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Autore: lumieredujour    10/04/2013    1 recensioni
spero piaccia, io so che mi sono divertita molto a scriverla. enjoy.
Genere: Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NOTA DELL'AUTRICE: riferimenti a fatti e persone sono puramente casuali (purtroppo). Quando scrivo, sorrattutto durante un dialogo in parentesi, vuol dire che quello che c'è in parentesi è il pensiero della protagonista. Io mi sono divertita molto ad esasperare questa situazione, ma non credo d'essere riuscita a renderla COMPLETAMENTE comica e spensierata. Troppo brutti pensieri. Comunque spero piaccia, com'è piacuto a me scriverla, e vi ringrazio. Con un inchino solenne di cui Fierobecco sarebbe fiero, vi lascio al mio racconto. Bye

EM


No, la rimpatriata no!"

 

 

Sdraiata sul letto della mia camera, nella mia bellissima città universitaria dove stavo vivendo il periodo più bello della mia vita, mi arrivò un avviso di chat.
(sicuramente è Alessandra con il programma per questo sabato sera. Spero che non preveda il porta-a-casa-Ale-che-è-troppo-ubriaca-per-camminare-da-sola perché mi sono un po’ stancata di quest’ultima parte della serata.)
Aprii il messaggio e sbiancai, mi si staccò la mascella e urlai un “oddio no!” che avranno sentito anche in Cambogia.
-Ehy da quanto tempo! (sempre troppo poco per me)- pensai con voce lamentosa che avrebbe fatto concorrenza ad una bimba viziata di quattro anni che vuole un pony
 – Ho chiamato accidentalemente (sì come no!) tua madre e mi ha detto che il prossimo week-end torni a casa! (stramaledetta madre, dovrebbero cucirle la bocca, o rubarle il telefono o imporle di vivere in un convento) Io e gli altri stavamo pensando di fare una bella rimpatriata giovedì prossimo, che ne dici? (Assolutamente no, non ci penso nemmeno, a costo di farmi investire da un autobus, farmi portare in chiesa a recitare mille rosari in tutte le lingue del mondo, NO E POI NO!)-
-Ehm.. mi piacerebbe, ma la mia macchina (quale macchina?) è dal meccanico e non potrei venire-
“dai che forse riesco ad uscirne dai ti prego” incrociai tutto ciò che era anatomicamente possibile incrociare
-Ma non ti preoccupare, chiedo a qualcuno di passare a prenderti ;) (Noo perché a me?!) Volente o nolente verrai a questa rimpatriata, ormai te ne sei saltata già due ahahaha- (non credo che ora stia sorridendo la stronza, più che altro starà ghignando come una iena)
-Okay va bene (questi supplizi vanno affrontati), allora ci vediamo… giovedì prossimo. Ciao (forzati di mettere una faccina o capirà il tuo gioco) :) -
- Ciao tesoro! :* (Tesoro, ma chi ti conosce?)
E quindi eccomi, vestita con la mia tuta più comoda, un vasetto di Nutella in una mano, un cucchiaio in un'altra e un paio di occhiali che farebbero invidia al nerd più nerd del mondo, mentre cercavo di capire come dire a mia madre, senza usare un fantastilione di parole poco carine, che con certe persone lei non doveva parlare di me e come riuscirò a sopravvivere, dopo quattro felicissimi anni, ad una bella rimpatriata di classe.
Rincontrerò quell'ammasso di iene sciagurate, false alternative della madonna, “bellissime” (mah) ragazze cerebrolese, coglioni patentati e dementi con un pallone sgonfiato al posto della testa. Hurrà. Che serata di merda che mi aspetta.
Se penso agli anni più bui della mia povera esistenza mi vengono in mente le medie, su cui però ho steso un velo pietoso (anche se più che un velo assomiglia ad una lastra di cemento) e subito dopo le superiori. Non che all’epoca lo capissi. Solo dopo essermene uscita da quella classe del liceo classico, ho capito di aver passato cinque anni orribili: ragazzi che ti prendevano per il culo in modo molto (poco) velato, ragazze che ti sorridevano e ti abbracciavano mentre cercavano il punto giusto per pugnalarti alle spalle, ragazze che dopo aver giurato eterna fedeltà a te e te soltanto sono sparite appena dopo due settimane dalla fine degli esami, secchione invidiose del fatto che tu sia entrata a medicina, pur non avendo la media del 15+, ragazze gelose del fatto che tu, pur non essendo la Megan Fox della situazione, sia riuscita a trovare una vita migliore di quella che hai vissuto in quel carcere minorile che chiamano per convenzione scuola, mentre loro, arse come solo un vagabondo nel deserto può essere, si mangiano ancora le mani.
Fatto sta che dopo essere tornata a casa (dove ho fatto una sfuriata di dimensioni bibliche a mia madre sul fatto che, la prossima volta che incontra qualcuno legato al mio passato da liceale, deve dire che sono partita in Nicaragua per “medici senza frontiere”, pur non essendo laureata) i giorni li ho passati tra le visite ai parenti, da ripetersi ogni volta che torno a casa, abbuffate megagalattiche dovute al fatto che “all’università mangerai pochissimo!” e liti con mia madre sul fatto che io possa o no lavarmi i capelli alle 10 di sera. E poi, molto più presto di quanto sperassi, è arrivato quel giovedì orribile. Grazie a dio doveva venirmi a prendere la mia unica vicina di casa/ex compagna di banco per tre anni, l’unica che poi non era tanto male, togliendo il fatto che col suo fisico perfetto mi ha fatto venire i peggiori complessi e che troieggiava un po’ per il mondo dicendomi “alla fine io sono solo un’adolescente normale!”.
Per questa serata non avevo voglia di tirarmi a lucido, così optai per un paio di jeans, un paio di Converse e una T-shirt colorata. Mi guardai allo specchio e inorridii alla vista della mezza-sfigata che ero quattro anni fa. Purtroppo dovevo tirarmi a lucido per togliermi l’immagine della me 18enne dalla mente. Ciò implicava: stivaletto nero con tacco 12 (conosciuto anche come strumento di tortura), mini-dress color panna e chiodo di pelle (felicemente fregato al mio ex ragazzo). Dopo tutto questo osare (in fondo era una cena di classe, non la settimana della moda chissadove) optai per un minimo di trucco e per i capelli lasciati liberi di fare quello che volevano (non avevo voglia/tempo di aggiustarli.)
Alle sette e mezza, puntuale come un orologio che segna l’ora legale il giorno di natale (perché doveva venirmi a prendere alle sette meno un quarto) arrivò la mia “amica” che, tra baci e abbracci e “quanto sei dimagrita o mio dio! Hai fatto bene, eri proprio rotondetta”, mi raccontò della sua esperienza “universitaria” (il lupo perde il pelo ma non il vizio) . Poi mi fece salire in macchina e mi tartassò di domande per tutto il viaggio:
-Allora come va con l’uni?-
-Ehm bene-
-Tu sei riuscita ad entrare a medicina vero? Tutti ti hanno invidiata, che fortuna!-
-Già- (peccato che io mi sia fatta il mazzo per quasi un anno e mezzo per quei test d’ingresso stramaledetti)
-E dimmi ti diverti lì dove stai? Hai incontrato nuovi amici?-
-Sì, mi diverto molto, lì tutto è più spensierato e ho trovato persone molto carine- “non come nella nostra ex classe” stavo per aggiungere, per poi fermarmi all’ultimo momento ricordando la sua arte di diffusione dei fatti altrui.
-E dimmi cucchi all’uni? Cioè il fidanzato ce l’hai o sei rimasta come al liceo?- rise la stronza
-Diciamo che io non “cucco”- rispondo seccata – più che altro mi diverto. Ma da un paio di anni sto con un ragazzo.-( Stop, non aggiungere altro. Non dire nient’altro neanche sotto tortura.)
-Oh ti capisco! Pensa che da tre mesi sto con questo nuovo ragazzo di nome Gabriele che-
E da lì in poi sentii solo un vago bla bla bla, mentre ringraziavo gli angeli del paradiso per aver fatto la mia “amica” così megalomane, che non riesce a non parlare di sè per più di dieci minuti.
Arriviammo sul piazzale davanti scuola, mentre già tre o quattro persone sono riunite. Ne riuscii a riconoscere solo una-due e, in modo cattivo e soddisfatto, capii che loro sono davvero messi male. Chi frequentava l’uni vicino casa e prendeva voti di merda, chi non aveva uno straccio di vita sociale e chi non riusciva ad uscire dal giro della “lezione che poi farò”. Dio è grande. E pensare che la sfigata qualche anno fa ero io!
Dopo che furono arrivati tutti, contando anche la vip di sta minchia della situazione, le mie “care” ex compagne di classe mi tartassarono con le stesse domande “come va l’uni?”, “come sta la tua famiglia?” “ce l’hai il ragazzo?”. Quest’ultima era chiesta con un tono alla “dai dimmi che non sei riuscita a convincere qualcuno che non sei così cesso come NOI pensiamo”. Odio, odio puro mi usciva dalle orecchie mentre mi accorgevo del fatto che io non avevo fatto nessuna domanda. Non avevo fatto domande a nessuno perché, sinceramente, a me non me ne fregava un sacrosantissimo niente di quello che facevano o no nella loro vita. Cioè, dopo gli esami di stato per me erano stati cancellati dal database, persone troppo odiose per far parte dei miei ricordi.
Infine si arrivò alla parte più lunga ed estenuante della serata la parte “dove andiamo a mangiare?”.
C’è chi optava per un ristorantino qui di fronte, dove lavora un mio amico e bla bla bla (da evitare, visto che te lo sta proponendo il cretino di turno), chi optava per un panzerotto al centro (manco fossimo un gruppo di rom) finchè qualcuno (dopo aver litigato per un bel po’ facendomi venire un mal di testa e ricordandomi perché li odiavo così tanto) connesse un paio di neuroni fra loro e propose la pizzeria storica di tutte le nostre cene di classe, dove non si pagava molto, si poteva avere un’atmosfera familiare e nessuno sarebbe  venuto a “rovinarci la festa”. Quindi tutti in macchina a fare la processione, mentre io pregavo affinché potessi tornare al più presto nel mio beneamato letto (o nella mia beneamata città a taaanti chilometri di distanza da qui.) Arrivati ci sedemmo, guardammo i menù e ordinammo, mentre il paio (solito) di persone si accorse troppo tardi che doveva ancora scegliere e  protrasse l’ordinazione per quelli che a me sembrano millenni prima di dire “oh beh, opterò per una margherita”. Figlio di buona donna.
Io intanto stavo morendo di fame e sete perciò ordinai una birra (GRANDE) alla spina e me ne scolai metà prima ancora che arrivasse la pizza. Quando fummo stati serviti tutti calò il silenzio, un balsamo per le mie orecchie ormai disabituate a tanta inutile baraonda. Quasi sorridevo soddisfatta prima di notare che il porco (perché uno che ordina una pizza ananas, patatine e wrustel non può essere soprannominato in altro modo) affianco a me stava giocando con la pizza, facendo finta che due spicchi di pizza fossero un paio di orecchie. Mi alzai per andare a fumare una sigaretta, utile per calmare i nervi, quando si alzò anche un’altra ochetta che disse:
-Dove stai andando?- (domanda a trabocchetto. Dove non vuoi andare tu, mia cara stronza?)
-In bagno- mentii palesemente, col mio pacchetto di camel stretto nella mano destra.
-Oh bene, ci dovevo andare anche io!- (dannazione!) – poi magari andiamo anche a fumare, ti va?-
-certo- dissi a denti stretti.
Andammo in bagno dove la buona donna (era questo il suo soprannome al liceo) mi utilizzò come stranamore personale, mentre mi parlava di un certo Giancarlo che prima la corteggiava  e poi se ne andava con un’altra. Non che a me fregasse un accidenti. Prima ancora che finisse di asciugarsi le mani, iniziai a correre per raggiungere l’uscita e accesi la mia sigaretta neanche fossi un eroinomane in astinenza. Ero in astinenza da calma e la nicotina mi serviva. Accese anche lei una merit puzzolente e assaporai quei momenti di silenzio tra una boccata e l’altra. Sfortunatamente la sigaretta finì troppo presto ed era già ora di tornare nella bolgia dantesca che era la mia amata classe fino a quattro anni fa.
Rientrando tutti avevano finito la pizza e stava per iniziare la parte peggiore: quella dei “ma ti ricordi?”
Okay, alcune cose saranno state anche divertenti, ma la maggior parte erano cose solamente imbarazzanti, che io continuavo a negare.
“no, non ricordo quella volta in cui piansi per un tre in latino”
“no, non ricordo quella volta in cui mandai a fanculo la prof di latino”
“no, non ricordo che in gita mi ubriacai e iniziai a ballare davanti alla prof di latino”
E via di seguito. Ordinai un’altra birra, mentre i miei compagni ordivano il dolce
-Lei non vuole niente signorina?- disse il cameriere, guardandomi in modo compassionevole.
-No, grazie tante.- disse sorridendo, mentre sentivo qualche commento tipo “altrimenti poi ti svacchi di nuovo”
Avevo quasi dimenticato come l’autostima fosse sconosciuta con sti stronzi.
Mentre continuavano a parlare, e a parlarmi, mi accorsi che nessuno diceva un qualcosa riguardo la loro vita all’università e mi resi conto che questi dementi erano rimasti fossilizzati al terzo liceo classico, assurdo!
Comunque forse perché avevo bevuto troppo (alla seconda birra aggiunsi anche un bicchiere di limoncello e uno di sambuca. Ops!), forse perché mi ero addormentata (doppio ops!) arrivammo immediatamente alla conclusione della serata e io stavo quasi per sorridere a tutti mentre il cretino di turno disse:
-Perché non andiamo in disco?-
Con timore guardai i miei compagni con fare stralunato, ma grazie a dio molti rinunciarono perché “erano stanchi” o perché “di giovedì sera vanno solo i vecchi in disco”.
Perciò, mandando baci (finti) a destra e a manca e sorridendo come una ossessa (non so se per colpa del sonno, dell’alcool o del fatto che me ne stavo andando) rientrai nella macchina della mia amica. Al finestrino si appoggiò la stronza madre (quella che aveva contattato per prima la mia genitrice) e disse, con un sorriso falso come i denti di un vecchio di 103 anni:
-Allora, la prossima volta se ne facciamo un’altra vieni?-
Io, non so perché (ma posso benissimo immaginarlo, ehm, alcool in circolo) annuì vigorosamente e solo quando arrivai a casa gridai un no perché per “un'altra” intendeva un’altra rimpatriata. Oddio una rimpatriata no!

  
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