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Autore: nevaeh    15/04/2013    6 recensioni
Sole ha vent'anni, fa il turno di notte come barista in una discoteca per non pesare troppo sui genitori e ha i capelli rosa.
Harry ha litigato con Louis, ha finito le sigarette e si è perso. Odia Milano.
***
Lui non risponde, così la ragazza scuote la testa e alza gli occhi al cielo; “Ti prego, credi che andrò a dirlo a qualcuno? Anzi, credi che qualcuno mi crederebbe mai?” gli fa notare, in un inglese così pessimo che Harry ha quasi voglia di ridere.
Inciampa in una crepa dell’asfalto, invece, e bestemmia tra i denti.
[...] “Hai mai sentito parlare del Larry Stylinson?”
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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N.D.A. Velocemente prima di lasciarvi alla lettura! La storia è già conclusa, conta re - quattro? - capitoli e originariamente era una One Shot.

La dedico completamente a Donatella, che dopo averla letta tutta ha detto solo "credo che sia laa cosa migliore che tu abbia mai scritto." (voglio crederle) e ad Ari, che èè dispersa in territorio nemico e comunque ha acettato di scrivermi una SingleFather!Harry e mi beta la storia. Ah, il contenuto è del tutto verde, ma proprio vedre verde; ho inserito il raiting giallo semplicemente perché Harry dice un sacco - ma proprio un sacco - di parolacce e imprecazioni. Io le odio e mi piace essere avvisata, prima, così lo faccio anche io qui!

Per commenti, critiche, recensioni, chiacchiere e fangirling potete recensire - mica mi dispiace, eh! - o contattarmi qui o qui! ♥

P.S. la canzone all'inizio è Singhiozzo dei Negramaro.


***


Mentre il mondo cade

come cade cado anch'io senza le parole

che vorrei poterti dire..

Sì, vorrei poterti dire dire, dire

che son stanco da morire.

 

Mentre si accende la seconda sigaretta della serata, Harry Styles pensa svogliatamente ai suoi polmoni e a tutte le puttanate che si sentono in TV. Dovrebbe smettere, riflette mentre tira a fondo. Ingoia il fumo fino a farselo arrivare alla gola anche se sa che è sbagliato, e si bea per un secondo della lingua che gli pizzica per la nicotina. Si è perso, si rende conto con uno sbuffo, il fumo che esce un po’ dalla bocca e un po’ dal naso. Non gli è mai piaciuta l’Italia, sin da quando sono atterrati all’aeroporto di Malpensa e pensava sul serio di trovare il sole e il Colosseo e tutte quelle cazzate che fanno vedere nelle guide turistiche. C’era solo nebbia invece, come a Londra. E Londra è esattamente tutto quello da cui vuole scappare, in questo momento.

Harry entra in un pub e compra una birra, cercando di farsi capire da un barista che, ne è convinto, non conosce nemmeno l’italiano, figuriamoci l’inglese. Non vede panchine, tutt’intorno, e alla fine la prospettiva di sedersi sul marciapiede non gli sembra poi tanto malvagia. Prende un sorso di birra, si accende la terza sigaretta e stende le gambe lunghe, le caviglie incrociate distrattamente. Non è mai stato un tipo freddoloso, ma a un tratto si ritrova a stringersi nella felpa con la zip aperta sulla t-shirt bianca; non ha pensato di indossare una sciarpa, ovviamente, e poggia per terra la bottiglia di vetro per tirarsi il cappuccio sui capelli scompigliati. La bottiglia cade con un rumore secco e lo fa voltare di scatto, mentre riesce solo a borbottare un “merda”, che va ad aggiungersi ai numerosi precedenti. Si tira su e pensa che non dovrebbe nemmeno imprecare, ma quando nota il cellulare sporco di liquido giallastro, non può impedirsi un’altra bestemmia. E la birra faceva anche schifo. Fanculo.

Come sia arrivato a questo punto, Harry non lo sa e non se lo chiede nemmeno. Si è perso da solo in una città che non conosce, ha quasi finito le sigarette e dopo la birra non ha nemmeno un euro in tasca. Chissà se accettano le sterline inglesi, alla tabaccheria lì di fronte. Il cellulare, pulito alla bell’e meglio contro i jeans a sigaretta scuri e adesso al sicuro nella tasca della felpa, comincia a vibrare insistentemente. Harry nota un Lou che lo minaccia ad intermittenza attraverso lo schermo e con uno sbuffo rifiuta la chiamata. Mai avrebbe detto, pensa con un sorriso amaro, che non avrebbe avuto voglia di non ascoltare la sua voce, un giorno. E’ diventato così semplice, invece, scappare ogni volta che i quegli occhi azzurri diventano troppo opprimenti. E la colpa non è nemmeno sua, questa volta.

Apre il portafogli e tira un sospiro di sollievo quando nota la carta di credito in bella vista appena sotto la sua carta d’identità; vorrebbe tornare in hotel – ovunque esso sia – e farsi una doccia, magari mangiare qualcosa, ma non è pronto ad affrontare tutto quello che lo aspetta. Non ha voglia di sentire, per la millesima volta, scuse a cui proprio non riesce a credere. In fondo, ha bevuto solo una birra. Un altro locale attira i suoi clienti con una musica così assordante che arriva persino a lui, distante qualche centinaio di metri: la prospettiva di ballare un po’ sembra promettente e quando il cellulare squilla di nuovo Harry nemmeno lo controlla, limitandosi a cacciarlo più in fondo alla tasca e ad avvicinarsi con passo sicuro all’entrata.

 


Ha bevuto un sacco, alla fine. Ha fumato qualcosa di così forte che gli è rimasto sui vestiti e ha riso, ballato e flirtato con un sacco di gente. Alle tre e mezza del mattino, Harry raggiunge il muro all’esterno del night club e ci si poggia con la schiena, prendendo un respiro. E’ accaldato e sudato, non ha mangiato niente e gli fa male lo stomaco, ma continua a sorridere come un idiota, scosso dagli spasimi dell’adrenalina ancora in circolo. La sua vita fa schifo, realizza in un secondo. E dire che non è nemmeno quel tipo di ubriaco da crisi isterica per strada. La sua vita fa schifo, e gli viene voglia di condividerlo con mondo; “La mia vita fa schifo!” urla allora, con un accento che non è di Manchester e nemmeno di Londra, un po’ strascicato a causa di quello che ha bevuto. Un gruppo di ragazzi poco lontano, messi non poi tanto meglio di lui, scoppiano a ridere additandolo, per poi tornare nel locale. Solo una ragazza gli si avvicina, una sigaretta accesa tra le labbra carnose e i capelli chiari –tra cui spuntano delle ciocche rosa – sciolti sulle spalle.

“Ehi amico, tutto bene?” gli chiede con un forte accento italiano. Harry la guarda un secondo, riconoscendola come barista che si muoveva dietro al banco preparando drink e servendo birre ghiacciate. Perde interesse per lei esattamente dopo un secondo.

“Dico sul serio, non hai l’aria di uno che sta bene.” Continua imperterrita la ragazza, soffiando via il fumo della sua Merit. Harry chiude gli occhi, faticando a decifrare le parole che gli vengono dette. No, che non sta bene. Ha appena mollato Louis, il ragazzo che ama e che non aveva assolutamente intenzione di lasciare, si è perso in una schifosissima città italiana e non ha il coraggio di tornare in hotel. Non che si ricordi esattamente dove sia l’hotel in cui alloggia.

“Questa città fa schifo.”  È la prima cosa che dice a voce alta, seguito poi da un semplice “devo vomitare.” Che fa indietreggiare la ragazza di alcuni passi.

“Non farlo qui. Il mio capo potrebbe ucciderti.” Lo avvisa, continuando a fumare. Indossa un paio di calze nere quasi trasparenti, degli shorts – ma proprio shorts – di jeans e una maglia bianca con una stampa sopra. Harry penserebbe che sia carina, non fosse troppo impegnato a trattenere i conati.

“Ce la faccio benissimo da solo. Ringrazialo, comunque.” Trova il coraggio di dire. Non può nemmeno dare di stomaco, si rende conto dopo qualche secondo, dal momento che non ha mangiato nulla dopo il pranzo (sempre che potesse considerare mezzo toast l’equivalente del pranzo).

La ragazza rimane in silenzio, finisce di fumare e schiaccia senza riguardo il filtro della sigaretta contro gli stivaletti neri; si ravviva i capelli con un gesto nervoso, schiocca le labbra: “tornatene a casa.”

“A Londra?” Harry, troppo concentrato sul suo mal di pancia, non la sta quasi ascoltando. Si sente un completo idiota, solo con una ragazzina italiana invadente e con una voglia matta di dare di stomaco. O morire, ma quello non è completamente sicuro sia solo a causa dei drink.

Quella sbuffa, “dove dormi? Posso chiamarti un taxi.” Harry non risponde, scivola seduto contro il muro e l’attrito tira la maglietta fino a mostrare parte delle rondini sul petto, ma non se ne accorge nemmeno; “senti, io devo tornare dentro. Ci vediamo.”

Harry rimane di nuovo solo e sente la sua voce chiamare nuovamente la ragazza, “non posso tornare.” Dice solo, ma a quanto pare basta perché lei torni indietro.

“Non ti ricordi dove stai?”

Harry scuote la testa, i capelli sconvolti si muovono come impazziti. Chi mai si è permesso a definirli “ricci”? “Non posso tornare.”

La ragazza schiocca nuovamente le labbra, incrocia le braccia al petto, come pensando a cosa dirgli. In effetti, non conoscendo bene la lingua, deve avere un po’ di difficoltà; alla fine dice solo “finisco di lavorare tra mezz’ora. Non muoverti di qui.”

“Come se potessi sul serio farlo.” Borbotta in risposta Harry, piegato per il dolore allo stomaco. Lei, però, è già rientrata nel locale. È un coglione, continua a pensare seduto sull’asfalto sporco di quella merda di città, con gli effetti del rhum e delle canne ancora nel sangue. È un coglione, perché quello che doveva andarsene offeso e arrabbiato dalla stanza doveva essere Louis, che invece si era volatilizzato in pochi secondi sulla terrazza, seguito da Zayn. Coglione pure lui, allora.

Il cellulare ricomincia a vibrare nella tasca, come ha continuato a fare a intervalli irregolari per tutto il tempo; stavolta Harry decide di prenderlo per vedere almeno chi sia il mittente della telefonata.

“Niall.” Sputa solo, quando la conversazione si apre. Manco a dirlo, odia anche lui.

“Dove cazzo sei?!”

Harry scoppia a ridere e non sa nemmeno lui per quale motivo. Fa sfogare l’amico, che lo insulta come solo lui riesce a fare, e poi sospira soltanto, chiedendo “lui dov’è?” senza ottenere una risposta.

Anche Niall sospira, adesso, “Hai bevuto? Dove cazzo sei, Harry?”

“Non urlare, Niall. Non mi piacciono le persone che urlano.” Borbotta col suo tono strascicato, la voce ancora più roca.

“Vengo a prenderti, Paul sta dando di matto.”

Harry scuote la testa, come se il suo compagno di band fosse di fronte a lui a guardarlo. “No, no. Sto bene, devo solo…” prova ad alzarsi, ma una nuova scarica di dolore allo stomaco lo costringe a desistere.

“Haz, per favore.”

Harry sorride, cerca con la mano libera il pacchetto delle sigarette dalla tasca e se ne incastra una tra le labbra. Solo dopo il primo tiro ricomincia a parlare: “lui  dov’è?” è la sua unica domanda, ancora.

“Zayn sta cercando di tenerlo fermo in camera, gli ha detto che io sto venendo a prenderti e che non sei in pericolo.” risponde, dopo un po’, l’altro.

Nessuno parla per un po’, alla fine è Niall il primo a cedere: “Per favore, Harry. So che state passando un momento diff…”

“Non” lo interrompe bruscamente l’altro, la sigaretta tra le dita, gesticolando come un forsennato, “non ne hai la minima idea. Io…” fa una pausa, il dolore allo stomaco è sempre troppo forte, magari deve davvero mangiare qualcosa; “ci sentiamo, Niall.” Annuncia alla fine, perché non ha poi tanta voglia di stare al cellulare e perché Niall che si improvvisa terapista dei cuori infranti è proprio l’ultima cosa che intende subire, alle quattro meno un quarto del mattino e con un’emicrania non indifferente. Si tira nuovamente il cappuccio della felpa sui capelli; in Italia i paparazzi non sono oppressivi come quelli inglesi, ma così si sente più sicuro e comunque è ubriaco e non gliene importa più di tanto. Il mal di stomaco, alla fine, se lo merita anche. Per un attimo vuole che Louis soffra tanto quanto sta soffrendo lui in questo momento, ma se ne pente immediatamente. Alla fine decide di continuare a fumare, gli occhi chiusi e il cappuccio a coprirgli parte del volto. È cosi che lo ritrova la barista, quando esce con un cardigan oversize gettato malamente sulle spalle e un’enorme borsa in mano. Lo pungola con la punta dello stivale mentre tira fuori il suo pacchetto semi vuoto di Merit e ne estrae una sigaretta; Harry apre gli occhi infastidito e la mette a fuoco. Aveva anche pensato di filarsela, prima, ma alla fine dove sarebbe potuto andare? Che schifo di città.

“Andiamo.” Dice solo la ragazza, invitandolo così ad alzarsi. Harry ci riprova e si mette in piedi con grande sforzo, anche se non gli gira la testa. Accetta senza commenti la bottiglietta d’acqua che lei gli porge e si pulisce automaticamente i jeans sul sedere.

“Dove?”

Lei si stringe nelle spalle, come se non ci avesse pensato. Dopo fa un altro tiro, prende il cellulare dalla borsa: “ti fa male?” gli chiede invece, indicandogli la pancia. Harry annuisce, ma la segue a passo strascicato quando comincia a camminare lungo il marciapiede praticamente deserto.

“Non c’è una sola fottutissima persona, qui.” Commenta Harry, guardandosi intorno. La ragazza si stringe nelle spalle, continuando a fumare.

“Non siamo in centro.” Gli spiega, prendendolo per un braccio mentre attraversano la strada. Harry ridacchia per quel gesto, ma si astiene dal fare commenti, “come sei arrivato qui?”

“Ho preso la metropolitana.” Si stringe nella spalle il ragazzo, le mani affondate nelle tasche della felpa. Ricomincia a sentire caldo e così la toglie, lei la prende senza troppe cerimonie e la infila nella sua enorme borsa, che potrebbe senza problemi contenerne altre dieci.

“E perché lo hai fatto?”

Harry non risponde, sbatte le ciglia. Perché lo ha fatto? Perché gli faceva troppo male rimanere in quell’hotel, continuare a litigare con l’unica ragione per cui ogni mattina si sveglia e continua con quella farsa del cazzo che il mondo si ostina a chiamare “One Direction”.

Tuttavia si stringe nelle spalle, “avevo bisogno di prendere aria.”

“E non potevi rimartene nella tua Inghilterra, a prendere aria?” è la diretta risposta della ragazza, che si volta verso di lui ammiccando.

“No.”

“Ovviamente. Vieni, ti faccio mangiare qualcosa.”

Mentre raggiungono un piccolo bar che fa il 24 ore in una traversa – se possibile – ancora meno illuminata del resto della strada, la ragazza gli dice di chiamarsi Maria Sole, ma che tutti la chiamano solo con il secondo nome; che è lì a Milano solo da un anno per motivi di studio e che lavora in quel locale per non pesare troppo ai suoi. Harry la ascolta solo per metà, mentre prendono posto a un tavolino all’interno e un uomo con più tatuaggi di lui chiede in italiano se vogliono mangiare.

Harry guarda la ragazza – Sole, che nome buffo – mentre ordina, senza essere davvero interessato. Il cellulare nella tasca dei jeans vibra per l’ennesima volta, lui lo spegne con un colpo deciso.

“Ah,” sorride Sole “allora è per una ragazza.”

Harry alza gli occhi al cielo, perché il dolore allo stomaco, adesso che sono arrivati i due panini col prosciutto e il formaggio, sta diminuendo e riesce già a pensare più lucidamente. Non gli piace questa cosa.

“Possiamo ordinare una birra?”

“Magari no. Allora, vuoi raccontarmi la tua storia?”

Harry scuote la testa, dà un morso al panino – lui odia il prosciutto – e poggia i gomiti sul tavolo; “almeno dell’acqua?”

Sole la ordina, e i due rimangono in silenzio per il resto dello spuntino; “dovrai parlare, prima o poi.”

“Dici davvero?” la sfida lui, con un sorriso canzonatorio sul volto.

La ragazza annuisce, convinta: “Allora, gita di piacere o lavoro?”

“Lavoro.”

“Quanti anni hai?”

Harry sbadiglia, “diciannove.”

“Sembri più piccolo.”

“Lo prenderò come un complimento.” Risponde, ma Sole lo guarda stralunata perché evidentemente non ha capito. Harry sbuffa e prende l’acqua “non devi tornare a casa?”

“Hai ragione, sai?” Sole si alza e lascia qualche euro sul tavolo “buona fortuna.”

Harry realizza di essere in uno schifo di bar in una merda di città, e che l’unica persona che può portarlo all’hotel se ne sta andando. Imita la ragazza, raggiungendola in fretta fuori dal bar, dove lei si sta accendendo l’ennesima sigaretta. Getta il pacchetto vuoto senza troppe storie sul pavimento, sbuffa una nuvola di fumo mentre gli sorride; “Allora?”

Harry rimane in silenzio, poi sbuffa scocciato; “Sono un cantante.”

“Buon per te.”

“Un cantante molto famoso.” Precisa Harry.

Sole annuisce, scocciata, “arriva al punto.” Ed Harry rimane zitto, perché per lui quello è il punto. Lui è un cantante di schifosissime canzoncine pop che non ascolterebbe nemmeno sotto tortura, l’unica cosa che gli impedisce di mandare tutto a puttane è anche l’unica che lo fa soffrire come un cane e lui non ce la fa più, davvero, perché a diciannove anni lo stanno spremendo come un limone e gli stanno impedendo di fare l’unica cosa che vuole. O persino di vivere, ma questa è un’altra storia.

“E’ questo il punto.”

Sole fuma per qualche secondo in silenzio, poi proferisce un “non ha molto senso, lo sai?” e si avvia di nuovo verso la strada principale.

Harry la segue, ha salvato una bottiglietta d’acqua che ora stringe convulsamente tra le mani e tiene gli occhi bassi, il cappuccio sempre sui capelli.

“Davvero non sai chi sono?” chiede meccanicamente, perché lui è Harry Styles e beh, tutti lo conoscono.

Sole lo squadra per un momento, poi si illumina come se le avessero appena rivelato la verità sul Sacro Graal. “Aspetta! Tu sei quello…” dice velocemente in italiano, con un accento diverso da quello che Harry ha sentito fin’ora, “Come ti chiami? Zyy? No, aspetta, mia sorella ha una cotta per te… Lewis?” tenta, passando nuovamente all’inglese.

“Louis.” La corregge automaticamente il ragazzo, mordendosi quasi istantaneamente la lingua.

Sole scoppia a ridere, “Louis, hai ragione!”

“Non sono io, però” è la persona a cui ho appena spezzato il cuore, ma questo si trattiene dal dirlo. “Sono Harry.”

“Harry, giusto. Mia sorella mi ha parlato di voi.” Sole ricomincia a camminare, sistemandosi nervosamente il cardigan sulle spalle sottili; “allora, Harry, che problema c’è?”

Lui non risponde, così la ragazza scuote la testa e alza gli occhi al cielo; “Ti prego, credi che andrò a dirlo a qualcuno? Anzi, credi che qualcuno mi crederebbe mai?” gli fa notare, in un inglese così pessimo che Harry ha quasi voglia di ridere.

Inciampa in una crepa dell’asfalto, invece, e bestemmia tra i denti. Odia questa cazzo di città.

Sole rimane in silenzio, lo riprende per un braccio mentre attraversano la strada completamente priva di auto in movimento. Harry fa un sospiro, perché è ubriaco – bugia – e comunque non ce la fa più a restare zitto – vero -.

“Te lo racconterò.” Decide allora, stupendo più se stesso che la ragazza al suo fianco. Lei si lega i capelli in una coda di cavallo alta, le ciocche colorate spiccano in maniera buffa poggiandosi sulle sue spalle.

“Va bene, basta che parli lentamente così posso capire.” A Harry viene voglia di ridere, mentre le risponde con un “non c’è proprio pericolo, guarda.”

Poi annuisce soltanto come a volersi preparare psicologicamente, prende l’ultima Marlboro dal pacchetto e l’accende con calma; “Hai mai sentito parlare del Larry Stylinson?”

   
 
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