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Autore: Macaron    15/04/2013    6 recensioni
"...Io rimango ad ascoltare e sul momento non riesco nemmeno a capire perché. Poi realizzo, è la sua voce non quello che sta dicendo. E’ la voce più blu che abbia mai sentito. Anche mentre sbuffa e borbotta frasi infastidite a un cellulare a me sembra di non aver mai ascoltato nessun suono così bello, nemmeno i concerti per violino..."
[...]
“ Suono il violino. Quando non ascolto lo scanner, e non ascolto Chet Baker, suono il violino. E deduco, deduco le vite delle persone dalle frasi che dicono, dal loro modo di scandire le parole.”
“ Mi piacerebbe sentirti suonare una volta. Magari quando avremo preso questo serial killer.”
Avremo. Dice avremo come se fossero una squadra e Sherlock sorride appena.
“ Magari.”

Sherlock, un ragazzo non vedente dalla nascita, ascolta al buio con lo scanner lo scorrere di Londra fuori dalla finestra. John si trova a cercare di far riaprire un caso che nemmeno esiste e un serial killer sente le campane e si reincarna ogni volta che sente la pelle tirare. E poi i tre mondi s'incrociano.
AU e Crossover con Almost Blue di Lucarelli.
Genere: Azione, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jim Moriarty , John Watson , Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: Sherlock e John, e guardando le ultime foto uscite del setlock questa non è affatto una bella notizia,  appartengono a Doyle e al dinamico duo della BBC che ci sta facendo aspettare una vita per la terza stagione, ma che amo sempre. In questo caso la storia è liberamente ispirata ad Almost Blue di Lucarelli, le idiozie invece sono tutta opera mia. Non ci guadagno nulla, anzi se volete per accompagnare la lettura posso offrire una fetta di banana bread con noci macadamia e cioccolato tritato. Il resto è tutto in fondo al capitolo, che mezza pagina di spiegazioni iniziali mi sembrava eccessiva.

 

 

 

 

 

 

 

Almost blue 
Almost doing things we used to do 
There's a girl here and she's almost you 
Almost 
All the things that your eyes once promised 
I see in hers too 

 


Prima di pronunciare la prima a di almost blue c’è un’esitazione. Un respiro, un momento di buio. E poi almost blue con una a così chiusa e modulata da sembrare un’altra vocale, da sembrare quasi una o. Esitazione, respiro, almost blue, due respiri, almost blue. Nella versione di Costello questa esitazione non c’è, penso sia questo il motivo per cui non l’ascolto mai. Almost blue di Costello è una canzone che si lascia sentire, almost blue di Chet Baker è una canzone che si deve ascoltare. La si deve ascoltare per cogliere quello che c’è dietro a quella pausa, a quell’esitazione, a quel respiro. Dietro a quel silenzio c’è un mondo intero, un mondo che non può essere visto semplicemente con gli occhi aperti. E io vivo per quei momenti, per quelli che possono essere visti ad occhi chiusi, quelli che vanno ascoltati. Forse perché ad occhi chiusi ci sono sempre stato ed ho dovuto imparare a vedere in un altro modo. Ed è ridicolo perché la mia mente gli occhi chiusi non li ha per niente, la mia mente è nata per osservare. La mia mente va a tremila all’ora, macina informazioni come se fossero respiri, non rallenta, non si ferma mai. Se fossi nato con gli occhi aperti sarei stato un investigatore piaceva dire a mio fratello, quando ancora gli permettevo di dire qualcosa sulla mia vita. A me non sarebbe nemmeno piaciuto essere un investigatore, da bambino sognavo di essere un pirata. I pirati guidano delle navi con un occhio bendato raccontano le storie, e pensavo che un occhio bendato e due occhi chiusi fossero un po’ la stessa cosa e che forse sarei potuto essere anche io il capitano di una nave. Con gli occhi chiusi. Con gli occhi chiusi.

 La mia mente non accetta questa cecità, semplicemente la bypassa e cerca di ottenere altrove le informazioni. Così ascolto, così mi nutro di dati, d’informazioni per tenere a bada la mia mente e per spezzare il silenzio. Uso uno scanner per ascoltare, lo so usare alla perfezione. Ruoto le manopole e mi allaccio alle frequenze radio, a quelle dei cellulari, ai taxy che passano vicino a Baker Street, alle radio della polizia soprattutto. Le radio della polizia sono quelle che preferisco ascoltare. Mi lascio cadere sul divano, giro svogliatamente le manopole dello scanner e ascolto. Pattuglie, centrali di zona, Scotland Yard. Agenti che strillano ordini, commissari che si perdono nei dettagli, traffico, informazioni. La mia mente le assorbe e quando sembra calmarsi, quando sembra quasi dormire mi permetto di ascoltare solamente i suoni, le voci, i colori. La tua strana radio la chiama la mia padrona di casa che di tecnologia non capisce nulla e aggiunge che dovrei uscire, che dovrei vedere qualche amico invece di rimanere immobile per ore ad ascoltare con la mia strana radio, e io sbuffo, ma solo un pochino. Non mi da davvero fastidio, è una delle poche cose che non mi da davvero fastidio.

Io non ho persone con cui uscire e nemmeno le vorrei. Le persone, gli amici sono noiosi e io non li capisco. E odio non capire le cose. Parlano con termini che non posso capire e poi inciampano nelle parole, nel loro imbarazzo e allora provano a correggere il tiro, provano a parlare di qualcosa che pensano che io possa capire e non ci riescono e la loro bocca si secca, le parole gli muoiono in gola e si crogiolano nel silenzio. Sempre. Fanno tutti così, sono così scontati, così prevedibili con i loro cervellini che sembrano andare a rallentatore. Noiosi. Non li sopporto. Non sopporto la noia.

Non è nemmeno che io non capisca i loro discorsi, è solo che per me le parole hanno significati diversi. I colori per esempio non sono colori, non sono qualcosa di visivo come le persone cercano di farmi intendere, sono dei suoni, sono delle forme, sono delle consistenze. I colori hanno una voce e questo mi permette di riconoscerli, questo mi permette di capire. Questo mi permette di far lavorare la mia mente a tremila all’ora e non impazzire. Ci sono dei colori che evocano delle cose, non delle immagini ma degli oggetti fisici. Il lilla per esempio con tutte quelle l è il colore degli elefanti, dei letti, del latte. E’ il colore della lentezza, della morbidezza. Se il lilla fosse qualcosa da toccare sarebbe un lenzuolo appena stirato disposto con cura sul letto. Non è un colore che conosco, io nel letto non ci dormo mai. Non dormo in generale ma mai sul letto, sul letto mi sento lilla, mi sento immobile. Il giallo è il colore di qualcosa di acuto, di qualcosa che ti schizza tra le mani come un limone, come uno strillo1. Il giallo è il colore dello yogurt quando lo mangi, anche se vorresti qualcos’altro. Ci sono dei colori che sono degli odori. Il rosso è il rumore del camino e l’odore del legno umido quando hai provato ad accendere il fuoco e non ci sei riuscito. La mia padrona di casa direbbe che il rosso è il colore dell’amore, dei sentimenti ma io i sentimenti non riesco a capirli, non riesco a vederli e non ci sono degli odori per i sentimenti, o dei colori. Però se ci fosse un colore per i sentimenti non sarebbe il rosso.

Il verde invece è un colore raschiante, per la sua r. Il verde non è un colore che mi piace. Il verde è il colore dei ramarri, dei rami, il verde è il colore di qualcosa che ti rosica dall’interno. Dal verde non puoi scappare. Una voce con delle sfumature verdi è una voce che mi fa sbuffare ma non solo un pochino e mi fa cambiare la frequenza dello scanner o rimettere Chet Baker sul piatto del giradischi. Chet Baker ha una voce blu. I colori con la b sono dei colori che mi piacciono, sono dei colori belli. Anche il biondo è un bel colore, anche se non come il blu e non serve stare a spiegare il perché, basta il suono della parola. Il blu è il colore dei bassi, della musicalità. Il blu sarebbe il colore del velluto, di qualcosa che è bello toccare e al tempo stesso ti fa venire un po’i brividi. Se avessi un amico, se avessi un amico ma non di quelli che parla la mia padrona di casa con cui uscire ma un amico con cui rimanere sdraiato sul divano ad ascoltare lo scanner e poi magari anche uscire ma solo per risolvere enigmi, se avessi un amico del genere avrebbe una voce blu e i capelli biondi.

O Forse addirittura i capelli blu. E la pelle trasparente di quelle in cui puoi passare dentro la mano.

Un amico con la voce verde non potrebbe essere mio amico, avrei paura che mi potesse strisciare dentro la pelle.

Ma probabilmente nessun amico potrebbe essere mio amico. Forse è già tanto avere Chet Baker. E lo scanner. E Londra di notte, quando non sono l’unico ad occhi chiusi. Quando posso sdraiarmi sul divano e perdermi nelle voci. Magari un giorno potrei anche ritrovarmi. Magari.

 

 

 

 

 

 

 

 

La saletta della New Scotland Yard che hanno dedicato alla loro conferenza è umida. Ovvio a Londra piove sempre e l’umidità è di casa ma qui siamo in quella che dovrebbe essere la sede della polizia e insomma potrebbero anche riuscire ad impedire alla pioggia di passare attraverso i muri, pensa John mentre sale le scale strascicando un poco la gamba. E’ di cattivo umore, John Watson, mentre varca la porta della saletta per le conferenze, “Quella in fondo al corridoio, non quella centrale mi raccomando. Non vorrei che ti trovassi a parlare di omicidi a un gruppo di reclute con la bocca ancora sporca di latte! ” come gli ha ripetuto mille volte Mary, perché piove, Scotland Yard è umida e l’umidità gli fa aumentare il dolore alla spalla, causato da una vecchia ferita e una vecchia pallottola. E’ di cattivo umore perché tempo dieci, quindici minuti dovrà parlare a una sala, piccola ma pur sempre una sala, piena di funzionari di polizia per convincerli ad aprire un’indagine su un presunto serial killer che a quanto pare è in circolazione a Londra da mesi, anzi anni, e che tutti loro hanno stupidamente tralasciato perché non sono stati capaci di vedere i collegamenti. Nemmeno lui li ha visti, ma il suo istinto unito a tutte quelle manfrine psicologiche di cui parla sempre Mary gli dicono che ci sono. Solo che sentirli quei collegamenti è una cosa, farli vedere è un’altra e John non è bravo in quello. Non sa parlare alle persone in pubblico, le persone non gli piacciono in generale. E’ gentile, è una persona gentile, controllata almeno all’apparenza, è uno di quelli che aiuta le signore ad attraversare la strada ma le persone non gli piacciono mai davvero. E sicuramente non gli piace parlare in pubblico rischiando d’inciampare nelle parole e di fare la figura dello scemo. Ma questo caso, questo killer, vale rischiare un po’ di umiliazione, quindi John Watson è di cattivo umore ma non per questo non farà il suo dovere. Anche se in giorni come questo, in cui piove e la spalla gli fa male e non ci sono davvero casi su cui indagare ma persone da convincere, vorrebbe essere ancora un medico militare in servizio in Afghanistan e non quello che è scappato dopo essere stato ferito e ha cambiato radicalmente la sua vita perché se deve avere a che fare con persone morte allora è meglio che non siano persone con cui ha diviso le giornate.

“ John? John sono qui! Sei pronto?” Mary, come al solito. Mary ha la voce dolce e ferma, non da psichiatra criminale, non da strizzacervelli, e se a John piacessero le persone lei gli piacerebbe.

Mary gli sorride e fa finta di non essere tesa mentre lo guarda, fa finta di non vedere la sua zoppia psicosomatica ma solo l’ispettore di polizia dannatamente in gamba che crede che lui sia.

“ Sono pronto. Ho tutte le diapositive nel portatile, tranquilla.”. Gentile, controllato, il genere d’ispettore di polizia che dovrebbe essere. Il genere di ispettore di polizia a cui assegnano questi casi.

“ Allora si va in scena.”

 

 

 

 

 

“ Caso Milverton. Charles, gennaio 2008. Villa a Fulham, 29 anni, commesso part time, viveva da solo con la donna di servizio che però abbandonava l’edificio durante la notte. Caso Trevor, luglio 2008, 27 anni studente fuorisede residente in un appartamento a Soho. Il caso di Tim Canterbury2, marzo 2009, impiegato part time in una banca, 29 anni e un appartamento in condivisione a Marylebone. Irene Adler, maggio 2010, 31 anni, studentessa fuorisede che divideva un appartamento con un’amica vicino a Nothing Hill. Uccisa brutalmente pure lei.” John parla, non s’incespica con le parole e intanto lancia brevi occhiate a Mary che proietta sullo schermo diapositive di scene del crimine. Va tutto bene. Non ha fatto cazzate.

“ Ispettore ma questi casi cosa c’entrano gli uni con gli altri? Non ha senso, sono già tutti archiviati.” Una voce dal pubblico. Sgradevole. John sbuffa ma si sforza di sorridere come fa un ispettore di polizia rassicurante.

“ Sono tutti casi archiviati in cui però il colpevole non è stato scoperto.” In cui non avete scoperto il colpevole, perché a quanto pare in polizia può anche succedere così mentre quando ero nell’esercito e sbagliavo la gente moriva, ma questo John Watson non lo dice. “ E qualcosa in comune ce l’hanno. Primo: le vittime sono tutte studenti o lavoratori part time, nessuno di davvero inserito nel mondo del lavoro londinese. Secondo: non si tratta di semplici omicidi ma di brutali omicidi, le vittime non sono state freddate con un colpo in testa, le vittime sono state massacrate, la loro pelle è stata incisa, è stata martoriata ma mai per fini passionali, mai per motivazioni sessuali. Terzo: le vittime sono sempre nude. “

Dalla sala si alza un mormorio. Qualcuno sembra d’accordo, qualcuno sembra ancora esitare.

John scende rapidamente dal palco e si avvicina a Mary che appoggiata in fondo alla sala vicino al computer è intenta a parlare con un sovraintendente.

“ Io ritengo che ci sia un altro motivo per riaprire queste indagini. Impedire che si verifichi di nuovo tutto questo.”

Respira. Schiaccia rapidamente un tasto sul pc.

Sullo schermo della sala si proiettano le foto dei cadaveri. Corpi martoriati. Donne nude con il busto coperto di lividi. Sangue. E i visi soprattutto. I visi sono irriconoscibili. La pelle è stata asportata, lacerata e quello che è rimasto è una maschera di sangue.

Il mormorio smette.

Mary gli stringe brevemente il polso. “ Mi sa che abbiamo la nostra indagine.” E John vorrebbe sorriderle ma non ce la fa.

 

 

 

 

 

 

Quando non ascolto Londra con lo scanner suono. Non il pianoforte che hanno provato a farmi amare senza risultati nella costosissima scuola per ragazzi non vedenti che mi ha obbligato mio fratello a frequentare, non il pianoforte ma il violino. Penso che il motivo per cui è sempre stato il violino e mai il pianoforte sia la differente fisicità di questi strumenti. Il pianoforte è pesante, il pianoforte devi toccarlo, accarezzarlo, appoggiarci il tuo corpo. Il violino è meno fisico, il violino non devi toccarlo, non necessita di tutto questo contatto. E a me toccare ed essere toccato non è mai piaciuto. E’ un’invasione dello spazio personale che non ha semplicemente senso, che si accompagna a convenevoli, a frasi di circostanza, a voci affettate. Così non è il pianoforte ed è il violino. L’appoggio alla spalla, mi rivolgo alla finestra, non perché debba vedere qualcosa ma perché non voglio che chi entra possa vedere me, suono e cerco di ascoltarmi, cerco.

Mrs. Hudson la mia padrona di casa si unisce spesso a me in quei momenti. Potrei definirla l’unica persona che condivide la mia vita se le permettessi davvero di condividere qualcosa di più di qualche frase, ma non è così. Non sono fatto per queste cose. I sentimenti, le persone. Non sono il mio campo. Lei però è la cosa che si avvicina di più a un rapporto umano ed è per questo che sbuffo un po’ di meno di quanto vorrei quando mi parla, quando entra nell’appartamento con qualche biscotto, due tazze di tè e dopo avermi ascoltato suonare per qualche minuto inizia a parlare. Mrs. Hudson parla moltissimo, ma la sua voce non mi dispiace. Non è una voce blu, le voci blu sono così rare, ma è una voce piacevole, calda, lilla, una voce dolce anche quando mi sgrida. E mi sgrida molto e questa è una cosa che mi piace. Non farcisce le nostre conversazioni, spesso a senso unico, di frasi gentili ed educate ma mi rimprovera. Si arrabbia per come ho lasciato l’appartamento, mi rimprovera di non uscire abbastanza quando almeno un giro ogni tanto potrei andarlo a fare, mi aggiorna sulle telefonate di mio fratello a cui non ho risposto. Mi dice che il mio fragile cuoricino non si spezzerà se mai deciderò di donarlo a qualcuno, e so che lo pensa davvero. Lo pensa così tanto che non ho mai il coraggio di dirle che quel cuore di cui parla io forse nemmeno ce l’ho, quindi figuriamoci condividerlo con qualcuno. E’ la cosa più vicina a una madre che abbia mai avuto. E’ la cosa più distante a un membro della famiglia Holmes che abbia mai avuto vicino.

Quando le sue parole diventano troppe, quando mi toccano, quando arrivano a invadere il mio spazio appoggio il violino sul tavolo, mi sdraio sul divano e accendo lo scanner alzando il volume quel tanto da risultare fastidioso ma non maleducato. E a quel punto è lei che sbuffa, raccoglie le tazze di tè abbandonate per l’appartamento ed esce borbottando qualcosa di simile a “ Non sono la tua governante Sherlock, sono la tua padrona di casa. Dovrai deciderti a lavare qualcosa prima o poi!”. Io so che non è arrabbiata davvero, ma anche se lo fosse so che non cambierebbe niente.

Quando le sue parole diventano troppe, come stasera, mi sdraio sul divano e lascio che lo scanner si agganci a qualche telefonata, a qualche conversazione su skype. Non alle chat, mai. Lo scanner riesce ugualmente a captarle ma ripete i testi digitati in maniera asettica e m’impedisce di sentire le parole, di ascoltare il silenzio e di dedurre. E io ho bisogno di dedurre, ho bisogno di capire per impedire alla mia testa di scoppiare.

 

 

 

“ Ciao mamma! Tutto bene! Ci hanno appena attivato la connessione qui nell’appartamento! Come? Cosa? Mamma devi alzare il volume. Alzare il volume. Altrimenti è ovvio che non mi senti. Te l’ho spiegato dieci volte come si usa skype prima di partire per l’erasmus. Oh cazzo, hai riattaccato.”

Convenevoli familiari. Noiosi. Secondo me la madre sapeva benissimo alzare il volume ma trovava anche lei la figlia troppo noiosa. Cambio frequenza.

 

“ Sì… sì amore…piegati di più verso la webcam…”

Sesso in cam su skype. Probabilmente sarebbe divertente se potessi vederlo. E fossi dotato solo di un neurone. Cambio frequenza.

 

“ Io adoro Glee, ma non avevo mai conosciuto un ragazzo a cui piacesse. Non un gay intendo. No, scusa.” Esitazione, silenzio. “ Non che volessi dire… insomma… che sei gay. Non che sia un problema comunque. No aspetta.” Inciampa nelle parole, esita, espira rumorosamente. “ Puoi fermarti solo alla frase su Glee?”

La voce che capto non sta dicendo nulla di particolare ma c’è una sorta di timidezza che mi colpisce. La voce della donna, donna? Sarebbe meglio dire ragazza probabilmente sui venti- ventidue anni dovrebbe avere più o meno la mia età, è adulta, riconoscibile a suo modo, nessuna inflessione dialettale, scandisce bene le parole e al tempo stesso riesce a incespicarci così facilmente. E’ curioso, non molto comune. Rimango in ascolto, non c’è nulla di più interessante.

“ Tranquilla, Molly. Ho capito cosa intendevi.” La voce dell’altro capo del computer è maschile ma non te ne accorgeresti quasi se non ci prestassi attenzione. E’ una voce giovane, di qualcuno che sta sorridendo, e parla in modo affettato, strascicando un po’ le lettere, eppure è una voce che non dice quasi nulla. Non ci sono emozioni in quella voce, non c’è nulla e al tempo stesso non ho mai sentito un suono così strisciante, così verde. Rimango in ascolto. Vorrei quasi spegnere ma rimango in ascolto.

“ Mi piace che tu non abbia mai incontrato qualcuno come me. “ Sempre la stessa voce di prima. La voce verde.

“ In realtà non ci siamo ancora incontrati… e non so nemmeno se vorresti incontrarmi insomma.” Di nuovo la ragazza. Deglutisce. E’ ansiosa. Emozionata. Probabilmente in questo momento hanno accesa una qualche web cam e si sta toccando continuamente i capelli. E’ timida, non riesce a far combaciare i suoi pensieri con le sue parole.

“ Magari potremmo incontrarci sul serio.” La voce verde non ha esitazioni che non siano voluti. Quando le parole inciampano non inciampano sul serio, è tutto scritto. E’ un copione. Non dovrei stupirmi, ho ascoltato abbastanza telefonate tra amanti da sapere quanto nelle relazioni ci sia di già scritto ma qualcosa in quella voce verde fa quasi paura.

“ Incontrarci? Dici… non è un po’ presto? Cioè è praticamente una delle prime volte che parliamo… non dico che non mi piacerebbe…”

“ Molly, tranquilla.” Sta sorridendo, lo capisco da come si modificano le parole. Sta sorridendo e la sua voce non sta dicendo nulla. “ Non è mica un’offerta compromettente. Ho il video con il dietro le quinte delle ultime puntate di Glee, potremmo vederlo insieme.” Una pausa. Pausa non silenzio. E’ diverso. Non per la maggior parte della gente, per me. Ovviamente. “ A casa tua se preferisci, così ti senti più tranquilla, più a tuo agio.”

“ Non saprei, Rich, non saprei. ” Lei è incerta ma tutto nelle sue parole sorride. La voce sorride. E’ emozionata, sorpresa. Probabilmente è anche arrossita. Probabilmente dovrebbe farmi tenerezza. Non lo fa.

“ E poi devi farmi conoscere il tuo gatto, ricordi?”

Cambio frequenza. Conosco già la risposta.

Un cellulare. Di solito queste non sono le frequenze dei cellulari.

 

“ Mary? Cazzo c’è la segreteria. Com’è che hai due cellulari e non ne senti mai uno? Niente volevo solo avvisarti che mi hanno assegnato due agenti. Quello della scientifica è già tanto se riesce a non inciampare nei suoi stessi piedi. L’altro mi sembra più sveglio, vediamo. Sto andando su una scena del crimine, di nuovo un ragazzo, giovane, di nuovo nudo. Vediamo.”

Sbuffa. Rimane in silenzio. Io rimango ad ascoltare e sul momento non riesco nemmeno a capire perché. Poi realizzo, è la sua voce non quello che sta dicendo. E’ la voce più blu che abbia mai sentito. Anche mentre sbuffa e borbotta frasi infastidite a un cellulare a me sembra di non aver mai ascoltato nessun suono così bello, nemmeno i concerti per violino.

“ Ti mando un sms con l’indirizzo se vuoi raggiungerci. Noi stiamo andando con una volante, quindi con questo tempo è molto probabile che arriveremo quando il cadavere sarà già in decomposizione.” Sbuffa di nuovo, ride, ha una bella risata. Uomo, non fumatore perché le voci dei fumatori si riconoscono subito, sui trent’anni, massimo trentacinque. Ci sono molti silenzi, molte pause nelle sue parole. Sono bellissimi, sono interessanti. Non so ancora cosa dicono ma dicono sicuramente qualcosa.

“ Insomma ci vediamo lì. Speriamo di combinare qualcosa. “ Ride di nuovo e non è felice.

Non ho mai sentito una voce così blu.

“ Ciao.”

Ciao.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Solito pippone ma che stavolta ha senso, giuro: Penso che Almost Blue di Lucarelli rientri tranquillamente nei miei libri preferiti pur non avendo un accidente in comune con quello che generalmente leggo e amo, e fin qui ci sta pure uno “sticazzi” lo so. Però è anche perfetto per Sherlock e John. Quando l’ho riletto recentemente ho trovato delle affinità fortissime tra i personaggi e anche nello sviluppo della storia quindi ho deciso di trasportarli dentro il libro =) Se non avete letto Almost Blue probabilmente tutto risulta più interessante perché della storia sapete meno però mi piace pensare che magari possa essere divertente vedere comunque i collegamenti e che insomma non faccia troppa pena [ fa troppa pena? Argh! Ho doppia ansia da prestazione perché qui c’è in mezzo un altro autore che amo oltre a Doyle].

Per la scelta dei personaggi forse sarebbe stato più ovvio invertirli ma Sherlock in polizia non riesco proprio a vederlo, senza contare che ritengo che John un pochino d’istinto ce l’abbia porello, e mi piaceva da pazzi l’idea di un personaggio così fortemente caratterizzato dalla sua capacità di osservazione che si ritrova privo della vista. E insomma vediamo cosa ne viene fuori. Spero di mantenere più possibile l’IC considerando che vista la storia qualche scivolone potrebbe esserci -_- Cerco di mediare insomma -_- Per gli altri personaggi magari aggiungo qualche nota alla fine di tutta la storia giusto per evitare di raccontare tutto.

L'idea è di scrivere tipo quattro o cinque capitoli, i primi due sono già nati, di cui i primi due sono un pochino più introduttivi per il rapporto e più funzionali per la storia. Io non so scrivere cose più lunghe, aiuto. E cose che non siano un concentrato di pucciosità. Ma ci si prova. Perché Almost Blue è davvero una figata e Lucarelli secondo me la sera si riguarda Uno studio in Rosa mentre scrive. Ci si prova insomma.

 

 

 

1 Non so se devo dire quando m’ispiro al libro visto che ovviamente m’ispiro al libro ma queste citazioni dei colori in parte sono riprese proprio da Lucarelli. In particolare quella sugli strilli. La maggior parte delle immagini però sono opera mia. Facciamo che ho fatto questa premessa e che basta per il capitolo?

2 Ho fatto un mix per i casi prendendo dal Canone e da personaggi interpretati da Martin, come appunto Tim Canterbury di The Office.

  
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