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Autore: Yu_Kanda    07/04/2013    5 recensioni
Da quanto tempo fissava quella macchia lassù, sul muro della sua prigione? Quante ore erano trascorse? Quanti giorni, da che era stato rinchiuso lì dentro? Aveva cercato di tenere il conto delle ore, ma non era servito; il dolore, i ricordi, i sogni tormentati che lo perseguitavano se si addormentava, gli avevano fatto perdere ogni riferimento temporale.
Perché non poteva semplicemente smettere di pensare? Il modo in cui li avevano arrestati, il disgusto nei loro occhi nel trovarli teneramente abbracciati, nudi sotto quelle lenzuola impregnate dell'intenso odore di sesso e sudore, l'umiliazione del processo, la disperazione della condanna.
Riviveva tutto quanto a ciclo continuo.
[YAOI, LaviYuu]
[Fanfiction Classificata 1° al Contest “In Direzione Ostinata e Contraria” indetto da darllenwr sul Forum EFP]
[Fanfiction Classificata 1° al Contest “Scegli il tuo Prompt” indetto da Fabi_ sul Forum EFP]
[Fanfiction Classificata 1° al Contest “Everything Good” indetto da Akira Haru Potter sul Forum EFP]
[Fanfiction Classificata 1° al Contest “La Tavola Periodica delle Fanfiction” indetto da Midori_chan sul ForumEFP]

[Fanfiction Classificata 2° al contest "Beating of your heart” indetto da My Pride sul ForumEFP]
[Fanfiction Classificata 2° al "Prompt's Contest” indetto da Lady Athena sul forum]
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Nuovo personaggio, Rabi/Lavi, Yu Kanda | Coppie: Rabi/Kanda
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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DISCLAIMER: non possiedo alcun diritto su D. Gray-man, ma ho una bella bambolina woodoo... prima o poi funzionerà!

ATTENZIONE YAOI - se non sapete cosa questa parola voglia dire, o se non gradite le relazioni uomo/uomo questa storia non fa per voi, siete avvisati! Come si dice, se non vi piace NON LEGGETE!



Questa storia è intesa come seguito di "Se i biancospini tornano a fiorire", di mamie.









Speranza Senza Redenzione

 


Capitolo 1 : Dopo la Tempesta

 

 

Umiliato. Negletto. Prigioniero.
Ecco dove l'aveva condotto il destino. Come mai era arrivato a quel punto?

L'avevano appena spinto dentro quella che, certamente, sarebbe stata la sua nuova sistemazione. Una mano strappò con violenza il cappuccio nero che gli era stato infilato a forza (e stretto fin quasi a farlo soffocare) subito dopo essere salito sul cellulare. Barcollò nel buio per qualche istante, poi stramazzò al suolo di schianto.

Il gocciolare insistente lungo la parete a ridosso della quale era disteso il suo corpo gli fece riprendere conoscenza. Con estrema fatica, si costrinse ad aprire gli occhi per affrontare di nuovo la dura realtà e capire dove l'avevano rinchiuso, questa volta. Il primo tentativo di muoversi però lo fece rendere conto di essere stato legato, oltre che incatenato, quasi fino a impedirgli di respirare. Gli doleva tutto: ogni muscolo che sforzava, ogni boccata d'aria che gli riempiva i polmoni, provocavano fitte lancinanti.

Cercò di vedere meglio ciò che lo imprigionava, nonostante la cella in cui l'avevano scaraventato fosse quasi del tutto avvolta dal buio. L'unico raggio di luce proveniva dalla feritoia nella porta di legno marcio; cercò di strisciare verso di essa. Gocce di sudore gli imperlarono la fronte per la fatica e la sofferenza che quel movimento provocava.

Ansimando, si esaminò il corpo. Bende. Era avvolto in larghe bende bianche con disegnati simboli che non dubitava appartenere alle arti dei Crow e dei quali lui ben immaginava lo scopo: sigilli.

Si sentiva tanto debole e le sue ferite erano aperte e sanguinanti, segno che guariva molto lentamente, come una persona normale. Avevano inibito la capacità di rigenerare che gli conferiva il tatuaggio sul petto, annullato la forza sovrumana che possedeva. Per meglio tenerlo sotto controllo, per poterlo spezzare.

Rotolò verso il muro più lontano, riportandosi nelle tenebre di quella prigione fredda e squallida. Sapeva cosa volevano da lui; fin dal momento in cui l'avevano sorpreso a letto con Lavi. Fin dal processo farsa che avevano inscenato. Per quello non aveva detto una parola, né risposto ad alcuna delle domande che gli erano state rivolte. Loro pretendevano l'Abiura. No, non da lui. Da lui non l'avrebbero mai avuta, piuttosto avrebbe lasciato che l'uccidessero così, privandolo di quelle capacità che loro stessi gli avevano conferito contro la sua volontà. La tortura non lo spaventava.

Ciò che invece lo terrorizzava era il pensiero di quel che avrebbero fatto a Lavi, perché non avrebbe retto. Lavi non era un vero combattente, non sopportava il dolore come poteva fare lui. Che ne sarebbe stato? Dov'era in quel momento? Stava bene?

Kanda si morse un labbro. Tutte domande inutili, ne era conscio, visto che nessuno avrebbe fornito delle risposte. Soprattutto perché lui non avrebbe mai chiesto. No, non avrebbe dato loro la soddisfazione di vederlo supplicare per ricevere notizie della persona che, secondo l'assurda legge della Chiesa, gli era proibito amare.

Li avevano chiamati sodomiti, strappati in piena notte dal letto in cui dormivano e imprigionati nelle segrete dell'Ordine Oscuro in attesa di giudizio. Era stato privato della sua dignità e torturato, finché non l'avevano trascinato nella Sala del Consiglio per il processo. Non dubitava che a Lavi fosse stato riservato lo stesso trattamento, viste le sue condizioni quando l'avevano spinto a forza dentro la stanza.

Non si erano difesi, che potevano dire? Komui aveva parlato per loro, fallendo miseramente.

Condannati e separati, ma lui sapeva che l'Ordine non poteva in alcun modo rinunciare a due dei più forti Esorcisti al suo servizio. Tutta quella messa in scena serviva solo a fiaccarli per poterli controllare di nuovo. No, non l'avrebbe permesso, con lui non ci sarebbero riusciti. Mai.

Tutti lo guardavano come se fosse colpevole di qualcosa, ma lui non si sentiva affatto colpevole. Non aveva scelto di provare quei sentimenti, semplicemente era successo. Ignorarli era stato vano e alla fine vi aveva ceduto tutto d'un colpo, durante quella missione... sull'arca. Ognuno dei due aveva creduto di aver perso l'altro e l'abbraccio liberatorio con cui Lavi quasi era riuscito a soffocarlo s'era rivelato sufficiente a turbarlo, al punto da vincere ogni sua reticenza. Tuttora non aveva idea di chi fra loro avesse trascinato l'altro di nuovo dentro quella porta. Ricordava soltanto con quanta foga si erano baciati, abbracciati di nuovo e poi ancora baciati, finché la voce di moyashi non li aveva riportati alla realtà. Era stato allora che aveva realizzato quanto oltre il punto del non ritorno fossero giunti entrambi. Di quanto inutile fosse continuare a negarlo, a resistere.

- Tch. - gli sfuggì dalle labbra ferite e sanguinanti. Odiava sentirsi impotente, eppure si ritrovava rinchiuso lì dentro con l'unica compagnia dei suoi ricordi. E lui odiava ricordare, perché si rendeva conto che era tutto ciò che gli rimaneva di Lavi, tutto quel che aveva per non impazzire.

Un ghigno amaro gli si disegnò sul volto mentre cercava di raddrizzarsi contro la parete. Non voleva dormire, sapeva quali sogni l'avrebbero visitato.

 

 

La porta si aprì con un clangore metallico accompagnato da un cigolio sordo e uno dei carcerieri Crow che lo sorvegliavano fece il suo ingresso con un vassoio di cibo dall'odore nauseante e una torcia.

- Il tuo pasto, sodomita. - disse con un sorrisetto beffardo. Kanda serrò la mascella. No, non si sarebbe lasciato provocare da quella nullità, né gli avrebbe dato la soddisfazione di mangiare la sbobba che gli offriva con tanta arroganza. Girò il viso verso la parete di pietra della cella, l'odore di muffa e di marciume era di gran lunga migliore.

- Tch. - fu l'unico suono che permise alle sue labbra di articolare, il tono sprezzante come sempre. L'uomo di fronte a lui sollevò un sopracciglio con aria divertita.

- Siamo ancora molto orgogliosi, eh? - lo canzonò. - Peccato che tu non sia più l'Esorcista migliore dell'Ordine Oscuro. Mangia, o non potrai più rivederlo. - aggiunse con una risatina.

Per quanto la rabbia stesse montando in lui come un'onda di mareggiata, Kanda si costrinse a restare impassibile. Quel bastardo, come osava tirare in ballo Lavi? Che ne sapeva dei sentimenti che nutriva per lui? Si costrinse a continuare a ignorarlo e l'uomo uscì con una scrollata di spalle, lasciandogli il vassoio sul pavimento lercio.

Il buio inghiottì di nuovo la cella appena la porta si fu richiusa. Di nuovo solo con i suoi pensieri, quei pensieri che insistentemente richiamavano un continuo di ricordi, ormai più dolorosi delle ferite infertegli. Non poteva dormire e non voleva restare sveglio, non quando ogni penoso respiro premeva per mormorare il nome di Lavi. Perché mai non l'avevano giustiziato? Se solo avesse potuto morire... non c'era altro modo per far tacere i ricordi.

Si trascinò verso la scodella colma di brodaglia maleodorante, considerando se cedere e nutrirsi, nella speranza di poter evadere da quel posto. Provò a piegare le braccia per afferrare il cucchiaio, ma scoprì che non riusciva ad avvicinarlo alla bocca, legato com'era. Un ghigno amaro gli contorse i lineamenti: no, non avrebbe mai mangiato come un cane. Si accasciò sul pavimento, girandosi sulla schiena, lo sguardo fisso sul soffitto della sua prigione.

 

Kanda non mosse un muscolo quando il carceriere rientrò per riprendersi il vassoio, né disse una sola parola per rispondere alla domanda irriverente che questi gli rivolse. Fissava sempre il soffitto, come se fosse in stato catatonico, tanto che il viso del giovane Crow si rabbuiò, accantonando il sarcasmo per lasciar intravedere un'ombra di preoccupazione.

A Kanda non importava; il bastardo poteva dire quel che voleva, lui non l'avrebbe ascoltato.

- Il prigioniero è disteso in terra, immobile. Non risponde agli stimoli. - lo sentì comunicare a qualcuno, dopo che l'ebbe colpito con lo stivale.

Subito dopo la cella era di nuovo buia. Da quanto tempo fissava quella macchia lassù, sul muro della sua prigione? Quante ore erano trascorse? Quanti giorni, da che era stato rinchiuso lì dentro? Aveva cercato di tenere il conto delle ore, ma non era servito; il dolore, i ricordi, i sogni tormentati che lo perseguitavano se si addormentava gli avevano fatto perdere ogni riferimento temporale.

Perché non poteva semplicemente smettere di pensare? Il modo in cui li avevano arrestati, il disgusto nei loro occhi nel trovarli teneramente abbracciati, nudi sotto quelle lenzuola impregnate dell'intenso odore di sesso e sudore, l'umiliazione del processo, la disperazione della condanna. Riviveva tutto quanto a ciclo continuo, per poi cercare rifugio in ogni istante felice trascorso con Lavi. Perché, anche se non lo aveva mai ammesso, ciò che erano diventati l'uno per l'altro l'aveva reso felice, per la prima volta nella sua vita.

Adesso rimpiangeva di essere stato così terribilmente testardo da non mostrare mai del tutto i sentimenti che provava.

"Non gli ho mai detto che l'amo," si rammaricò amaramente con sé stesso, reclinando la testa contro la fredda pietra del muro dietro di lui. "Ed è troppo tardi ormai."

La porta della cella si aprì di nuovo, lentamente questa volta, proiettando una lama di luce all'interno. La figura che si stagliava in quella luce, abbagliante per i suoi occhi abituati alla penombra del luogo, parve familiare a Kanda, ma non riusciva a distinguere chi fosse.

- Come stai, Kanda-kun? Sono venuto a prenderti. - disse l'uomo, facendo cenno a chi lo affiancava di liberare il prigioniero.

Komui? Come mai era lì? Con che autorità lo stava liberando?

- Perché? - chiese soltanto, certo che l'altro avrebbe compreso.

- Non possono privarsi di te. Volevano solo punirti. - rispose Komui, con un tono e un'espressione così seri che raramente gli aveva visto assumere. - Ma non si fidano più di te; ti controlleranno.

Potevano fare quel che volevano, per quanto gli importava, purché Lavi fosse rimasto con lui. Anche se non avesse potuto più nemmeno avvicinarlo, bastava che ci fosse, che potesse vederlo.

- Lui dov'è? - domandò allora, e il suo tono non ammetteva un rifiuto. Perché era piuttosto inutile fingere che non gli importasse, dopo che tutti avevano saputo, quindi Kanda aveva chiesto, preteso di sapere.

- Kanda-kun... - l'espressione di Komui si fece triste, come se lo compatisse, e il giovane serrò i denti per impedirsi di esplodere in uno scatto d'ira. Sapeva che Komui non intendeva offenderlo, ma non voleva la sua pietà. - Lavi... è morto. - disse infine, la voce incrinata dal dolore.

Gli occhi di Kanda si dilatarono leggermente a quelle parole, l'ovvio stupore che per una volta si mostrava con chiarezza sul suo viso.

- Menti! - ruggì, strattonando le catene che ancora lo imprigionavano fino a farsi sanguinare i polsi.

- Vorrei fosse così, credimi. - Komui scosse la testa, mostrandosi addolorato. - Non... ce lo aspettavamo. Si è impiccato con le sue catene.

No, Lavi non l'avrebbe mai fatto. Non poteva essere vero, mentivano per separarli! Doveva essere una macchinazione di Bookman per riprendere il controllo sull'apprendista ribelle, non c'era altra spiegazione.

- Voglio vederlo. - pretese, gli occhi scuri che lanciavano una muta accusa.

- Non l'hanno permesso nemmeno a me. - Komui allargò le braccia in un gesto sconsolato. - Bookman si sta occupando della sepoltura.

Se stava mentendo, era davvero un grande attore. L'eventualità che le sue parole fossero vere colpì Kanda come un macigno. Che avrebbe fatto allora? Che senso avrebbe avuto la sua vita, se doveva continuare a sopportarla da solo?

- Me ne frego di Bookman! - sibilò con astio. - Portami da Lavi.

In quel momento la figura che era rimasta nell'ombra dietro Komui si fece avanti, rivelando con il suo abbigliamento di far parte del corpo speciale chiamato Crow, alle dirette dipendenze della Sede Centrale dell'Ordine Oscuro. Era una donna minuta, capelli castano molto chiaro raccolti in una treccia e occhi scuri, viso dai lineamenti spigolosi ed espressione risoluta. Avrebbe benissimo potuto essere la sorella dell'Ispettore Link.

- Non sei nella posizione di fare richieste, Kanda. - tagliò corto, facendo per avvicinarsi al giovane e prelevarlo a forza.

- No. - Komui mosse un braccio a sbarrarle la strada. - Va bene, potrai vederlo. - promise; poi si voltò verso di lei. - Liberatelo e andiamo. - ordinò con decisione.

La donna lo fissò come se fosse improvvisamente impazzito, incrociando le braccia al petto e fronteggiandolo a muso duro.

- Questo non è consentito, anche se siete il Supervisore. - obiettò. - Non è prudente rimuovere le restrizioni, potrebbe...

- Ispettore, ne abbiamo già discusso. - Komui sospirò, sistemandosi nervosamente gli occhiali. - Vedete bene che non è in condizioni di nuocere ad alcuno. Lasciategli pure le catene a mani e piedi, se credete, ma toglietegli quei sigilli.

La donna serrò le labbra in un'espressione contrariata, corrucciando la fronte. Parve riflettere sulle parole del Supervisore, poi lanciò un'occhiata significativa al prigioniero.

- Le mani saranno sufficienti. - borbottò, accingendosi ad annullare l'incantesimo che bloccava le capacità di Kanda. Poi rimosse le catene dai suoi piedi e sganciò dal muro quelle che gli stringevano i polsi, facendogli cenno di seguire Komui e accodandosi appena il giovane fu abbastanza stabile sulle gambe da camminare.

 

 

Dopo la prima rampa di scale Kanda iniziò a riconoscere il luogo in cui si trovava: era sempre stato nella torre del Quartier Generale Europeo! Per quello l'avevano bendato prima di farlo scendere dal carro, così da non consentirgli di accorgersi che erano tornati indietro!

Quindi anche Lavi doveva essere stato riportato lì. Erano sempre stati così vicini e non lo sapevano! Forse se gli avessero detto che lui era nella torre Lavi non... no, non l'avrebbe mai creduto finché non ne avesse visto il corpo con i propri occhi.

Sentiva che le ferite cominciavano a guarire e aveva una gran fame. Dopo chissà quanti giorni di digiuno era completamente sfinito, ma non per questo si sarebbe piegato alla volontà dell'Ordine Oscuro di separarlo da Lavi.

Komui fece strada fino al piccolo cimitero cui avevano adibito uno dei tanti cortili interni della Torre, nel quale parevano essersi radunate diverse persone. Appena fu più vicino, Kanda poté riconoscere Lenalee e poi Reever, moyashi, accompagnato dal suo cane da guardia, Miranda e Marie, Crowley... e, davanti ad una delle croci, Bookman.

Sentendo arrivare altra gente il vecchio studioso si voltò per vedere di chi si trattasse e la sua attenzione fu immediatamente tutta per lui. Incontrandone lo sguardo, duro e inflessibile, a Kanda si fermò il cuore, perché vi lesse la conferma di ciò che più temeva al mondo. "Vedi cosa hai fatto?" dicevano quegli occhi cerchiati di nero. "È solo a causa tua se Lavi è morto." E dicevano anche che non sarebbe mai stato perdonato per questo.

Il respiro gli si bloccò in gola; poiché lui stesso mai avrebbe potuto perdonarselo, invece di replicare chinò il capo e, serrando le labbra per impedirsi di urlare, cadde in ginocchio.

- Lui non dovrebbe essere qui. - disse Bookman con voce spietata, spostando l'attenzione su Komui.

Quest'ultimo lo fronteggiò, portandosi davanti a Kanda, incurante del fatto che tutti i presenti si stavano domandando perché gli fosse permesso di essere lì.

- Non ha sofferto abbastanza? - ribatté in tono stanco. Aveva lottato con tutte le sue forze perché quella maledetta faccenda non finisse in tragedia e fallito miseramente. Adesso voleva solo porvi fine. - Non negargli anche l'ultimo saluto.

Bookman non rispose, semplicemente si fece da parte, lanciando a Kanda un'occhiata in tralice che valeva più di mille parole.

Qualunque cosa Kanda avesse voluto dire sapeva che non sarebbe stata sufficiente a cancellare la sua colpa; perché, se amare Lavi per lui significava qualcosa, era senz'altro colpevole di averne causato la morte. Per un crimine simile non aveva scuse e se gli fosse stato possibile avrebbe espiato con la propria vita in quel preciso istante.

Si tirò in piedi a fatica e oltrepassò Bookman, zoppicando fino alla tomba di Lavi, il volto cinereo teso ma composto, rifiutando di dare più spettacolo di quanto già non avesse fatto. Eppure gli occhi colmi di lacrime ancora una volta lo tradivano, palesando la sua disperazione.

Chinò la testa e posò le mani sulla croce di pietra grigia, serrando le labbra così forte da farle diventare una linea sottile per impedire che tremassero. La bandana di Lavi era appesa sulla sommità dello stipite (1); avrebbe voluto toccarla, portarla via con sé, ma si trattenne. Non poté però ignorare il fatto che non ci fosse alcun nome a identificare chi giaceva sepolto lì.

Vide con la coda dell'occhio il vecchio che se ne andava senza voltarsi indietro, come se quello fosse soltanto un capitolo chiuso delle sue maledette registrazioni. La rabbia montò in lui.

- Perché è anonima? - chiese in tono accusatorio.

Komui si avvicinò, posandogli una mano sulla spalla e offrendo un sorriso comprensivo. Sapeva come il giovane si sentisse e non poteva fare nulla per lui.

- Ordine di Bookman. - disse con voce pacata. - Mi dispiace.

Certo. Lavi era solo una maschera, a quale scopo intitolare una tomba a qualcuno che non esisteva? I Bookman non avevano un nome, lo sapeva bene. Malgrado ciò, per lui quel particolare apprendista Bookman sarebbe stato sempre e soltanto Lavi.

- Lasciami solo. - mormorò; la voce abbandonò le sue labbra piatta, atona, ma era chiaro che non stava facendo una richiesta. Esponeva un dato di fatto. Per smuoverlo da lì avrebbero dovuto usare la forza e lui si sarebbe opposto fino a che l'ultima stilla di sangue nel suo corpo fosse stata versata.

Komui non si aspettava quelle parole; era certo che Kanda avrebbe preteso come sempre di non provare nulla, che la morte di Lavi fosse senza alcun significato per lui. Invece la sua sofferenza era evidente, pur se celata dietro il volto stoico e i modi sgarbati, e la pretesa di restare solo sulla tomba di Lavi non poteva che preludere a un gesto estremamente fuori carattere. Per Kanda mostrare i propri sentimenti aveva sempre equivalso a un'ammissione di debolezza. Adesso che tutti sapevano di loro però, forse qualcosa era cambiato.

- Kanda-kun, non è... - iniziò l'uomo, cercando il modo più adatto per dirgli che non poteva proprio accontentarlo. Non adesso, mentre erano sorvegliati dai Crow.

Kanda l'interruppe prima che potesse finire di formulare la sua obiezione, l'espressione chiaramente proibitiva. Non gli importava delle conseguenze, non gli importava più di nulla ormai, cos'altro avrebbero potuto fargli di peggio?

- Andatevene. Tutti. - sibilò con voce dura. Un ordine che prometteva implicitamente terribili conseguenze, se non obbedito.

Il loro sorvegliante però non parve intimorito, anzi si fece avanti con decisione, frapponendosi fra Komui e Kanda.

- È fuori questione, non ti è consentito di... - ribadì, ma lo sguardo che ricevette in risposta le fece morire il resto della frase in gola. La donna lo sostenne, stupita, cercando di capire come quel giovane potesse ancora difendere ciò che aveva fatto. Come potesse avere il coraggio di mostrare in pubblico il legame perverso che condivideva con l'Esorcista morto con tanta arroganza, quasi credesse di essere una vittima e non un peccatore.

Quel muto scontro di volontà andò avanti per diversi imbarazzanti secondi, poi Komui si intromise fra i due contendenti, timoroso che potessero venire alle mani.

- Per favore. Non è davvero il momento né il luogo per azzannarsi. - disse, scoccando un'occhiata significativa al suo protetto.

- Tch. - sbuffò quest'ultimo, senza distogliere lo sguardo da chi era lì a rappresentare coloro che avevano distrutto la sua intera vita.

L'oggetto del suo odio sogghignò, spostando l'attenzione sull'uomo che aveva interrotto il loro scambio d'idee, senza però smettere di controllare lui con la coda dell'occhio. Voleva studiare le reazioni provocate dalle parole che stava per dire, Kanda lo sapeva bene.

- È piuttosto arrogante per qualcuno appena graziato, Supervisore. - commentò in tono casuale, come se niente di quanto successo la riguardasse. - Non è stato liberato per fare il suo comodo, c'è una missione che ci aspetta.

'Una missione che ci aspetta.' Kanda soppesò la dichiarazione appena fatta dalla donna con sospetto. Questo significava forse che avrebbe avuto per tutto il tempo quel Crow come palla al piede? La prospettiva gli piaceva anche meno del fatto di dover tornare a essere un Esorcista, suo malgrado. Solo.

Quell'ultima considerazione fece sì che un tremito scuotesse il suo corpo provato talmente forte da costringerlo a serrare i pugni per arginare un simile, imbarazzante, segno di debolezza.

- Ispettore, la prego. Ne abbiamo già discusso, si sforzi di capire. - replicò Komui in tono grave. - Si tratta solo di dare l'ultimo saluto a una persona cara, che male c'è a concederlo? - proseguì; vide un sopracciglio della donna sollevarsi con aria scettica e avrebbe scommesso che fosse per la definizione di 'persona cara' riferita a Lavi, ma non commentò la cosa. La priorità era far sì che Kanda potesse aver modo d'inginocchiarsi sulla tomba dell'unica persona che avesse mai amato, se lo desiderava, senza per questo essere giudicato di nuovo. - Non scapperà, se è questo che teme. Inoltre, la vostra partenza non è urgente. Vi illustrerò la missione domani.

Un'espressione insofferente attraversò il volto dell'Ispettore, che emise un sospiro rassegnato.

- Siete più cocciuto di lui. - affermò esasperato. - Sta bene. Può restare solo con... - fece un gesto con il braccio in direzione della lapide, cercando le parole per definire la situazione - il morto. - disse infine. - Però non più di mezz'ora. Aspetterò all'interno che abbia finito.

Kanda non diede segno di accondiscendere alle condizioni proposte, semplicemente si voltò di nuovo verso la tomba che dicevano essere quella dell'unica persona a lui cara, l'unica che avesse mai amato veramente.

Komui dette un cenno d'assenso col capo e gesticolò ai presenti di avviarsi verso l'interno della Torre. Attese che tutti obbedissero e l'ispettore Crow con lui, poi gettò un ultimo sguardo al giovane dietro di loro. Non si era voltato, manteneva lo sguardo fisso sulla bandana che penzolava dalla croce, agitata leggermente dal vento. La sua espressione era dura e impassibile.

Komui scosse la testa con aria cupa, facendo strada fuori dal cimitero alla donna che era con lui.

Appena rientrati nella torre la donna si fermò nel corridoio adiacente l'accesso al cimitero, abbastanza all'interno da non essere vista e altrettanto vicina alla porta da poter sorvegliare il suo 'prigioniero'. Appoggiò la schiena alla parete, incrociando le braccia al petto.

- Ispettore? - chiese Komui, realizzando che non si era appartata per parlare. Si aspettava che lui proseguisse, lasciandola lì, ad attendere Kanda.

- Oh, non badi a me, Supervisore - rispose lei con un sorriso scaltro - me la caverò. Ci vediamo più tardi per discutere i dettagli della mia permanenza qui.

Komui le rivolse un sorriso di circostanza. Proprio come temeva; da buon Crow, anche quell'Ispettore non aveva nessuna intenzione di concedere fiducia, né tanto meno comprensione, all'uomo cui era stata assegnata. Le regole prima di tutto.

- Non sia troppo severa con Kanda. - si raccomandò in tono pacato. Lei sollevò un sopracciglio. - È un brutto momento per prenderlo di petto, cerchi di...

- Di capire; l'ha già detto. - concluse la donna al suo posto.

Komui non si aspettava che lo facesse, ma valeva la pena di tentare.

- Ispettore. - salutò, accingendosi a tornare ai propri compiti, ma pareva che questi non fosse ancora soddisfatto, perché lo richiamò.

- Piuttosto, Supervisore, non crede che sia inappropriato seppellire un suicida in un cimitero Cristiano? - chiese a bruciapelo.

Komui lasciò cadere le spalle, sconfortato; doveva aspettarselo, le regole, ancora le regole. Non sapevano proprio pensare ad altro costoro? Si voltò a metà.

- Ispettore - rispose, un velo di amarezza nella voce - stiamo abbandonando questa sede, le ricordo. Fra qualche giorno quella sarà terra sconsacrata, quindi non vedo il problema; ma, se ritiene che gli altri defunti possano risentirsi della presenza di Lavi accanto a loro, può sempre organizzarne il trasferimento nel cimitero del nuovo Quartier Generale.

- Komui! - gli gridò dietro la donna quando vide che se ne andava senza aspettare una sua risposta. - Contenga il sarcasmo e si occupi piuttosto di concludere questa faccenda!

L'uomo non rispose, limitandosi a rivolgerle un cenno della mano mentre si allontanava.


Note Finali:

(1) L'asta verticale che compone la croce è chiamata 'Stipes', stipite.

La storia è collocata appena dopo il combattimento con il primo Level 4 e Lulubell all'interno della torre del Quartier Generale Europeo, nel momento in cui è stata presa la decisione di abbandonarlo perché compromesso.

   
 
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