EPYPHANY -
Il vento sulla faccia, le braccia levate al cielo, la mano che stringe forte la
sua migliore amica. Una chitarra.
Le luci della città sotto di lei.
Vola, si sente leggera. Com'era bello volare, aveva sempre sognato di farlo,
soprattutto con gli occhi chiusi.
Li aprì solo per un attimo, e fu la fine.
Bill si alzò sul letto di scatto, gridando.
“Che cazzo fai?”, protestò il fratello, svegliato improvvisamente da
quell'urlo.
Bill ansimava, era sudato da capo a piedi e tremava dalla paura. Aveva volato,
aveva aperto gli occhi e aveva visto l'asfalto avvicinarsi. Aveva sognato di
morire, di gettarsi dal balcone. Ma non era lui... era un'altra persona.
“Ma stai bene?”, gli chiese allora Tom, vedendolo sconvolto.
Bill se ne stava, con la faccia tra le mani e suo fratello saltò nel suo letto.
“Gesù... ho sognato di buttarmi dal terrazzo...”, disse, “E' stato
terrificante...”
“Secondo me ti sei impressionato troppo con quella storia... dovresti calmarti e
non pensarci più.”, disse Tom, che non trovava altre parole più appropriate di
quelle.
“Hai ragione, mi sta fottendo il cervello. Non lo so perchè ma mi ha fatto un
certo effetto leggere quella cosa su internet… Io non ci credo nemmeno ai
fantasmi.”, fece Bill, alzandosi dal letto e dirigendosi verso il bagno per
sciacquarsi la faccia.
Il contatto con l'acqua fredda del rubinetto gli fece venire i brividi su tutto
il corpo ma riuscì a calmarlo abbastanza. Tornato sul letto, si mise a guardare
il soffitto con le mani dietro la testa.
“Secondo me rimarrò tutta la notte così.”, disse poi.
“Beh, se devi fare certi sogni forse è meglio.... notte...”, disse Tom,
voltandosi sul letto e addormentandosi poco dopo.
Come aveva pensato, Bill volle rimanere tutta la notte sveglio e, se per
qualche minuto perdeva il controllo, si dava uno scossone per riprendere il
controllo. Non voleva fare di nuovo quel brutto sogno.
Cercò di analizzarlo: si ricordava di essere salito sulle sbarre del balcone e
di essere rimasto qualche attimo lì, in equilibrio, a sentire il vento tra i
suoi capelli. Poi si era buttato, ad occhi chiusi, braccia aperte come in
volo, e si era sentito in paradiso... solo che non si sentiva se stesso,
ma un'altra persona... ed era profondamente triste, abbandonato, disilluso,
depresso, distrutto dentro, usato, gettato via, calpestato. Questo tornado di
emozioni si alternava nel suo animo e si volatilizzò nel momento in cui aveva
aperto gli occhi ed aveva visto la morte.
In quel momento si era svegliato, un attimo prima di distruggersi sull'asfalto.
Si era lanciato nel vuoto insieme ad una chitarra, come aveva fatto quella
ragazza suicidatasi qualche anno prima, in quell'hotel dove si trovava con il
suo gruppo… Aveva rivissuto la sua morte al suo posto. Quella storia gli stava
veramente spappolando il cervello…
Ma domani sarebbe tutto finito: partivano per
Riflettè molto quella notte, il suo cervello sembrava una catena di montaggio
di pensieri, che continuava a sfornare idee, supposizioni, frasi, poesie,
conversazioni finte. Macchinava parole nelle peggiori maniere, ne metteva
insieme di opposte, ne inventava di nuove, creava figure metaforiche che
sicuramente sarebbero finite dritte dritte in una nuova canzone.
Quando vide il primo raggio di sole entrare nella sua stanza, si voltò e guardò
il sole nascere tra le antenne paraboliche che costellavano i tetti della
città. Non era molto romantico vedere un'alba cittadina ma era comunque bello
vedere il sole nascere, una volta ogni tanto. Meno male che stava per passare
metà della giornata a spostarsi su auto, bus e automezzi vari, almeno avrebbe
trovato un po' di tempo per dormire e riposarsi.
Il telefono squillò, era la sveglia dell'hotel: alzò ed abbassò subito la
cornetta.
“Svegliati...”, disse a Tom, scuotendolo leggermente.
Suo fratello farfugliò qualcosa che doveva suonare come 'lasciami in pace'
oppure 'vattene a fanculo', ma non seppe dirlo con certezza.
“Andiamo, dobbiamo partire.”
“Ma... ho sonno....”
“Dormiremo sull'auto... forza alzati.”
Nel frattempo che suo fratello cercava di svegliarsi inutilmente, Bill andò a
farsi una doccia, doveva lavarsi via tutto quella sensazione appiccicosa che
aveva addosso. Si preparò lentamente, era abituato ad essere svegliato almeno
un'ora prima degli altri. Oramai li conoscevano, lui e suo fratello, sempre in
ritardo per un motivo od un altro e il loro manager preveniva i ritardi
mattutini in questo modo.
“Alzati!”, gridò a suo fratello, che sembrava essersi riaddormentato. Erano
passati quaranta minuti da quando lui si era alzato e ancora quell'altro se ne
stava sul letto beato. Prese il bicchiere che c'era sul lavandino e lo riempì
d'acqua ghiaccia, era l'unico metodo efficace per farlo schiodare da lì.
“Svegliati.”, gli disse, con il bicchiere in mano.
“Succhiamelo…”, rispose l’altro.
Al che Bill gli versò tutta l’acqua sulla faccia, facendolo saltare sul letto
per lo spavento…e per il freddo. Dopo una lunga lista di imprecazioni e bestemmie
varie, il ragazzo si alzò, maledicendo il fratello.
Arrivarono giù nella reception e, ovviamente, trovarono il loro manager ad
aspettarli; li informò che gli altri due erano già a fare colazione. Erano
riusciti a ritardare anche se svegliati un’ora prima degli altri.
“Buongiorno ragazzi...”, disse Bill, con molto sforzo, ai suoi amici.
“Che c'è, non hai dormito bene neanche stanotte? Quale fantasma ti ha fatto
visita?”, scherzò Georg, vedendolo apparire con un grande paio di occhiali da
sole sulla faccia.
“Peggio, ho fatto un incubo tremendo, ma ora non mi ricordo più niente.”, disse
Bill, che non voleva di proposito farsi tornare in mente quelle sensazioni.
“Mi ha anche svegliato in piena notte, urlando.”, disse Tom.
“Allora era davvero un incubo con i controfiocchi.”, disse Gustav, mentre si
mangiava la sua brioche ripiena.
“Avanti, andiamo a prendere qualcosa da mangiare.”, disse Bill, che aveva
abbastanza fame.
Si avvicinarono al bancone della colazione, dove una distesa di croissant,
dolci, marmellate, cioccolata e altro aspettava solo di essere presa. Con gli
occhi avrebbero mangiato di tutto ma si limitarono a prendere qualche pasta e
un po' di cioccolata. Il cameriere, nel frattempo, aveva versato nei loro
bicchieri latte caldo, caffè e succo d'arancia. Si sedettero e si gustarono la
colazione con calma, avevano abbastanza tempo non sprecato in ritardi vari da
poterselo permettere.
Mentre Gustav e Georg aspettavano che i due finissero le loro colazioni e
chiacchieravano di cosa avrebbero dovuto fare in Francia, l'attenzione di Bill
fu catturata da un oggetto che nelle ultime ore lo aveva perseguitato fin
troppo. Qualche tavolo più in là del loro, c'era una chitarra appoggiata ad una
sedia. Rimase immobile, fissando quello strumento. Di nuovo un brivido freddo
gli percorse la schiena. Poi un paio di piedi, la chitarra veniva spostata,
qualcuno si sedette sulla sedia su cui era appoggiata. Alzò lo sguardo...
Non vide nè teste tagliate, nè lenzuoli fruscianti, nè catene pendenti. Nessun
fantasma standard.
Vide solo una ragazza intenta a tagliare in due una brioche. La scrutò bene,
voleva capire. Sembrava normale, forse un po' più grande di lui, dell'età di
Georg. La vedeva solo lui? Era la ragazza che lo stava tormentando con le sue
canzoni?
Stava diventando pazzo?
Il cameriere che lo aveva appena servito si avvicinò a lei.
Bill tirò un sospiro di sollievo, non stava impazzendo.
“Signorina Műller, le serve altro?”, le chiese il cameriere. Bill aveva teso
l'orecchio il più possibile per sentirlo.
“No, grazie sono a posto. Quando arriva mio padre?”, disse lei.
“Di solito è in ufficio dalle otto e mezza in poi.”
“Bene, gli dica che sono qua e che lo aspetto da due giorni.”, fece lei.
Bill fu scosso da una gomitata del fratello.
“Ma sei scemo a fissare una così? Non si beccano le ragazze in questo modo!”,
gli disse Tom. Era da un po' che lui e gli altri due lo scrutavano con aria
interrogativa, chiedendosi perchè si era immobilizzato a guardare quella
ragazza, che poi non era nemmeno tanto carina.
“Stai zitto deficiente, guarda per bene cosa c'è accanto a lei...”
Tom realizzò il motivo per il quale suo fratello si era bloccato quando vide la
chitarra.
“Pensi che sia lei?”, gli chiese Tom.
“Lo spero o divento matto!”
“Beh, non c'è altro modo per saperlo che chiederglielo. Secondo me non è
guardabile, si veste come te ma almeno ha la decenza di non spararsi i capelli
in aria...”
“Spiritoso...”, gli disse Bill.
O andava o spaccava, o si alzava e glielo chiedeva o sarebbe rimasto col dubbio
per sempre.
Si alzò.
“Scusami...”, esordì, “posso farti una domanda?”
La ragazza si voltò e gli sorrise. Era una persona vera.
“Prego, siediti, mi sembri abbastanza assonnato.”, gli disse, indicandogli la
sedia.
“Ah, grazie... senti, non so come spiegartelo...”
“Tu sei quello dei Tokio Hotel, Bill il cantante, vero?”, lo interruppe lei.
Bill rimase abbastanza spiazzato, c'era abituato ad essere riconosciuto ma non
pensava affatto che lei glielo chiedesse.
“Si... sono io...”
“Non dovresti parlare con gli sconosciuti…”, fece lei, scrutandolo, “Quindi
molto piacere, io mi chiamo Ingrid!”, e gli porse la mano, sorridendogli.
“Piacere....”, disse Bill. Era abbastanza imbarazzato per quello che stava per
chiederle, anche se poi non era una domanda difficile da fare.
“Avanti, cosa vuoi chiedermi? Mica vorrai un autografo da me!”, disse lei,
scherzando.
“No, ci mancherebbe.... senti, qual è la tua camera?”
Lei lo guardò di nuovo, con occhi maliziosi, poi tornò alla sua brioche.
“Ehy bello, mica te lo dico! Non sono mica una di quelle ragazzine che ti
corrono dietro sbavando! Manco mi piace la vostra musica...”
Bill rimase un po' stordito: se fosse stato un manga, gli avrebbero disegnato
una goccia pendente a lato della faccia e gli avrebbero fatto delle linette
orizzontali sulla testa.
“No, non è come pensi... è che l'altra notte ho sentito qualcuno che suonava la
chitarra e che cantava una canzone bellissima nella stanza accanto alla mia
e... volevo solo congratularmi. Ho visto la chitarra e ho pensato che fossi
stata tu. Io sto alla
“Allora accetto volentieri i tuoi complimenti. Ero io, quando sono un po'
incazzata mi metto a suonare, mi dispiace averti disturbato.”
“No, affatto, anzi è stato bellissimo, la canzone che suonavi era fantastica.
L'hai scritta tu?”
“Non è mia, è di un gruppo americano. Si intitola 'Epiphany' ed è degli Staind,
un gruppo nu-metal americano.”
“Era comunque bellissima, davvero. Suoni e canti molto bene.”
“Grazie ancora... ma non aspettarti un complimento del genere da me...”
“Beh, grazie lo stesso...”, disse alzandosi e stringendole di nuovo la mano.
Fece due passi ma tornò presto indietro, gli era venuta in mente una nuova
domanda.
“Senti, ho un'ultima domanda da farti. Ieri chiesi al portiere se la camera 754
fosse stata occupata e lui mi disse di no, che la riservavano solo a clienti
speciali... e tu sei....”
“Diciamo che quella camera è sempre prenotata per me. Sono la figlia del
direttore dell'hotel ed ho l'accesso gratuito a quella stanza. Posso dire che
quasi ci vivo, se non sono da mia madre sto lì. Magari Wolfgang, il portiere,
non sapeva che ero arrivata, non ho l'obbligo di fare check in, e ti ha detto
che era libera.”
Bill si sentì quasi al settimo cielo. Non c'erano più fantasmi a perseguitarlo,
nè brutti sogni a farlo svegliare di soprassalto durante la notte.
“Grazie mille per quello che mi hai detto, pensavo di avere un fantasma che
abitava accanto a noi!”, disse Bill, salutandola.
La ragazza contraccambiò il saluto con un sorriso e tornò alla sua brioche. Che
tipi strani, questi Tokio Hotel.
“Allora che ti ha detto?”, gli domandò Tom appena si fu seduto.
“E' la figlia del direttore e abita nella stanza accanto alla nostra. Era lei a
suonare...”, disse Bill sfoggiando un sorriso a cinquanta denti. Si sentiva
sollevato.
“Meno male, mi dava i brividi sapere che c'era un fantasma che si aggirava
nell'hotel a cantare canzoni dei Pink Floyd...”, disse Gustav.
“E' ora di andare.”, disse il loro manager dall'entrata della sala in cui si
trovavano i ragazzi.
Bill, prima di uscire, si girò di nuovo verso la ragazza e la salutò con un
cenno della mano. Lei lo contraccambiò subito, dicendo che era stato un piacere
conoscerlo.
Ingrid guardò la sua chitarra.
Si allontanò un po' dal tavolo, la imbracciò e la accordò. Suonò qualche nota e
iniziò a cantare per i camerieri che si affrettavano a preparare la sala per la
colazione degli altri ospiti. Suo padre glielo aveva proibito, ma lei gli
disobbediva sempre e comunque.
Visto che aveva appena conosciuto i Tokio Hotel, ne approfittò per cantare una
loro canzone, l'unica che conosceva e che le piaceva. L’aveva scaricata
illegalmente da internet, si intitolava ‘Spring nicht’ e, in qualche modo, per
lei era una canzone speciale, particolare…
Quando ebbe finito, gli altri la applaudirono e chiesero una nuova canzone, ma
Ingrid doveva andare.
Guardò ancora la sua chitarra.
Non era proprio sua.
Era di sua sorella Maggie.
E l'altra notte non era stata lei a cantare 'Epiphany'.
Era stata sua sorella Maggie.
Era la sua canzone preferita.
Era.
Maggie era morta suicida, si era buttata dalla camera 754, quella dove Ingrid
abitava in quelle notti.
Si era tolta la vita insieme alla sua chitarra preferita.
Quella che aveva Ingrid era una delle tante che Maggie aveva posseduto.
Veniva a trovarla spesso, nella notte, e le cantava.
Aveva una voce celestiale
Scusate se ripropongo questa mia vecchia fic, ma quando l'ho riletta ho dovuto
per forza fare delle correzioni! Perfezionista come sempre! Spero vi piacerà di
nuovo!
Un bacio a tutte!
RubyChubb