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Autore: Yoake    07/04/2013    8 recensioni
Tratto dal testo:
*Una forte e spaventosa aura demoniaca si alzò dall’alto delle sue chiome, per poi morire con la comparsa delle stelle, divenute le uniche padrone del cielo.
“Dopo tanti anni sei tornato... Inuyasha...”
Rivolse un ultimo sorriso in sua direzione, rientrando nella sua capanna.
Qualunque cosa avesse deciso, l’avrebbe rispettato.*
Ok, questa è la prima storia che pubblico e... bhè, spero in qualche recensione. Sono consapevole di non essere un asso nella scrittura, quindi spero che possiate consigliarmi... e ovviamente fatemi sapere se vi piace o no^^
Non mi pare di aver trovato altre fiction così, quindi ho voluto provare a farla io...
Bhè, vi auguro una buona lettura :)
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Inuyasha, Kagome | Coppie: Inuyasha/Kagome
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Era ormai il crepuscolo, nel villaggio Musashi.
Il sole scompariva, lentamente, all’orizzonte, portando con sé le fatiche e le preoccupazioni degli abitanti.
Man mano che lasciava spazio ad un’oscurità priva di luna, i contadini rientravano nelle proprie abitazioni.
Accolti dal caldo sorriso della moglie e gli affettuosi abbracci dei figli, si apprestavano a cenare, magari raccontando i divertenti fatti della giornata, provocando un sorriso sul dolce volto della donna amata o giocando, per quanto la loro schiena lo permetteva, con i bambini, beandosi delle loro gioiose risate infantili.
Prima che il sole lasciasse definitivamente il posto alle stelle, una sacerdotessa in abiti tradizionali, dai lunghi capelli corvini e gli occhi blu notte, rivolse il proprio sguardo verso la foresta, che si stagliava d’innanzi a loro, buia e minacciosa.
Una forte e spaventosa aura demoniaca si alzò dall’alto delle sue chiome, per poi morire con la comparsa delle stelle, divenute le uniche padrone del cielo.
“Dopo tanti anni sei tornato... Inuyasha...”
Rivolse un ultimo sorriso in sua direzione, rientrando nella sua capanna.
Qualunque cosa avesse deciso, l’avrebbe rispettato.
 
I suoi lunghi capelli neri, spenti della loro lucentezza, riflettevano l’opaca luce delle stelle e i suoi occhi, stanchi e aridi, fissavano un punto davanti a sé, con tristezza crescente.
Il Goshinboku si ergeva alto sopra di lui, in tutta la sua grandezza e imponenza.
Il suo sguardo, però, non era rivolto ai suoi alti rami ove, da giovane, passava parte della sua giornata a pensare o, semplicemente, a riposare.
Una pietra bianca, situata alla base del tronco, era riuscita a catturare la sua attenzione e, a quella pietra, non faceva altro che pensare, da quando si svegliava a quando si addormentava. Solo i suoi sogni erano popolati, al contrario, da una persona: la padrona della pietra.
 Si avvicinò, con passo strascicato, a quella lapide candida mentre sentiva, stranamente, gli occhi farsi umidi.
Aveva pianto, Inuyasha, tanto. Credeva che fosse rimasto prosciugato, che fosse diventato incapace di versare un’ulteriore lacrima, e invece... invece ora si trovava lì, inginocchiato davanti la lapide di sua moglie, a piangere come se fosse stata la prima volta.
Accarezzò lievemente la pietra ma ritrasse la mano, percorso da un brivido. Per un attimo, per uno solo, si era aspettato di sentire il calore che la guancia della sua amata riusciva a trasmettergli attraverso un sol tocco.
Non sentì nient’altro che freddo.
Rimase fermo, immobile, crogiolandosi nei suoi pensieri, nelle sue paure, nei suoi ricordi.
Avrebbe tanto voluto scappare da quel luogo -sacro, ai suoi occhi- e non tornare più, ma la sua volontà, in quel momento, era stata annullata dalla semplice vista di un piccolo bocciolo alla base della pietra.
Un piccolo bocciolo bianco.
Sorrise, tra le lacrime.
Quell’innocuo fiorellino gli ricordava tanto la sua adorata moglie.
Bella, pura e fragile: era così che la viveva nei suoi pensieri.
Ma poi, si dava dello stupido.
Quella ragazzina con una semplice -e da lui odiata- parola, riusciva ad atterrirlo... o come diceva lei, a metterlo a cuccia.
Malgrado ciò, quel fiore, era la sua rappresentazione.
Abbracciò la pietra fredda, incurante dei brividi che essa gli provocava e cominciò a singhiozzare.
Stringeva quella lapide come se al suo posto ci fosse stato il corpo della donna da lui amata.
Ma dov’era il suo calore? E perché non lo rassicurava o rimproverava?
A quei pensieri, i singhiozzi si fecero più forti, attirando l’attenzione di alcuni animali del bosco.
Non demoni... quelli non c’erano più da tempo.
Nessuno spirito maligno osava avvicinarsi da quando la figlia di Miroku e Sango era diventata sacerdotessa.
Megumi l’avevano chiamata: benedizione. Ed era proprio vero! Era provvista di una grande forza spirituale e, sotto gli insegnamenti di Kagome, era diventata persino migliore di lei.
E chi l’avrebbe detto che, la figlia di quel monaco deviato, avrebbe superato la stessa Kagome?
Inuyasha non di certo.
Da quando la sua donna era passata a miglior vita, il mezzo demone si sentiva perso... un corpo senza anima che si trascina per il mondo senza una vera ragione.
Si, perché la sua anima, era morta con lei.
Ripensò ad un episodio della loro vita insieme e ciò gli provocò un sorriso.
Era il giorno del sessantesimo compleanno di sua moglie e, dopo aver festeggiato assieme agli amici e agli abitanti del villaggio, ognuno si era congedato nella propria abitazione.
La sua povera donna, ormai ingobbita e con il peso degli anni sulle spalle, lo rimproverava, spedendolo più e più volte a cuccia.
Il motivo? Aveva cercato di aiutarla a camminare.
Era invecchiata e le sue gambe la reggevano a malapena. Inuyasha, essendo suo marito, si era sentito in dovere di aiutarla, ma quella donna... con il passare degli anni era diventata estremamente orgogliosa.
Una volta entrati nella capanna che condividevano da quasi cinquant’anni, la sua compagna era scoppiata a piangere, abbracciandolo con quelle sue braccia raggrinzite, una volta lisce e forti.
Era disperata, ricordò, e quando lui le aveva chiesto il motivo, lei, tirando su col naso, gli aveva urlato di andarsene e non farsi più vedere.
Avevano litigato molto, quella sera, ma poi, la sua amata, si era arresa, spiegandogli che non voleva essere un peso per Inuyasha e voleva quindi che si trovasse un’altra compagna e di non pensare più a lei.
Ecco perché collegava la figura della moglie con quella del fiore: come un fiore, era sbocciata in tutta la sua bellezza, per poi appassire e diventare vecchia e raggrinzita. Al contrario, lui, aveva mantenuto il corpo da diciassettenne, giovane e tonico, era rimasto esattamente uguale a quando si erano visti la prima volta.
Dopo quella confessione lui l’aveva stretta tra le braccia e, ricordò, le aveva sussurrato con amore che, gli occhi pieni di dolcezza e il sorriso caldo di cui si era innamorato, erano rimasti lì, invariati, e non l’avrebbe mai lasciata sola.
La sua amata, allora, gli aveva fatto promettere che, il giorno della sua morte, lui avrebbe continuato la sua vita, magari innamorandosi di nuovo e, questa volta, facendo dei figli.
Si, perché nonostante ci avessero provato, non erano mai riusciti ad averne.
Quella stessa notte della promessa, lei fu chiamata al cielo e lui lasciò il villaggio.
Sei lunghi anni erano passati da quel giorno e lui era tornato, con una decisione.
Si staccò da quella lapide, fonte di ogni sua tristezza e si alzò, le lacrime solcavano ancora il suo volto.
Estrasse Tessaiga, la quale, nonostante la sua forma di vecchia spada arrugginita, brillò di una nuova luce sotto i raggi delle stelle.
“Non sono riuscito a mantenere la mia promessa... mi dispiace...”
Girò l’impugnatura, portandosi la lama a sfiorare la veste di Hinezumi.
Gli occhi di Inuyasha, accesi di una nuova determinazione.
“Sappi che... non potrei amare nessun’altra all’infuori di te...”
Senza alcun timore o ripensamento, si trafisse.
Piccole goccioline vermiglie andarono ad intaccare la purezza di quella pietra candida.
Con un rantolo soffocato, stramazzò a terra e, prima che i suoi occhi si spegnessero per sempre, un pensiero attraversò la sua mente.
“Ora potremmo stare di nuovo insieme... ti amo, Kagome.”
Dietro di lui, i raggi del sole trafissero l’oscurità, dando così inizio ad un nuovo giorno.
 
Era l’alba nel villaggio Musashi.
I contadini, armati di forza e buona volontà, uscirono dalle loro capanne, pronti per una nuova giornata all’insegna del lavoro e della fatica.
Una giovane sacerdotessa si stava dirigendo, con una cesta piena di fiori tra le mani, nella foresta di Inuyasha.
-“Megumi-sama, dove andate di prima mattina?”- chiese un pescatore, munito di esche e canna da pesca.
Lei gli sorrise e, con voce melodiosa, rispose -“Vado a trovare i miei genitori.”-
L’uomo la lasciò andare, non prima di averle espresso le condoglianze, e così, si ritrovò sola, nei pressi del Goshinboku.
Con passo sicuro, ci si avviò, decisa a onorare anche le tombe della sua maestra e del marito.
Quando però si trovò di fronte al grande Dio Albero, sorrise, e passò oltre.
Le radici e il terreno circostante erano coperti da un manto di piccoli fiorellini bianchi.
Da quella distesa diafana, sorgevano due lapidi candide.
L’una accostata all’altra.
La più piccola, con due macchioline scarlatte.
  
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