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Autore: SonLinaChan    06/11/2007    2 recensioni
Alla morte del sovrano di Elmekia, i due eredi al trono ingaggiano una lotta per la conquista del potere. Lina e Gourry si trovano loro malgrado sul terreno di battaglia, in missione per conto della città di Sailarg, ma decisi a rifuggire ogni coinvolgimento nella guerra. Ma basta poco perché una battaglia estranea si trasformi in una questione molto personale...
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ecco una nuova storia a capitoli, di genere ancora una volta guerresco! (lo so, sta diventando una fissazione, ma non dipende da me, leggere testi sulla storia della Cina ha effetti deleteri sulla mia psiche!) Non ci sono particolari premesse, a parte il fatto che è ambientata una decina di anni dopo l’inizio delle vicende di Slayers, e quindi Lina ha circa venticinque anni (mi sono sempre interrogata sull’età di Gourry, quindi non mi esprimo a riguardo…) Lina e Gourry sono sposati da circa quattro anni. Gli avvenimenti salienti antecedenti alla vicenda sono contenuti nella mia altra fic, “Gourry”, ma non è strettamente necessario leggerla per comprendere la storia. Come sempre, sarò felice di ricevere commenti o critiche di qualsiasi tipo. Buona lettura! ^^

Il cielo invernale incombeva cupo su Sailarg. Nuvole basse e grigie, foriere di tempesta, coloravano di una tonalità cenere le colline spoglie e le rovine della metropoli, un tempo fiorente crocevia dei traffici che attraversavano le desolate steppe di Elmekia. La città, ora, sembrava poco più di un villaggio di contadini. I viaggiatori si accalcavano in locande ricavate da edifici malmessi e trattavano spasmodicamente i costi di finiture per cavalli, cibo e vino con mercanti resi avidi dal ricordo dell’antica ricchezza. La tappa in quello scenario spettrale era necessaria, per chi si accingeva ad affrontare miglia e miglia di terra spoglia e desertica, e forse solo questo aveva accelerato la ricostruzione di un luogo il cui nome a molti suonava ormai maledetto. Le mura erano di nuovo in piedi ed offrivano un inutile baluardo a case povere e provvisorie, a palazzi signorili sventrati dalle fiamme, ad un tempio che ben poco aveva dell’antico splendore. Un’ampia distesa di terra umida e nuda si apriva là dove un tempo si era trovato l’albero sacro, ricordandomi come quella città fosse stata protagonista per ben due volte di eventi che avevano segnato tanto essa quanto la mia esistenza.

Distolsi lo sguardo dalla finestra, con un sospiro. Se quel paesaggio era deprimente, non si poteva dire che l’interno della stanza risollevasse l’animo. Un letto che somigliava più ad un pagliericcio, un tavolo spoglio con una sedia, un camino annerito e ricoperto di polvere. Dando fondo ad ogni nostra risorsa, non eravamo riusciti a trovare di meglio. Avevo vissuto anche in condizioni peggiori, ma mai ad un prezzo così caro, e da due giorni a quella parte il mio spirito da mercante fremeva. Questo, quando non consideravo le condizioni dei bagni. Perché allora era il mio istinto di maga distruttrice che rischiava di prendere il sopravvento…

Abbassai lo sguardo, ed emisi un grugnito stizzito. C’era qualcuno che non appariva minimamente turbato dalle condizioni misere della stanza. Qualcuno che in quel momento russava felice, difeso da una semplice coperta dal freddo pavimento di pietra. Con una espressione talmente appagata che mentre lo osservavo la mia stessa irritazione diveniva irritante.

E non ditemi che non è legittimo, ogni tanto, trovare fastidiosa la serenità altrui.

Mi avvicinai e con la punta dello stivale gli pungolai il fianco.

“Mmph… Lina…” Lo sventurato mugugnò qualche parola sconnessa, e non ebbe bisogno di aprire gli occhi per riconoscere chi lo tormentasse.

“Hai intenzione di poltrire sul pavimento per tutto il giorno?” Incrociai le braccia al petto, incombendo su di lui. Gourry aprì un occhio e mi fissò dal basso in alto, infastidito dalla luce che penetrava dalla finestra.

“Ma Lina…” Mugugnò. “Non posso dormire su quel letto. E’ infestato da quelle bestie disgustose.”

Mi piegai sulle ginocchia, squadrandolo storto. “Non è questo che intendevo. Tu e la tua fisima per gli insetti.”

Gourry levò un sopracciglio, al di sopra dello sguardo assonnato. “Non credo che la signora ‘c’è una lumaca nella vasca’ possa permettersi di protestare per la mia avversione alle cimici…”

Il ricordo della terrificante esperienza che avevo vissuto in bagno non migliorò il mio umore. “Vuoi che ti riservi lo stesso trattamento che ha ricevuto il locandiere per avermi presa in giro, Gourry?”

Lo spadaccino, a dispetto di tutto, sorrise. Si levò a sedere, e cercò la mia mano con le dita. “Direi di no.” Mi baciò la punta del naso. “Mi illudevo che come tuo marito avrei ricevuto un trattamento preferenziale, una volta tanto.”

Non mi piegai alle lusinghe, e lo guardai storto. “Il trattamento preferenziale bisogna guadagnarselo.”

Gourry si limitò a ridacchiare, e ad abbracciarmi. Io sospirai, vinta, e gli accarezzai i capelli con la mano. “Ci manca solo che la temperatura si abbassi ancora, e cominci a nevicare.” Mormorai, dopo qualche istante di silenzio, tornando a scrutare all’esterno. “Vorrei sapere che fine ha fatto Sylphiel. Ammetto che quella ragazza è un po’ strana, a volte, ma non è da lei farci arrivare fin qui per poi non presentarsi affatto. C’è mancato poco che ci facessimo arrestare, per colpa sua.”

“Veramente è stata colpa di qualcuno che si è messo a minacciare le guardie…” Obiettò Gourry, ridacchiando. “E il fatto che tu dica che Sylphiel è quella strana è un tantino paradossale…”

“Ci aveva detto di cercarla al tempio!” Sbottai, allontanandolo bruscamente. “Per quanto sapevamo avrebbero anche potuto tenerla in ostaggio!”

Gourry scosse la testa, divertito. “Tenerla in ostaggio? I sacerdoti di Sailarg?”

“Non fingerti improvvisamente una persona ragionevole…” Intimai, in tono minaccioso.

Gourry rise, e si fece schermo con le mani. “Ok, ok. Quindi, cosa proponi di fare…?”

Mi strinsi nelle spalle. “Possiamo aspettare, per qualche giorno. Non abbiamo molto da fare, in fondo. Forse Sylphiel si trovava a Sailune dai suoi parenti e deve ancora raggiungere la città.” Gourry tornò a sdraiarsi, trascinandomi con sé nel movimento, e accarezzandomi senza preciso scopo la schiena. “Chi lo sa. La sua lettera era strana, di sicuro. E poi erano mesi che non ci giungevano sue notizie…”

Gourry san, Lina san,

spero che questo messaggio possa arrivarvi, ovunque vi troviate. Ho bisogno di parlarvi di una questione urgente. Vi chiedo di incontrarci al termine del decimo mese, a Sailarg. Chiedete di me al tempio.

Queste poche righe ci erano state recapitate misteriosamente un mese prima, in una locanda di uno sperduto paesino nel nord del continente. Gourry ed io ci stavamo muovendo per conto della Gilda di Zephilia, una storia di testi trafugati da una celebre biblioteca di un regno del nord, su cui più o meno legittimamente i maghi di Zephilia avevano messo gli occhi. La questione era inevitabilmente passata in secondo piano, però, di fronte a quella lettera sbrigativa, senza una firma, senza una espressione di affetto. Gourry sama era già da tempo diventato Gourry san, per Sylphiel… almeno da quando le avevamo annunciato il nostro matrimonio. Ma, da quando avevamo cominciato a tornare a Zephilia più di frequente, la sacerdotessa ci aveva spesso scritto, lettere lunghe e cordiali, in cui ci raccontava della sua vita nella nuova Sailarg e del suo impegno per rimettere in piedi una città ridotta ad un’ombra spettrale del passato. Quella era la prima volta che una lettera ci giungeva mentre eravamo lontani da casa, ed era la prima volta che le parole della nostra giovane amica suonavano tanto sbrigative. La grafia era nota, con quelle sue lettere morbide e allungate, ma nient’altro di familiare colorava quelle righe. All’inizio avevo esitato di fronte ad una richiesta così improvvisa, ma sapevo di dovere molto a Sylphiel. La sua amicizia nei miei confronti non era scontata, per più di una ragione. In più, Gourry non aveva avuto dubbi sulla necessità di andare, ed io non avevo intenzione di lasciarlo partire da solo. Se c’era una persona che non avrei mai abbandonato al suo destino, quello era lo spadaccino. E quella stessa visione di desolazione che era Sailarg non faceva che rammentarmene il motivo.

“Ciò che mi convince meno in questa faccenda è che al tempio non sapessero nulla del nostro arrivo.” Mi levai nuovamente a sedere, scostandomi gentilmente dall’abbraccio di mio marito. “Se Sylphiel aveva intenzione di incontrarci laggiù, è strano che non abbia fatto recapitare anche ai sacerdoti un messaggio, nel caso avesse tardato.” Scrutai fuori dalla finestra, in cerca di una risposta nascosta fra le basse nuvole.

Anche Gourry si sollevò. “Stai dicendo che qualcosa potrebbe averglielo impedito…?”

“Sto dicendo che non mi piace.” Mi alzai, e tornai alla finestra, le dita appoggiate ai vetri. Quasi simultaneamente, grosse gocce di pioggia presero a picchettare sulla sottile lamina. In lontananza, una saetta illuminò il cielo plumbeo, accompagnata dal cupo rombo di un tuono.

Gourry si avvicinò alle mie spalle, e mi cinse con le braccia. “Odio le tue premonizioni.” Sussurrò, in tono leggero. “Il più delle volte sono azzeccate.”

Sorrisi, a dispetto della sottile ansia che quei discorsi avevano risvegliato in me. La mia mano raggiunse il suo braccio, e lo strinse lievemente. “E questo non ci rassicura granché sulla attuale situazione, eh?”

Mio marito non rispose. Ma da anni, per noi, il silenzio era eloquente quanto le parole.

Sospirai, rassegnata.

Cominciavo ad odiare la città di Sailarg.

***

Dolore. Luce accecante. Vestiti gelidi, appiccicati alla pelle. Le dita strette su una poltiglia fredda e dall’odore nauseante. In bocca il sapore del sangue.

Dolore.

Dolore.

Dolore.

“Gourry!”

“Correte, è ancora vivo!”

“Sir Gabriev, vostro figlio è…”

“Un sacerdote! Mandate a chiamare un sacerdote!”

“Gourry, apri gli occhi!”

“Gourry!”

“GOURRY!”

Spalancai gli occhi, sussultando a quella voce nota. Dovetti battere le palpebre più volte, prima di acquisire nuovamente cognizione del mondo che mi circondava. La luce piena del mattino inoltrato filtrava fra le foglie ancora umide di pioggia, ed un freddo vento sferzava le fronde, facendole gocciolare sul mio viso. Io non sedevo più sulla roccia su cui mi ero poggiato inizialmente, ma ero scivolato all’indietro, verso il tronco dell’albero che mi riparava parzialmente dall’aria pungente, la testa reclinata in avanti e le dita affondate nella fanghiglia.

Lina, di fronte a me, sospirò. “Vorrei sapere cos’hai in questi giorni. Addormentarti in un posto del genere…”

Battei nuovamente le palpebre, e lanciai uno sguardo al sole pallido. Quasi di riflesso, il mio stomaco gorgogliò. “E’ già mezzogiorno?” Domandai, incredulo. Mi ero seduto su quella roccia quando il sole era sorto da poco meno di due ore…

Mia moglie assunse l’espressione colpevole che vestiva quando mi trascinava in qualcuna delle nostre consuete odissee. “Bé, immagino di essermi lasciata un po’ prendere la mano dalla trattativa.” Si grattò la guancia, con una delle sue dita sottili. “Ad ogni modo, il carovaniere ha accettato di darci un passaggio in cambio di una delle gemme che ho recuperato da quei banditi. Partiamo nel primo pomeriggio, quindi sbrigati, se vuoi mangiare qualcosa nel frattempo.”

La fissai per un momento, cercando di fare mente locale su ciò di cui stava parlando. Quindi, rinunciandovi, mi levai in piedi barcollando, le gambe indolenzite per la lunga immobilità e per il freddo di quell’inverno gelido. Lina mi squadrò con fare perplesso. “Tutto ok? Mi sembri un po’ frastornato…”

“Ho fatto un lungo sogno.” Replicai, in sincerità. “Ma non ricordo bene che cosa accadesse. Ricordo solo…” Mi fissai le mani. “… fango…”

Lina batté le palpebre e fissò a sua volta le mie dita, ancora coperte di melma grigia. Fece un sospiro. “Ci credo. Guarda che hai combinato.” Estrasse un fazzoletto da una delle tasche del mantello, e vi avvolse gentilmente le mie mani. Io sorrisi fra me e me. Anche un gesto semplice come quello anni prima le sarebbe costato imbarazzo.

Godetti per qualche istante in silenzio del movimento leggero delle sue dita sulle mie. Quindi levai lo sguardo sul gruppo dei mercanti, sul ciglio della strada alle spalle di mia moglie, intenti a caricare pacchi sulle carovane. “Ehi, Lina… ma dov’è che stiamo andando, esattamente?”

Mia moglie fece un sospiro, e mi guardò con l’aria di chi non ha nemmeno la forza di arrabbiarsi. “Non hai ascoltato una parola di quello che ti ho detto stamattina, vero?”

“Ehm…” Era il momento di stare attento a ciò che rispondevo…

Lina sospirò nuovamente, rassegnata. “La Perla. Ricordi?”

“La… Perla…?”

Gli occhi di Lina si strinsero. “Risulta difficile credere che tu abbia premuto tanto per aiutare Sylphiel, quando ora fingi in modo così convincente che la cosa non ti riguardi…”

Oh. Giusto. Sylphiel.

“Intendi la città del sovrano ribelle. Potevi dirlo subito.”

Il volto di Lina assunse un interessante colorito violaceo.

“Quindi quei carovanieri devono portarci laggiù?”

Il violaceo mutò in rosso acceso.

“Gourry!” Il palmo della sua mano mi colpì direttamente fra gli occhi. Cominciavo a chiedermi se non ci fosse un qualche segno sulla mia fronte che le indicasse dove mirare, per centrare sempre lo stesso punto… “E dove DIAVOLO dovrebbero portarci??? Ti pare che mi addentrerei nel NULLA delle steppe di Elmekia per il gusto di complicarci la vita???”

“Bé…” Esitai.

Non era la risposta che mia moglie si aspettava.

Eravamo rimasti a Sailarg per oltre una settimana, in paziente attesa. Le locande agibili non erano molte, e ci auguravamo che Sylphiel ci avrebbe in qualche modo rintracciati, appena le fosse stato possibile raggiungere la città.

Eravamo ottimisti.

Tuttavia, quando alla nostra porta si erano presentate le guardie del tempio, armate fino ai denti, era sorta in me qualche ragionevole preoccupazione.

Non è che non abbia fiducia in mia moglie. Solo che quando Lina è costretta senza far nulla per giorni la sua energia repressa tende a sfogarsi in modi non necessariamente legali. Nel momento in cui avevo iniziato a chiedermi di quanto fosse, stavolta, la taglia sulla nostra testa, i Paladini mi avevano però stupito, limitandosi ad invitarci formalmente al tempio. Il Gran Sacerdote voleva scusarsi con noi per la pessima accoglienza che ci aveva riservato qualche giorno prima, ci era stato detto. Era ovvio che la motivazione non si limitava a questo, ed era altrettanto ovvio che i Paladini non avrebbero approfondito la questione in una locanda dalle pareti di carta velina. Volenti o nolenti, li avevamo seguiti. E la sorpresa era stata ancora maggiore nello scoprire che, nella sala del Gran Sacerdote, riflesso in una cangiante sfera di luce bluastra, ci attendeva il volto teso di Sylphiel.

“Lina san, Gourry san, vi chiedo perdono per i fastidi che vi ho causato.”

La voce della sacerdotessa era frettolosa, priva delle consuete note calde e riverenti. Al di là della luce innaturale dell’incantesimo che ci permetteva di comunicare, il suo volto mi appariva stranamente pallido.

“Credevo davvero di riuscire a partire in tempo, ma una serie di problemi mi ha bloccata a Sailune. Solo ora riesco ad avvisarvi. Scusatemi, scusatemi infinitamente.”

Lina ed io ci eravamo scambiati un’occhiata perplessa.

Sylphiel aveva proseguito con fare stanco. “Si tratta dell’erede al trono di Elmekia e di suo fratello. Da diversi mesi sono entrati in conflitto.”

Ne avevo sentito parlare. Il sovrano di Elmekia era morto all’improvviso, qualche mese prima. E il figlio che il padre favoriva per la successione, il minore, aveva rivendicato, con l’appoggio dell’entourage del padre, un trono che le tradizioni del regno assegnavano per diritto al fratello. Una storia comune. Ma ne era scaturita una contesa che, nonostante il trono da mesi vacante, non si era ancora sedata, e che con tutta probabilità sarebbe presto sfociata nel sangue. Del resto, è storia vecchia. I capricci fra fratelli litigiosi generano scompiglio in casa, ma i capricci fra reali danno vita alle guerre.

“E noi cosa c’entriamo, in questo?” Lina appariva perplessa. Io ero inquieto. Le questioni di successione al trono di Elmekia risvegliavano in me ricordi spiacevoli.

Lo sguardo di Sylphiel si era fissato per un momento sul mio, come se avesse colto i miei pensieri. La sacerdotessa, tuttavia, aveva proseguito in tono neutro. “Direttamente, nulla. Purtroppo, però la corte ha cessato da mesi di inviare a Sailarg i fondi per la ricostruzione. Il tempio non ha risorse, e i lavoratori sono inquieti. Gli abitanti di Sailarg che sono ancora in città danno una mano, ma per lo più abbiamo dovuto assoldare dei mercenari, che minacciano di abbandonarci. Non possiamo permettercelo, capite? Con una guerra civile incombente, ed una città che ha tutte le probabilità di non rifiorire mai, la gente prenderebbe di nuovo ad andarsene, valicherebbe il confine verso Sailune. Sailarg tornerebbe ad essere una città fantasma.” Il tono di Sylphiel ora si era fatto stanco. Potevo comprenderlo. La ricostruzione di Sailarg significava per lei più di quanto avrebbe mai potuto esprimere a parole. D’altra parte, il suo sguardo era determinato. Mi ero reso conto già da tempo di come gli anni la avessero fortificata, di come fosse diversa dalla ragazza ingenua e fragile che avevo incontrato in quella stessa città, tanti anni prima. E la sua fermezza, ora, non faceva che confermarmelo. “Ho inviato vari messaggeri alla corte ma Samon, il figlio maggiore del re, non mi ha mai dato ascolto. Il fratello Eriol ha dalla sua la famiglia della madre, che ha il controllo su Talit, la città nota come la Perla di Elmekia. Possederla significa avere in pugno tutta la parte meridionale del regno. Con avversari così potenti e ricchi, l’erede legittimo al trono è intenzionato a concentrare ogni sua risorsa nella guerra imminente, per questo non ho altra scelta se non rivolgermi ad Eriol. Non ho molte speranze, ma DEVO almeno cercare di convincerlo prima che scoppi la guerra e la sua attenzione si concentri su altre priorità. Tuttavia, non posso inviare un’ambasceria ufficiale. Farlo significherebbe riconoscere la sua autorità e non quella della corte, significherebbe schierarsi, e non posso permetterlo. Sailarg non ha bisogno di altro sangue.”

Lina si era accigliata. “E quindi… vuoi che ci rechiamo noi, laggiù, e cerchiamo di convincerlo?” Sapevo perfettamente cosa pensava mia moglie in quel momento, e lo condividevo. Quella faccenda era fuori dalla nostra sfera d’azione. Un conto era lottare con i demoni, un conto era occuparsi di questioni diplomatiche in un regno estraneo.

Avevo ricacciato nel fondo della mia mente la voce strisciante che mi suggeriva che quel regno in fondo era anche casa mia.

Sylphiel aveva scosso la testa, l’aria contrita. “Lo so che cosa state pensando. Che vi sto chiedendo qualcosa che non vi compete. Ma questa non era la mia intenzione iniziale, ve lo assicuro.” Il suo tono di voce si era fatto supplichevole. “Avrei voluto essere io a partire, e ciò che desideravo era solo la vostra protezione fino a destinazione. Il viaggio fino a Talit è troppo lungo e pericoloso, in tempi come questi, e non sapevo di chi altri fidarmi… Ma ora non posso davvero muovermi da qui, mio zio…” Si era bloccata. “E’ una questione troppo lunga da spiegare ora. Lina san, Gourry san, vi prego. Dovrete solo recapitare la mia missiva. Inviando due persone esterne a tutta la faccenda, in segreto, Sailarg non risulterà compromessa. E’ troppo vicina alla capitale, è un bersaglio troppo facile. Vi assicuro che sarete compensati adeguatamente. Il tempio non può fornirvi di grandi risorse, ora come ora, ma ero venuta a Sailune proprio per chiedere un aiuto ai miei parenti per il viaggio, quindi quando tornerete vi rimborserò di ogni cosa e vi pagherò tutto quello che vi è dovuto. Vi PREGO.”

Lina ed io ci eravamo scambiati un’occhiata. Lo sguardo di mia moglie era ancora poco convinto, ma il tono disperato di Sylphiel era già riuscito ad ammorbidire me. Sapevo che la sacerdotessa non ci avrebbe contattati se non in caso di assoluta necessità, e sapevo anche che se io mi fossi trovato nei guai lei avrebbe fatto qualsiasi cosa per aiutarmi. Era accaduto, in passato.

E in fondo, si trattava solo di recapitare un messaggio.

Avevo lanciato un’altra occhiata a Lina, e lei aveva sospirato. Io le avevo sorriso. Sapevo che avrebbe capito.

Molto meno propensa a comprendere, però, mi pareva mia moglie in quel momento, mentre mi fissava con l’aria di una lince pronta ad avventarsi sulla preda. La fronte mi doleva, là dove mi aveva appena colpito per la seconda volta.

“E dai, Lina.” Cercai di sdrammatizzare. “Scherzavo.”

“Mi spiace che questo non sia un ingaggio come buffone di corte, avresti avuto un grande successo…” Sibilò la maga, gli occhi stretti per l’irritazione. “Ora vogliamo concentrarci sulla nostra attuale situazione, invece di perdere tempo? Dobbiamo andare a recuperare le nostre cose da quel tugurio di locanda.” Il suo sguardo si accese per un momento. “Non riesco a credere che sarà l’ultima volta che mangerò la loro brodaglia insipida per pranzo.”

Scossi la testa, sospirando. “Prega che il carovaniere non abbia intenzione di servirti zuppa al veleno, appena saremo usciti dalla città. Non ha un’aria particolarmente raccomandabile, e le nostre armi e le tue gemme farebbero gola anche all’ultimo degli onesti, se circondato da una steppa priva di occhi per testimoniare.”

Lina mi rivolse un sorriso furbo, lo stesso che sempre vestiva quando elaborava uno dei suoi malefici piani. “Oh, lo ho messo in conto.” Replicò, con fare allegro, agitando il dito nell’aria. “Ma non è giusto giudicare dalle apparenze, no? E poi…”

“E poi…?” Chiesi, temendo la risposta.

Lina esibì un ghigno degno di un cattivo delle fiabe. “E poi una trappola potrebbe rendere il viaggio… più interessante. Ci fornirebbe una giustificazione inattaccabile per reclamare il carro ed il suo contenuto come nostri, tanto per cominciare.”

Scossi la testa, con fare rassegnato. Davvero avevo pensato che avesse agito ingenuamente? ‘Se non la conoscessi, forse.’ Mi risposi immediatamente. E mi volsi, pregando che mia moglie non si accorgesse che sorridevo stupidamente.

Ma, presto, la sua voce mi raggiunse nuovamente. “Il reale problema sarà all’arrivo.” Tornai a fissarla, mentre scrutava il grigio striato di azzurro del cielo, l’aria assorta. “Sylphiel pensa che recapitare una missiva per noi sarà semplice, ma io non la vedo allo stesso modo. Dal momento che non gli portiamo nuovi alleati, perché Eriol dovrebbe ascoltarci?”

Piegai il capo, studiando la sua espressione. “Abbiamo il sigillo del tempio di Sailarg…” Azzardai.

Lina si accigliò. “Appunto.” Si volse verso di me. “Il sigillo di Sailarg, portato da due emeriti sconosciuti. Eriol penserà che i sacerdoti vogliano prendersi gioco di lui.” Incrociò le braccia al petto. “Ci concederà udienza, ma non accetterà di aiutare una città che non acconsenta a sostenerlo in cambio. Non conta, ora, il fatto che essa faccia parte del regno su cui vuole acquisire il controllo.” Tacque, per un istante. “Partirò comunque, ma sinceramente sono convinta che questo sarà un viaggio a vuoto. La ricostruzione di Sailarg dovrà attendere la fine della guerra, come qualsiasi altro problema che non riguardi direttamente la contesa fra i due principi.” Aggiunse, dopo qualche secondo di silenziosa immersione nei suoi pensieri.

Mi avvicinai, e le strinsi la spalla con la mano. “Magari Eriol vorrà compiere un atto di generosità.” Replicai. “Per impressionare eventuali nuovi sostenitori, ed evitare di vincere solo con le armi.”

Lina mi rivolse un’occhiata scettica. “Il tuo problema è che hai troppa fiducia nella gente.”

“Devo compensare qualcuno che ne ha troppo poca.”

Ci scambiammo un breve sorriso.

Da Nord il vento freddo parve temporaneamente placarsi. Troppo tardi. Le nuvole che fino a qualche ora prima si addensavano all’orizzonte avevano già raggiunto la città, ricoprendola di un manto scuro e minaccioso. L’aria era pregna di umidità, e l’azzurro era un pallido ricordo, scolpito nei pochi brandelli di cielo scoperto che ancora lottavano con il temporale incombente.

“Ancora pioggia.” Commentai, involontariamente, in tono pensoso.

“Ti mancherà, fra qualche giorno.” Sorrise Lina.

Lo sapevo. Nelle terre in cui ero nato non pioveva mai. La vita scivolava su di esse, senza mai porvi radici. Solo sterpaglie e cielo, e le testarde costruzioni degli uomini. E quegli alberi isolati, quegli alberi alti e rigogliosi, che ancor più crudelmente della desolazione ricordavano il destino con cui ogni essere vivente è costretto a misurarsi…

“Gourry?” Lina, ora, mi fissava perplessa. Io ricambiai lo sguardo, assorto. Quelli che mi aspettavano erano luoghi che da anni ripercorrevo solo nei miei sogni, e l’idea di solcarli al suo fianco risvegliava in me quella sensazione di torpore che al ricordo dei sogni si accompagna. “Che c’è?” Incalzò mia moglie.

“Pensavo che è meglio sbrigarsi a rientrare.” Replicai, semplicemente, non dando voce a quelle che anche per me erano solo sensazioni confuse. “Prima di trovarci zuppi di pioggia.”

Lina inarcò un sopracciglio. “Quell’aria assente è il segno che stavi elaborando questa perla di saggezza?”

Dovetti sorridere, alla mal celata ironia della sua voce. “No.” Dichiarai, con leggerezza, mentre un’idea maligna catturava la mia mente. “In effetti stavo pensando che mi devi ancora la rivincita.”

Lina levò le sopracciglia, perplessa. Ma quando realizzò cosa intendessi era troppo tardi. Ero già scattato in avanti, ed in vantaggio. “Ricorda, chi arriva ultimo paga il pranzo!”

“Ehi!” Sentii gridare alle mie spalle. “Questo è SLEALE!!!”

Il tono di voce di Lina mi precludeva già in partenza quel pranzo, ed era foriero di inquietanti promesse di vendetta… ma in fondo ciò che mi importava era solo il gusto della sfida. Perciò corsi a perdifiato, il viso sferzato dall’aria fredda e dalle prime gocce di pioggia.

Era strano. A causa del tempo, trascorso inesorabile, i paesaggi e le vie note che mi attendevano risvegliavano in me lo stesso senso di ignoto che avevo avvertito percorrendole per la prima volta, innumerevoli anni prima. Allora avevo avvertito quella sensazione come opprimente. Ma ora che potevo godere di piccole, stupide consuetudini come i litigi con Lina la paura dell’ignoto si colorava di familiarità, e il senso di attesa diveniva piacevole.

In fondo, era solo l’inizio di un nuovo viaggio.

  
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