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Autore: TheOnlyWay    16/04/2013    9 recensioni
Eve è normale.
È normale nel suo accento britannico, nei suoi anfibi consumati, nei suoi maglioni larghi e nella sua insicurezza.
È normale nella sua voglia di accontentare sempre gli altri, è normale quando affronta cose più grandi di lei. È normale nella sua paura dei temporali e nella sua testardaggine.
Zayn è il contrario della normalità.
È scorbutico, istintivo, diffidente e non gli piacciono i colori vivaci. Odia parlare troppo con chi non conosce, odia le persone assillanti e le sue debolezze.
Ma, come le persone normali, anche Zayn ha paura: di restare solo, della morte, dei viaggi lunghi in aereo e di crescere.
È la paura a fargli firmare il contratto che cambia per sempre la sua vita. È la paura che prende il sopravvento su di lui quando Eve gli è vicino, è la paura di stare male che lo spinge ad allontanarla sistematicamente.
Ma cosa succede, quando la normalità delle giornate, delle persone, di Eve, rompe le barriere che Zayn si è creato tutt'attorno? Cosa accade, quando si è esposti così tanto che il confine si tocca con un dito?
È vero, dunque, che la normalità è rivoluzione, e non, come in questo caso, una guerra?
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo
 



Guardai la mia immagine riflessa nello specchio con aria estremamente contrariata: ero più brutta del solito, quel giorno.
Non che in genere fossi di una bellezza sconvolgente, comunque. Non ero il tipo di ragazza che faceva voltare gli uomini al suo passaggio; spesso nemmeno mi notavano.
Non avevo un fisico perfetto, né un seno formoso. Niente occhi azzurri, naso alla francese e bocca a cuore. Tantomeno avevo dei bei capelli, di quelli lunghi e lucenti, come le modelle che si vedevano nelle pubblicità.
Anzi, i miei capelli erano di media lunghezza, lisci come spaghetti e tinti di un castano così scuro da sembrare nero. Avevo anche la ricrescita e probabilmente sarei dovuta andare da un parrucchiere, ma non avevo poi tutti quei soldi da spendere.
E comunque, ero abbastanza soddisfatta di me stessa, e i miei occhi marroni - di un banalissimo color castagna - non erano un problema. L'aspetto fisico non era tutto, in fin dei conti. C'erano cose più importanti e un chilo in più non rientrava nella mia lista di priorità.
Avevo ben altro a cui pensare: mia zia Kate, che lavorava come manager presso una rinomata agenzia di Londra, mi aveva chiesto di raggiungerla quella mattina, per fare colazione insieme e discutere di un'offerta che, a suo dire, avrei senz'altro trovato interessante.
Detestavo zia Kate. Aveva quell'atteggiamento da donna d'affari che proprio non riuscivo a sopportare e in più sembrava sempre che tramasse qualcosa, con quell’aria furba e calcolatrice.
Tuttavia, ero troppo incasinata per poter rifiutare un'offerta di lavoro: l'affitto non si pagava da solo e di certo non morivo dalla voglia di dormire su una panchina in Hyde Park. Tantomeno volevo tornare da mia sorella e dirle che la mia indipendenza era stata uccisa da cause di forza maggiore. La madre del piccolo Joshua era stata licenziata e, di conseguenza, non aveva più bisogno di una baby-sitter, per il momento. Coleen, invece, si era presa la varicella e i suoi genitori avevano ritenuto opportuno lasciarmi a casa senza pagarmi l’ultimo mese.
Un fallimento su tutta la linea. Andy avrebbe gongolato per mesi e mi avrebbe riempito di “te l’avevo detto”. Perciò, zia Kate era la mia ultima chance.
Con un sospiro, sistemai il colletto della camicia bianca e controllai di averla infilata bene nella gonna. Odiavo i tailleur, ma zia Kate era stata piuttosto chiara: dovevo indossare il completo che lei stessa mi aveva regalato il Natale dell'anno prima.
In tutta sincerità, ero piuttosto contrariata: non era concepibile che fossero ancora in commercio abiti tanto tristi e, sopratutto, non era possibile che qualcuno spendesse soldi per comprarli. Quante storie, poi, per una semplice colazione.
Sconsolata, allisciai le pieghe sulla gonna - di un deprimente grigio antracite - e indossai la giacca. 
«Poteva regalarmi anche le scarpe, accidenti a lei. E ora che mi metto?» brontolai, mentre aprivo la scarpiera alla ricerca di qualcosa di appropriato. Non che avessi chissà quanta scelta, poi. L'ultimo paio di scarpe eleganti che avevo acquistato risalivano a... be', nemmeno me lo ricordavo. Il vantaggio di essere una baby-sitter a tempo pieno era che non avevo bisogno di un tacco quindici. E comunque, il mio stipendio era a malapena sufficiente per fare la spesa, figurarsi per comprare scarpe a volontà.
«Come cavolo faccio, adesso?» mi sarei messa le mani tra i capelli, se solo non avessi rischiato di sciogliere lo chignon: mi ci era voluta quasi un'ora, per intrappolare tutti i ciuffi che andavano per fatti loro.
«Zia Kate mi ucciderà.» piagnucolai, mentre afferravo gli anfibi neri e li calzavo velocemente. Ero già in ritardo, tanto per cambiare, e in tutta probabilità mi sarei beccata una lavata di capo non indifferente. Controllai il trucco un'ultima volta, sperando che l'eye-liner non mi avesse impiastricciato tutto l'occhio, passai il burrocacao sulle labbra screpolate ed afferrai cappotto, sciarpa e borsa.
La macchina mi aspettava sotto casa, puntuale come un orologio svizzero. Era un'elegante berlina nera, di quelle che non mi sarei potuta permettere nemmeno dopo quarant'anni di lavoro.
L'autista, un uomo sulla cinquantina, con un paio di folti baffi grigi e gli occhi azzurri, mi rivolse un sorriso gentile e un po' divertito.
«Buongiorno, signorina Morrigan.» salutò, aprendo la portiera.
«Buongiorno anche a lei.» sorrisi, un po' agitata. In che guaio mi stavo cacciando?
Mi accomodai sul sedile posteriore, certa che sarei stata sola. Dopotutto, chi mai si sarebbe scomodato, solo per me? Invece, per mia enorme (e spiacevole) sorpresa, l’abitacolo era occupato da un secondo passeggero.
«Zia Kate!»
«Ciao, Evangeline. Belle scarpe.»
Arrossii immediatamente e farfugliai una serie di scuse e giustificazioni, che zia Kate accolse con un'espressione contrariata e un sopracciglio inarcato. La detestavo.
«Le cose cambieranno.» si limitò a replicare, stoica.
La guardai confusa, ma non dissi una parola. Spesso, quando Zia Kate parlava, faticavo a capire cosa stesse dicendo. Ogni parola che usciva dalla sua bocca sembrava avere un significato ben preciso. Non diceva mai niente a caso e, il più delle volte, non avevo la più pallida idea di che cosa stesse parlando, né mi interessava, in effetti.
Perciò rimasi zitta, con lo sguardo fisso sulla punta degli anfibi, un po' rovinati per l'uso - non per niente, infatti, erano i miei preferiti - e sentendomi più inadeguata che mai.
Trascorremmo in completo silenzio il resto del viaggio, io perché tormentata dall'idea di aver appena preso la decisione peggiore di tutta la mia esistenza, zia Kate perché troppo occupata a controllare le e-mail sul suo inseparabile iPad.
Non era mai una buona idea stringere i rapporti con lei, ne ero consapevole. Era una persona subdola, ma probabilmente la colpa era del suo lavoro: avere continuamente a che fare con persone famose, arriviste e false, probabilmente non era il massimo e non era neanche così strano che ne fosse rimasta influenzata.
Per quanto riuscissi a ricordare, ero certa che un tempo zia Kate fosse molto meno rigida.
Mi aveva persino abbracciata, anni prima.
«Non riesco a credere che tu ti sia messa queste scarpe.» ripeté, mentre camminavamo lungo il corridoio.
La macchina ci aveva lasciate esattamente di fronte ad un imponente edificio grigio e avevo avuto a malapena il tempo di capire dove ci trovassimo, prima che zia Kate mi intimasse di accelerare il passo, visto che eravamo in ritardo e lei non aveva assolutamente intenzione di fare una brutta figura.
Così l'avevo seguita in silenzio ed avevo tenuto la testa bassa anche quando ci eravamo fermate davanti alla reception. La segretaria mi aveva squadrata dalla testa ai piedi e aveva storto il naso, mezza disgustata.
Anche il quel caso ero stata zitta, nonostante mi sarebbe piaciuto dirle di farsi i cavoli suoi e di pensare alla scollatura eccessiva della sua camicia. Orribile, e poco elegante.
«Stanno aspettando solo voi, signora Morrigan.» cinguettò la ragazza, con un cenno d'intesa.
Zia Kate annuì bruscamente, mi posò una mano sulla schiena e mi accompagnò con gentilezza fino ad una porta di legno chiaro.
Dall'altro lato, riuscii a sentire solo un coro di voci infuriate, poi zia Kate aprì la porta e calò il silenzio.
«Zayn, ti presento Evangeline, la tua fidanzata.»








***



Caterina Margherita Giulia, grazie.
(Metto tutti e tre i nomi, sperando di non sbagliare, tanto per farti capire che sto parlando proprio di te <3)





Buonasera a tutte (e a tutti, se ce ne sono)!

Okay, per chi non mi conoscesse, mi chiamo Federica e questa NON è la prima storia che pubblico sui One Direction. E' l'ennesima, e probabilmente ne avrete piene le scatole, ma la cosa non mi  interessa. AHAHAH
Non la smetterò mai di intasare questo fandom, credo, nonostante a volte mi vergogni da pazzi. Cioè, avete visto l'avviso che c'è all'inizio di ogni pagina? Vergogna.
Ecco. Comunque, non è questo il punto.
Il punto è che questa è un'altra storia, decisamente diversa dalle altre altre che ho scritto e che sto scrivendo. Non è niente di che, in effetti, e non mi aspetto che abbia chissà quale successo, ma mi piace scriverla e sono già innamorata dei personaggi.
E poi ho la tristissima tendenza a fangirlare per quello che scrivo, a volte, perciò ho pensato che anche voi potreste fangirlare con me (?)
Basta, ho finito.
Spero che il prologo vi sia piaciuto e non vedo l'ora di sapere che ne pensate, ci tengo tanto a questa storia!

Ora passiamo alle cose tecniche. Vi lascio qui sotto un paio di contatti, nel caso in cui voleste dirmi qualcosa, mandarmi a cagare, parlare un po' e cose del genere e vi mollo anche i banner delle altre storie che sto scrivendo, magari avete voglia di leggerle :)

Vi abbraccio fortissimissimo,
Fede.

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