Serie TV > Merlin
Ricorda la storia  |      
Autore: Inessa    11/04/2013    4 recensioni
Come Ponzio Pilato, stava sognando una strada illuminata che non avrebbe mai potuto percorrere. Solo che la sua non era fatta di luce bianca come la luna, ma della luce giallo-arancione del sole del primo tramonto filtrato dalle vetrate di un aeroporto. (post 5x13)
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
- Questa storia fa parte della serie 'Appunti di viaggio'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Anschlussflüge

Connecting Flights

 



 

 

Dice che anche quando c'è la luna, per lui non c'è pace e che brutto è il suo mestiere. Così dice sempre, quando non dorme, e quando dorme, vede una cosa sola: una strada illuminata dalla luna, e vuole percorrerla e parlare con l'arrestato Hanozri, perché, come egli afferma, non ha finito di dire qualcosa allora, tanto tempo fa, il quattordicesimo giorno del mese primaverile di Nisan.


 

_________________________

 


 

La carta del romanzo scivolò sotto le sue dita, ruvida, mentre sospirava e lo chiudeva. La luce giallo-arancione del primo tramonto, che le grandi vetrate accanto a lui filtravano e rendevano più intensa, tagliavano a metà la copertina blu, rendendola di un colore verdognolo e spiacevole. Merlin chiuse gli occhi, poggiò i gomiti sulle ginocchia e si sporse in avanti, lasciando che quella stessa luce gli investisse la metà superiore del volto. Quando li aprì, sentendo i raggi che lo abbagliavano un po', il tardo pomeriggio pigro ed indolente dell'aeroporto di Francoforte gli riempì la vista. Aveva davanti ancora un paio d'ore di attesa, prima dell'apertura dell'imbarco per il volo che lo avrebbe riportato a Londra.

Si sollevò stiracchiandosi, con il libro ancora in mano, il dito indice in mezzo alle pagine per non perdere il segno. Si lasciò guidare dall'odore di caffè e raggiunse un bar dal nome italianeggiante, senza prestare troppa attenzione alle persone che, come lui, attendevano davanti alle uscite. Ordinò un cappuccino, in tedesco, e, quando la commessa, sorridendo, gli comunicò con un leggero accento italiano che glielo avrebbe portato a uno dei tavoli e lo invitò ad accomodarsi, annuì ed andò a sedersi nel posto più isolato che gli riuscì di trovare. Utilizzò lo scontrino come segnalibro e chiuse il romanzo, riponendolo finalmente nella leggera borsa che aveva come unico bagaglio. Picchiettò con le dita sul legno nero del tavolino. Quel giorno poteva sentire la magia crepitargli sotto le dita in una maniera piacevole, ma insolita. Un tempo gli sarebbe sembrato strano il contrario, il non sentire dentro di sé quella costante presenza, quella parte di se stesso. Quando la sua magia aveva iniziato ad affievolirsi, dopo qualche secolo, aveva iniziato a sentirsi un po' appassire. Poi, un giorno, aveva scoperto che non usava più il suo dono, come se questo lo avesse del tutto abbandonato. E si sentì come se gli mancasse un arto: poteva ancora sentirlo prudergli, ma non era davvero lì, era solo un'ombra. Eppure la sua magia in realtà c'era ancora, lo sapeva. Solo che non la usava più, come un maglione smesso e pieno di buchi, diventato ormai inutile e un po' ridicolo.

Era ormai così abituato a non sentire la magia scorrere dentro di sé che, quelle rare volte che gli capitava, si sentiva quasi infastidito. Fortunatamente, non capitava molto spesso. L'ultima volta che l'aveva sentita in maniera così distinta, come un danzare di scintille sotto le sue dita, era stato forse un quarto di secolo prima.

La barista gli si avvicinò lentamente, con un vassoio in mano. Lo poggiò sul tavolino e gli porse la tazza calda di cappuccino, un cioccolatino ed un sorriso. Quando viaggiava manteneva la sua forma reale, il suo aspetto giovane, il che gli faceva guadagnare sempre più sorrisi di quelli che riuscisse a ricambiare.

Danke”, sussurrò tentando di restituire l'allegria che gli veniva donata, ma l'angolo appena stiracchiato delle labbra, unico movimento del viso che gli era riuscito, non doveva essere servito allo scopo. Se possibile, si sentì appassire un po' di più nel vedere che la ragazza aveva assunto un'espressione un po' delusa, mentre sussurrava un semplice “Bitte”, più per educazione che altro. Sospirò e si dedicò al suo cappuccino. Vi versò dentro una bustina intera di zucchero e cominciò a mescolarlo, osservando quasi ipnotizzato la schiuma del latte che si fondeva con quella del caffè. Si portò solo un po' della schiuma alle labbra, come gli piaceva fare.

Da quando per lui il tempo aveva perso ogni significato, si era obbligato a godersi le piccole cose che ancora gli piacevano, prima che lo stancassero: la schiuma del cappuccino, l'odore del caffè, la consistenza della carta usurata sotto le dita, la polvere luminosa che gli danzava davanti agli occhi sotto i raggi del sole. Gli davano un po' l'illusione che quel susseguirsi di infiniti attimi che costituivano la sua vita potessero scorrere un poco più in fretta. Un tempo fissava la sabbia delle clessidre scorrere per segnare il tempo. Poi lo aveva annoiato. Quando avevano inventato gli orologi, era solito ascoltarne il ticchettio, guardare le lancette, smontarli per osservare il movimento ipnotico degli ingranaggi. Poi anche quello lo aveva stancato e, ad un certo punto, aveva smesso pure di guardarli, se non quando voleva essere sicurissimo dell'ora. Ma anche in quei casi si rivelava inutile; lo scorrere del tempo gli era così pesante da averlo reso dolorosamente consapevole di ogni secondo che passava, quindi riusciva a sapere che ora fosse anche senza meccanismi.

Sollevò lo sguardo, con viso inespressivo, e un ragazzo dai capelli biondi, che gli dava le spalle, catturò la sua attenzione. Aveva le spalle larghe e doveva essere alto più o meno quanto lui. Un tempo, la vista di qualsiasi ragazzo dalla corporatura simile gli faceva balzare il cuore in gola e mancare il respiro. Poi era passato anche quello. Adesso, se capitava, guardava la persona di turno solo per abitudine, e un po' per sentire quel dolore sordo all'altezza del petto che ancora lo coglieva. La sensazione di qualcosa che mancava e che non sarebbe mai stato rimpiazzato. L'unica cosa che riusciva a ricordargli di non essere ancora diventato un'ombra, come la sua magia.

Sorseggiò lentamente il cappuccino ancora troppo caldo. Mancavano ancora centotredici minuti, secondo più secondo meno, all'imbarco. L'attesa non lo infastidiva. Quando il tuo destino è attendere per l'eternità, centotredici, centocinquanta, duecento, settemila minuti non hanno alcun significato. Improvvisamente sentì la necessità di strofinarsi le mani, colto da un senso di inquietudine, come da una strana eccitazione. La porcellana della tazza tintinnava, sbattendo leggermente contro il piattino, nonostante lui non li stesse nemmeno sfiorando. Si alzò di scatto e, pur non avendo ancora finito di bere, si accinse a portare la tazza al bancone, colto dall'impulso di muoversi, di tenersi in qualche modo impegnato. Osservava gli oggetti che aveva in mano, e che sembravano volersi infrangere di loro spontanea volontà da un momento all'altro, e, quando l'ondata violenta della sua stessa magia lo investì, non si rese conto di quello che lo circondava.

I cocci di porcellana sparsi davanti ai suoi piedi sul pavimento dovevano pure aver fatto un certo fracasso, nonostante lui non lo avesse minimamente sentito. Tremava e, a giudicare dalle teste rivolte verso di lui e dalla strana sensazione alla gola, doveva avere anche urlato.

“Ehi, dico a te! Ho capito che sei goffo, ma-”

Eccolo, stava sognando. La sua magia non si era svegliata e lui non era all'aeroporto della stupida Francoforte nella stupida Germania. Era nel suo letto e stava facendo l'ennesimo sogno impossibile. Era vivo ed aveva un dolore al petto. E, come Ponzio Pilato, stava sognando una strada illuminata che non avrebbe mai potuto percorrere. Solo che la sua non era fatta di luce bianca come la luna, ma della luce giallo-arancione del sole del primo tramonto filtrato dalle vetrate di un aeroporto.

“Stai bene?”

Scosse la testa, che aveva preso a formicolargli, pensando che adesso avrebbe solo dovuto fare uno sforzo di volontà e svegliarsi. Quando però si sentì afferrare per le spalle, lo investì un'altra ondata di magia, e finalmente sollevò lo sguardo, gli occhi spalancati e terrorizzati.

 

La luce giallo-arancione del primo tramonto, che le grandi vetrate accanto a lui filtravano e rendevano più intensa, tagliavano a metà il viso dell'uomo di fronte a lui, rendendo i suoi occhi blu di un colore verdognolo e piacevole. I capelli erano davvero biondi come gli erano sembrati quando lo aveva visto di schiena, ma sotto quella luce avevano assunto una sfumatura rossiccia. E lui era alto, poco meno di lui. E giovane, ventisette anni al massimo - Circa un quarto di secolo!, pensò in preda al delirio. E aveva il naso un po' imponente; i denti anteriori, che si intravedevano mentre parlava, un po' storti. Le labbra piene. Ed era così bello che Merlin pensò di essere finalmente morto.

Merlin pronunciò un nome, ma dalle sue labbra non uscì alcun suono. L'uomo lo invitò a ripetere, e a lui girò la testa a sentire il suono di quella voce.

“Scusa”, disse debolmente.

“Va tutto bene?”

La barista si affaccendò accanto a loro a raccogliere i cocci e lui realizzò di aver perso il conto del tempo che passava. Quanto mancava all'imbarco? Centododici? Cento? Quindici minuti?

“Scusa”, ripeté, senza riuscire a staccare gli occhi da quelli dell'uomo che aveva davanti, “È che mi ricordi una persona che conoscevo... tanti anni fa,” rise istericamente dentro di sé per l'eufemismo.

“Bene”, rispose l'altro, “Allora sei solo imbranato.”

Merlin aggrottò le sopracciglia e stava per rispondere qualcosa, quando l'altro gli porse una mano.

“Sono Arthur.”

Il fiato gli si bloccò in gola e sentì le palpebre che gli si spalancavano, la sua magia che continuava a danzargli sotto pelle amplificando ogni emozione. Sollevò la mano più per istinto che per volontà propria e tergiversò un attimo, prima di stringere quella dell'uomo, come per timore che, se lo avesse fatto, sarebbe sparito in una nuvola di granelli di polvere.

“Merlin,” sussurrò con un filo di voce.

Merlin,” ripeté a sua volta la voce dell'uomo, la voce di Arthur, con quella cadenza che a volte temeva con orrore di avere dimenticato, e che adesso gli risuonava nelle orecchie più armoniosa dei migliori concerti a cui aveva assistito, da solo, nei secoli. Le labbra di Arthur si erano schiuse lentamente, nel pronunciare la M, la E a stento articolata, tanto da sembrare voce pura, piuttosto che una vocale. Il respiro di Arthur che si mischiava con quel suono, nel formare il suo nome, gli fece sentire la vibrazione della sua gola come se ci avesse tenuto sopra i polpastrelli.

Nel momento in cui le loro mani si toccarono davvero, sentì un'altra scarica di magia, diversa da quelle precedenti. Prima era stata una sensazione violenta, come un colpo al cuore, adesso era una sensazione calda e avvolgente, come il fuoco che crepitava nel camino tra le mura di pietra di un castello, illuminando un baldacchino rosso. Come la sensazione che si prova quando si torna a casa dopo un'eternità. Anche lo sconosciuto, Arthur, doveva averla sentita, stavolta, perché era rimasto imbambolato a fissarlo, anche lui con gli occhi spalancati.

“Scusa,” gli disse, rendendosi conto di non aver lasciato la sua mano, “Oggi mi sento un po' strano, come se avessi dormito per troppo tempo.”

Merlin scosse la testa e i muscoli del suo viso si piegarono in quello che, tra la polvere con cui erano ricoperte le sue emozioni, riconobbe come la sensazione di un sorriso, aperto, sincero e accecante sulle sue stesse labbra.

“E nonostante tutto sono in grado di non inciampare sui miei stessi piedi, al contrario di qualcun altro,” fece un cenno verso la carta d'imbarco che sbucava dal taschino della camicia di Merlin, “Vado anch'io a Londra, forse è meglio che tu mi stia accanto, mi assicurerò che non combini altri guai,” concluse con un dolorosamente familiare sorriso storto.

“Ti ha mai detto nessuno, Arthur,” disse Merlin incapace di contenere l'espressione del suo viso, “Che sei proprio un babbeo?”

“La cosa buffa è che credo di sì, ma non riesco proprio a ricordare chi sia stato.”

Mentre si avviavano verso il gate, alla luce giallo-arancione del primo tramonto, la risata argentina di Arthur sembrò riempire l'aeroporto, rimbombare sulle vetrate e riempire l'intero essere, una volta sopito, di Merlin.


 

________________________________


 

Così dice sempre, quando non dorme, e quando dorme, vede una cosa sola: una strada illuminata dalla luna, e vuole percorrerla e parlare con l'arrestato Hanozri, perché, come egli afferma,non ha finito di dire qualcosa allora, tanto tempo fa...



 

Fine.



 

 

Note finali: Una delle cose partorite a caso dalla mia mente mentre dormivo prima della partenza e che poi si è formata mentre ero in aereo (e che ho scritto tra aeroporto ed aereo XD). Per rendere completo il tutto, il cartello Anschlussfluege – Connecting Flights, me lo sono ritrovato davanti appena atterrata per fare scalo, e ho pensato “ECCOLO!”

Ma, come al solito, di queste cose non ve ne frega niente XD

Una nota importante, invece, riguarda la citazione che compare all'inizio e alla fine: l'opera da cui è tratta è Il Maestro e Margherita, di Bulgakov, che ho riletto di recente e che mi ha colpita cento volte di più della prima volta che l'ho letto. Se qualcuno non lo conosce, lo consiglio vivamente. E... fingiamo che io non abbia paragonato Gesù Cristo e Ponzio Pilato ad Arthur e Merlin, per favore!

 

Ancora, vorrei scusarmi immensamente con chi ancora non ha ricevuto una risposta alle recensioni delle vecchie storie. Ad alcune ero straconvinta di aver risposto e, quando ho scoperto di non averlo fatto, mi sono sentita abbastanza pazza. Comunque mi dispiace e vi ringrazio tutti di cuore. In questi giorni sto recuperando, quindi comunque avrete tutte una risposta :)

 

Ultima cosa: questa storia potrebbe essere considerata un po' un prequel di (Untitled). Magari ci uscirà qualcos'altro di legato.

   
 
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Merlin / Vai alla pagina dell'autore: Inessa