polvere si era ammassata negli anni, delimitando perfettamente le orme di chi vi passasse sopra e vi assicuro che anche dopo mesi quelle impronte non sparivano. Il corrimano, invece, era l’unica cosa ancora solida e pulita di tutto l’edificio.
Salì le scale e scalino dopo scalino il cuore continuava ad accelerare il suo battito, tenevo stretta la pistola posta nella tasca del cappotto, pronto a puntarla addosso a chiunque vi fosse di indesiderato nel mio ufficio. Quando aprì la porta perlustrai ogni singola stanza, ma non vi trovai nessuno. Sedetti sulla poltrona nera e un po’ sbiadita posta dietro la scrivania leggermente consumata. Non sapevo più cosa fare, anni e anni passati a rincorrere criminali, dando un qualcosa di personale ad ogni caso, provando rabbia e tristezza per ciò che provavano le vittime e i loro famigliari, facendone una questione personale e adesso, che ero io la vittima non riuscivo ad interessarmene

 

 

abbastanza per continuare l’indagine. Pensavo di aver vissuto abbastanza per cercare il colpevole di tutta questa storia, avevo quasi perso la voglia di vivere.
Mi accesi una sigaretta, sebbene le odiassi tanto, in momenti come quelli erano l’unica cosa capace di farmi tornare a ragionare.
Ogni boccata che riempiva e colorava sempre di più i miei polmoni con un tetro color nero mi schiariva le idee sul da farsi.
Presi sotto mano il blocco con tutte le annotazioni su tutti gli ultimi casi svolti in cerca di un piccolo indizio, se qualcuno mi vuole morto dovrà avere un buon motivo, pensai mentre scorrevo la lista dei miei clienti. Nessuno dei casi che avevo accettato era collegabile all’aggressione di cui ero stato vittima. Passai ore a cercare un indizio, ma alla fine la stanchezza ebbe la meglio su di me.
Mi svegliai con un forte mal di testa, legato alla mia sedia con del nastro isolante, roba da professionisti pensai sul momento, un uomo con un passamontagna si avvicinò guardandomi negli occhi, dopo qualche istante andò vicino alla finestra, aprì una piccola valigetta argentata e vi tirò fuori un registratore e mi fece ascoltare il messaggio che diceva “signor Timeless, mi duole informarla che a causa delle informazioni in suo possesso devo ritenermi costretto a eliminarla, nel mio lavoro informazioni come quelle che lei possiede sono capaci di mettere a repentaglio lavoro di anni. Il mio assistente si occuperà personalmente della sua dipartita, ovviamente senza lasciare indizi, le assicuro che la sua morte sarà indolore, così da evitare inutili schiamazzi e urla, buon riposo”.
Non appena cessò la registrazione l’uomo col passamontagna era già pronto a farmi un iniezione di veleno non rintracciabile con l’esame tossicologico.
Mi ribaltai indietro con la sedia, che con l’urto si distrusse in numerosi pezzi, presi la mia pistola dalla giacca e gliela puntai contro.
La mano mi tremava e la tensione mi stava offuscando la vista poco a poco, il bastardo mi tirò un calcio in faccia, facendomi cadere dietro la scrivania, quando mi rialzai era scomparso insieme alla valigetta e al registratore.
Qualcosa mi sfuggiva, c’era qualche indizio che non avevo trovato o che non riuscivo a collegare a ciò che stava succedendo e l’unico modo per riuscire ad arrivare a capo di questo mistero era ripercorrere tutti i miei passi facendo attenzione ad ogni minimo dettaglio. Presi tutte le annotazioni e i fascicoli che avevo compilato sui casi svolti, salii in macchina e mi diressi alla polizia, nessun posto era sicuro, neanche la centrale di polizia, ma era l’unico posto in cui potevo andare e dove c’era un amico pronto ad aiutarmi pur mettendo a rischio la sua posizione.
Mi diressi nell’ufficio di Tim, senza badare a tutti gli sguardi dei miei vecchi colleghi che si divertivano a sparlare alle mie spalle. Tim era al telefono e quando entrai lanciando sul suo tavolo tutti i miei fascicoli rimase stupito, mi guardò negli occhi e solo dopo qualche secondo mi chiese cosa stesse succedendo. Semplicemente gli risposi “succede che qualcuno mi vuole morto”.
Gli spiegai tutto quello che mi era capitato e subito dopo avermi dato una pacca sulla spalla iniziammo a sfogliare meticolosamente tutti i miei vecchi casi in cerca di indizi. Passammo ore a leggere e rileggere quei stupiti fascicoli senza trovare niente.
Eravamo esausti, decisi allora di andarmene per lasciare il mio povero amico ai suoi affare ben più importanti. Quando mi alzai dalla sedia Tim mi guardò con uno sguardo preoccupato, gli feci un sorriso come per rassicurarlo, presi la mia giacca e me ne tornai al mio ufficio.

 

Una volta arrivato mi sedetti sulla poltrona, prestando attenzione a non essere troppo vicino a nessuna finestra, rimasi fermo, immobile a pensare scrutando ogni angolo del mio piccolo ufficio da quella poltrona sfasciata. La sigaretta che mi ero acceso era incastonata tra le mie dita come un anello fumante che poco a poco bruciava, la cenere si accumulava sempre di più formando alla fine una piccola torre che sarebbe crollata al minimo movimento che avessi fatto.

 

Fu allora che vidi l’indizio che avevo dimenticato, lasciai cadere la sigaretta spenta per terra che sparpagliò cenere ovunque quando toccò il pavimento, andai davanti al piccolo comodino posto vicino al divano e alzai quella foto che ritraeva due uomini ben vestiti che si stringevano la mano con alle spalle di ognuno due grandi guardie del corpo.
Avevo già visto quella faccia, ma non riuscivo a ricordarla quando scattai la foto perché il soggetto non era lui, bensì il marito di una mia cliente che mi aveva pagato per scoprire se la tradiva.
Mi accesi un’altra sigaretta e con la foto sotto gli occhi iniziai a pensare a chi potessero essere quei due uomini. Quando tirai l’ultima boccata della sigaretta il mio sguardo ricadde sul pacchetto che avevo appoggiato vicino al posacenere e fu allora che mi resi conto di chi fosse uno dei due uomini nella foto.
Jeremy Albert Skrull, uno dei più grandi magnati dell’industria di sigarette, aveva cominciato con il suo marchio e nel giro di qualche anno riuscì a impossessarsi di tutte le altre marche di sigarette che vi erano sul mercato, diventandone così il re. Evidentemente l’altro uomo doveva essere qualcuno di estremamente importante, nessuno avrebbe dovuto vederli insieme, quell’incontro era stato troppo importante e quando mi videro mentre scattai quelle foto decisero che era meglio eliminarmi pur di non rischiare. Non avevo via di scampo, non sarei mai riuscito a negoziare con loro anche dandogli le foto in cambio di una fornitura a vita di sigarette, mi avrebbero sicuramente ucciso non appena voltate le spalle, l’unica cosa da fare era andare fino in fondo a quella storia, scoprendo chi era l’altro uomo ritratto nella foto, collegarlo a Skrull e capendo perché vederli insieme era una cosa che poteva costare la vita.
Sarei dovuto andare alla stampa, loro sarebbero riusciti a collegare tutto nel giro di qualche secondo, ma non potevo rischiare di far divulgare su tutti i giornali quella storia, un vero professionista deve fare tutto nell’ombra, raccogliendo indizi senza farsi notare, per poi smascherare tutto con estrema certezza e senza lasciare via di scampo ai colpevoli.
Dovevo informare Tim, lui sarebbe riuscito ad aiutarmi, alzai la cornetta del telefono, posto vicino alle foto di mia figlia, digitai il numero del suo cellulare e non appena aprii la bocca per parlargli una forte fitta al petto mi fermò, lasciai cadere la cornetta e strinsi forte la mano al petto, dopo pochi secondi di agonia svenni.
Una voce femminile, lieve e melodica mi chiamava, conoscevo quella voce, era di mia figlia Kate. Mi trovavo in un luogo desolato, privo di qualsiasi cosa e avvolto in un forte bagliore di luce, cercai di farmi strada seguendo la sua voce, passo dopo passo sentivo che il mio corpo si faceva più pesante e con esso la voce sempre più forte.
Una piccola sagoma scura, nascosta dalla luce, mi faceva segno di raggiungerla, quando arrivai, la vidi, proprio di fronte a me, la mia piccola bambina.
La abbracciai senza esitare, le lacrime scendevano come pioggia, non la vedevo da troppo tempo per potermi ricordare quanto fosse bello poterla abbracciare, tra una lacrima e l’altra disse “papà, non mi lascerai più vero? Non lascerai che mi portino via di nuovo”
“no bambina mia, non ti lascerò più, non permetterò a nessuno di separarci, ti voglio bene angelo mio” dissi singhiozzando.
D’un tratto un’ombra comparve dal nulla, prese mia figlia per la schiena e con grande forza cercava di strapparla via dalle mie braccia.
“No, dannazione, no... non ve la lascerò portare via ancora” urlai stringendola forte tra le braccia. La guardai in volto e la vidi sfigurata sul lato destro della faccia, logorato dalle fiamme e con un foro sulla testa.

 

 

Chiusi gli occhi un momento, “ti prego non te ne andare piccola” ma quando li riaprì era scomparsa. Mi sedetti in quella grande distesa vuota e piena di luce che, secondo dopo secondo, si oscurava sempre di più.
Le lacrime non riuscivano più a fermarsi, l’oscurità mi pervase e un attimo dopo la rabbia, il senso di colpa e la voglia di vendetta attanagliarono la mia mente con una morsa calda e ricca di desiderio.
Una scossa ruppe i miei pensieri, mi domandai per un istante cosa fosse, ma alla seconda scossa il terreno su cui ero seduto si ruppe, lasciando intorno a me solo un’enorme voragine colma di luce. Avevo perso tutto, avevo perso mia figlia per la seconda volta e non ero riuscito a combattere, volevo solo arrendermi per raggiungere lei e mia moglie in quel posto che chiamano paradiso. Mi gettai giù per la voragine di luce e poi il nulla.
Mi svegliai in una stanza d’ospedale, vicino a me, seduto su una sedia, c’era Tim, quando mi vide sveglio i suoi occhi brillarono, disse che ero stato fortunato, un attacco di cuore mi aveva colpito e insospettito per non aver più detto niente al telefono si era precipitato a casa mia, quando mi trovo chiamò subito un’ambulanza, disse che i medici avevano passato ore prima che il mio cuore ricominciasse a funzionare per bene.
Un medico entrò subito dopo con in mano il risultato di un esame, guardò per qualche istante il pavimento, prese fiato e poi disse “signor Timless, è stato molto fortunato a svegliarsi e soprattutto a sopravvivere per più di un ora con una totale assenza di battito cardiaco, il suo caso potrebbe andare sui giornali, ma nonostante questo miracoloso fatto, debbo darle una brutta notizia. Secondo gli esami che le abbiamo fatto ieri, abbiamo scoperto che lei ha una forma avanzata di cancro ai polmoni, non c’è ancora nessuna cura per questa forma così avanzata...”
“Ieri ?!? Per quanto tempo ho dormito?” dissi senza porgere la minima preoccupazione per la storia del cancro.
“Ehm... è ricoverato da due settimane, ma le stavo dicendo che ha un cancro incurabile signor Timeless, questa cosa non la disturba? Secondo il parare degli specialisti e anche dalle analisi, dovrebbe avere ancora un mese e mezzo di vita, mi dispiace”
“Un mese e mezzo... bastano e avanzano per trovare una persona e far giustizia”
Avrei voluto uscire in quello stesso istante dalla mia piccola stanza, ma il medico disse che non era sicuro per me lasciare l’ospedale quello stesso giorno. Un mese e mezzo di vita, il cancro mi stava divorando sempre più velocemente, indebolendomi e rendendomi un vecchio catorcio ambulante. Cominciai a pensare al mio passato, al poco tempo che mi rimaneva e se fosse valsa la pena di andare fino in fondo a quella storia al posto di godermi il tempo al meglio possibile, magari visitando posti che avevo visto solo in cartolina.
Chiusi gli occhi un istante, l’immagine della mia famiglia passò per la mia mente, in quello stesso momento decisi cosa fare.
Staccai la flebo e tutti gli altri dispositivi medici incollati sul mio corpo, mi vestì e incurante di ciò che il medico continuava a dirmi, partii verso il poligono di tiro. Ero sicuro che nelle prossime settimane avrei dovuto usare la mia vecchia pistola ed era meglio se avessi imparato a prendere bene la mira e a centrare il bersaglio. Ora dopo ora i bossoli dei proiettili sparati si accumulavano nel sacchetto posto alle mie spalle, crivellavo di colpi quelle povere sagome pensando alla mia vendetta.

 

La rabbia saliva e ogni colpo era carico di odio a tal punto che continuai a sparare anche dopo aver finito il caricatore. Rimasi immobile, con la pistola fumante puntata sulla sagoma a cui avevo distrutto la testa. Feci un respiro profondo, mi tolsi le cuffie e, dopo aver pagato il conto del poligono, me ne andai via.

 

Chiusi gli occhi un momento, “ti prego non te ne andare piccola” ma quando li riaprì era scomparsa. Mi sedetti in quella grande distesa vuota e piena di luce che, secondo dopo secondo, si oscurava sempre di più.
Le lacrime non riuscivano più a fermarsi, l’oscurità mi pervase e un attimo dopo la rabbia, il senso di colpa e la voglia di vendetta attanagliarono la mia mente con una morsa calda e ricca di desiderio.
Una scossa ruppe i miei pensieri, mi domandai per un istante cosa fosse, ma alla seconda scossa il terreno su cui ero seduto si ruppe, lasciando intorno a me solo un’enorme voragine colma di luce. Avevo perso tutto, avevo perso mia figlia per la seconda volta e non ero riuscito a combattere, volevo solo arrendermi per raggiungere lei e mia moglie in quel posto che chiamano paradiso. Mi gettai giù per la voragine di luce e poi il nulla.
Mi svegliai in una stanza d’ospedale, vicino a me, seduto su una sedia, c’era Tim, quando mi vide sveglio i suoi occhi brillarono, disse che ero stato fortunato, un attacco di cuore mi aveva colpito e insospettito per non aver più detto niente al telefono si era precipitato a casa mia, quando mi trovo chiamò subito un’ambulanza, disse che i medici avevano passato ore prima che il mio cuore ricominciasse a funzionare per bene.
Un medico entrò subito dopo con in mano il risultato di un esame, guardò per qualche istante il pavimento, prese fiato e poi disse “signor Timless, è stato molto fortunato a svegliarsi e soprattutto a sopravvivere per più di un ora con una totale assenza di battito cardiaco, il suo caso potrebbe andare sui giornali, ma nonostante questo miracoloso fatto, debbo darle una brutta notizia. Secondo gli esami che le abbiamo fatto ieri, abbiamo scoperto che lei ha una forma avanzata di cancro ai polmoni, non c’è ancora nessuna cura per questa forma così avanzata...”
“Ieri ?!? Per quanto tempo ho dormito?” dissi senza porgere la minima preoccupazione per la storia del cancro.
“Ehm... è ricoverato da due settimane, ma le stavo dicendo che ha un cancro incurabile signor Timeless, questa cosa non la disturba? Secondo il parare degli specialisti e anche dalle analisi, dovrebbe avere ancora un mese e mezzo di vita, mi dispiace”
“Un mese e mezzo... bastano e avanzano per trovare una persona e far giustizia”
Avrei voluto uscire in quello stesso istante dalla mia piccola stanza, ma il medico disse che non era sicuro per me lasciare l’ospedale quello stesso giorno. Un mese e mezzo di vita, il cancro mi stava divorando sempre più velocemente, indebolendomi e rendendomi un vecchio catorcio ambulante. Cominciai a pensare al mio passato, al poco tempo che mi rimaneva e se fosse valsa la pena di andare fino in fondo a quella storia al posto di godermi il tempo al meglio possibile, magari visitando posti che avevo visto solo in cartolina.
Chiusi gli occhi un istante, l’immagine della mia famiglia passò per la mia mente, in quello stesso momento decisi cosa fare.
Staccai la flebo e tutti gli altri dispositivi medici incollati sul mio corpo, mi vestì e incurante di ciò che il medico continuava a dirmi, partii verso il poligono di tiro. Ero sicuro che nelle prossime settimane avrei dovuto usare la mia vecchia pistola ed era meglio se avessi imparato a prendere bene la mira e a centrare il bersaglio. Ora dopo ora i bossoli dei proiettili sparati si accumulavano nel sacchetto posto alle mie spalle, crivellavo di colpi quelle povere sagome pensando alla mia vendetta.

 

La rabbia saliva e ogni colpo era carico di odio a tal punto che continuai a sparare anche dopo aver finito il caricatore. Rimasi immobile, con la pistola fumante puntata sulla sagoma a cui avevo distrutto la testa. Feci un respiro profondo, mi tolsi le cuffie e, dopo aver pagato il conto del poligono, me ne andai via.

“guai?!” disse girandosi verso di me “quali razza di guai pensi che possa portare a questa città? Suvvia, io sono l’unica salvezza per questa sciocca gente, non sanno più cosa fare, l’economia ormai è tutto”

“certo, tu desideri solo il bene del popolo, distruggendolo con metodi quasi impercettibili, come le piccole quantità di veleno impossibile da rintracciare nelle sigarette, aumentando i costi dell’acqua e dei bisogni primari, hai aumentato il costo delle medicine in modo esorbitante ed è proprio per questo che mi volevi uccidere, perché sapevi che se fossi riuscito a capire chi fossero stati quei due uomini insieme nella foto avrei riconosciuto te e il primo ministro per la difesa degli stati uniti”

A quel punto Skrull si sedette dietro la sua scrivania e si versò un bicchiere di Gin, poi disse “Sai John, io ti conosco da molto tempo, ricordo ancora cosa successe alla tua povera famiglia...”

I miei occhi si iniettarono di sangue, non ero certo di quello che stesse per dire, ma se fosse stato ciò che pensavo in quel momento, non avrei esitato ad estrarre la pistola e a sparargli un colpo in testa.

“sua moglie e sua figlia, povere anime, si erano messe su un brutto cammino, sai, un giorno mentre la tua adorata moglie portava a prendere un gelato la tua cara e dolce bambina videro i miei uomini mentre trasportavano rifiuti tossici e sostanze stupefacenti nell’industria vicino a loro, certo non era preoccupante che ci avessero visti, ma ai tempi avevamo paura di te John, eri un poliziotto modello, in poco tempo eri riuscito a fare piazza pulita in molti di quei quartieri che davano ormai per perduti, così un giorno mandai due dei miei assistenti per eliminare la tua famiglia, sapevamo che dopo uno shock del genere ti saresti suicidato o almeno dimesso dalla polizia”

 

La rabbia salì offuscandomi la vista, sgombrando la mente e facendomi desiderare solo una cosa, la sua morte.
Presi la pistola dalla tasca interna della giacca, la puntai alla sua testa e mentre stavo per premere il grilletto una pistola venne poggiata sulla mia schiena.
Fu più veloce di me, il proiettile mi trapassò da parte e parte quasi bucandomi un polmone, caddi a terra tenendo premuto sulla ferita, mi puntò la pistola alla testa e prima di far fuoco Jeremy concluse dicendomi “mi dispiace che sia dovuta finire così mio caro, speravo tanto di non dover arrivare a questo, ma poco importa, la polizia crederà che tu sei entrato qui per uccidermi a sangue freddo accusandomi di qualcosa che io non ho mai fatto, dopodiché andrò a comprarmi qualcosa da mangiare”
Il sangue non smetteva di uscire dal mio petto, presi una sigaretta dalla giacca me la accesi e stetti immobile a godermi le mie ultime boccate di quel veleno che era stato la causa di tutti i mali, mi diedero il tempo di fumarla tutta, come ultimo desiderio prima di morire.
Ogni boccata mi bruciava sempre più i polmoni e anche quando cominciai a sputare sangue non mi fermai, quando arrivai alla fine osservai un attimo la sigaretta la appoggiai alle labbra e mi sdraiai. I soccorsi erano arrivati, la polizia fece irruzione prima che mi uccidessero, arrestarono Skrull e uccisero il suo aiutante, quando mi videro cercarono di salvarmi, Tim si avvicinò a me col volto coperto dalle lacrime, gli dissi che era stato un ottimo amico e che mi dispiaceva non poter assistere al suo matrimonio. Chiusi gli occhi un attimo, il mozzicone cadde dalle mie labbra e dopo pochi secondi morì tra le braccia di un amico.

 

 

Anche dalla tomba vidi come procedevano le cose, Jeremy Albert Srkull venne incriminato, con l’aiuto che diedi alla stampa prima di morire, di crimini contro l’umanità, genocidio e molto altro, la sentenza fu una sola, condannato a morte.
Tutte le multinazionali che erano in collaborazione con quelle di Skrull vennero incriminate e re assemblate e controllate nei minimi particolari.
Tim si sposò e quello che dissi alla stampa dal mio ufficio gli garantì una promozione e un’onorificenza.

 

Riguardo me, ora il mio corpo è sepolto insieme a quello della mia famiglia, mentre il mio spirito è da poco tornato con loro.

  
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