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Autore: moira78    14/04/2013    4 recensioni
[Maison Ikkoku]
E vissero per sempre felici e contenti... ma sarà stato proprio così? Nella quotidianità della vita familiare ci sono sempre mille problemi da affrontare e Kyoko e Godai non fanno eccezione: per loro convolare a giuste nozze è solo l'inizio di un'avventura costellata da novità, problemi, sorprese e, tanto per cambiare, vicini invadenti!
Genere: Commedia, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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SOMEWHERE OVER THE RAINBOW...


Casa Ikkoku è la nostra casa. Da sempre. Tale rimarrà nel tempo, con i suoi ricordi belli e brutti: è lì che ti ho incontrata, lì che ho scoperto la tua triste vicenda, lì che ho imparato a diventare adulto; a Casa Ikkoku ci siamo innamorati, abbiamo passato la nostra prima notte di nozze, vissuto le nostre ansie di futuri genitori e festeggiato con i nostri strampalati inquilini. Oggi che ci apprestiamo a lasciarla sappiamo che sarà sempre là, a vegliare su di noi come un dio buono, e resterà in eterno nei nostri cuori.


"Somewhere over the rainbow, way up high. And the dreams that you dreamed of once in a lullaby...". La voce si affievolì sull'ultima parola.

Kyoko sorrise vedendo Fuyushi profondamente addormentato fra le sue braccia. Con cautela lo depose nella culla, adagiandone la testolina sul piccolo cuscino. Prese per mano Haruka, che era rimasta giudiziosamente in silenzio, e uscì dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle.

"Mamma, che cancione era quella?", domandò alzando il viso verso di lei e facendo dondolare i codini.

"Si dice canzone. È una vecchia ballata che parla di ciò che si può trovare in cima all'arcobaleno", spiegò inginocchiandosi sul tatami e invitandola a sedere accanto a lei.

"Davvero? E cosa si può trovare?". Gli occhi della bambina erano diventati più grandi, spalancati dalla curiosità: sarebbe diventata davvero intelligente, la sua piccola.

Kyoko ripassò mentalmente il testo della canzone, facendo appello alle sue modeste nozioni di lingua straniera: "Cieli blu... sogni bellissimi, uccellini che volano... la Maison Ikkoku... e le cose tristi della vita diventano succo di limone...".

Accidenti, lo aveva fatto di nuovo: aveva pensato a Casa Ikkoku e si era messa a frignare come una stupida! Ma Haruka non dovette dare molto peso alla cosa perché le tirò la maglia e fece subito un'altra domanda: "Davvero Masson 'Koku è nell'arcobaleno? E allora perché la vediamo dal balcone di casa?".

Non aveva ancora finito di asciugarsi le lacrime traditrici che già le veniva da ridere. "Hai ragione, però è come se avessimo vissuto sempre nell'arcobaleno anche noi, no? E continuassimo ad averlo vicino ogni giorno".

Si alzò tendendole nuovamente la mano e la guidò sul terrazzo, indicandole il tetto che si intravedeva dritto davanti a loro.

"Ma non hai detto che nell'arcobaleno ci sono cose belle? Quando stavamo lì con zia 'Chinose e zia 'Kemi e zio 'Tsuya dicevi sempre che era tutto piccolo e non c'entravamo e camminavamo sulle lattine di billa!". Il ragionamento di Haruka non faceva una piega: in un angolo della mente si appuntò che doveva insegnarle a non troncare i nomi propri, mentre sulla parola birra... beh, più tardi l'avesse imparata meglio era. D'altronde per una bambina di tre anni parlava già fin troppo bene!

"Hai ragione, ma l'arcobaleno era dentro di noi, capisci? In quella casa sono successe tante cose che hanno segnato le nostre vite e ci hanno insegnato a crescere, a essere migliori e felici". Si perse per qualche istante nei ricordi, lasciando che il vento giocasse con i capelli e con le sue emozioni.

Quando abbassò lo sguardo verso Haruka la trovò accigliata: "Mamma, non capisco". Per quanto potesse essere intelligente rimaneva pur sempre una bimba e quei discorsi non li avrebbe certo compresi, per il momento.

"Quando sarai più grande lo capirai anche tu. E ti racconterò meglio come si sono conosciuti la mamma e il papà". La prese in braccio e rincasò, chiudendo la porta finestra.

"Mi racconti della notte della neve?", strillò esaltata.

"Di nuovo? Ma sarà la centesima volta!", rispose fingendo sorpresa. Era la sua storia preferita da sei mesi a quella parte.

"Dai, dai, dai!", insisté agitando le braccine come per indurla a parlare.

Ebbe appena il tempo di aprire bocca che udì il pianto di Fuyushi dietro la porta. "Abbiamo svegliato il fratellino. Ora rimani qui, da brava, vado a cantargli la sua ninna nanna e torno da te, va bene?".

La piccola annuì e Kyoko tornò nella stanzetta. Ogni volta che Haruka le domandava di raccontarle le vicende di quella notte veniva sommersa dai ricordi: belli, brutti, dolceamari. Paura e sollievo, pena e tenerezza.

Yusaku che arriva con gli sci ai piedi, Fuyushi che smette di respirare, la neve che gela il mondo fuori dalle finestre...

"Somewhere over the rainbow skies are blue...".

***


Una goccia di sangue. Due gocce di sangue. Tre gocce...

Dove sono? Kami, per quante volte ho perso i sensi stanotte? Potrei entrare nella storia per...

"Insomma, voglio delle risposte! Mia moglie è in coma e mio figlio non respirava fino a mezz'ora fa!".

Yusaku? FUYUSHI! Dove...? Come...?

Il movimento improvviso le trasmise un dolore localizzato al braccio destro. Voltando la testa, Kyoko notò il sangue racchiuso in una sacca, lo stesso sangue che credeva di aver sognato e che invece aveva davvero visto gocciolare nel dormiveglia. Dal tubicino entrava in lei attraverso l'ago che aveva appena rischiato di strapparsi via.

Quattro gocce di sangue. Cinque...

S'impose la calma: se si fosse agitata e avesse di nuovo perso i sensi non sarebbe mai venuta a capo della situazione e c'era già suo marito, là fuori da qualche parte a perdere la testa.

"Sua moglie non è in coma profondo, ma ha perso molto sangue e...".

"Voglio vederla! E voglio vedere mio figlio!". Per l'appunto...

Con la mano sinistra trovò il pulsante di chiamata e si sorprese della propria debolezza quando dovette semplicemente applicare una leggera pressione delle dita per premerlo. Le urla fuori della porta cessarono improvvisamente: non aveva mai sentito Yusaku così sconvolto e quando entrò lui stesso per precipitarsi accanto al suo letto gli vide in volto almeno dieci anni di più.

"Kyoko! Oh, Kyoko...". Affondò la testa nel cuscino, stringendole la mano libera tra le sue e scoppiò a piangere come un bambino. Non poté fare altro che poggiargli la guancia contro i capelli ancora zuppi di neve nel vano tentativo di consolarlo.

Non seppe con quale forza, né con quale coraggio si apprestò a chiedere di Fuyushi. In realtà non capì nemmeno se avesse solo pensato o espresso a parole la propria domanda.

Un'infermiera, evidentemente arresasi alla disperazione dell'uomo che urlava fino a poco prima, scosse la testa e per un singolo istante Kyoko fu orribilmente certa che il suo bambino fosse morto. "Mi dispiace, ma dalla terapia intensiva neonatale non ci fanno sapere niente".

"E allora vada a chiedere, per favore", disse stancamente, serrando le dita di Yusaku che singhiozzava ancora accanto a lei. Per quanto ancora doveva essere forte al posto degli altri, quella notte?

La giovane donna annuì e dovette leggere una minaccia nei suoi occhi, perché si mise quasi a correre. Rimasta sola con suo marito, prese un respiro profondo e gli intimò di smettere di piangere; per tutta risposta, lui farfugliò qualche frase scomposta di cui riuscì solo a cogliere 'neve' e 'corsa'.

"Scusate, è permesso?". Quello era Mitaka.

Vederlo le fece un effetto strano, come se lui fosse stato la chiave per accedere al carico di emozioni che tentava di trattenere rinchiuso con un lucchetto di ferro. Riuscì a pronunciare il suo nome a metà prima di scoppiare in lacrime a sua volta.

"Oh, no, non piangere anche tu", mormorò avvicinandosi dall'altro lato e cominciando ad asciugarle il viso con un fazzoletto che sapeva di pulito.

Non era pronta alla reazione di Yusaku: con il braccio libero spinse via l'ex allenatore di tennis: "Giù le mani da mia moglie!", esclamò come se fossero tornati indietro nel tempo.

Shun non si scompose e si limitò a ribattere con tono fermo: "Godai, queste scenate di assurda gelosia le fanno ancor meno bene del tuo isterismo. Quindi vedi di darti una calmata!".

Yusaku rimase fermo per qualche secondo, prima che il suo volto indurito dalla collera si scomponesse come quello di un bambino. "Scu... scusami! Sei stato così gentile a portarmi fin qui e io... sono così teso che...!".

Adesso stava abbracciando il suo ex rivale con tanta foga da farlo sbilanciare e lei si trovò per un attimo preoccupata per la propria incolumità: cosa sarebbe successo se le fossero rovinati entrambi sul letto che li divideva staccandole l'ago che aveva nel braccio?

"Oh, calmati Godai, ti capisco benissimo, anche io sono molto preoccupato". Mitaka si era allungato a dargli sonore pacche sulla schiena per placarlo.

Per un istante rimpianse di aver premuto quel bottone e subito dopo si diede della stupida: per quanto quei due potessero essere una specie di tornado, quando stavano insieme, erano pur sempre suo marito e il suo miglior amico!

"Ehm... scusate...", tentò. Mosse appena il braccio con la flebo per indicare loro che si trovava in una posizione scomoda e i due si allontanarono diligentemente.

Rimasero in silenzio per qualche secondo: Mitaka aveva passato a Godai un secondo fazzoletto e lui si stava soffiando il naso rumorosamente continuando a scusarsi. Quando tentò di restituirlo all'amico, quello rifiutò dicendogli di tenerlo pure, grazie.

Yusaku era letteralmente a pezzi, forse anche più di lei: la verità era che non aveva le forze per sfogare tutta la frustrazione e la pena che provava. Sentiva il bisogno di riposare per almeno un milione di anni. Un bisogno così estremo da offuscare quasi la preoccupazione.

Guardò attraverso la porta aperta, nella luce fioca del corridoio e nell'attesa quasi rassegnata che l'infermiera tornasse con le notizie di Fuyushi; credette di avere un'allucinazione quando la vide camminare verso di loro con un fagottino tra le braccia.

È vivo, vero? Kami, fa' che sia vivo. Non me lo porterebbe se non fosse così, vero?

Forse stava impazzendo per arrivare a formulare quei pensieri, ma non poteva fare a meno di vederli lampeggiare nella sua testa come il neon impazzito di un'insegna. Forse sarebbe stata più sana una reazione come quella di Yusaku.

Neanche quando glielo misero fra le braccia dicendole che stava bene, sarebbe bastato un breve periodo nell'incubatrice, o quando lo vide stringere gli occhietti alla luce e muovere i pugni infastidito e si rese conto del colorito roseo che aveva assunto, poté riuscire a crederci.

Fu capace solo di stringerlo a sé più forte che riuscì, debole com'era e impedita dall'ago. Avvertì il peso del braccio di Yusaku che li cingeva entrambi e non capì se i singhiozzi che scuotevano il letto fossero i suoi o i propri.

Da qualche parte nella stanza, la voce non più ferma di Mitaka disse: "Vado a cercare della birra".

***


"Siete pronti? Si va a Casa Ikkoku!". Stringeva il volante come se potesse improvvisamente schizzarle via dalle mani e schiacciò la frizione con tale foga che qualcosa scricchiolò nel suo ginocchio sinistro.

"Mamma, non mi piace quando guidi!", protestò Haruka dal sedile posteriore.

Kyoko lasciò ricadere la mano che aveva afferrato il cambio nella stessa identica maniera in cui avrebbe impugnato una mazza da baseball. Alzò gli occhi nello specchietto retrovisore e vide la sua bambina accuratamente allacciata alla cintura con il broncio e Fuyushi nel suo seggiolino che emetteva piccoli gemiti di gioia agitando le braccine.

"A tuo fratello piace invece!", rise alzando le spalle, "e poi al papà manca ancora un esame per prendere la patente".

"Ma è vicino!", le fece notare la bambina allungando la mano come per indicare.
È vero. Kyoko sorrise fra sé.

"Va bene, visto il bel tempo e la temperatura piacevole si fa una passeggiata", dichiarò spegnendo il motore e facendo il giro per raggiungere i bambini sul retro dell'utilitaria.

Haruka schizzò fuori dalla vettura e cominciò a correre, mentre Fuyushi scoppiò a piangere non appena lo tolse dal seggiolino. "Non scendere dal marciapiede! Aspettaci", intimò alla bambina. Quei due erano davvero come il giorno e la notte.

Percorrere la strada che portava a Maison Ikkoku con la carrozzina e Haruka al fianco era davvero piacevole con la bella stagione; poteva pregustare tutta l'aspettativa di tornare a 'casa' mentre si immergeva nel passato.

"Mamma, come avete trovato la casa grande?". La bambina le tirava la gonna in attesa di una risposta. Quella storia non l'aveva mai raccontata ma sorrise al ricordo. Yusaku, quel giorno, sembrava volerle comunicare chissà quale calamità naturale.

"È stato tuo padre a trovarla. Ed è stato bravissimo", rispose socchiudendo gli occhi nel raggio di sole che la colpì.

***


"Kyoko, ho avuto quella promozione e finalmente ho i soldi per una casa più grande! No, troppo prosaico... Kyoko, il nostro sogno di avere un nido d'amore tutto nostro potrà finalmente diventare realtà! No, troppo stucchevole!".

"Godai, vuoi smetterla di dire idiozie, almeno quando stiamo festeggiando?", strillò Ichinose piantandogli in mano una lattina di birra.

"Non sono idiozie, e ricordatevi che avete promesso di lasciar parlare me!". Il suo timore più grande era che, nella confusione di quella festa, lei o Yotsuya, avendo alzato fin troppo il gomito, potessero lasciarsi sfuggire la notizia. A essere sincero temeva che anche Akemi potesse tradirsi, sebbene allattando non potesse toccare alcool.

"Stai tranquillo, saremo come delle tombe in un cimitero, ahahahahah!", rise sguaiata assestandogli dei colpi così forti alla schiena che per poco non si strozzò.

"Che brutto esempio da fare", borbottò Kentaro da un angolo della stanza. Accanto a lui, suo padre sedeva compostamente e non aveva quasi toccato birra: ora capiva da chi aveva preso il ragazzo.

Si stupiva che potessero essere riusciti ad entrare tutti nel corridoio, appositamente sistemato per contenere tanta confusione. Addirittura Mitaka con sua moglie e i bambini sembravano a loro agio, pur essendo abituati a ben altri spazi: le gemelline correvano intorno al fratellino più piccolo, che sedeva in grembo ad Asuna succhiandosi il pollice, e l'ex allenatore di tennis mostrava uno dei suoi sorrisi a prova di occhiali da sole.

Akemi aveva la mano sinistra impegnata a cullare il primogenito spingendo ritmicamente la carrozzina avanti e indietro, e la destra che si allungava per rubare la lattina di birra che Hideo tentava di tenere lontana dalla sua portata. "Solo un goccetto!", protestava.

Yotsuya era impegnato a far roteare, come un giocoliere, le bustine del suo ultimo carico di sale, nascondendole gelosamente quando Haruka gli si avvicinava per prendergliele.

Kyoko tornò con Fuyushi fra le braccia e lo depose nella culla che era al centro della stanza. Partì un composto applauso e subito dopo il brindisi: "Al nuovo arrivato!". Le lattine di birra e i bicchieri di sakè cozzarono tra loro con gran frastuono e per qualche minuto anche lui si lasciò andare al clima festoso.

Quando le risate e gli auguri smorzarono un po' il loro brusio e Kyoko gli sedette a fianco, Yusaku avvertì il cuore accelerargli nel petto: era il momento giusto.

"Kyoko, senti...", bisbigliò stringendo con i pugni la stoffa dei pantaloni.

"Cosa?! Hai detto qualcosa Yusaku?!", gridò lei. Evidentemente c'era ancora troppo frastuono, oppure lui aveva parlato fin troppo piano.

"Ho detto: senti, io...", alzò un po' la voce ma evidentemente non servì a molto.

"Comeeee?", Kyoko si sporse mettendosi una mano a conca dietro l'orecchio.

"DEVO. DIRTI. UNA COSA!". Lo sillabò in modo talmente stentoreo che ogni altro rumore cessò, persino i passi concitati dei bambini che giocavano fino a qualche istante prima e il piagnucolio di Sukuinushi.

Non si voltò verso gli altri ma si sentì addosso gli occhi di tutti come un respiro sulla pelle. Anche sua moglie lo fissava con sguardo perplesso.

Gli sorrise, e disse col suo tono più dolce: "Dimmi, Yusaku, sono tutta orecchi".

Non ce la faccio, dovrebbe essere una bella notizia ma temo che invece la rattristerà.

"Ecco, io...", si inclinò verso di lei e qualcosa gli tintinnò nella tasca. Mise la mano dentro e strinse le chiavi senza tirarle fuori. "Vieni con me!". Senza darle il tempo di ribattere, la afferrò per il polso e la portò fuori.

***


Quando finalmente Yusaku ebbe la buona creanza di fermarsi, Kyoko aveva esaurito il fiato e le domande. Si chinò appoggiandosi sulle ginocchia con le mani e cominciò ad ansimare, senza più forze: per quanto avevano corso?

Quando alzò gli occhi per vedere dove l'avesse portata quello scellerato di suo marito lo vide armeggiare con un mazzo di chiavi e aprire un portone.

Un condominio? Già, questa è la zona nuova che hanno costruito da poco. Ma cosa ci facciamo qui?

Per quanto si sforzasse di parlare non le riusciva proprio, aveva la gola secca ed era carente di ossigeno. "Se volevi farmi rimettere in forma... dopo l'ultima gravidanza... ci sei riuscito... ma ora...", fu tutto quello che riuscì ad articolare.

"Mi dispiace, non volevo farti correre così ma era l'unica maniera. Vieni". Prese la mano che le tendeva e si sorprese di quanto fiato avesse ancora Yusaku: evidentemente lavorare con i bambini era un allenamento cardiovascolare che a lei, impegnata ad allattare e a cambiare pannolini, mancava; persino quando cucinava o doveva occuparsi di Haruka riusciva a mettersi seduta, talvolta. A Casa Ikkoku passava saltuariamente un tuttofare per i guasti e i lavori più pesanti e a lei non rimaneva che spazzare il vialetto. Cosa che dalla fine dell'ultima gravidanza non aveva neanche più fatto.

"Come fai ad avere le chiavi di questo posto?", domandò seguendolo con circospezione fino all'ascensore. Si stupì quando Yusaku premette il bottone per andare all'ultimo piano.

"È una sorpresa", le rispose facendole l'occhiolino.

Kyoko allargò le braccia e approfittò degli istanti in cui la cabina salì per riportare il respiro a un ritmo più normale. Giunti sul pianerottolo, suo marito infilò una delle chiavi nella toppa della porta sulla destra e lei si ritrovò improvvisamente con la testa leggera e le pulsazioni accelerate.

"Che significa?", gli chiese temendo la risposta e desiderandola allo stesso tempo.

Non può essere...

Fu allora che Yusaku ridivenne serio, quasi costernato; la fissò per qualche istante, poi le fece cenno di entrare. "Il padrone di casa... mi ha lasciato le chiavi solo per oggi. Volevo che la vedessi prima di prendere qualsiasi decisione ma volevo anche farti una sorpresa, per questo non ti ho detto niente". Sembrava un condannato che attendesse da lei la grazia o la dannazione eterna.

Kyoko camminò lungo il corridoio quasi col timore che, se avesse calpestato il pavimento troppo forte, tutto quello che aveva intorno potesse svanire come d'incanto. Udiva a malapena la voce incerta di Yusaku che le indicava il bagno, grande abbastanza per poter contenere un fasciatoio per Fuyushi; la cucina, funzionale e luminosa che era tutt'uno con la sala da pranzo nella quale sarebbero potuti entrare anche un comodo divano e un televisore; tremò alla vista di una camera da letto che sarebbe diventata la loro e di una seconda stanza poco distante che poteva essere suddivisa da un muro per i loro figli, quando fossero cresciuti.

"Ma non ti ho fatto ancora vedere la cosa più importante", aggiunse prendendola per mano e conducendola al terrazzino chiuso da una porta finestra. Era di dimensioni discrete, poteva ospitare anche una piccola cuccia per Soichiro.

La prima cosa di cui si rese conto fu che erano davvero in alto e poteva vedere gran parte del quartiere ai suoi piedi. I suoi occhi però, cercarono un tetto in particolare.

"Casa Ikkoku", lo aveva detto a una voce con Yusaku, che stava ancora indicando.

"Sapevo che non ci sarebbe stato bisogno di indicartela". Scorse l'ombra di un sorriso sul suo volto e lottò invano contro il nodo che le serrava la gola sempre più strettamente.

"Io... io...", non riuscì a parlare, ma le sue lacrime dovettero allarmare suo marito che si affrettò a spiegarsi.

"Senti, volevo solo che la vedessi, lo giuro! Ho avuto la promozione e la banca mi ha concesso un piccolo prestito per l'anticipo; posso permettermi il mutuo col mio nuovo incarico da direttore e siccome stavamo così stretti a Maison Ikkoku... non ne abbiamo mai parlato, ma era evidente che non potevamo crescere i bambini là. Ma se non ti piace o vuoi rimanere dove siamo, io... io lo accetterò. Potremmo fare dei lavori per allargare le stanze e...".

Non volle ascoltare oltre. Come al solito, quando lei non si esprimeva, Yusaku cominciava a straparlare. Gli si gettò tra le braccia come in uno di quei romanzi rosa che ormai non leggeva da anni e disse: "La adoro, è perfetta. Casa Ikkoku è così vicina che sembra di poterla toccare e ci si arriva con una corsa. Non potevi trovare un luogo migliore".

Sentì i muscoli del torace di suo marito rilassarsi e le sue braccia cingerla. Una leggera brezza le scompigliò i capelli e si domandò come sarebbe stato fare colazione tutti insieme su quel terrazzino, la mattina: il futuro non le era mai parso tanto luminoso.

***


"Coraggio nipote, bevi un altro goccetto della mia acquavite di prugne!". Sua nonna gli stava versando altro liquore a tradimento.

"Non posso bere così tanto, domani devo andare al lavoro!", si lagnò tentando di sottrarre il bicchiere alla sua mano implacabile. Gli sembrava di essere tornato a qualche mese prima, quando avevano dato una festa a Maison Ikkoku. Con l'unica differenza che Mitaka e famiglia avevano ricevuto un invito isolato che avrebbe permesso una tranquillità maggiore ai loro tre bambini.

"Su, sii uomo. Domani avrai già recuperato, ah ah!".

Non c'era niente da fare: col passare degli anni quell'adorabile vecchietta non sarebbe diventata una mite signora anziana dedita al lavoro a maglia. Sospettava che la sua longevità derivasse proprio dal suo modo di fare simile a quello di una ragazzina che esce ogni notte per fare baldoria.

Si guardò intorno, rassegnato a una serata di bagordi: Ichinose e Yotsuya ballavano intorno al tavolo, più ubriachi del solito, e Akemi teneva il ritmo battendo le mani. La loro nuova casa era un caos di urla, bambini e alcool: gli girava la testa ma era felice.

"Yusaku, in frigo c'è del succo di frutta: ne prenderesti un po' per me e Akemi, per favore?".

"Ma certo, tesoro". Era felice di fare qualcosa per Kyoko: quella sera aveva superato se stessa cucinando per tutti e mettendo le candele a tavola.

Fece appena in tempo ad alzarsi che sua nonna gli afferrò la maglietta facendolo voltare di scatto.

"Lascia stare il succo di frutta, fa' bere loro la mia acquavite di prugne e vedrai che latte buono avranno per i bambini!". Spalancò gli occhi: cosa andava farneticando adesso? Era ubriaca anche lei, non c'era altra spiegazione!

"Ma certo, lo dico sempre anche io che un bicchiere ogni tanto fa bene al mio latte!", ribatté prontamente Akemi mostrando il seno col quale stava allattando Sukuinushi. Spalancò gli occhi con la tentazione di dirle che era una svergognata, ma ci pensò suo marito a ricoprirla in fretta e furia, assumendo lo stesso colore delle prugne in questione; il neonato, dal canto suo, riprese a poppare come se nulla fosse.

"Ah ah ah! Dai Hideo, dai da bere a tua moglie, così ci divertiamo meglio!", lo incitò Ichinose salendo in piedi su una sedia per farsi sentire meglio.

"Scendi subito giù!", le intimò resistendo all'impulso di lanciarle la bottiglia di succo di frutta che aveva in mano: stava ancora pagando le rate del finanziamento dei mobili e aveva appena acquistato una piccola utilitaria di seconda mano. Non gli servivano altre spese per una riparazione.

Porse il succo a Kyoko, che gli sorrise e cominciò a sorbirlo lentamente mentre cullava Fuyushi: invidiava la capacità di suo figlio di stare così tranquillo in mezzo a tanto baccano. Alzò lo sguardo su sua nonna con l'intenzione di riprendere il discorso sull'alcool e il latte materno, quando parlò cogliendolo alla sprovvista: "Sono fiera di te, nipote".

"Cosa?", riuscì solo a domandare prima di vedere con la coda dell'occhio qualcosa che lo gelò.

"Ferma Haruka, non bere!". Si gettò a corpo morto ai piedi di sua figlia come se volesse placcarla, invece riuscì solo a finire lungo disteso per terra sbattendo la testa sulla gamba del tavolo. Non poteva credere che quel decerebrato di Yotsuya stesse porgendo alla sua figlioletta di tre anni una dannata lattina di birra! Erano tutti impazziti quella sera?!

"Godai, non c'è bisogno che tu faccia queste scene. La lattina è vuota", disse l'uomo accucciandosi accanto a lui e indicandogli Haruka che giocherellava prendendola a calci.

Gli rotolò direttamente sulla fronte. "Beh, potrebbe tagliarsi", dichiarò prendendola e gettandola via.

"Uahhhh, voglio la mia lattina!", pianse la bimba.

"È pericoloso giocare con queste cose, perché invece non usi la tua nuova palla?", tentò di calmarla mettendole una mano sulla testa con fare conciliante.

"Ma quella non fa rumore!", si lagnò lei.

Bene, ora sua figlia voleva anche una palla che facesse rumore, grazie a Yotsuya! Beh, poco male: le promise di comprargliela il giorno successivo anche se non aveva la minima idea di cosa sarebbe riuscito a trovare. Sempre meglio di una lattina vuota, comunque.

Finalmente riuscì a rilassarsi un poco, per quanto i canti sguaiati e gli strepiti di Haruka lo permettessero: era una confusione viva, la perfetta realizzazione di un sogno divenuto realtà. Rifletteva il futuro che aveva anelato accanto a Kyoko. I loro ex vicini di casa sarebbero andati via e sarebbero rimasti di nuovo soli, nella loro intimità familiare. Osava dire che era tutto perfetto.

A proposito...

"Nonna, che dicevi prima?", le chiese versandole altra acquavite.

"Sei sordo?! Dicevo che sono fiera di te. Fino a qualche anno fa eri solo uno studentello sprovveduto e senza spirito di iniziativa e ora non solo hai un lavoro stabile ma anche una bella famiglia". Accennò a Kyoko con la testa, spostando lo sguardo sui suoi due figli. Il suo tono, inizialmente burbero ma poi pacato e serio, lo commosse a tal punto che sentì un nodo in gola.

"Oh, nonna...".

"A quando il terzo figlio, dunque?", gli chiese subito dopo alzando parecchio la voce: perché i complimenti li aveva appena sussurrati e quella domanda l'aveva praticamente urlata a tutti?

Si voltò a guardare sua moglie che appariva alquanto perplessa da quella richiesta, ma come al solito non si scomponeva e cominciava a balbettare un qualche tipo di risposta. Improvvisamente calò il silenzio nella stanza.

"Giusto, Kyoko, dicci quando pensi di mettere in cantiere il terzogenito della famiglia Godai!", esclamò Ichinose alzando il bicchiere come per brindare a un evento che ancora non si era compiuto.

"Sono molto interessato anch'io". Yotsuya stava girando la richiesta direttamente a lui e per poco non lo spaventò quando vide la sua faccia interrogativa a pochi centimetri dalla propria, le sopracciglia arcuate in un'espressione curiosa.

"Senti, nonna, perché invece non ripeti quello che mi hai detto poco fa?", tentò frustrato.

"Io non ripeto certe cose", sentenziò la vecchietta riprendendo a sorseggiare rumorosamente.

"Oh, andiamo, ha partorito da così poco tempo, che fretta c'è?". L'uscita di Akemi lo sorprese non poco: forse aveva detto l'unica cosa saggia della sua vita. O molto più semplicemente capiva bene come si potesse sentire sua moglie a pochi mesi dal parto.

"Infatti, non c'è fretta... non è vero Yusaku?", Kyoko cercò la sua approvazione con quella che intuì fosse una punta di disperazione. Avevano parlato di avere una famiglia numerosa, ma non a distanza così ravvicinata!

"Certo, sono d'accordo. C'è bisogno di tempo perché Haruka e Fuyushi crescano un po' e... anche tu ti riprenda dall'ultimo parto". Stava per dire 'e io metta da parte un altro po' di soldi' ma si trattenne appena in tempo. Nonostante la promozione, aveva esaurito tutti i suoi risparmi e Kyoko non aveva ancora ripreso il suo lavoro da amministratrice: avrebbero potuto contare solo sulle sue entrate, per un po'.

"Beh, se anche dovessi morire domani ho visto i miei due primi pronipoti e sono già felice così!", disse sua nonna versandosi altra acquavite di prugne.

"Oh, non dica così", "Non dire sciocchezze, nonna!". Lui e Kyoko avevano risposto a una sola voce.

"Signora Yukari, credo proprio che invece lei ci seppellirà tutti!", dichiarò Ichinose trascinandosi i consensi di tutti gli altri. Pochi istanti dopo, sia Fuyushi che Sukuinushi fecero un piccolo ruttino, il che indicò ai presenti l'avvenuta digestione dell'ultima poppata.

"Ahahahahaha! Visto? Sono d'accordo anche loro!", gridò Akemi alzando il bicchiere di succo di frutta per brindare. Almeno aveva rinunciato all'acquavite...

"Allora festeggiamo alla longevità della signora Yukari e alla prossima nidiata dei Godai!", sentenziò Yotsuya stappando una bottiglia di saké.

Yusaku avrebbe voluto dirgli che non potevano mischiare acquavite, saké e birra nella stessa sera, rischiavano di stare male... poi si ricordò con chi aveva a che fare e si rassegnò all'evidenza: ora che Akemi doveva sospendere momentaneamente il consumo di alcool sembrava che lui e Ichinose bevessero anche in sua vece!

L'ennesimo brindisi fece tintinnare bicchieri di saké e succo di frutta e anche Haruka ricominciò a saltellare felice. Dall'angolo dove sedeva sua nonna, gli giunse la sua voce dire in tono convinto: "Già, penso anch'io che tre anni siano un tempo ottimale da aspettare tra un figlio e l'altro".

A dirla tutta, lo pensava anche lui.

***


Epilogo

La luce della luna che entrava dalla porta finestra era talmente incantevole che non serviva nemmeno accendere l'interruttore. Era filtrata attraverso la porta della camera dei bambini quando era andata a controllare che dormissero: Haruka aveva di nuovo gettato via le coperte e Kyoko dovette salire di un piolo la scaletta del letto a castello per coprirla nuovamente; Fuyushi invece era rimasto nella stessa identica posizione in cui l'aveva lasciato un paio d'ore prima. Non voleva rischiare che si svegliasse così evitò di togliergli il ciuccio che, a tre anni suonati, non riusciva ancora a smettere di usare: prima o poi avrebbe dovuto affrontare la questione. Ma non quella sera.

Quella sera aveva bisogno di rimanere sola con Yusaku per poter parlare con calma.

Il raggio di luna continuò a illuminare i suoi passi quando si recò in cucina per gettare via le cartacce e riporre in frigo i resti della cena; la seguì sul terrazzino quando uscì per guardare il tetto della Maison Ikkoku, con una mano sul testone di Soichiro accucciato accanto a lei: erano cambiate così tante cose negli ultimi anni!

Immaginò Ichinose finalmente riunita ai suoi cari nella loro stanza, dopo il pensionamento di suo marito; forse Kentaro avrebbe passato la notte da un amico ma lei non sarebbe stata più sola. Aveva sempre pensato che, nel suo animo festaiolo e nelle sue risate sguaiate, si nascondesse una donna che tentava di scacciare la malinconia e le piaceva figurarsela mentre brindava a suon di birre col suo consorte.

Forse potevano addirittura essersi uniti Yotsuya e Akemi, anche se solo per una notte. Per quanto si sforzasse non riusciva proprio a realizzare l'immagine di quell'uomo così strano e misterioso al fianco di una donna, anche se Yotsuya aveva sempre parlato di un'unione 'di convenienza': non ci si sposava in gran segreto solo perché si era soci in affari e si voleva evitare una concorrenza spietata, no? Sorrise invece al pensiero di Akemi che si disperava perché, al secondo figlio maschio, non poteva credere di dover ricominciare da capo per la terza volta alla ricerca di una femminuccia. Le aveva ben spiegato che un figlio non si sceglie ma lei non voleva sentire ragioni: avrebbe avuto una bambina, a costo di arrivare a quarant'anni per farlo!

Già, cosa non si farebbe per realizzare i propri desideri.

Udì la porta del bagno aprirsi e i passi leggeri di Yusaku avvicinarsi, attutiti dalle pantofole di spugna che utilizzava dopo la doccia. Aveva pensato di chiamare Yagami a fare da baby sitter e uscire a cena con lui ma poi aveva optato per rimanere a casa, nella loro intimità, dove avrebbe potuto esprimersi meglio.

Con una luna così bella dovevamo essere qui, sul terrazzo di casa nostra.

Le braccia di suo marito la cinsero da dietro, ricordandole nettamente il giorno in cui erano entrati in quella casa per la prima volta. Assaporò il profumo di shampoo e bagnoschiuma che emanava, cullandosi nel calore del suo corpo. "Hai asciugato i capelli prima di uscire fuori? L'aria è frizzantina".

"Ma certo, tranquilla", le soffiò sulla cima della testa.

Aveva il brutto vizio di non usare il phon quando la stagione era bella, ma lei non aveva mai condiviso quella sua abitudine. Prese un respiro e mise le mani intrecciate di lui sul proprio ventre, stringendole appena, mentre il cuore le accelerava di un battito.

Lo sentì irrigidirsi lievemente, poiché era probabile che avesse avvertito il cambiamento nel ritmo del suo respiro e la tensione irradiarsi nel suo corpo.

Eppure fu col cuore colmo di gioia che mormorò: "Caro, devo dirti una cosa...".
   
 
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