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Autore: Daisy Ross    16/04/2013    5 recensioni
I came here with a load,
And it feels so much lighter now I met you,
And honey you should know,
That I could never go on without you,
Green eyes.
{...}
Dedicata ad A., perché mi ha praticamente obbligata a scriverla. Ma le voglio bene lo stesso.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Green Eyes

 

Holmes Chapel, 5 Ottobre 2010.

 
La campanella d’ottone sopra la porta tintinnò ad annunciare il suo ingresso nel locale, non appena ebbe varcato la porta.
Era un piccolo bar di periferia, con le insegne luminose ad intermittenza, la vetrina stracolma di cartelloni pubblicitari, tavolini di legno ammassati in spazi angusti e il bancone incrostato di polvere e chiazzato di vecchie macchie di caffè.
Dietro di questo, su lunghe mensole di vetro, sostavano venti o più bottiglie di liquore, oltre che numerose lattine di birra e limonata.
Harry veniva spesso lì, quando aveva voglia di un dolce –‘barrette alla cioccolata, le migliore di Holmes Chapel!’ citava l’espositore- o quando, come in quel caso, aveva bisogno di pensare.
Ed era decisamente un buon luogo per una bella pausa di riflessione, o almeno così credeva. Sempre semivuoto, affogato in un’atmosfera ovattata resa dalla bassa musica di sottofondo, emessa dalla vecchia radio sul bancone. L’unico rumore indesiderato, era il chi-chang! del registratore di cassa, quando batteva  uno scontrino.
Prese posto davanti al bancone, poco distante da un uomo avvolto in un enorme cappotto che trangugiava un bicchiere di wishkey.
« Il solito, ragazzo? »
Harry alzò lo sguardo su Steve. Era impossibile decretare quanti anni avesse il vecchio barista. Era lì da quando ne aveva memoria, e sulle pareti erano appese foto ingiallite di parecchi anni prima che lo ritraevano sempre davanti a quel bancone, sempre con lo stesso sorriso stanco –allora, però, con un paio di denti in più-,  la stessa smorfia ironica in volto e pesanti occhiaie violacee.
Annuì, facendogli un cenno con la mano, e poco dopo ecco che Steve gli stava piazzando una barretta al cioccolato sotto al naso e una lattina d’aranciata.
Harry fece per frugare nelle tasche dei jeans, alla ricerca del portafogli, ma Steve lo precedette e, poggiando uno straccio sporco sul bancone, disse:
« Lascia stare. Offre la casa ».
Il ragazzo scosse la testa sospirando, ma non protestò. Sapeva che sarebbe stato inutile, con Steve.
Aveva ancora la mano nelle tasche e, invece di prendere i soldi, afferrò un pezzo di carta e se lo rigirò fra le mani con aria pensierosa.
Grace gli sorrideva radiosa dalla fotografia, quella che lui stesso le aveva scattato l’anno prima.
Era bellissima, come sempre. Le gote leggermente arrossate, gli occhi luminosi, il collo coperto da una sciarpona di lana e un cipiglio divertito. I boccoli castani, indomabili, svolazzavano nel vento.
E a Harry scappò un piccolo sorriso, ricordando di come lei cercava di acchiapparli, ridendo, e rimetterli al loro posto dietro le orecchie, e di come quelli le sfuggivano ogni volta. Sorriso che morì sulle sue labbra al pensiero di un secondo ricordo, più recente, più doloroso, in cui Grace compiva lo stesso gesto, ma con un’espressione seria in volto e lacrime amare che minacciavano di sgorgare dai suoi occhi scuri.
Erano sempre loro, nello stesso posto, eppure era tutto incredibilmente…diverso.
C’era qualcosa di rotto, adesso, qualcosa che niente avrebbe più potuto riparare.
E il fatto che lui l’amasse ancora non contava.
Si ritrovò ad accartocciare la foto senza nemmeno rendersene pienamente conto, stringendo i pugni, mentre il vuoto che stava cercando di ignorare da svariati mesi a quella parte esplose nel suo petto come acceso da una miccia.
Forse la miccia era stata il sorriso di Grace, quello che gli piaceva così tanto, quello che amava, e che ora non sarebbe mai più potuto essere suo.
L’aveva persa e non poteva farci nulla. L’aveva persa, e ormai era troppo tardi.
« Stai bene? »
Di nuovo, Harry alzò lo sguardo. Davanti a lui, però, questa volta trovò una ragazza minuta, con una cascata di capelli rosso scuro, il grembiule da cameriera, con le iniziali del nome del locale ricamate ai bordi, e un’espressione piuttosto preoccupata. Appuntata sulla camicia, c’era una targhetta che recitava la scritta ‘Mary’.
Era abbastanza certo di non averla mia vista prima, ma d’altronde, erano secoli che non guardava più le ragazze, quindi poteva essersene dimenticato.
Erano secoli che non guardava più le altre ragazze.
Sbatté le palpebre.
« Eh? »
Mary si morse un labbro, a disagio.
« Ehm…si, insomma…sai, non hai una bella cera » disse, piegando la testa di lato.
Dall’altra parte del bancone, intanto, la cassa faceva di nuovo chi-chang!, e l’uomo avvolto nel cappotto afferrava distrattamente lo scontrino, per poi sgusciare via.
« Mai stato meglio » mormorò Harry, buttando la foto in tasca e cercando di ricomporsi in fretta e furia.
« Capisco » fece lei. Dal sopracciglio inarcato, Harry intuì che non gli credeva affatto. Ma poco importava.
Il buco che sentiva nel petto stava diventando qualcosa di insopportabile. Non abbastanza indefinito, inoltre, poiché nella sua testa quel buco aveva un nome e un cognome: Grace Weber.
E gli pareva quasi che quel nome e quel cognome lo perseguitassero ovunque: a scuola, a casa, sui libri, per strada, persino ora. Gli frullavano nella testa senza controllo e, più lui cercava di scacciarli, più quelli tornavano indietro con insistenza, portandosi dietro una manciata di nuovi, caldi e dolorosi ricordi.
E, per la prima volta nella sua vita, Harry, paladino della memoria, aveva appurato che scordarsi le cose forse non era poi tanto male. Non sarebbe stato forse più felice, se si fosse potuto subito dimenticare di Grace? Non sarebbe stato tutto più facile, adesso?
« Sai cosa odio? » sbottò, rivolto alla ragazza. Le parole gli erano uscite di bocca senza che potesse controllarle, preso da una moto di rabbia che non sapeva ancora di poter provare.
Mary puntò gli occhi su di lui, stupita, mentre stava trafficando con alcuni bicchieri sporchi lasciati sul bancone.
« L’aranciata, ecco cosa » disse, brusco, afferrando la lattina di aranciata ancora chiusa davanti a lui, e iniziando a tracannarla con avidità.
« Già. Fa schifo » Mary annuì, ridacchiando.
Harry sapeva che probabilmente ora, ai suoi occhi, doveva sembrare o un idiota psicopatico o un ubriaco fradicio.
Un po’ psicopatico lo era, in effetti, considerati i suoi continui sbalzi d’umore degli ultimi tempi, ma non aveva mai toccato un goccio d’alcool.
Insomma, essere cresciuti da un padre alcolizzato –ex, grazie a Dio- aveva i suoi esiti.
« E magari anche le barrette al cioccolato » continuò la ragazza, accennando alla barretta sul bancone.
« No. Quelle sono le mie preferite » replicò Harry, sogghignando.
Mary lo squadrò con un’espressione indecifrabile per alcuni minuti, il tempo che lui finisse la sua schifosa e disgustosa aranciata, ed iniziasse a scartare la barretta.
« Piacevano anche a lei? » chiese poi, lentamente.
Harry si irrigidì sul suo sgabello, e subito sul suo volto balenò un’ombra tetra, ormai familiare.
« Mi dispiace » disse in fretta la ragazza, « scusami. A volte tendo a…impicciarmi. Non è colpa mia. Cioè, sì lo è, ma…ecco, non sopporto di vedere le persone tristi, non ci riesco, è più forte di me… » farfugliò, impacciata.
« Non ti preoccupare » tagliò corto Harry. « Hai visto la foto? » domandò, assottigliando gli occhi.
« Sì. E’ bella ».
Harry annuì, mentre il buco nel petto si apriva un po’ di più, inghiottendo ancora un altro pezzo di lui. Gli sembrava quasi di sparire poco a poco.
Gi sarebbe piaciuto sparire, in realtà.
Mary si morse di nuovo il labbro e non disse nulla per un po’. Lui continuò a starsene immobile, fissando la barretta scartata sul bancone, senza avere più fame.
Dalla vecchia radio, a seguito di un annuncio del telecronista, partì un’altra canzone.
Harry cercò di concentrarsi su quella, per non pensare nuovamente a quel dannato buco: non la conosceva.
 
Honey you are a rock, upon which I stand,
And I come here to talk, I hope you understand,
 
« Sai…non abbiamo il potere di trattenere le persone, a volte. Solo il dovere di lasciargli dei bei ricordi » esordì la ragazza, prendendo un altro paio di bicchieri.
Harry la guardò di nuovo. Aveva gli occhi verdi, non se ne era accorto.
 
The green eyes,
yeah the spotlight,
shines upon you,
and how could anybody, deny you
 
« I ricordi fanno solo male » si ritrovò a dire.
 
I came here with a load,
And it feels so much lighter now I met you,
And honey you should know,
That I could never go on without you,
Green eyes
 
« No. Devi solo guardare le cose da un’altra prospettiva. Raccogliere i pezzi e cercare di ricominciare, da capo  » obbiettò lei, pensierosa. « E…mangiare tanta cioccolata » sorrise.
 
Honey you are the sea, upon which I float,
And I came here to talk, I think you should know
 
Aveva un bel sorriso. Non suadente, non accattivante, e nemmeno timido. Un sorriso semplice, genuino.
Si ritrovò a sorridere anche lui, inspiegabilmente.
 « Ci proverò, Mary » sospirò.
Lei lo guardò confusa. Poi, negli occhi scaturì un lampo di comprensione, e si batté una mano sulla fronte, ridendo.
« Non mi chiamo Mary. Questa divisa…è di una mia amica. Mi ha pregato di fare il turno per lei, oggi » sorrise di nuovo. Sì, decisamente un bel sorriso.
Ora si spiegava perché non ricordava di averla mai vista prima.
« Sono Audrey » continuò, porgendogli la mano. Lui la strinse. Era calda.
« Harry ».
 
Honey you are a rock, upon which I stand.
 
 

 ***

Otto mesi dopo.

« Harry! Dai, vieni! »
Harry scosse la testa, divertito, osservandola mentre si tuffava nel lago con un entusiasmo paragonabile a quello di un bambino la mattina di Natale.
« Ho la fotocamera » ripeté, per la centesima volta.
Però sorridendo. Non si sarebbe mai stancato di lei.
La ragazza, che era riemersa con i capelli e i vestiti completamente zuppi, mise su un finto broncio ed incrociò le braccia al petto: « Sei noioso ».
Lui scoppiò a ridere e le fece la linguaccia. Poi prendendo in mano la vecchia macchinetta che portava sempre al collo con una cinghia, le scattò una foto.
« Non la metterai nell’album, poi, vero? » chiese lei, allarmata, spalancando gli occhi. Arrossati com’erano, per via dell’acqua, il verde pareva brillare ancora di più.
« Certo che sì » affermò Harry.
Audrey uscì dall’acqua come una furia, con i vestiti tutti appiccicati al corpo e, prima che lui potesse fare alcun che, lo schizzò, bagnandogli tutta la camicia.
« Sei impazzita? Ho la fotocamera! Io amo Becky » piagnucolò, controllando subito che la sua macchina fotografica fosse ancora viva e vegeta.
« Becky? Adesso ha anche un nome? » domandò Audrey, inarcando un sopracciglio. « Ci dormi anche con quella roba. Sono gelosa, sai? » sbuffò, divertita, e si sedette accanto a lui. « E poi tanto, quando diventerai un fotografo professionista, ne avrei centinaia di Becky ».
Harry sorrise, e si sporse a sfiorarle una guancia con la mano. Poi posò le sue labbra su quelle di lei, in un bacio dolce, leggero, meraviglioso.
E per poco non si scordò di dov’era o di chi era, mentre le labbra umide di Audrey combaciavano con le sue, e il suo stomaco si rivoltava. Un enorme calore lo avvolse e gli sembrò che il tempo si fermasse, e che non ci fosse nulla di più autentico e perfetto che baciarla, e averla lì, tra le sue braccia…
« Ma Becky è unica » ridacchiò, trovando chissà dove la forza di volontà di staccarsi, e stuzzicarla, come si divertiva sempre a fare.
« Sta’ zitto, stupido » replicò lei, afferrandogli il colletto della camicia e riportandolo a un palmo dal suo viso.
« Ti amo » sussurrò poi, improvvisamente seria. Non era quasi mai seria, Audrey. Era la vitalità e la leggerezza fatta persona.
E quelle due piccole, ma allo stesso tempo immense parole volteggiarono sopra di loro, e Harry rammentò il loro primo incontro, avvenuto molto tempo prima in un bar, e all’improvviso le note di una canzone sbiadita gli risuonarono per la testa, mentre il suo cuore si colmava di una nuova, incontrastabile felicità.
Audrey era lì e non se ne sarebbe andata. L’aveva conosciuta, e lei poco a poco aveva saputo ricostruirlo, raccogliere i suoi pezzi e riportarlo alla realtà. C’era stata e ci sarebbe stata per sempre.
La fissò negli occhi, così verdi, così belli,  e sussurrò di rimando: « Ti amo ».

 
Because I came with a load,
And it feels so much lighter since I met you.
Honey you should know,
That I could never go on without you,
Green eyes, green eyes.
 
 
 
 

Ispirata alla canzone:
Green Eyes-Coldplay.

 
 

 

 
 
 
 
 

                                                                                                                          
 

 
 
 
 
 
 
Note dell’Autrice.
Okay, non so da dove mi sia uscita questa cosa romantica e zuccherosa. Sì, lo so, è da diabete lol
La verità è che l’idea mi vorticava in testa già da un po’, e sapete, no? Quando l’ispirazione chiama, chiama. Non è colpa mia v.v
Comunque sia, spero davvero che vi sia piaciuta nonostante con tutte le probabilità vi abbia anche cariato i denti.
La canzone è davvero bellissima, vi consiglio di ascoltarla se potete. Una delle mie preferite.
Bene, adesso vi lascio. Mi farebbe tanto tanto piacere avere qualche recensione *w*
Quuuuuindi, sperando che abbiate apprezzato la storia e che non siate a questo punto morte di diabete, adiosss!
 
daylise_

  
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