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Autore: kuroichigo    10/04/2013    3 recensioni
Potevo leggerci dentro tutto ciò che ti passava per la testa, ed era splendido sapere che ero l’unico a poterlo fare, l’unico in grado di leggerti. Come fossi un libro, uno dei miei preferiti, uno di quei libri che rileggi per star bene e che rileggeresti all’infinito per tentare di coglierne ogni sfumatura.
Ho tutto di te impresso nella mente. Ho ricordi che durante la mia esistenza non mi lasceranno.
Vederti mentre giocavi con il Presidente, scoprire che mi stavi sbirciando mentre ancora dormivo, i tuoi tentativi con la tecnologia mondana, i nostri viaggi, i nostri momenti…
Malec, abbastanza tranquilla, spero gradiate!
Genere: Angst, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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_Come un bacio di rosa_

Delicato.Tocca. Ama. Punge.
 

Dedico questo breve pezzo di follia mentale
a coloro a cui voglio più bene,
a coloro che amano questa saga,
a coloro che amano questi due personaggi e che come me vorrebbero una loro tregua.


 

 
Ricordo perfettamente ogni tuo lineamento.
La tua bocca era splendida, le tue labbra sottili e il modo in cui raramente si incurvavano mi sono rimaste nel cuore e nei sogni.
Ogni tuo pensiero era direttamente collegato ai tuoi occhi. Nessun tipo di filtro, nessuna censura.
Potevo leggerci dentro tutti ciò che ti passava per la testa, ed era splendido sapere che ero l’unico a poterlo fare, l’unico in grado di leggerti. Come fossi un libro, uno dei miei preferiti, uno di quei libri che rileggi per star bene e che rileggeresti all’infinito per tentare di coglierne ogni sfumatura.
Ho tutto di te impresso nella mente. Ho ricordi che durante la mia esistenza non mi lasceranno.
Vederti mentre giocavi con il Presidente,  scoprire che mi stavi sbirciando mentre ancora dormivo, i tuoi tentativi con la tecnologia mondana, i nostri viaggi, i nostri momenti…
Alec…
Perché siamo arrivati a questo punto?
 
 
Magnus si ridestò dai suoi pensieri, scosso.
Erano passate almeno due settimane dalla rivelazione del tradimento di Alec nei suoi confronti, e ancora aveva voglia di spaccare tutto ciò che gli capitava di vedere.
Nei suoi ottocento anni di esperienza aveva capito che non era saggio farsi prendere dalla rabbia in situazioni simili, così effimere nonostante tutto, ma aveva deciso di fare un eccezione almeno per stavolta.
Almeno per Alec.
Perché lui tutto avrebbe voluto che fosse, tranne che effimero.
Si rialzò dalla poltrona vintage che occupava l’angolo sinistro della camera, svogliato.
Non usciva da giorni, non aveva nemmeno la forza di farlo, ma quel giorno avrebbe dovuto per forza avere uno scontro con la realtà, la peggiore per intenderci.
Il mondo continuava, e lui doveva continuare con lui, nonostante tutto.
Aveva sorseggiato un thè, un’antica miscela comprata durante il viaggio con Alec.
 
Era delicato, fruttato, Parigino.
Un thè con alla base rosa gallica e glauca, con un retrogusto al pesco.
Dolce e amaro si scontravano nella sua bocca, era un sapore insolito.
Il sapore di un ricordo.
 
Decise di non pensarci, tornando ai suoi doveri.
Era stato chiamato all’istituto da Maryse il giorno prima  per alcuni problemi interni di cui doveva assolutamente occuparsi. Ecco perché si trovò nello studio della suddetta esattamente venti minuti dopo. La donna aveva sottolineato con freddezza che l’avrebbe pagato a fine lavoro, e sempre in maniera glaciale aveva taglialo la conversazione.
 
Cosa c’è di meglio di una ex suocera che ti odia?
 
Si diresse in cucina, dove l’odore del caffè caldo lo accolse, avvolgendolo, pronto per trasmettergli un po’ della sua energia. Il Presidente dormiva, e non sarebbe stato di sicuro lui a svegliarlo.
Fissò con aria assente l’armadietto che aveva davanti.
Silenzio.
Troppo silenzio.
Alec aveva l’abitudine di parlare a casa sua, parlare molto.
Nonostante la sua incredibile timidezza, quelle quattro mura sprigionavano e liberavano ogni pensiero incatenato dalle mura della società.
Lo faceva sentire più sicuro di sé, e quindi piuttosto che silenzi interminabili –che Magnus alle volte preferiva- parlava a raffica, di tutto.
Sorrise amaro.
Gli mancavano pure le sue continue  e a volte fastidiose chiacchiere…
Prese con sé le chiavi di casa e si avviò.
 
 
Isabelle vorticava nella sua stanza come un uccello in gabbia.
Delusa, confusa, arrabbiata, stanca di vedere il fratello in condizioni pessime e lo stregone lontano anni luce. Eppure non sapeva che fosse successo fra loro.
“I cuori si infrangono. E penso che, anche quando si ricompongono, non si torna più gli stessi di prima.” , ecco perché lei non amava amare.
Si accasciò sul letto, buttandosi fra vestiti e mille altre cose ammucchiate, guardando di traverso camera sua , e decidendo che era fin troppo disordinata, persino per lei.
Nell’altra stanza, Jace tentava di convincere il suo parabatai a fare una passeggiata, a giocare a qualche cosa, a sfidarsi a duello, a impegnarsi in qualsivoglia attività, senza successo.
 Izzy non l’aveva mai visto così preoccupato per il fratello, nonostante mantenesse quell’aria di sufficienza nei confronti del proprio parabatai.
 
Il ragazzo dai capelli neri si ostinava a ignorarlo, perso nei suoi pensieri.
La voce di Jace gli giungeva sfocata, bassa, come se provenisse da un’altra dimensione.
 
Come aveva potuto…?
Perché se n’era accorto solo ora?
 
Avrebbe dovuto ascoltare Magnus quando gli aveva detto di star lontano da Camille, aveva ragione su tutto, quel maledetto stregone che gli aveva rubato il cuore.
 
Jace, esasperato dai suoi vani tentativi, aveva chiuso la porta della camera del suo parabatai alle sue spalle, reprimendo l’istinto omicida che gli gravava sulle mani.
Considerava Magnus  una persona intelligente.
E saggia, nonostante i lustrini e  l’aspetto da perenne gayfriendly multicolor.
Non avrebbe mai lasciato Alec nelle mani di una persona diversa e inaffidabile, ma non sapendo la causa della rottura fra loro, ogni ipotesi era valida.
Andò alla sala degli allenamenti, escludendo il resto del mondo, Clary compresa.
L’aveva sentita qualche ora prima e stava pacificamente disegnando qualcosa che gli avrebbe di sicuro mostrato quando l’avrebbe rivista.
 Sorrise appena, chiudendo la porta della sala e preparandosi.
 
 
Alec era immerso nella più totale apatia.
La sua stanza risultava fredda, cupa, glaciale, e nonostante ciò la presenza dello stregone aleggiava nell’aria. La si poteva sentire nel profumo che gli  aveva  dato poiché aveva scoperto che gli piaceva, nelle foto che avevano fatto in giro per il mondo, nell’Ipod che gli aveva regalato e di cui gli aveva più volte illustrato l’utilizzo, e che ora stava ascoltando.
Le canzoni mondane erano belle.
Erano tristi, spesso.
Intrise di quella malinconia che solo un amante corrotto può sentire, così piene di significato.
 
Sapeva che la colpa di tutto era sua, e sua soltanto.
Lui aveva dato retta a Camille.
Lui non si era fidato di Magnus.
Lui aveva sempre sospettato chissà quali tresche amorose e tradimenti.
E invece colui che in realtà tradiva fra di loro era proprio lui, il fantastico e perfetto Alexander Lightwood. 
 
Si sentì ancora più meschino, e consapevole di sè.
Era geloso. Geloso in una maniera totale e assurda.
E la gelosia nasceva dal fatto che a Magnus in fin dei conti teneva più di qualsiasi altra cosa.
 
“Aku cinta Kamu”, ti amo.
 
Era questo l’amore? Conoscersi, imparare ad accertarsi, ottenere la fiducia dell’altro e il suo più sincero affetto per poi perdere tutto per colpa di uno stupido errore? Perdere la persona che ami solo per uno sbaglio alla quale tentavi di porre rimedio?
 
Perché doveva fare così male, tutto quanto?
 
Perché non era il suo corpo a urlare di dolore ma solo la sua mente?
Era una ferita così dolorosa da mozzare il fiato, i graffi e i colpi dei demoni in confronto erano nulla.
 
Volse lo sguardo verso le foto in bella vista sulla scrivania e sul comodino, visibili anche nella penombra.
Il viso dello stregone in quegli scatti era luminoso, quasi felice.
Una fitta al cuore e al cervello, doveva pensare ad altro, assolutamente.
Decise che sarebbe uscito, non con Jace né con Izzye, ma solo, e con l’Ipod nelle orecchie, forse lo avrebbe aiutato o forse lo avrebbe condannato sulla via del ricordo. Ma era ciò che si meritava, e quello avrebbe avuto.
 
 
-Grazie per il tuo aiuto, Bane.-
La stanza era inondata di luce lattiginosa.
Le carte giallognole, i libri, tutto ciò che era riposto sugli scaffali era ancora nella stessa posizione in cui il tutto era stato catalogato da Hodge.
Ringraziò Church per avergli mostrato la strada fino a quello studio, lui in quel palazzo si perdeva sempre!
Magnus chinò un poco la testa in un cenno di consenso, qualche minuto prima era incerto sul da farsi, se accettare il pagamento o meno, ma poi pensò , a malincuore, che in fondo lì non era nessuno, e quindi doveva riscuotere il suo normale compenso.  Si mosse per andarsene.
 
-È per causa tua che mio figlio sta così male- non era una domanda.
Lo stregone si voltò, deciso.
Non si sarebbe assunto colpe che non aveva, ma nemmeno avrebbe mostrato la situazione ad altri. Se Maryse lo accusava evidentemente non sapeva cosa in realtà era accaduto.
 
-Credimi  Maryse non è l’unico a stare male. Ma io non posso farci nulla.-
Non aggiunse altro, e la donna capì che il figlio c’entrava ben più dello stregone, ma non potè aggiungere altro.
Magnus uscì dallo studio, incontrando “per caso” Jace, che si era appostato in via del tutto intenzionale davanti allo studio della “madre”.
 
-Che ci fai qui?- chiese il biondo, sperando forse in una risposta in cui fosse coinvolto il nome del fratello.
-Maryse mi ha chiesto alcune cose e sono venuto qui per aiutarla, ora devo scappare-
 
Magnus si guardò un attimo attorno, Church era sparito e tutti i corridoi si assomigliavano fra loro in maniera impressionante.
Era entrato all’istituto si e no tre volte.
 
 
-Senti…-esordì lo stregone -Questo posto è un labirinto Jace, mi indicheresti l’uscita?-
 
Aveva preso tutto,  ed era pronto ad andare.
Questo era ciò che pensava, ma Jace gli sbarrava il passo, era tornato sulla soglia di camera sua battendo i pugni e chiamandolo frettolosamente.
Alec, spazientito, gli aprì.
 
-si può sapere che vuoi?!-
-Indovina un po’ chi c’è?-
-Clary?-
Jace scosse la testa, frettoloso.
-Simon?!? Se è venuto qui per Izzy lo uccido!-
-No...Ecco il momento dell’indizio, sbrilluccica e ha un bell’appartamento a Brooklyn!-
Ad Alec mancò il fiato.
Lui?
Lì?
Ma perché?
Per parlargli?!
Poi pensò che sicuramente era uno scherzo o una scusa per indurlo a uscire con lui, e richiuse con un colpo netto la porta.
Jace intanto imprecava contro il suo amato parabatai, aveva corso fin lì per niente, lo stregone lo stava seguendo a distanza ma ben presto lo avrebbe raggiunto.

-Jace, perché siamo davanti a camera di Alexander?-

Ecco, appunto.
 
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-Jace, perché siamo davanti a camera di Alexander?-

Alec si fermò di colpo, da dentro la camera.
Era davvero la sua voce ad aver pronunciato il suo nome per intero?!
Delusione, forse amarezza, la sua espressione era qualcosa di invalicabile.
Quando lo chiamava così voleva fargli sentire il suo distacco, e ci riusciva perfettamente.
Tornò sui suoi passi, appoggiandosi con la schiena alla porta e origliando.
Non voleva farsi vedere in quello stato pietoso.
 
 
Jace si voltò col suo amabile tono sarcastico.
 
-Non crede che tu sia qui…strano eh?-
-Non è cosa che ti riguarda Jace, non dovrei essere davanti alla sua porta, non ho intenzione di parlargli.-

 
Quale immensa, assurda bugia.
 

-Perché vi siete lasciati? Io non l’ho ancora capito!-
-Fattelo dire da lui…e ora potresti dirmi dov’è l’uscita? Ho del lavoro da fare-
-Non finchè non vi parlerete-
- Non ti facevo tanto “fatina buona”-
-Le fate non sono buone-
-No, ma almeno sono sincere-
 
Jace colse subito la frecciata, diretta più ad Alec che a lui.
A dire il vero, anche Alec la colse da dietro la porta.
Aveva origliato tutto.
Dopo qualche minuto, Magnus parlò.
 
-Ho capito…-
 
Lo stregone girò i tacchi, aveva dovuto prevedere lo strano comportamento da fratello maggiore, che non è né maggiore né fratello, nei confronti di Alec.

-Aspetta!-

Il nephilim dagli occhi blu uscì dalla camera, trafelato, imbarazzato ma deciso.
Puntò le sue iridi in quelle dello stregone e non tremò nemmeno una volta.
 

-Ti accompagno io!-
 

 
 
Aveva mostrato l’uscita a Magnus, lo aveva accompagnato fin sulla porta.
Il silenzio fra loro era qualcosa di irreale. Così colmo di sentimenti da sembrare vuoto.
Un qualcosa di onirico?
Forse.
Si sentiva così amareggiato, Alec.
Riconquistarlo? Come? Come si riconquista il cuore di una persona ferita nell’anima?
Come si ama chi non è più disposto ad amarti?
Erano ormai a pochi passi dall’uscita. Da lì in poi, Magnus se ne sarebbe andato da quel posto e non avrebbe più fatto ritorno all’istituto se non per qualche colloquio con sua madre.
Un po’ come se l’istituto fosse il suo cuore, lo stregone ne sarebbe uscito senza metterci più piede.
Non avrebbe più risposto alle sue telefonate
Non  l’avrebbe più trascinato in giro per il mondo.
Non l’avrebbe più svegliato la mattina
Non l’avrebbe più fatto arrossire così furiosamente.
Non lo avrebbe più lasciato giocare con il Presidente.
Non l’avrebbe mai, mai più confortato le notti in cui la mancanza di Max si faceva davvero troppo pressante, anche per lui.
 
Erano ormai arrivati al portone dell’istituto. Magnus si voltò lo guardò inespressivo, e fece un inchino di ringraziamento.
Alec non si trattenne.
Si umettò le labbra per l’aria fredda che le aveva screpolate e lo guardò.
 
Con gli occhi lucidi, si avvicinò allo stregone, arrivando a pochi centimetri dal suo corpo.
Tastò il braccio avvolto dai vestiti dello stregone, carezzandolo, l’espressione triste e vacua del suo volto non lasciavano spazio all’immaginazione.
Attesa.
E Magnus aveva tutta l’eternità.
Senza troppe formalità, e vedendo che lo stregone non si scansava, preda di chissà quale spettro romantico, Alec  si avvicinò ulteriormente, sapendo che ormai stava saggiando per l’ultima volta le labbra del sommo, che rimasero ferme.
Né sgomento né rabbia né nulla.
Magnus era fermo e immobile esattamente come prima.
Insofferente, freddo, quasi crudele.
 
Alec ne rimase pietrificato.
Chiuse gli occhi e per qualche secondo se ne infischiò del mondo, sentendo la consistenza e la morbidezza di quelle labbra contro le sue.
Poi si staccò dall’uomo, e senza nemmeno guardarlo tornò all’interno dell’istituto.
 
 
Alec, da dentro l’edificio, l’osservò, mentre lasciava quei luoghi.
 
E Magnus se ne andò, così come era venuto, con ancora tanta rabbia  da smaltire e un lieve sorriso sulle labbra.
Forse una possibilità ci sarebbe stata, forse poteva lasciare tempo a quel ragazzino così insicuro e facilmente plagiabile.
Un fiore appena sbocciato…
 
-Aku cinta kamu, mia spina-  sussurrò al vento - non che questo cambi qualcosa.-

 
 
 
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Io bho.
L’avevo nel pc, nel ricercare un file mi è venuta fuori e l’ho finita. Dovrei studiare ma amen. E nulla. Spero di ritornare, perché mi manca EFP e si vedono, quando non scrivo più da molto tempo, i peggioramenti.
Ergo, vi lascio con questa e basta, ci vediamo dopo giugno/luglio  <3
Peace&Love e grazie per aver letto questa storiella che non ha assolutamente nulla di originale né nulla di interessante ma che sentivo di voler postare.
Grazie di cuore. 


Kuro
  
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