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Autore: Dark Spectrum    10/04/2013    1 recensioni
— Va' via! [..]
Era sparito dalla sua vista, nel nulla, come dissolto in una nuvola di nebbia.
Nel suo sguardo, Tate aveva visto abbastanza disprezzo, disgusto e delusione.
Abbastanza perchè si sentisse, per la prima volta, un mostro.
Genere: Angst, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Tate, Langdon, Violet, Harmon, Violet, Harmon
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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AutoreDark Spectrum
Titolo: Near but so far.
FandomAmerican Horror Story.
Pairing: Violet/Tate.
RatingGiallo.
Genere: Angst, drammatico, sovrannaturale.
DisclaimerI personaggi appartengono agli aventi diritto. La storia è stata scritta senza fini di lucro e non intende infrangere alcun copyright.
NoteE' la prima volta, dopo anni(?), che mi cimento nello scrivere una ff. Ho voluto riprendere con questa OS poco impegnativa, volendo descrivere, secondo il mio punto di vista, ciò che non abbiamo avuto modo di approfondire granchè, riguardo ai due fantasmi della serie American Horror Story, dopo l'addio.. *sigh*. Spero vi piaccia, che possiate passare sugli errori di colei che non scrive ff da un po' e che l'ispirazione mi sia favorevole più spesso, perchè vorrei tornare a scrivere e magari iniziare a pubblicare i miei scritti, cosa che non facevo praticamente mai, in precedenza. Grazie a chiunque leggerà/recensirà. 


Near but so far.

Dalle spesse vetrate della Casa, filtravano i deboli raggi di luce di un sole che pareva essere sul punto di spegnersi, intrappolato nel cielo cinereo che sovrastava l'intera città.
Ma il fantasma non guardò fuori dalla finestra; fissava con un'intensità insolita il soffitto, come se non vi fosse nulla al mondo di più interessante. Eppure, i suoi occhi vitrei, che gli conferivano quell'espressione assente e sognante, non erano persi effettivamente nelle incrostazioni giallognole e ammuffite dell'intonaco. Il suo era il tipico sguardo di chi è ormai sul punto di annegare nei drammi interiori, in preda alle bufere di parole e pensieri disordinati che, con l'impeto di un vento impercettibile, scuotono persino gli animi dei più audaci.
E, si sa, Tate Langdon, lo psicopatico, non era certo definibile un audace.
Magari sarebbe persino riuscito ad imitare la parte, se non si fosse trattato di lei.
Erano quelli i tormenti che lo scuotevano; tormenti legati ad un nome e ad una sola, minuta figura che aveva assunto un incontrollabile potere in tutto ciò che lo riguardava, gradualmente, senza che lui se ne accorgesse.
I lunghi capelli biondo cenere le carezzavano le spalle, prima di cadere, lisci, dietro la sua schiena. Gli occhi piccoli e vispi sembravano sempre osservarlo, indecifrabili ed enigmatici, mentre un sorriso appena accennato fletteva impercettibilmente le sue labbra sottili, rosse e dai contorni ben definiti.
Tate schiuse le labbra e dovette trattenersi per non gridare il suo nome, con l'aria nostalgica che lo opprimeva dal giorno in cui aveva udito la sua delicata voce pronunciare quello struggente addio.

— Va' via, Tate. — Aveva detto, con appena un sussurro, mentre le lacrime avevano iniziato a rigare il suo pallido volto di porcellana.
— Va' via! — La seconda volta, il rimbombo di un grido di supplica ed autoconvinzione aveva scosso il corpo di Violet, come fosse un tremore, un brivido generato dal dolore.
Ma urlare esasperato il suo nome non servì a farle cambiare idea. Era sparito dalla sua vista, nel nulla, come dissolto in una nuvola di nebbia.
Nel suo sguardo, Tate aveva visto abbastanza disprezzo, disgusto e delusione. Abbastanza perchè si sentisse, per la prima volta, un mostro.
E da quel momento -che, seppur lontano, era differenziato da un'intensità e una nitidezza diversa, atipica di tutti i suoi ricordi-, aveva trascorso ogni giorno accanto a Violet, senza che lei potesse sentire il calore della sua vicinanza.
Schiuse le palpebre che si erano serrate sotto il peso di quell'ardente memoria, senza che se ne accorgesse.

Sul letto, distesa accanto a lui, anche Violet sembrava persa nella profondità degli abissi dei suoi tormenti interiori.
Non potè accorgersi della presenza di Tate, nè sembrò notare le sue esili dita sfiorarle la guancia inumidita da qualche calda lacrima.
Eppure, in maniera involontaria, portò la sua mano nel punto esatto in cui avrebbe dovuto percepire il contatto fresco con la pelle di Tate, contatto di cui, però, non potè mai bearsi.
Ma quel giorno, nonostante tutto, grazie a quel gesto, l'angolo delle labbra di un fantasma dai riccioli biondi si sollevò per un istante in un sorriso triste e malinconico, uno di quelli che ormai gli segnavano spesso il volto quando ripensava a lei, alla sua Violet, che aveva saputo amarlo.
La consapevolezza che fosse stato lui stesso a compiere quella manovra di autodistruzione bruciava ogni volta con un'intensità sempre maggiore, distruggendolo.
La crudele realtà aveva spinto Violet a rifiutare la vicinanza di un mostro per il resto della sua eternità.
Aveva preferito allontanarlo, aveva preferito che sparisse da lei, in senso letterale.

Ormai il mostro era abbandonato e solo; avrebbe dovuto imparare a convivere con sé stesso.

   
 
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