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Autore: B Rabbit    07/04/2013    0 recensioni
Tratto dalla one-shot:
Si domandò se fosse normale trovare tanta sofferenza ed affanno nella paura, solo per un’azione.
[...]
Si chiese se fosse necessario farlo, andare da lui e dirgli tutto, raccontargli ogni minima cosa, spezzando così la loro amicizia nata per caso.
Quel loro legame così prezioso e delicato come uno specchio, o almeno per lui.
Aveva paura, paura di perderlo, di essere abbandonato, di nuovo.
Di tornare solo ancora una volta.
E se lui se ne andasse?
[...]
E se lui incominciasse a ignorarti?
[...]
E se lui sparisse via, in silenzio?
Allora sarebbe morto dentro, giù in fondo, perché senza di lui nulla valeva e tutto svaniva.
[...]
Perché i sentimenti che ho qui, conficcati nel mio cuore, fanno così dannatamente male da non poter essere solo finzione
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Allen Walker, Rabi/Lavi | Coppie: Rabi/Allen
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Fa male, dannatamente male ;
» ed osservando il cielo in silenzio, mi domando il perché «


≈₀≈







Sospirò sconfortato, cadendo nuovamente preda dell’ansia insopportabile.
Strinse convulsamente nella mano destra la camicia dell’uniforme, sgualcendone il lembo immacolato.
Si umettò il labbro inferiore con la punta della lingua, accarezzandone piano la superficie liscia e morbida.
Si domandò se fosse normale trovare tanta sofferenza ed affanno nella paura, solo per un’azione.
Respirò lentamente dalla bocca, portandosi la mano sinistra al petto e catturando la stoffa candida tra le dita bianche e sottili.
Posò la testa sul muro esterno dell’edificio scolastico, e socchiudendo gli occhi, grigi come lacrime di platino, espirò tristemente, osservando il cielo azzurro tingersi di cenere.
Si chiese se fosse necessario farlo, andare da lui e dirgli tutto, raccontargli ogni minima cosa, spezzando così la loro amicizia nata per caso.
Quel loro legame così prezioso e delicato come uno specchio, o almeno per lui. Aveva paura, paura di perderlo, di essere abbandonato, di nuovo.
Di tornare solo ancora una volta.

E se lui se ne andasse?



Avrebbe maledetto il coraggio che in quel momento gli allietava il cuore con falsi sollievi e sogni traditori.

E se lui incominciasse a ignorarti?



Avrebbe pianto, nella sua camera o vicino alla finestra, osservando il cielo, in silenzio, mentre le ferite sarebbero sbocciate nuovamente sul suo piccolo corpo, facendo sanguinare gli occhi e piangere il cuore.

E se lui sparisse via, in silenzio?



Sarebbe morto dentro, giù in fondo, perché senza di lui nulla valeva e tutto svaniva.

Osservò le opprimenti nuvole soffocare il cielo, preannunciando l’arrivo di un temporale, e con esso, la purificazione delle ferite che costellavano il suo corpo minuto e fragile.
Perché solo la pioggia lo rallegrava, prima del suo arrivo, accarezzandogli le guance pallide e bagnandogli le ciocche nivee, baciate dalla luce della luna.
Sorrise mesto, ed osservando gli ultimi raggi di sole svanire nel cielo, rinchiusi nella morbidezza delle scure nubi, sospirò, raggiungendo con le dita tremanti il piccolo ciondolo in argento che lui gli aveva regalato la notte di Natale, vicino all’albero che avevano addobbato insieme tra risate e giochi, accontentando così le sue insistenti richieste – “Non puoi non avere un albero di Natale a casa, Allen!” .
Accarezzò la superficie limpida della piccola luna bianca, ripensando a quella sera passata al suo fianco, alla solitudine che lui scacciò via unicamente con la sua presenza.

“Allen, questo… è un amuleto”



Un sorriso di tenera gioia nato dai semplici ricordi sbocciò sul suo viso, inarcandogli le labbra sottili.

“Erano mesi che non lo trovavo, ma… la mattina del giorno in cui ci siamo conosciuti… beh, l’ho trovai nel cassetto del mio comodino”

Le immagini di quell’istante riemersero nitide dalla sua memoria, scaldando il cuore affogato nuovamente in quelle emozioni perite e rinate come una fenice, imprigionandolo di un dolce circolo vizioso.

“Credo di dover essere grato a questo portafortuna, e a mia madre per avermelo dato, perché mi ha condotto da te”

E timidamente, schiuse le labbra rosee, sussurrando un flebile e piccolo “grazie” alla figura astratta di quella donna che aveva ammirato in una vecchia fotografia, dove un piccolo bambino dai capelli tinti dal sangue del tramonto abbracciava con affetto sua madre, guardando l’obiettivo dell’arnese con entrambi gli occhi verdi.

“Ed ora voglio che sia tu a portarlo al petto, perché ti custodisca, e così, ogni volta che guarderai questa luna, sentirai la mia presenza”

Il polpastrello scivolò un’ultima volta sull’amuleto, percorrendo con la pelle le fini incisioni arabesche che decoravano l’oggetto, e premendo lievemente sulla punta circolare della luna, lasciò cadere il ciondolo sulla stoffa della camicia.
Il giovane inspirò piano, gli occhi socchiusi e le mani vicino ai fianchi cinti da pantaloni neri, e si allontanò appena dal muro grigio che lo sosteneva.
Guardò ancora una volta il cielo bigio, e sorridendo, deciso di esternare i suoi pensieri ed emozioni, fece un passo in avanti, osservando il terreno spoglio del cortile.
Non avere paura
Ogni giorno, appena il suono della campanella risollevava il morale degli studenti, annunciando così la ricreazione, Lavi si sedeva vicino ai due alberi di ciliegio per leggere un libro o, semplicemente, per evadere dalla confusione quotidiana.
Andrà bene
Si avvicinò al tronco di uno dei due alberi e ne accarezzò la corteccia dura, saggiando con il tatto la durezza del legno.
Sospirò flebilmente, sorridendo.
Tranquillo
Si lasciò cadere nuovamente nei ricordi agrodolci, e respirando piano, pensò all’enorme fortuna che ebbe quel giorno, durante la ricreazione, per averlo conosciuto.
Perché senza di lui non sarebbe cambiato, non avrebbe mai smesso. Avrebbe lasciato scorrere tutto, le violenze, le botte, gli insulti.
Ogni cosa.
E senza di lui, avrebbe continuato a ferirsi, a lacerarsi la pelle del braccio sinistro, ad osservare in silenzio il sangue colare, senza gemere dal dolore.
Perché no, lui non poteva, giusto?
Era un rifiuto, vero?
Perché tutti glielo dicevano, no? Urlando, gridando.
Era vero, doveva esserlo.

Eppure perché lui lo salvò, quel giorno?
Perché prese le sue difese, colpendo con forza ed odio quello studente che lo tormentava?
Nessuno lo aveva mai fatto… tutti rimanevano fermi, bisbigliando fastidiosamente mentre osservavano quelle scene.
“Egocentrismo?”, si chiese con ingenuità la prima volta.
E da allora Lavi, quel nuovo arrivato che lo salvò durante il suo primo giorno di liceo, incominciò a parlargli, a corrergli incontro quando lo vedeva nei corridoi della scuola.
Facendogli ogni volta mille domande, chiedendogli il perché di quelle azioni.

“E’… albinismo, vero?”
“Si”

Alla fine rise isterico, nervoso di tutte quelle attenzioni che, in verità, gli scaldavano il cuore, dando origine ad una piacevole sensazione di tepore nel petto, così tangibile da farlo piangere.

“Perché fanno questo?”

Si chiese se quello sconosciuto fosse un pazzo o uno squilibrato.
Ma capì subito che non era Lavi l’ottuso.
Era lui il folle.

“Non lo capisci?”
“No”

Quella risposta, quella piccola e semplice parola intrisa di convinzione lo spiazzò, lo confuse, creando disordine nel suo animo passivo e incrinando le ragioni che scioccamente aveva eretto nella sua mente, come giustificazioni a quegli atti vili e privi di senso.

“Allen, perché fanno questo?”

E in quel momento, incapace di proferir risposta, pianse, pianse per la prima volta davanti a qualcuno.
Pianse, perché nessuno, dalla morte di suo padre, di Mana, gli aveva parlato con riguardo e preoccupazione.
Pianse, perché quello strano tepore che gli abbracciava il petto lo soffocava, privandolo completamente dell’ossigeno.
Pianse, perché semplicemente non capiva.
E mai avrebbe capito, se questo bastava ad avere lui vicino.

“Tranquillo Allen, andrà tutto bene ora…”


«Lavi…»
Sorrise, osservandosi la mano sinistra finalmente libera dalle fasciature e dalle ferite che ormai erano scomparse, lasciando solo piccoli segni come ombra della loro esistenza.
Aveva smesso di ferirsi dal pomeriggio in cui era andato a casa di Lavi – Alleeen, dai vieni da me! – da quando lui, con ostinazione e un pizzico di inganno, riuscì a vedere quel braccio sinistro.
Da quando lui pianse nel scoprire quelle cicatrici.

“Idiota… ti prego, non farlo più, Allen…!”


«Andrà tutto bene…»
Sorrise, posando la schiena sul tronco ruvido del ciliegio.
Pensò all’estate, nonostante fosse ancora marzo.
Immaginò agosto, la festa che avrebbe organizzato per il compleanno di Lavi, il suo stupore e la sua meraviglia, ai momenti che avrebbero passato insieme, da soli, come Lavi aveva fatto per il suo giorno.
«Andrà tutto bene»
E scorgendo una figura avvicinarsi dall’entrata della scuola, sorrise, pensando alla gioia che quello sconosciuto gli regalò fino a quel momento.


«Ehilà, rifiuto»

Ma a causa dell’insolita tranquillità, si era dimenticato che la felicità eterna fosse in realtà solo una sciocca invenzione delle favole.

« Giochiamo ancora? »



Si accasciò seduto a terra, l’addome dolorante, lo zigomo livido e gonfio.
Sputò del sangue a terra, ricordandosi tristemente del suo sapore metallico.
«Che c’è, non sei più abituato a prenderle?»
Ansimò, rantolando appena a causa del dolore perpetuo che gli scombussolava la mente.
«Ehi, scherzo della natura , mi senti?»
Gemette, mentre un calcio lo colpì allo stomaco, facendolo sbattere contro il terreno leggermente morbido.
«Mio Dio, indifferente come sempre, eh?»
Il ragazzo sbuffò, inginocchiandosi vicino a lui.
«Credevo che, a furia di stare sempre attaccato a quel tizio, incominciassi a protestare»
Serrò gli occhi offuscati dal dolore e trattenne un lamento, mentre lo studente gli alzava il capo tirandogli i capelli bianchi.
«Ma è ovvio che non puoi, vero? Sei uno sbaglio»
Strinse le palpebre con forza, ignorando il battito selvaggio del proprio cuore. «Un errore che ha ucciso sua madre solamente nascendo»
Supplicò le lacrime di non uscire, di non bagnargli le guance e il viso, di non accrescere il piacere insano di quel ragazzo.
«Tu non puoi ribellarti , ricordi?»
Si liberò dalla presa dell’altro e si sedette sul terreno, guardando in basso le mani tremanti.
«Sei come un parafulmine di disgrazie»
Sta’ zitto…
«Magari è colpa tua se i tuoi genitori sono morti»
Zitto, zitto!
«E lui, Lavi , non sarà mica diventato guercio in quell’incidente a causa tua?»
Sgranò gli occhi, e sussultando appena, alzò il volto, guardando con terrore il ragazzo.
«Porti solo sfortuna»
Non è vero
Piegò la gamba destra, e dandosi una spinta con i palmi, si alzò, traballando appena.
«Dovresti lasciarlo perdere, non credi?»
Si lasciò cadere all’indietro, posando le spalle dolenti sul tronco dell’albero, e annaspò in cerca d’aria, guardandosi le scarpe macchiate di terra e sangue.
«Infondo, tutto quello che hai è falso »
Sorrise appena, e ridendo sommessamente, alzò il viso, scostandosi con la mano destra alcune ciocche tinte di rosso.
«Non tutto…»
Perché i sentimenti che ho qui, conficcati nel mio cuore, fanno così dannatamente male da non poter essere solo finzione
Udì i passi rapidi dell’altro farsi più vicini, percepì con ribrezzo il suo respiro sfiorargli il viso e le sue dita stringergli forte il colletto della camicia sporca di sangue.
Serrò la bocca ammaccata, smorzando orgoglioso un lamento, e chiudendo gli occhi con forza, trattenne i gemiti, mentre il ragazzo continuava a ferirgli il capo sbattendolo contro la corteccia del ciliegio.
«Ora che noto meglio…»
Allen portò le mani al collo, liberandosi dalla sua presa.
«Non ti tagli più, eh?»
E con terrore, l’albino osservò nascere sulle labbra dello studente un sorriso sinistro che gli deturpavano il giovane viso.
«Cos’è successo? Lui non vuole?»
Il ragazzo lo scaraventò a terra con violenza, guardandolo beffardo.
Si rialzò piano, facendo scivolare le gambe sul terreno e reggendosi con le mani, ma cadde nuovamente a causa di un calcio al fianco.
«Nessuno verrà in cortile con questi nuvoloni»
Le labbra si incurvarono in una smorfia di dolore, lasciando scivolare via dalla bocca un flebile grido, mentre il piede destro del liceale gli schiacciava con forza la spalla.
«Sono ancora incazzato per quel cazzotto, sai?»
Il ragazzo si sedette con malagrazia sul ventre di Allen, e dandogli un pugno sulla guancia sinistra, gli accarezzò la pelle colpita, sorridendo malizioso.
«Mi è venuta un’idea per far incavolare quel tizio»
L’albino seguì la mano destra dell’altro cercare qualcosa nella tasca dei pantaloni, e quando le dita mostrarono il bottino trovato, sgranò gli occhi, impietrito.
«Che dici, abbelliamo questo visino da maledetto?»
Le labbra fremettero, articolando flebili suoni sconnessi, e percependo la sommità del taglierino accarezzargli la pelle, Allen cercò di liberarsi, ma il ragazzo gli blocco le braccia con le gambe flesse.
«Ehi ehi, fermo, altrimenti verrà un pastrocchio»
E senza neanche aspettare, premette la punta della lama all’altezza dello zigomo sinistro, ignorando con orrenda impassibilità le grida assordanti del giovane.
Scese piano con agghiacciante sicurezza quasi avesse un pennello in mano, e scavandogli la guancia con il cutter, continuò, mentre le urla atroci sventravano con aggressività il silenzio.
Allen gridò con irreale violenza, ma la lama aguzza non si fermò, conficcandogli la punta un poco sopra la mascella.
Supplicò gli occhi di non riversare alcuna goccia cristallina, ma appena sentì la lama trafiggergli la pelle vicino alla palpebra inferiore, le lacrime scivolarono giù dalle ciglia, avvampando la ferita e mescolandosi con il sangue.
Il ragazzo colpì appena la guancia sfigurata con la mano, distorcendo maggiormente la voce del giovane in lamenti acuti.
«Però…»
Allen socchiuse gli occhi a causa della vista offuscata, e rantolando, respirò ad intervalli brevi, accelerando ulteriormente il battito cardiaco.
«Sai, ho sentito dire che il pentacolo è un simbolo maledetto»
L’albino fissò il viso estraneo avvicinatogli, guardando con disgusto le iridi castane.
«Ci starebbe magnificamente sulla tua fronte, non credi?»
Chiuse gli occhi perlacei con lentezza, ormai stanchi e spenti, e rilassò le labbra gonfie, pregando il bruciore alla gola di sparire.
Percepì la lama sfiorargli la pelle quasi per gioco, insieme alle prime gocce di pioggia, così sottili e fredde da sembrare spilli di metallo.
Udì un urlo ovattato librarsi nel silenzio, insinuandosi nelle sue orecchie, ma lo ignorò, come i rumori successivi, incapace di identificarli.
Sentiva solo dolore e il battito incontrollato del proprio cuore.
Ma appena avvertì un tenue calore, affievolito dalla pioggia gelida, carezzargli la guancia destra, evitando lo zigomo fratturato, mugugnò flebilmente, aprendo con difficoltà le palpebre.
«Lavi…?»
Sorrise lievemente a quell’occhio smeraldino intriso di angoscia ed avvilimento.
Notò le sue labbra sottili muoversi tremanti, ma le orecchie coglievano unicamente i battiti delle gocce sulla sua pelle.
«Scusami Allen…»
Osservò con curiosità la bocca contorcersi in una smorfia di dolore, e schiuse appena le labbra, interrogandosi quali parole avessero gettato fuori.
«Ti giurai che ti avrei protetto, e invece…»
Percepì una goccia cadergli vicino alla bocca che, unitasi alla compagna precipitata dopo, gli sfiorò la punta della lingua.
E’ salata…
Notò delle piccole perle trasparenti formarsi sulle ciglia di Lavi, cascando poi sul suo viso.
Non può essere pioggia… perché è chino su di me…
Riconobbe la mano del rosso insinuarsi sotto la sua schiena, e stringendogli delicatamente il braccio, il fulvo lo sollevò dal terreno ammorbidito dall’acqua.
Si lasciò sfuggire un mugolio di fastidio appena toccò con lo zigomo destro il suo petto, ed alzando il viso, osservò nuovamente le labbra del guercio muoversi tacite.
“Mi dispiace”…?
E mentre il freddo sfumava via grazie al tepore di quell’abbraccio, Allen alzò con sforzo il braccio sinistro, volgendo le dita tremanti verso il viso dell’altro.
Gli accarezzò con titubanza la guancia destra, e sorridendo, schiuse appena le labbra.
Ti amo
Ma si fermò, perdendosi nel verde luminoso di quell’iride.
Chiuse piano le palpebre, e abbandonandosi sul petto di Lavi, inspirò piano il suo profumo amalgamato insieme a quello della pioggia.
«Allen… ?»
Il fulvo sgranò l’occhio terrorizzato, ma appena udì dei mugolii sommessi, si acquietò, incontrando un placido sguardo d’argento vivo che lo scrutava con affetto.


« Grazie »



















Perché? Perché è venuta fuori una roba del genere?
Eppure mi sembrava chiaramente di aver detto “Voglio scrivere qualcosa di FLUFF!”.
Perché allora?
Questo… non è fluff, è tutto fuorché FLUFF.
Dannazione >->
Tralasciando questo… beh, almeno è una AU, siccome è da 1 ANNO che non scrivo Laven AU.
Felicità :D

Perché?
Perché il mio cucciolo deve essere vittima di bullismo? Perché non riesco mai a scrivere una Laven normale in cui c’è gioia e tenerezza dall’inizio alla fine?
Uffa, sono una schifezza.
E pure sadica.
Volevo morire di fluuuuff ç__ç
Mentre scrivevo quello, e con quello intendo la parte in cui quel disgraziato uccidere uccidere ECCIDERE! picchia il mio cucciolo, stavo malissimo, mi sentivo una vera bastarda ç___ç
Vediamo… se non ricordo male, questa cosa mi è balzata purtroppo in mente nel preciso istante in cui dovevo fare i compiti, ed alzando lo sguardo, ho notato la pioggia picchiettare sulla finestra – perché si, nello studio/magazzino dove scrivo ho una finestra sul soffitto.
Mi sono alzata in silenzio senza far cigolare la sedia ed ho aperto la finestra, rimanendo sotto di essa per un po' mentre le gocce fredde mi pizzicavano il viso.
E’ stato bellissimo <3
Il sottotitolo “ » ed osservando il cielo in silenzio, mi domando il perché « “ è un pensiero di Allen ed anche mio, mentre ero sotto la pioggia .
*si sdraia vicino ad un Tim obeso*
Vi siete preoccupati per l’assenza di Tim, eh?
Con questa AU ho fatto piangere la mia mogliAH, mio Dio xD
E Woff adesso mi odia, come del resto anche io.
Oh, giusto.
Questa fan fiction non è il sequel di The nightmare inside me , quello è in fase di stesura.
Oooora vi saluto, vado ad impiccarmi insieme a Mana :D
No, Mana non è morto impiccato in questa fic, mi riferisco al capitolo 166 di DGM xD
Bye bee <3


  
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