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Autore: RubyChubb    30/10/2007    5 recensioni
Il vento sulla faccia, le braccia levate al cielo, la mano che stringe forte la sua migliore amica. (già pubblicata, ora con delle modifiche)
Genere: Triste, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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EPYPHANY - LA CONCLUSIONE



Il vento sulla faccia, le braccia levate al cielo, la mano che stringe forte la sua migliore amica. Una chitarra.
Le luci della città sotto di lei.
Vola, si sente leggera. Com'era bello volare, aveva sempre sognato di farlo, soprattutto con gli occhi chiusi.
Li aprì solo per un attimo, e fu la fine.


Bill si alzò sul letto di scatto, gridando.
“Che cazzo fai?”, protestò il fratello, svegliato improvvisamente da quell'urlo.
Bill ansimava, era sudato da capo a piedi e tremava dalla paura. Aveva volato, aveva aperto gli occhi e aveva visto l'asfalto avvicinarsi. Aveva sognato di morire, di gettarsi dal balcone. Ma non era lui... era un'altra persona.
“Ma stai bene?”, gli chiese allora Tom, vedendolo sconvolto.
Bill se ne stava, con la faccia tra le mani e suo fratello saltò nel suo letto.
“Gesù... ho sognato di buttarmi dal terrazzo...”, disse, “E' stato terrificante...”
“Secondo me ti sei impressionato troppo con quella storia... dovresti calmarti e non pensarci più.”, disse Tom, che non trovava altre parole più appropriate di quelle.
“Hai ragione, mi sta fottendo il cervello. Non lo so perchè ma mi ha fatto un certo effetto leggere quella cosa su internet… Io non ci credo nemmeno ai fantasmi.”, fece Bill, alzandosi dal letto e dirigendosi verso il bagno per sciacquarsi la faccia.
Il contatto con l'acqua fredda del rubinetto gli fece venire i brividi su tutto il corpo ma riuscì a calmarlo abbastanza. Tornato sul letto, si mise a guardare il soffitto con le mani dietro la testa.
“Secondo me rimarrò tutta la notte così.”, disse poi.
“Beh, se devi fare certi sogni forse è meglio.... notte...”, disse Tom, voltandosi sul letto e addormentandosi poco dopo.
Come aveva pensato, Bill volle rimanere tutta la notte sveglio e, se per qualche minuto perdeva il controllo, si dava uno scossone per riprendere il controllo. Non voleva fare di nuovo quel brutto sogno.
Cercò di analizzarlo: si ricordava di essere salito sulle sbarre del balcone e di essere rimasto qualche attimo lì, in equilibrio, a sentire il vento tra i suoi capelli. Poi si era buttato, ad occhi chiusi, braccia aperte come in volo,  e si era sentito in paradiso... solo che non si sentiva se stesso, ma un'altra persona... ed era profondamente triste, abbandonato, disilluso, depresso, distrutto dentro, usato, gettato via, calpestato. Questo tornado di emozioni si alternava nel suo animo e si volatilizzò nel momento in cui aveva aperto gli occhi ed aveva visto la morte.
In quel momento si era svegliato, un attimo prima di distruggersi sull'asfalto. Si era lanciato nel vuoto insieme ad una chitarra, come aveva fatto quella ragazza suicidatasi qualche anno prima, in quell'hotel dove si trovava con il suo gruppo… Aveva rivissuto la sua morte al suo posto. Quella storia gli stava veramente spappolando il cervello…
Ma domani sarebbe tutto finito: partivano per la Francia, tutto sarebbe diventato davvero un ricordo da campeggio, da boy scout…

Riflettè molto quella notte, il suo cervello sembrava una catena di montaggio di pensieri, che continuava a sfornare idee, supposizioni, frasi, poesie, conversazioni finte. Macchinava parole nelle peggiori maniere, ne metteva insieme di opposte, ne inventava di nuove, creava figure metaforiche che sicuramente sarebbero finite dritte dritte in una nuova canzone.
Quando vide il primo raggio di sole entrare nella sua stanza, si voltò e guardò il sole nascere tra le antenne paraboliche che costellavano i tetti della città. Non era molto romantico vedere un'alba cittadina ma era comunque bello vedere il sole nascere, una volta ogni tanto. Meno male che stava per passare metà della giornata a spostarsi su auto, bus e automezzi vari, almeno avrebbe trovato un po' di tempo per dormire e riposarsi.
Il telefono squillò, era la sveglia dell'hotel: alzò ed abbassò subito la cornetta.
“Svegliati...”, disse a Tom, scuotendolo leggermente.
Suo fratello farfugliò qualcosa che doveva suonare come 'lasciami in pace' oppure 'vattene a fanculo', ma non seppe dirlo con certezza.
“Andiamo, dobbiamo partire.”
“Ma... ho sonno....”
“Dormiremo sull'auto... forza alzati.”
Nel frattempo che suo fratello cercava di svegliarsi inutilmente, Bill andò a farsi una doccia, doveva lavarsi via tutto quella sensazione appiccicosa che aveva addosso. Si preparò lentamente, era abituato ad essere svegliato almeno un'ora prima degli altri. Oramai li conoscevano, lui e suo fratello, sempre in ritardo per un motivo od un altro e il loro manager preveniva i ritardi mattutini in questo modo.
“Alzati!”, gridò a suo fratello, che sembrava essersi riaddormentato. Erano passati quaranta minuti da quando lui si era alzato e ancora quell'altro se ne stava sul letto beato. Prese il bicchiere che c'era sul lavandino e lo riempì d'acqua ghiaccia, era l'unico metodo efficace per farlo schiodare da lì.
“Svegliati.”, gli disse, con il bicchiere in mano.
“Succhiamelo…”, rispose l’altro.
Al che Bill gli versò tutta l’acqua sulla faccia, facendolo saltare sul letto per lo spavento…e per il freddo. Dopo una lunga lista di imprecazioni e bestemmie varie, il ragazzo si alzò, maledicendo il fratello.
Arrivarono giù nella reception e, ovviamente, trovarono il loro manager ad aspettarli; li informò che gli altri due erano già a fare colazione. Erano riusciti a ritardare anche se svegliati un’ora prima degli altri.
“Buongiorno ragazzi...”, disse Bill, con molto sforzo, ai suoi amici.
“Che c'è, non hai dormito bene neanche stanotte? Quale fantasma ti ha fatto visita?”, scherzò Georg, vedendolo apparire con un grande paio di occhiali da sole sulla faccia.
“Peggio, ho fatto un incubo tremendo, ma ora non mi ricordo più niente.”, disse Bill, che non voleva di proposito farsi tornare in mente quelle sensazioni.
“Mi ha anche svegliato in piena notte, urlando.”, disse Tom.
“Allora era davvero un incubo con i controfiocchi.”, disse Gustav, mentre si mangiava la sua brioche ripiena.
“Avanti, andiamo a prendere qualcosa da mangiare.”, disse Bill, che aveva abbastanza fame.
Si avvicinarono al bancone della colazione, dove una distesa di croissant, dolci, marmellate, cioccolata e altro aspettava solo di essere presa. Con gli occhi avrebbero mangiato di tutto ma si limitarono a prendere qualche pasta e un po' di cioccolata. Il cameriere, nel frattempo, aveva versato nei loro bicchieri latte caldo, caffè e succo d'arancia. Si sedettero e si gustarono la colazione con calma, avevano abbastanza tempo non sprecato in ritardi vari da poterselo permettere.
Mentre Gustav e Georg aspettavano che i due finissero le loro colazioni e chiacchieravano di cosa avrebbero dovuto fare in Francia, l'attenzione di Bill fu catturata da un oggetto che nelle ultime ore lo aveva perseguitato fin troppo. Qualche tavolo più in là del loro, c'era una chitarra appoggiata ad una sedia. Rimase immobile, fissando quello strumento. Di nuovo un brivido freddo gli percorse la schiena. Poi un paio di piedi, la chitarra veniva spostata, qualcuno si sedette sulla sedia su cui era appoggiata. Alzò lo sguardo...
Non vide nè teste tagliate, nè lenzuoli fruscianti, nè catene pendenti. Nessun fantasma standard.
Vide solo una ragazza intenta a tagliare in due una brioche. La scrutò bene, voleva capire. Sembrava normale, forse un po' più grande di lui, dell'età di Georg. La vedeva solo lui? Era la ragazza che lo stava tormentando con le sue canzoni?
Stava diventando pazzo?
Il cameriere che lo aveva appena servito si avvicinò a lei.
Bill tirò un sospiro di sollievo, non stava impazzendo.  
“Signorina Műller, le serve altro?”, le chiese il cameriere. Bill aveva teso l'orecchio il più possibile per sentirlo.
“No, grazie sono a posto. Quando arriva mio padre?”, disse lei.
“Di solito è in ufficio dalle otto e mezza in poi.”
“Bene, gli dica che sono qua e che lo aspetto da due giorni.”, fece lei.
Bill fu scosso da una gomitata del fratello.
“Ma sei scemo a fissare una così? Non si beccano le ragazze in questo modo!”, gli disse Tom. Era da un po' che lui e gli altri due lo scrutavano con aria interrogativa, chiedendosi perchè si era immobilizzato a guardare quella ragazza, che poi non era nemmeno tanto carina.
“Stai zitto deficiente, guarda per bene cosa c'è accanto a lei...”
Tom realizzò il motivo per il quale suo fratello si era bloccato quando vide la chitarra.
“Pensi che sia lei?”, gli chiese Tom.
“Lo spero o divento matto!”
“Beh, non c'è altro modo per saperlo che chiederglielo. Secondo me non è guardabile, si veste come te ma almeno ha la decenza di non spararsi i capelli in aria...”
“Spiritoso...”, gli disse Bill.
O andava o spaccava, o si alzava e glielo chiedeva o sarebbe rimasto col dubbio per sempre.
Si alzò.
“Scusami...”, esordì, “posso farti una domanda?”
La ragazza si voltò e gli sorrise. Era una persona vera.
“Prego, siediti, mi sembri abbastanza assonnato.”, gli disse, indicandogli la sedia.
“Ah, grazie... senti, non so come spiegartelo...”
“Tu sei quello dei Tokio Hotel, Bill il cantante, vero?”, lo interruppe lei.
Bill rimase abbastanza spiazzato, c'era abituato ad essere riconosciuto ma non pensava affatto che lei glielo chiedesse.
“Si... sono io...”
“Non dovresti parlare con gli sconosciuti…”, fece lei, scrutandolo, “Quindi molto piacere, io mi chiamo Ingrid!”, e gli porse la mano, sorridendogli.
“Piacere....”, disse Bill. Era abbastanza imbarazzato per quello che stava per chiederle, anche se poi non era una domanda difficile da fare.
“Avanti, cosa vuoi chiedermi? Mica vorrai un autografo da me!”, disse lei, scherzando.
“No, ci mancherebbe.... senti, qual è la tua camera?”
Lei lo guardò di nuovo, con occhi maliziosi, poi tornò alla sua brioche.
“Ehy bello, mica te lo dico! Non sono mica una di quelle ragazzine che ti corrono dietro sbavando! Manco mi piace la vostra musica...”
Bill rimase un po' stordito: se fosse stato un manga, gli avrebbero disegnato una goccia pendente a lato della faccia e gli avrebbero fatto delle linette orizzontali sulla testa.
“No, non è come pensi... è che l'altra notte ho sentito qualcuno che suonava la chitarra e che cantava una canzone bellissima nella stanza accanto alla mia e... volevo solo congratularmi. Ho visto la chitarra e ho pensato che fossi stata tu. Io sto alla 756.”
“Allora accetto volentieri i tuoi complimenti. Ero io, quando sono un po' incazzata mi metto a suonare, mi dispiace averti disturbato.”
“No, affatto, anzi è stato bellissimo, la canzone che suonavi era fantastica. L'hai scritta tu?”
“Non è mia, è di un gruppo americano. Si intitola 'Epiphany' ed è degli Staind, un gruppo nu-metal americano.”
“Era comunque bellissima, davvero. Suoni e canti molto bene.”
“Grazie ancora... ma non aspettarti un complimento del genere da me...”
“Beh, grazie lo stesso...”, disse alzandosi e stringendole di nuovo la mano.
Fece due passi ma tornò presto indietro, gli era venuta in mente una nuova domanda.
“Senti, ho un'ultima domanda da farti. Ieri chiesi al portiere se la camera 754 fosse stata occupata e lui mi disse di no, che la riservavano solo a clienti speciali... e tu sei....”
“Diciamo che quella camera è sempre prenotata per me. Sono la figlia del direttore dell'hotel ed ho l'accesso gratuito a quella stanza. Posso dire che quasi ci vivo, se non sono da mia madre sto lì. Magari Wolfgang, il portiere, non sapeva che ero arrivata, non ho l'obbligo di fare check in, e ti ha detto che era libera.”
Bill si sentì quasi al settimo cielo. Non c'erano più fantasmi a perseguitarlo, nè brutti sogni a farlo svegliare di soprassalto durante la notte.
“Grazie mille per quello che mi hai detto, pensavo di avere un fantasma che abitava accanto a noi!”, disse Bill, salutandola.
La ragazza contraccambiò il saluto con un sorriso e tornò alla sua brioche. Che tipi strani, questi Tokio Hotel.


“Allora che ti ha detto?”, gli domandò Tom appena si fu seduto.
“E' la figlia del direttore e abita nella stanza accanto alla nostra. Era lei a suonare...”, disse Bill sfoggiando un sorriso a cinquanta denti. Si sentiva sollevato.
“Meno male, mi dava i brividi sapere che c'era un fantasma che si aggirava nell'hotel a cantare canzoni dei Pink Floyd...”, disse Gustav.
“E' ora di andare.”, disse il loro manager dall'entrata della sala in cui si trovavano i ragazzi.
Bill, prima di uscire, si girò di nuovo verso la ragazza e la salutò con un cenno della mano. Lei lo contraccambiò subito, dicendo che era stato un piacere conoscerlo.


Ingrid guardò la sua chitarra.
Si allontanò un po' dal tavolo, la imbracciò e la accordò. Suonò qualche nota e iniziò a cantare per i camerieri che si affrettavano a preparare la sala per la colazione degli altri ospiti. Suo padre glielo aveva proibito, ma lei gli disobbediva sempre e comunque.
Visto che aveva appena conosciuto i Tokio Hotel, ne approfittò per cantare una loro canzone, l'unica che conosceva e che le piaceva. L’aveva scaricata illegalmente da internet, si intitolava ‘Spring nicht’ e, in qualche modo, per lei era una canzone speciale, particolare…
Quando ebbe finito, gli altri la applaudirono e chiesero una nuova canzone, ma Ingrid doveva andare.
Guardò ancora la sua chitarra.
Non era proprio sua.
Era di sua sorella Maggie.

E l'altra notte non era stata lei a cantare 'Epiphany'.
Era stata sua sorella Maggie.
Era la sua canzone preferita.

Era.

Maggie era morta suicida, si era buttata dalla camera 754, quella dove Ingrid abitava in quelle notti.
Si era tolta la vita insieme alla sua chitarra preferita.
Quella che aveva Ingrid era una delle tante che Maggie aveva posseduto.
Veniva a trovarla spesso, nella notte, e le cantava.
Aveva una voce celestiale



Scusate se ripropongo questa mia vecchia fic, ma quando l'ho riletta ho dovuto per forza fare delle correzioni! Perfezionista come sempre! Spero vi piacerà di nuovo!

Un bacio a tutte! RubyChubb

 

   
 
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