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Autore: JeanGenie    13/04/2013    2 recensioni
[Suspiria]
"Non aveva scelta. La Tham Akademy era la sua unica via d’uscita.
Quando finalmente lo splendido edificio vermiglio era apparso in fondo al sentiero, maestoso e incoronato da quel bosco secolare, Lise si era resa conto di quanto desiderasse penetrare fra le sue mura che narravano antichi racconti e segreti, sebbene non avesse che qualche decennio di esistenza da sostenere sui suoi capitelli intarsiati d’oro.
Nonostante il caldo torrido, Lise aveva avvertito un lungo brivido scuoterle le ossa.
Le sue radici invece sono vecchie come il mondo."
Friburgo, 1930. Una ballerina che non riesce più a danzare, una strega ad un bivio tra luce e ombra, e la leggenda macabra delle Tre Madri un miraggio salvifico e mortale.
Genere: Dark, Horror, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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II

La Principessa

(… quoddam semper… )



Fillet of a fenny snake,
In the cauldron boil and bake
Eye of newt and toe of frog,
Wool of bat and tongue of dog
Lizard leg and fairy wing,
round about the cauldron sing
Double double trouble you,
bubble in a witches' brew


(Omnia, Wytches Brew)




Nel cuore del bosco le fanciulle innocenti avevano smarrito la via, da quando Nostra Signora dei Sospiri aveva memoria. E dal momento che ella esisteva da sempre, il bosco da sempre aveva fatto in modo che fanciulle innocenti smarrissero la via. La serva si aggrappava al braccio della principessa, sebbene fosse la serva a dover fare da guida. “Cosa è stato?” chiedeva a ogni frullare d’ali, mentre la luce livida dell’alba tagliava il fogliame. E la principessa dimostrava noia e desiderava affrettarsi verso il luogo in cui il delitto umano era stato compiuto. Nostra Signora dei Sospiri era in grado di ricordare perfettamente l’odore della carne bruciata, le grida, il fumo acre. Era sempre lo stesso, ogni volta che accadeva. Ed era già accaduto molte, moltissime volte. La principessa aveva calciato con la punta delle pantofole un mucchietto di foglie secche. “Qui sembra autunno. Ma non c’è altro.” E Nostra Signora dei Sospiri aveva fatto correre il suo alito gelido sulla sua schiena, un artiglio invisibile che percorreva la sua spina dorsale, un sussurro a sibilarle nelle orecchie che cercavano risposte. “Torna a dormire, bambolina. Non è questa la strada che ti porterà a me. Cerca nelle viscere della strega, principessa, dove i morti incontrano i vivi. Oppure smarrisciti per sempre.”

Kate Hassler aveva condotto Lise nel luogo in cui Elena Markos era stata uccisa due giorni dopo. Si erano alzate all’alba ed erano sgattaiolate fuori prima che gli altri si svegliassero.
Lise era rimasta delusa dalla visita a quel luogo di morte. Nessuna vibrazione, nessun segno che lì vi fosse avvenuto un terribile episodio di giustizia sommaria. Solo una piccola radura, più secca rispetto al resto del bosco.
“L’hanno presa poco prima dell’alba e l’hanno trascinata qui. Si dice che Elena abbia invocato Satana più volte e che lui abbia risposto condannando a una morte atroce i suoi boia.
Satana. Elena Markos non avrebbe mai invocato Satana. Si sarebbe rivolta a lei
Quella mattina Lise aveva capito che non poteva affidarsi alle chiacchiere di chi non sapeva neppure di cosa stesse parlando. Non aveva più toccato l’argomento neppure con Madame Lorena e la signora Tanner, concentrandosi unicamente sulla propria guarigione.
Madame Lorena sembrava provare un gusto sadico nel costringerla a ripeterle la meccanica dell’incidente. Un’altra volta ancora e Lise si sarebbe avventata sulla sua faccia.
“Gliel’ho detto. Klimentiy mi ha presa amale. Mi sono sbilanciata a causa sua. Ho mancato l’appoggio e la caviglia a ceduto.”
Klimentiy. Si era difeso, naturalmente. Aveva tentato di far ricadere la colpa su di lei. Cosa poteva aspettarsi da uno che aveva imparato a ballare da quel bestemmiatore anarchico di Djagilev?
Sarebbe dovuto finire nella tomba con lui, a marcire con tutta la sua compagnia. Invece…
Invece Klimentiy sarebbe stato il Principe Schiaccianoci nel nuovo allestimento, mentre lei stava ancora cercando un modo per tornare a ballare. Quella era la sua ultima possibilità. Ma non riusciva a superarre quell’assurdo blocco. E la faccia mortificata di Lucas non l’aiutava.
“Lui non è in grado” aveva detto Lise camminando su e giù per la grande sala dalle pareti gialle mentre la propria figura la imitava dallo specchio sulla parete di fondo. “È un dilettante. Non posso dargli fiducia.” Sapeva di ferirlo, ma aveva bisogno di prendersela con qualcuno.
Mathias aveva strimpellato qualche nota al piano. “Nessuno è all’altezza a sentire te, principessa.”
Lise lo aveva fulminato con li occhi. “Cosa vorresti dire?”
“Che sei perfettamente guarita. Ma il problema è nella tua testa. Non ti fideresti neppure di Nijinskij.”
“Mi. Fa. Male” aveva scandito Lise. “E lui è solo un ragazzino.”
Madame Lorena l’aveva studiata per dei secondi eterni. Anche quel giorno indossava uno dei suoi abiti scuri che la avvolgevano completamente come un sudario macabro. Ma sotto la lunga gonna blu aveva delle scarpette da punta.
“Suona per me, Mathias” aveva ordinato, poi aveva fatto cenno a Lucas di avvicinarsi.
La presa del ragazzo sulla vita sottile della direttrice era sicura, mentre lei si trasformava in una oscura farfalla sulle note del Valzer Triste di Sibelius.
Mi fai venire voglia di tagliarmi le vene, Mathias… aveva pensato Lise, eppure la malinconia che quel passo a due improvvisato le trasmetteva era quasi piacevole.
Per nulla impedita dalla gonna pesante, Madame Lorena si affidava a quel ragazzo con un abbandono che Lise aveva dimenticato da tempo. E lui non stava sbagliando nulla.
Quando l’ultima nota si era spenta, Lise aveva applaudito. “Perfetto. Ma io non ci riesco.”
Madame Lorena le si era avvicinata. “Che cosa si aspettava, signorina Blanc, venendo qui? Cosa pensava che potessimo fare per lei?”
“Non lo so. Forse una maledetta stregoneria!” aveva gridato e gli altri tre l’avevano fissata come se fosse pazza. “Scusatemi. Sono nervosa. Credo che andrò in città per distrarmi un po’. Da domani farò sul serio, lo prometto.”
Poi era uscita dalla sala e si era diretta verso lo spogliatoio. Ma aveva fatto solo pochi passi quando aveva udito qualcuno sussurrare nel suo orecchio “Principessa…”
Si era volata di scatto, pur sapendo che con lei non c’era nessuno. Un rivolo di sudore gelido le era scivolato lungo la schiena. Era completamente sola nel lungo corridoio dalle pareti rosse che ora le sembrava minaccioso e senza fine.
“Elena…?” aveva chiesto terrorizzata all’idea di ricevere una risposta. Ma non era accaduto nulla. Lise aveva percorso correndo i pochi metri che la separavano dalla sicurezza rappresentata dallo spogliatoio, aveva ripreso fiato e si era concessa una risata.
Suggestione… si era detta, e quando avevano bussato aveva ormai ritrovato il controllo.
La testolina bionda di Elizabeth era apparsa dall’uscio dischiuso. “Ti disturbo? Madame Lorena chiede se puoi portarmi con te in città. Non ti darò fastidio. Devo solo comprare dei libri di algebra.”
Fantastico. Da etoile a balia.
Ma Lise sapeva di non poter dire di no, anche se avrebbe preferito starsene per conto suo. E in fondo Elizabeth era una bambina fin troppo tranquilla.

Elizabeth aveva scampanellato fino a quando Lise era sta costretta a dirle di smetterla perché le faceva saltare i nervi. La ragazzina aveva obbedito senza protestare ma aveva aumentato il ritmo delle pedalate superandola e lanciandole l’ennesima occhiata feroce nel farlo.
Solo una volta passate le mura si erano parlate di nuovo.
Non avrebbe dovuto essere così brusca con la povera Elizabeth. Dopotutto era l’unica persona, all’interno dell’Accademia, a non essere convinta di sapere esattamente cosa fosse meglio per lei e a crederla una povera pazza perfettamente in salute.
“Dopo aver preso i tuoi libri ti comprerò un gelato. Ne hai voglia?” le aveva chiesto legando le biciclette ad un lampione.
Elizabeth le aveva concesso solo una smorfia. Dannata ragazzina. Possibile che fosse totalmente incapace di sorridere?
“Prima i libri” le aveva risposto.
Ovvio.
Sembrava quasi lei l’adulta, mentre Lise la seguiva nella grande libreria dall’altro lato del marciapiede. Era stato all’interno del negozio, mentre Elizabeth si occupava dei suoi acquisti, che Lise aveva cominciato a sentirsi osservata. Non avrebbe saputo definire con chiarezza la sensazione, ma sapeva di avere degli occhi ignoti su di lei. Quella sgradevole impressione non si era interrotta neppure all’esterno. Ma nessuna delle persone che aveva intorno sembrava badare a lei.
Mentre Elizabeth affondava svogliatamente il cucchiaino in una magnifica coppa di gelato, Lise non riusciva davvero a rilassarsi. C’era qualcosa di strano, anche se non riusciva a metterlo a fuoco. Poi aveva capito. Foglie gialle. Come nella radura in cui Elena Markos era stata uccisa. Chiazzavano gli alberi, i cespugli, ogni punto di verde che i suoi occhi riuscivano a vedere. Eppure, anche se non poteva esserne certa, aveva l’impressione che non fosse così quando erano arrivate in città. Solo la foresta che dominava le colline circostanti continuava a risplendere del suo verde cupo e compatto.
Assurdo.
E ancora più assurda era l’idea che le foglie appassissero al suo passaggio, eppure non poteva fare a meno di crederlo.
“Certo che ti spaventi con poco.” Elizabeth la stava fissando come se provasse per lei un misto di pena e disgusto.
“Prego?” le aveva chiesto Lise. Quella mocciosa non poteva sapere a cosa lei stesse pensando.
“Forse è solo un modo per dirti che stai sbagliando strada.”
“Finisci il tuo gelato. E non ti impicciare degli affari miei.”
Doveva considerare Elizabeth il suo Virgilio dantesco? Era troppo anche per lei. Aveva pur sempre una dignità da conservare.
La bambina aveva semplicemente sollevato le spalle. “Come vuoi” le aveva risposto passando all’attacco della ciliegia candita che galleggiava nel cioccolato semidisciolto.

Quando Lise era passata davanti al negozio di orologi la prima volta non aveva notato nulla di particolare. Era un negozio come ce ne erano decine. Tutta Friburgo sembrava di voler soffocare sotto il cinguettio dei cucù.
Sulla strada del ritorno, invece, i suoi occhi erano scivolati sul carillon. Era la cosa più strana che avesse mai visto. Tre figurine femminili in cerchio sotto un cupola di vetro, vestite di nero incatenate per i polsi l’una all’altra, giravano intorno a un minuscolo calderone, e l’intera scena poggiava su un pentacolo scarlatto.
Poteva sembrare a prima vista una rappresentazione delle tre streghe del Macbeth, sebbene le loro fattezze fossero quelle di tre fanciulle, ma qualcosa stonava nell’insieme. Le catene dorate lasciavano segni rossi sulle piccole braccia di porcellana. Ciascuna figura aveva un piede che sembrava voler arretrare oltre il cerchio ma che non riusciva a oltrepassare quella barriera scarlatta. Erano prigioniere.
“Le interessa quel carillon, signorina Blanc? Certo che le interessa.”
Un vecchio se ne stava sulla soglia della bottega e la osservava sorridendo. Aveva un’aria innocua ma Lise era troppo inquieta per avergli sentito pronunciare il proprio nome per abbassare le difese. Istintivamente aveva spinto Elizabeth dietro di sé come a volerla proteggere.
“Lei chi è?”
L’uomo aveva continuato a sorridere sotto i folti baffi bianchi, aggiustandosi sul naso gli occhiali dalla montatura d’oro.
“Semplicemente un orologiaio, signorina Blanc. Mi chiamo Johannes Herkel. Io e lei abbiamo un’amica in comune. Carol Banyon mi ha scritto per avvisarmi del suo arrivo. Ma venga dentro. Non è bene parlare di faccende private in strada. Ho già messo su l’acqua per il tè.”
Lise aveva abbassato gli occhi verso Elizabeth. Si era fatto tardi. Presto il sole sarebbe tramontato. La signora Tanner si sarebbe chiesta che fine avesse fatto fare a sua figlia. Ma le tre piccole streghe continuavano a girare.
“Suvvia, non le porterò via molto tempo. E quella signorinella troverà tante cose divertenti con cui giocare mentre noi parliamo.”
Un amico di Carol. Qualcuno che la stava aspettando. Qualcuno che conosceva la leggenda delle Tre Madri. Non poteva andarsene solo perché una bambina cenasse all’ora prevista. Lise aveva ricambiato il sorriso del vecchio.
“Lei ha un telefono, signor Herkel?”

Lise aveva preso una tazza di tè, ma aveva rifiutato il vassoio con i dolci. Si stava concedendo troppi stravizi e non poteva permettere che lo zucchero insidiasse la linea dei suoi fianchi. Nella stanza accanto Elizabeth sembrava incantata da una ballerina che si muoveva con grazia ipnotica, grazie a uno straordinario meccanismo a molla. Non li avrebbe disturbati per un po’.
“Ti ho tenuta d’occhio per tutto il pomeriggio suppongo che tu te ne sia accorta” le aveva detto il padrone di casa.
Lise aveva annuito. “Così Carol ritiene che io abbia bisogno di un cane da guardia…” L’idea la faceva infuriare.
“Sai come vanno queste cose. C’è sempre una principessa sciocca che ficca il naso fiduciosa nell’antro della strega, e poi, puf!, te la ritrovi addormentata in una foresta di spine.”
Sciocca?
“Carol sa perché sono qui. Le alternative che lei mi ha offerto non erano valide.” Sentiva la rabbia crescere in lei. Cosa pensava di capire, Carol? E quel vecchio non sapeva nulla di lei. Se avesse cominciato a parlarle di magia bianca e magia nera si sarebbe messa a urlare. E Lise era certa che l’avrebbe fatto.
“Alcune strade sembrano agevoli ma si rivelano dei vicoli ciechi, mia claudicante ragazza.”
“Lei è un gran maleducato, lo sa?”
“E tu una streghetta saccente e arrogante. Ma te ne do atto: non abbiamo iniziato con il piede giusto.”
Quello era un dato di fatto. Non era lì per sentire prediche, men che meno da uno sconosciuto.
“Suppongo che la decisione spetti solo a me. Ma per scegliere in modo saggio mi servono informazioni, e non riesco a trovarle. Quel carillon in vetrina…”
“Il pesciolino ha abboccato all’esca.” Il vecchio aveva incrociato le mani sul tavolo con aria sorniona. “Che cosa vuoi sapere, signorina? Ti cucirai le labbra dopo aver ascoltato? Conosci la regola del Silentium, non è così? Ballerina…” L’ultima parola era stata pronunciata con un sarcasmo feroce. Quell’uomo si stava prendendo gioco di lei.
“Ballerina, sì. Fiera di esserlo. Del sudore versato per diventare ciò che sono. Non ho mai barato. Mai. Adesso voglio solo riprendermi ciò che è mio. Cosa c’è di sbagliato?”
“Il modo.”
“Ma per favore…”
Occhi da giudice. Lise era certa che la sua condanna fosse già stata decisa. E non le importava.
“Per ottantadue anni ho vissuto in questa città, signorina. Per ottantadue anni ho tenuto a bada il male di cui è impregnata. Ero qui ben prima che la Madre dei Sospiri decidesse di prendere dimora nella foresta, prima che iniziasse la costruzione della sua tana, prima che le sue adepte cominciassero ad allungare le loro viscide dita su queste strade, queste case, questa gente. Ho guardato Varelli negli occhi come ora sto guardando te. Solo che lui era venuto a chiedermi aiuto.”
“Visti i risultati, dubito che lei sia riuscito a darglielo.” Si era concessa di apparire scettica, di tirare fuori il sarcasmo. Non riusciva a immaginare Emiliano Varelli che chiedeva di essere salvato dalle streghe cattive.
“L’ho sognato, lo sa? Sono quasi certa che il suo spirito stia tentando di comunicare con me.”
Herkel aveva inarcato un sopracciglio. “Spirito? E chi ti dice che sia morto?”
Lise era rimasta con la tazza a mezz’aria. Aveva dato per scontato che la scrittura de “Le Tre Madri” fosse stata l’ultimo atto della sua esistenza.
“<7i>Non so quanto mi costerà rompere ciò che noi alchimisti abbiamo sempre chiamato Silentium. L'esperienza dei nostri confratelli ci ammonisce a non turbare le menti profane con la nostra sapienza. Io, Varelli, architetto in Londra…” aveva citato a memoria.
“Taci!” aveva ruggito Herkel guardandosi intorno con fare circospetto. “Tu devi essere pazza. Hai idea di ciò che si è messo in moto intorno a te? Scommetto che pensi di essere stata molto fortunata a trovare una copia di quel libro, non è vero? Sai cosa sono davvero le memorie di Varelli? Un’esca. Ne esistono solo sei, e loro ne conoscono perfettamente l’ubicazione Sono il mezzo che intendono usare per imprigionare coloro che secondo la profezia sono destinati a porre fine alla loro vita. E di te non resterà niente se la Madre dei Sospiri pensa che tu sia una di loro.”
La verità le era apparsa in tutta la sua semplicità. Herkel si sbagliava di grosso.
“Non è così” aveva mormorato. “Non è così. Io conosco i loro nomi. Varelli me li ha sussurrati in sogno. Io conosco i nomi di coloro che le Madri stanno cercando…”
Il cuore sembrava volerle schizzare fuori dal petto. Quello era potere. Merce di scambio. Quei tre nomi in cambio delle sue perdute ali.
“Se consoci l’identità dei loro futuri carnefici è bene che tu mi dia immediatamente questa informazione. È necessario proteggere queste persone…”
Chi è lo sciocco, ora?
“In realtà l’informazione è troppo preziosa per gettarla via così facilmente” gli aveva risposto con una tranquillità che era solo apparente. “Mi dia i mezzi per decidere, signor Herkel. Mi dica quello che sa sulle Tre Madri.”
Il vecchio si era alzato e aveva iniziato a muoversi per la stanza, fermandosi solo per osservare più da vicino uno dei suoi orologi.
“Se hai letto il libro , sai già quanto è necessario. Ma se preferisci posso procurarti dell’oppio.” Una risata rauca era uscita dalla sua gola. Quanti anni aveva quell’uomo? Da quanto aveva girato la boa del secolo?
“Tre divinità malvagie che si muovono tra gli uomini, in forma umana. Si circondano di servitori che praticano la magia, streghe devote che in cambio dei loro servigi ne ricevono benefici. Capisce quanto questo sia astratto?”
“E incredibile, vero? Tenero giglio bianco, vuoi conoscere la loro storia?” Herkel si era accostato di nuovo al tavolo. “Quando si cerca qualcosa, il rischio più grande è quello di trovarla, non lo sai?”
Questo non la spaventava affatto. Il suo unico terrore era quello di non poter più danzare. Niente altro.
L’uomo aveva sospirato, rassegnandosi al fatto che lei non avrebbe ceduto. “E va bene. Una e trina. La Dea e i suoi tre volti notturni. Parche, Furie, Graie. Le tre teste di Ecate. Questo narrano le leggende su di loro. Da sempre impregnano la notte di lacrime, sospiri e tenebre. Ma questo tu lo sai già. Allora chiudi gli occhi e immagina una casa, su una spiaggia lontana, le acque del Mar Morto che si rovesciano sulla rena, e tre sorelle, evitate come la peste dagli abitanti del luogo, se non quando si rivolgevano a loro perché usassero i loro oscuri poteri per ferire, uccidere, colpire le persone ostili. Un vicino troppo ricco, un amante traditore… Sono certo che anche questo ti è familiare. Furono loro le prime a codificare la Magia Nera. Il primo Grimorio fu scritto di loro pugno. La loro parola si diffuse. Altre streghe vennero alla oro soglia in cerca di conoscenza. Le più potenti divennero le loro serve, le più deboli vennero uccise, il loro sangue versato sui loro altari blasfemi. Fino a quando le tre sorelle giunsero al punto di non ritorno e stipularono un patto con la Triplice. I tre volti della Luna entrano in loro facendosi carne e trasmettendo loro un potere oscuro e senza limiti, e loro divennero immortali e crudeli, più di quanto la mente umana riesca a concepire. Da allora vagano per le strade del mondo, corrompendo anime, operando il male e attendendo il giorno in cui ogni strega uscirà dall’ombra e getterà le città dell’uomo nel terrore e ai loro piedi. E tu, ballerina, stai pensando di venire a patti con loro?”
Lise non aveva risposto, l’enormità del suo progetto all’improvviso sembrava sovrastarla. Se solo ci fosse stata un’alternativa l’avrebbe colta la volo. Ma così non era. E cosa pretendeva Carol da lei? Che si mettesse contro le Tre Madri? Che passasse il resto dei suoi giorni come una sorta di guardiana del faro, come era stato per quel vecchio orologiaio?
E poi accusi me di egoismo, Carol?
“Lei com’è sopravvissuto?” aveva chiesto a Herkel. “Se davvero la Tham Akademy ospita ancora la Mater Suspiriorum, perché lei tollera la sua presenza?”
“Perché la magia bianca non è debole come tu sembri pensare, principessa.”
Una risposta banale. Non sapeva davvero cosa farne.
“Si sta facendo tardi. Adesso devo andare davvero. La bambina non può saltare la cena.”
Il vecchio aveva annuito. “Torna a trovarmi quando vuoi. E rifletti su ciò che ti ho detto. Se resti troppo a lungo fra quelle mura maledette potresti rimetterci la vita.”
Non ci aveva mai pensato lucidamente. Da quando aveva lasciato Parigi si era ripetuta in continuazione che nulla l’avrebbe fermata. Ma non aveva pensato a quelle servitrici che la Madre dei Sospiri non aveva avuto interesse a salvare.
“Come è successo ad Elena Markos… Lei c’era, vero? Lei l’ha conosciuta. Se davvero era potente come dicono, se davvero lei era la testa della Congrega, la Regina Nera, perché la Mater Suspiriorum l’ha abbandonata e ha lasciato che la uccidessero? Non l’aveva forse servita bene?”
L’uomo l’aveva fissata sbalordito, poi era scoppiato a ridere fino a farsi sgorgare le lacrime dagli occhi. “Servita? Servita? Parli seriamente? Credi davvero che Elena Markos servisse la Mater Suspiriorum?”
Lise non si era mai sentita così stupida, e il fatto di non capirne neppure il motivo acuiva il suo disagio. Herkel alla fine aveva ritrovata il controllo e la sua espressione si era fatta più dolce ma anche piena di compatimento.
“Tesoro mio, Elena Markos era la Madre dei Sospiri.”
Lise aveva trattenuto il fiato. Le stava dicendo che la maggiore della sorelle era morta. Bruciata viva come una comune strega. Che alla Tham Akademy non avrebbe trovato altro che il suo spettro inquieto.
“Non è vero. Questo contraddice ciò che lei mi ha appena raccontato. Non può essere vero.”
Herkel stava giocando con lei. Le stava mentendo. Aveva parlato delle tre sorelle al presente. E ora asseriva che la Madre dei Sospiri era Elena Markos, condannata, arsa viva, uccisa.
“La risposta è elementare, giglio bianco. Ora fremi di rabbia e di paura. Ma non hai ancora visto nulla. Loro sono l’Inferno in terra. Puoi opporti o sprofondare. Non esiste una terza scelta. Carol è convinta che tu sia abbastanza forte da contenere il loro potere, impedire che il loro male si diffonda. Credimi, ho scrutato il futuro ed è terribile. Non posso cambiarlo. Sono troppo vecchio, ormai. Ma tu… è il momento di mettere da parte gli interessi personali. Scegli di essere una strega bianca, Lise.”
Quell’uomo sembrava davvero certo. Nessuna terza via. Non poteva sperare di ottenere ciò che era venuta a cercare senza perdere l’anima. L’aveva messo in conto. Ma in quel momento non poteva fare a meno di pensare a sua nonna, alla statuina di ceramica della Vergine sulla mensola e alle sue preghiere. Ora aveva una definizione. Sua nonna era stata una strega bianca. Sua nonna aveva fatto del bene.
Spetta sola me decidere, e non è facile.
Tre nomi erano tutto ciò che possedeva. E non aveva pensato che altre persone potessero andarci di mezzo.
“Credo di avere bisogno di dormirci su.”
Il vecchio aveva annuito. “Non sprecare il tuo tempo. Più resti in quel posto e più ne verrai infettata.”
Probabilmente aveva ragione. Ma ciò che contava era la conferma che la Tham Akademy non era solo uno specchietto per le allodole. E nonostante avesse sperato con tutta se stessa di non essersi illusa, l’idea di varcare di nuovo la soglia della dimora stregata le procurava una sensazione di angoscia imprevista.
La signora Tanner le aveva riservato un’occhiata gelida quando, ben oltre l’orario concordato, le aveva riconsegnato sua figlia.
Il sole era già calato quando erano scese dalle biciclette. Lise aveva temuto più di una volta di smarrirsi tra gli alberi ma Elizabeth aveva fatto strada come se la foresta notturna per lei non avesse segreti. E quando Lise aveva visto sbucare l’Accademia, con le sue mura non più rosse, nell’oscurità, ma quasi violacee, l’ansia che provava era cresciuta ulteriormente.
Non scrivere quei nomi. Custodiscili nella tua mente. Se vogliono conoscerli hanno bisogno che tu viva.
“Vi ho fatto tenere in caldo la cena” le aveva detto la signora Tanner seccata. Spero che si renderà conto che questo imprevisto obbligherà me e mia figlia a trascorrere la notte all’Accademia.”
“È una tragedia?” le aveva chiesto Lise sarcastica. E comunque potevano sempre andarsene non appena Elizabeth avesse finito di mangiare, anche se lei non capiva davvero che bisogno avessero le insegnanti di tornarsene in città tutte le sere.
Focolare domestico? Amanti segreti? O Sabba al chiaro di luna?
Aveva scrutato la signora Tanner dalla testa ai piedi. Non era decisamente una figlia della notte. Gli elementi di cui era in possesso erano confusionari. Secondo Herkel, la Madre dei Sospiri – o lo spettro di Elena Markos – dimorava ancora all’Accademia. Questo lei lo aveva intuito da subito,. Solo che non aveva identificato l’una con l’altra.
Non è vero. Lei è viva. Altrimenti perché dovrebbe temere quei tre nomi?
“Non credo che lei abbia alcun diritto di ironizzare, signorina.”
“Mi scusi.” Ed Elizabeth taceva. D’altra parte non era da lei farsi difendere da una bambina e neppure le interessava .
“Alla mamma non piace restare qui di notte” aveva commentato infine, fulminata dallo sguardo di sua madre.
“Non dire sciocchezze. Finisci di mangiare e fai silenzio.”
Lise aveva spostato gli occhi dall’una all’altra. Interessante. Il timore della signora Tanner spiegava anche la sua reazione spropositata per quel piccolo ritardo.
Paura del buio?
“Nell’assenza di luce non c’è nulla di più di ciò che esiste sotto il sole…” Lise aveva citato a memoria una delle frasi che le ripeteva sua nonna per permetterle di dormire tranquilla. Lei aveva smesso di crederci da molto tempo, ma in quel momento le era sembrata la cosa più appropriata da dire. Davvero la signora Tanner era spaventata dalle ore notturne? Un’informazione interessante in una giornata fruttuosa.
Lise si era alzata dal tavolo della cucina, lasciando la cena a metà.
Hai bisogno di qualcuno che ti conduca per mano lungo questi corridoi?
“Io ho finito. Credo che me ne andrò a dormire. Ci vediamo domattina.”
Quando il sole sarà alto e gli uccellini canteranno soavi…
Lise non aveva affatto paura, aveva scoperto, man mano che le ore passavano e il silenzio si faceva più pesante. Nonostante tutto, nonostante i racconti di Herkel, … vecchio pazzo…, e il volere di Carol Banyon che le era giunto attraverso di lui, Lise nella notte si muoveva a suo agio.
Non aveva ancora deciso cosa fare di se stessa, almeno non coscientemente, anche se era consapevole che il suo incontro con Herkel aveva un peso.
C’erano molte altre domande che voleva fargli. Se Varelli era vivo perché le Tre Madri, … due?... non estorcevano a lui la verità? Forse si nascondeva e neppure loro riuscivano a trovarlo. E perché si era messo in contatto con lei?
Perfino un alchimista che dovrebbe essere morto e sepolto si rifiuta di lasciarmi stare.
Forse avrebbe dovuto ringraziarlo per il potere che ora stringeva fra le dita.
C’era un battaglia silenziosa in corso, fra le pieghe occulte del mondo la cui sorte era in mano sua.
Tre nomi.
Erano passati mesi dall’ultima volta in cui aveva indossato un vero tutù. Eppure lo aveva infilato in valigia come se dovesse andare ad esibirsi e non solo a tentare di rimettersi in piedi.
Lo specchio le restituiva l’immagine di un cigno pronto a subire la definita condanna. Alle tre di notte Lise aveva lasciato la sua stanza indossando le scarpette da punta. Non c’erano sospiri nei corridoi illuminati da applique rosse e blu. Lei le stava voltando le spalle. O forse si limitava ad osservare.
Tre nomi.
Lise era scesa nella sala blu e aveva acceso le luci. Il chiarore si era fatto lo stesso del pieno giorno. Ancora specchi a farle da monito. Ma il rossetto che stringeva nel pugno era il mezzo che le avrebbe permesso di trattare con chi fino a quel momento si era rifiutata di parlare con lei.
Lise aveva sospirato per farsi coraggio, ma il suo tentativo era andato in fumo quando dal grammofono era fuoriuscita l’ouverture del Macbeth.
Lise aveva trattenuto il fiato mentre una paura feroce e incontrollabile prendeva possesso di lei. Era quella la risposta? Provava l’impulso di scappare eppure non riusciva a muovere un muscolo. Stava battendo i denti per il panico. Doveva ritrovare il controllo, perché quella era una prova.
Va bene, va bene, va bene…
“Insegnami ad ottenere ciò che voglio…” aveva detto sorprendendosi di quanto la sua voce fosse fredda.
Un nome. Gliene sarebbero comunque restati altri due.
Io non torno indietro.
Aveva tolto il cappuccio al rossetto e prima ancora che potesse riflettere su ciò che stava facendo lo specchio sulla parete aveva visto la propria uniformità interrotta da un deciso segno color sangue


Mandy




Le mani le tremavano, le gambe minacciavano di cederle. Eppure adesso si sentiva finalmente carica di un’energia che non provava più da mesi. Avrebbe voluto ballare, lì, in quel momento, davanti a quello specchio sporco. Poteva farcela? Poteva rischiare?
“Quattro piroette…” aveva sussurrato come se fosse una gentile richiesta.
Aveva preso fiato e poi era partita,. Le sue gambe erano andate da sole, come se una forza estranea la sollevasse da terra e la facesse girare. Libera.
Era scoppiata a ridere quando infine si era fermata. Ci voleva davvero così poco?
Ancor due nomi e poi sarebbe tornata quella di un tempo.
“Sono la tua serva, Signora dei Sospiri.”
Si aspettava altro in cambio. Lo pretendeva. Lise aveva fissato la scritta per un tempo che non avrebbe saputo quantificare. Solo quando la musica era cessata all’improvviso aveva trovato la lucidità necessaria per lasciare la sala e tornare nella sua stanza, correndo quasi ad occhi chiusi e senza provare dolore.
Tic toc tic toc tic toc.
Nel cuore della città il vecchio guardiano era chino su un cucù di ciliegio. Il piccolo meccanismo era inceppato. Gli altri invece danzavano felici.
Tic toc tic toc tic toc.
Poi il cinguettio. E un altro. E un altro. E campanelli. Trilli. Suoni. Insieme, come in un concerto sgraziato.
L’uomo aveva saputo subito che il suo momento era venuto. Troppo presto. C’erano ancora alcune cose che doveva fare. Ma non ne avrebbe avuto il tempo. Ora poteva solo sperare che la principessa non si smarrisse. O forse era troppo tardi.
Il rumore gli lacerava i timpani. Suoni che aveva sempre amato ora gli facevano sanguinare le orecchie.
Lei era lì?
No, a colpirlo era qualcuno dal grande potere e dal piccolo corpo. Una bambina. La bambina che aveva incontrato quel pomeriggio in compagnia della principessa. La bambina bionda amava le bambole come le amavano tutte le bambine. E stava giocando con una bambola. Un bambola che rappresentava lui. L’uomo percepiva i suoi movimenti, nonostante fosse lontana, laggiù nella foresta.
Stizzita. A infastidirla erano gli occhi di sua madre che la fissavano. Lei, più giovane, eppure più forte della sua spaventata genitrice, fedele ma intimorita.
Una stretta al petto. Almeno gli avrebbero risparmiato una morte cruenta. O forse, semplicemente, non volevano lasciare tracce.
“Non sei neppure venuta di persona…” Aveva protestato.

Vi prego, fateli tacere…
Nostra signora dei Sospiri non lo riteneva importante. La bambina aveva colpito il fantoccio con uno spillone d’argento. L’uomo aveva sentito il sapore del sangue salirgli in gola.


   
 
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