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Autore: __Minnie    11/04/2013    6 recensioni
“After the flowers have fallen
we will start all over again”
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Donghae, Eunhyuk
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve..

Questa volta seriamente non so che dire XDD per prima cosa vorrei ringraziare ancora Ria che con me è sempre troppo gentile çWç ti adoro *w*

Bene poi...so che dovrei finire prima tutte le altre fanfiction e che non dovrei darvi tanto tormento come sto facendo...BUT, per ora ho finito gli esami perciò sono ispirata XDD mi sfogo prima dell’altra sessione D: *muor*

Comuuunque..non ho mai scritto one-shot del genere, mai del genere drammatico, mai in terza persona...non siate troppo cattive con me çWç so che vi farà schifio çWç 

Beh, enjoy e fatemi sapere cosa ne pensate~

*scrivere queste cose mi mette giù di baracca ç___ç * 

 

 

Until the last minute

 

 

Giugno 1932, Corea del Sud.

-Avanti Donghae, non fare il timido...saluta i nostri vicini - 

Un piccolo bambino di cinque anni si nascondeva dietro alle gambe della propria madre: era timido e il fatto che in quella stanza ci fossero tante persone, non lo aiutava. Non riusciva a sentirsi a proprio agio con tutti quegli occhi puntati addosso.

Riparato dalle gambe della madre, stringeva con le mani la stoffa della sua gonna e, curioso, di tanto in tanto spostava la testa per guardare ed ammirare l’altissimo signore che si trovava di fronte a lui. In un certo senso gli faceva paura, d’altronde lui era ancora troppo piccolo e vedere un gigante come quello lo spaventava. 

-Ciao piccolino - il gigante si abbassò e protese una mano in avanti sorridendo gentilmente come per rassicurarlo: fargli del male non era la sua intenzione. 

Ma più si avvicinava più il bambino indietreggiava fino a nascondere la testa tra le gambe della madre. 

-Dovete scusarlo, è molto timido... - disse la madre accarezzandogli la piccola testa. 

L’uomo si alzò e, con un cenno della mano, le disse che non doveva preoccuparsi, lo poteva capire. 

La vita della famiglia del piccolo non era mai stata rosa e fiori, a causa di problemi finanziari si dovettero spostare spesso di città in città e quindi non ebbe mai l’occasione di fare amicizia con bambini della sua età. Forse non sapeva neanche come ci si doveva porre di fronte a qualcuno. 

-Ciao! - 

Una voce acuta ma allo stesso tempo simpatica riecheggiò nel silenzio della stanza: forse curioso di scoprirne la fonte, Donghae uscì dal suo sicuro “rifugio”.

Si ritrovò davanti un altro bimbo.

Chi è?, si chiese. 

Era piccolino e gracilino proprio come lui, il suo viso però era paffuto e subito notò la particolarità dei suoi occhi: avevano una forma stranissima ed erano talmente piccoli che quando sorrideva si chiudevano fino a formare due piccole fessure scure. 

-Ciao! - ripeté con un tono di voce ancora più alto del precedente quasi come se avesse paura che prima non l’avesse sentito. 

A causa dell’esuberanza di quest’ultimo, Donghae si spaventò in un primo momento, ma poi riprese a fissarlo curioso dal momento in cui l’altro bambino aveva allungato una mano verso di lui sorridendo.

-Che s-strano...sorriso... - disse con voce flebile, dopodiché arrossì e nascose il suo viso nelle sue mani. 

Non sapeva per quale motivo ma Donghae era rimasto colpito da quel sorriso. Sembrava sincero e molto amichevole e, soprattutto, meritevole di fiducia. Non appena lo vide si sentì più sereno e...felice. 

Sì, felice, perchè quel sorriso sarebbe diventato la sua forza. 

Lentamente e facendo comunque attenzione, allungò una mano anche lui fino a toccare quella dell’altro. 

Un senso di calore lo pervase e, involontariamente, sorrise anche lui. 

Da quel giorno quelle mani non si lasciarono mai più.

 

“Le mani, le mani che sanno parlare, che sanno guarire e che sanno pregare”.

E.De Crescenzo.

 

 

****

 

Marzo 1950, Seoul.

-Avanti Donghae, non fare il timido! - 

-Col cavolo che salgo su un albero del genere Hyukjae! - 

-Fifone! E’ bellissimo qui su! - 

Se c’è una cosa che a Donghae mancava era proprio il coraggio, e Hyukjae lo sapeva benissimo ma non si arrendeva mai e ogni volta gli chiedeva di salire su quell’albero. 

Un albero veramente alto e robusto ma, soprattutto, bellissimo. Essendo infatti il primo giorno di primavera, su di esso si potevano chiaramente vedere i boccioli che, a poco a poco, si aprivano fino a diventare dei bellissimi fiori. 

Poco a poco nascevano per poi morire arrivato l’autunno. Quanto ricordava la vita di un uomo.

Ogni primavera i due ragazzi venivano sotto di esso, parlavano, ridevano e scherzavano all’ombra della sua maestosità. Era una cosa che adoravano fare e, da quando si erano conosciuti, trascorrevano intere giornate qui insieme. 

Non facevano che stare l’uno attaccato all’altro, come se fossero uniti da qualcosa di più forte della colla, come se l’uno fosse l’ossigeno dell’altro. 

Come se fossero una cosa sola.

Qualunque cosa accadeva loro stavano insieme e si aiutavano a vicenda, ignorando qualunque tipo di problema che poteva assillarli.

Loro erano felici e spensierati proprio come dovevano essere tutti i ragazzi della loro età. 

-Dai Donghae! Io ti terrò per mano, non ti lascerò cadere! - disse con tono rassicurante Hyukjae. 

Lo pensava seriamente, lui non lo avrebbe mai lasciato cadere, sarebbe sempre rimasto al suo fianco e, di sicuro, non avrebbe nemmeno permesso che l’amico si facesse del male.

E questo Donghae lo sapeva benissimo perchè si fidava di quelle parole, si fidava del suo migliore amico e soprattutto si fidava di quelle mani. 

Quelle mani e quelle braccia che, quando lo stringevano in un abbraccio, gli sembravano una fortezza invalicabile ed indistruttibile. 

E di nuovo sul volto di Hyukjae comparve un sorriso sincero e pacifico, proprio come quello di molti anni fa. 

Non sapendo resistere oltre, la afferrò e, lentamente, salirono lungo l’albero: arrivati in cima si sedettero su di un ramo forte e robusto. Lassù regnava pace e tranquillità, il che fece pensare a Donghae che il suo amico proprio tutti i torti non li aveva. 

Rimasero lì interminabili minuti ad osservare il panorama che gli si presentava davanti, assaporando il profumo dell’aria primaverile e riscaldandosi sotto quei piacevoli raggi di sole. 

Hyukjae si voltò ed osservò il suo compagno di avventura: mai era riuscito a ringraziarlo di tutto quello che faceva per lui e mai ci sarebbe riuscito perchè non avrebbe mai trovato nulla che potesse ripagarlo.

Non aveva molte altre amicizie, ma poco gli importava fino a quando aveva lui.

Riprese a guardare il paesaggio che da così in alto gli sembrava infinito. Chissà se la loro amicizia poteva essere paragonata a tutto ciò.  

-Donghae... - lo chiamò quasi in un sussurro. 

-Mmh? -

-La nostra amicizia durerà in eterno vero? - abbassò la testa, quasi come se si fosse vergognato delle parole che erano uscite dalla sua stessa bocca. Non era mai stato così dolce e così preoccupato per qualcosa. 

-Dubiti scemo? - ridacchiò Donghae.

-Scemo io? - 

-Sì, sei una stupida scimmia! - 

-YAH! - 

Con un braccio Hyukjae cinse il collo dell’amico ed avvicinandolo a sé, iniziò a scompigliargli i capelli. Donghae si dimenò lamentandosi più che mai, ma dovette arrendersi non appena lo vide ancora una volta sorridere.

Amava quel sorriso più della sua stessa vita. 

Sì, la loro amicizia sarebbe durata in eterno.

 

“L’amicizia è un’anima sola che vive in due corpi”.

Aristotele.

 

****

 

Settembre 1950, Seoul.

Donghae se ne stava chiuso da giorni nella sua piccola camera e Hyukjae era a conoscenza del motivo. Sapeva che era triste, sapeva che quella notizia lo aveva distrutto, ma non voleva che si chiudesse in se stesso, non voleva che soffrisse. 

Non poteva sentirlo e vederlo in questo stato.

Erano giorni che non passavano una giornata insieme e si sentiva morire perchè questa situazione non faceva che peggiorare anche la sua condizione. 

Voleva vederlo, voleva abbracciarlo e consolarlo. 

Non voleva che restasse solo con il suo dolore. 

-Donghae... - 

Ma non sopraggiunse alcuna risposta, sentì solo i suoi singhiozzi. 

Appoggiò la schiena contro la porta e si sedette per terra: no, non lo avrebbe comunque lasciato, non si sarebbe mai arreso, a costo di passare un’altra notte insonne aspettando solo che l’amico lo aprisse. 

La madre di Donghae tentava tutte le sere di farlo tornare a casa e gli diceva che, se suo figlio avesse aperto la porta, lo avrebbe immediatamente avvisato. Ma no, lui voleva essere lì in quel momento perchè sapeva perfettamente che avrebbe avuto bisogno di un suo abbraccio. 

Andarsene avrebbe voluto solamente dire voltargli le spalle. 

Abbandonò la testa sulle ginocchia e le prime lacrime macchiarono il suo viso. Lacrime sincere, lacrime di paura. 

Lacrime di disperazione. 

Perchè esisteva la guerra? Che senso aveva? Dimostrare chi era il più forte? 

Cose stupide per un adolescente come lui. 

E poi perchè due popolazione dello stesso Paese dovevano ammazzarsi a vicenda? D’altronde erano uguali e, in quanto vicini di “casa”, dovevano aiutarsi non farsi la guerra. 

Essa portava solo distruzione nella città, nel mondo, nelle famiglie. 

Portava distruzione nel cuore del suo Donghae e questo per lui era inaccettabile.

Lui era il suo unico pensiero fisso e sentirlo in questo stato gli faceva male, lo distruggeva. Poteva benissimo sentire il suo cuore fermarsi. 

Si sentiva inutile in questo momento. 

Donghae, Donghae, Donghae.

Ormai anche Hyukjae era preda di un pianto liberatorio che non sembrava volesse fermarsi. 

Ma ecco che un rumore lo fece rinsavire e subito si alzò: la porta si stava aprendo lentamente. 

Thump Thump. Thump Thump.

Il cuore di Hyukjae aveva ripreso a battere. 

-Perchè piangi? - chiese innocentemente Donghae con voce ancora impastata.

Il più grande non rispose no, si limitò a buttarsi su di lui e a stringerlo in un abbraccio quasi soffocante: gli era mancato e forse ora si sentiva meglio. 

-Papà... - 

La guerra aveva portato via a Donghae l’anima, il padre.

Rimasero così per minuti, forse ore, ma non importava perchè erano finalmente di nuovo insieme.

“Hold me, like the river Jordan 

and I will then say to thee 

You are my friend”

Will You Be There - Michael Jackson

 

****

 

25 Dicembre 1950, Seoul. 

Era Natale, ma l’atmosfera non era delle migliori: i combattimenti non avevano fine e migliaia di persone continuavano a perdere la vita, soldati ma anche persone del tutto innocenti. 

Migliaia di famiglie avevano perso qualcuno di caro, dal padre al proprio figlio. 

Paura e panico erano gli unici due sentimenti che si propagavano per l’intera città e tra le famiglie che, insicure sul loro destino, trascorrevano intere giornate insieme senza mai lasciarsi, proprio come se ogni sera trascorsa, fosse la loro ultima. 

-Siediti sul letto e chiudi gli occhi! - 

Ma niente sembrava guastare la felicità che regnava nei cuori dei due migliori amici, neanche questa situazione. 

Hyukjae urlò con voce squillante mentre si avvicinava al suo compagno: Donghae, sbuffando, obbedì ed una volta che si sedette appoggiando la schiena contro alla testiera, chiuse i suoi occhi.

-Non aprirli eh! - disse accertandosi che l’amico non lo stesse fregando sventolando una mano davanti alla sua faccia. 

-Smettila e muoviti! - protestò il più piccolo forse incuriosito dalle sue parole. 

Il loro rapporto era così, litigavano per futili motivi ma si volevano un gran bene.

Hyukjae prese la mano dell’amico e la appoggiò delicatamente sulle sue gambe; era nervoso, non vedeva l’ora di dargli il suo regalo di Natale ma aveva anche paura che l’altro non lo accettasse perchè troppo banale. 

Tirò fuori dalla sua tasca un piccolo pezzo di legno agganciato ad una catenina d’argento: su di esso erano incise, in lettere, le loro iniziali, “DH”. Molto probabilmente aveva ragione, questo era proprio un regalo stupido e banale, ma il legno che lui stesso aveva intagliato proveniva da quell’albero di ciliegio dove erano soliti trovarsi in primavera. 

Era un regalo che proveniva dal luogo per lui importantissimo, era un regalo che proveniva dal suo cuore. E sperava che l’avrebbe accettato. 

Mise la catenina nella mano di Donghae e poi, con dolcezza e delicatezza, la chiuse tra le sue. Il più piccolo aprì gli occhi e, il suo sguardo, incontrò subito quello dell’altro. 

E si perse.

Si perse per qualche minuto nella profondità di quei due pozzi che tanto amava, che tanto desiderava sempre di incontrare. 

-Cos’è? - chiese osservando le mani che ancora erano intrecciate tra di loro. 

-Guarda... - rispose Hyukjae mentre lasciava, svogliatamente, la presa. 

Donghae aprì la mano e, vedendo il piccolo ciondolo di legno, si commosse: era bellissimo  e non se lo sarebbe mai aspettato. Si sentì anche in un certo senso in colpa perchè lui non era riuscito a fargli nulla. 

Ma lui come poteva sapere che il più grande regalo per Hyukjae era il suo sorriso e la sua amicizia? 

-Perdonami, io non sono riuscito a trovare nient’altro... - disse preoccupato dal momento in cui Donghae continuava a rigirarlo tra le sue dita senza proferire parola. 

-Non potevo chiedere di meglio! - e nel mentre baciò la guancia dell’amico. 

Thump Thump. Thump Thump.

Cos’era questa strana sensazione che entrambi provavano? 

Il cuore martellava i loro petti e sentivano qualcosa di strano all’interno del loro corpo, come se ci fosse uno stormo di farfalle nel loro stomaco. 

Era una sensazione piacevole e mai provata prima.

-Scu-scusami... - si ritrasse e chinò più volte il capo in segno di scuse. 

Ma Hyukjae non era affatto dispiaciuto di quello che era appena accaduto. 

Senza pensare a quello che stava facendo, portò una mano sotto al mento dell’amico e, facendo una lieve pressione, gli alzò la testa fino a quando i loro occhi non si incontrarono nuovamente. 

La sua mano ora prese ad accarezzargli con estrema delicatezza il viso, prima la fronte, poi la guancia e poi addirittura le sue labbra. 

Che cosa stava...succedendo? 

Donghae non si mosse né tentò di allontanarlo forse perchè non ne aveva le forze, forse perchè, semplicemente, non voleva. 

I loro volti, prima lontani, si avvicinavano sempre più fino ad essere separati da solo più qualche centimetro di distanza: i loro respiri si facevano sempre più irregolari e le loro bocche sempre più secche.  

Era un continuo cercarsi, i loro occhi continuavano a cercarsi bisognosi, così come le loro mani, così come le loro labbra. 

Donghae fu il primo ad azzerare le distanze e a cercare quel contatto che tanto desiderava.

Lo baciò.

Ma fu un contatto delicato e, in un certo senso, spaventato. Le loro labbra si unirono per qualche secondo, Donghae aveva paura perchè mai gli era capitato di provare un qualcosa di così forte per qualcuno. 

Un sentimento così potente che non sarebbe riuscito a spiegare neanche a parole. 

Riaprì gli occhi che involontariamente aveva chiuso e si staccò con cautela. 

-Scu-scusa... - 

Hyukjae rimase seduto immobile a fissare il vuoto con labbra ancora schiuse: cos’era appena successo? Stava sognando oppure era accaduto realmente? Ma vedendo “l’amico” imbarazzato capì che tutto ciò non era che la realtà. 

Per sua fortuna.

Questa volta fu lui a prendere in mano le redini della situazione avvicinandosi di colpo al compagno e riappropriandosi di quelle labbra. Le voleva, le desiderava.

Donghae sgranò gli occhi completamente stupito da questa reazione inaspettata, poi però ricambiò e, finalmente il bacio divenne più intenso. Le loro bocche, bisognose, si cercavano per poi ritrovarsi e condividere l’amore che l’uno provava per l’altro. Un amore così forte da riuscire ad intontirli. Un amore rimasto nascosto per molto e troppo tempo. 

Loro si amavano.

-Smettila di scusarti per cose stupide! -

Si distesero sul letto e Hyukjae avvolse il suo compagno in un forte abbraccio. 

Rimasero tutta la notte svegli.

“Wherever we walk together

will be Paradise”

Angel - EXO

 

****

 

 

Aprile 1951, Seoul. 

Hyukjae se ne stava sdraiato, inerme ed immobile sotto a quell’albero mentre Donghae lo guardava.

Si trovavano entrambi nel luogo in cui tutto iniziò, dove il rapporto tra quei due cambiò, il luogo dal quale proveniva il regalo di Natale di Donghae. 

Da quel giorno lui lo portava sempre al collo, non lo toglieva mai, neanche quando dormiva, neanche quando si lavava. 

Era la cosa più preziosa che aveva, valeva più dell’oro ma mai quanto Hyukjae stesso perchè non tutti i tesori erano d’oro e d’argento, alle volte esistevano cose molto più preziose. 

Quanti momenti felici avevano passato insieme, quanto era grato a colui che aveva reso possibile il loro incontro. 

Un incontro casuale? Un incontro dovuto al destino? 

A Donghae non importava, per lui Hyukjae era un miracolo

Un bambino piccolo e goffo, troppo timido e troppo pauroso per aprirsi con gli altri: questo era. Ma quando quel ragazzo è apparso sul suo cammino, il suo mondo, cupo e buio, improvvisamente diventò splendente. Finalmente aveva trovato il suo Sole.

Senza di lui non sarebbe mai riuscito a superare la morte del padre, non sarebbe riuscito a  vivere una vita felice e spensierata. 

Hyukjae era colui che gli stava sempre accanto, non importava dove andava e neanche che cosa faceva, lui non lo abbandonava mai. 

Hyukjae era colui che lo abbracciava e lo faceva sentire importante. 

Donghae non voleva che se ne andasse, voleva che stesse sempre al suo fianco. Ma la vita con lui era stata crudele. 

Oggi era il compleanno del suo amico, gli aveva preparato un regalo stupendo e non vedeva l’ora di darglielo, di poter finalmente ricambiarlo in qualche modo. E quale luogo più bello per incontrarlo se non quello? 

Il suo cuore batteva a mille, proprio come un pazzo, e si sentiva felice come un bambino. 

Finalmente vedeva il suo Hyukjae. 

Finalmente vedeva la sua vita.

Con gli occhi persi nel vuoto, le sue gambe iniziarono a muoversi da sole: aveva paura ad avvicinarsi all’amico ma doveva. 

-Hyuk-Hyukjae... - 

Cos’era successo? 

I passi si fecero sempre più pesanti.

Non voleva.

Detestava la guerra, riusciva a portargli via sempre le cose che amava di più, le persone che amava di più. 

Detestava questi combattimenti inutili, detestava i soldati.

Arrivò vicino all’amico: aveva gli occhi chiusi ma sorrideva.

-Hyukjae... - 

Le gambe, ormai pesanti, cedettero e Donghae si accasciò a terra. 

-Hyukjae... - appoggiò una mano sul suo viso. 

Non rispose. Dormiva.

-Hyukjae... - la sua mano scivolo sul suo petto. 

Il cuore...

-Hyukjae... - 

...non batteva. 

Tutto ciò era un sogno, non ci potevano essere altre spiegazioni plausibili per Donghae. Quel soldato non gli aveva sparato, non lo aveva portato via da lui. 

Quel soldato non lo aveva ucciso davanti ai suoi occhi.

-Hyukjae...ti prego... - 

Accarezzò nuovamente il suo viso, scostando delle ciocche di capelli che gli ricadevano sugli occhi. 

Continuò a chiamarlo ancora per minuti e minuti, come se questo potesse svegliarlo da quel sonno diventato ormai eterno. Lui non voleva abbandonare la speranza. 

-Non te ne andare, non lasciarmi da solo...ti prego... - 

Senza neanche accorgersene, iniziò a piangere: milioni di lacrime stavano rigando il suo volto e ricordò il giorno in cui il suo amico gli aveva detto che era molto più bello quando sorrideva, che, quando piangeva, stava male anche lui. Ma proprio non riusciva a farne a meno, e per questo gli chiese perdono.

Come avrebbe fatto senza di lui? Non riusciva ad immaginare una vita senza di lui. 

Hyukjae era la sua vita. 

Come poteva ancora battere il suo cuore? 

Hyukjae era il suo cuore.

Prese la sua fredda mano e la strinse tra le proprie, proprio come aveva fatto Hyukjae la notte di Natale. E sorrise, anche in questo momento non poteva far altro che sorridere vedendo la sua espressione beata. 

-Saranghae... - 

Ancora mano nella mano, si sdraiò al suo fianco appoggiando la testa sul suo petto. Il cuore si stava lentamente calmando. 

Raggiunse Hyukjae mentre l’unico bocciolo rimasto sui rami, cadeva. 

 

“After the flowers have fallen

we will start all over again”

Fallen leaves - JYJ

 

****

 

27 Luglio 1953, Seoul. 

La guerra era finita e migliaia di famiglie iniziarono a cercare i loro cari dispersi. 

Anche la mamma di Hyukjae e quella di Donghae non riuscivano a trovare pace, non riuscivano ad accettare che i loro figli fossero morti.

Ma non potevano sapere che quei due erano felicemente insieme, mano nella mano.

  
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