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Autore: Val Nas    17/04/2013    6 recensioni
Piccolo scorcio che descrive la partenza di Serena da Manhattan prima dell'inizio della serie.
Qualcuno avrà provato a fermarla?
Consiglio vivamente la lettura ascoltando "Too late to apologize".
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nate Archibald, Serena Van Der Woodsen | Coppie: Nate Archibald/Serena Van Der Woodsen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima dell'inizio
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“Buon Giorno, Upper East Side! Qui è la vostra Gossip Girl, la vostra sola e unica fonte di notizie sulle vite scandalose dell'élite di Manhattan.
Non siate troppo felici di celebrare questo primo giorno di Primavera.
Siete mai stati feriti da un accecante raggio di sole?
Gli occhi lacrimano, la testa esplode, e voi proprio non capite cosa vi sia preso,
mentre osavate rivolgere lo sguardo al cielo.
Avvistato: Nate Archibald è stato appena ferito da un accecante raggio di sole.
Sembra proprio che lo abbia messo al tappeto, non credete?
Caro Nate, era meglio tenersi al sicuro dietro le lenti scure di un paio di Armani,
soprattutto quando il raggio che ferisce porta il nome di
Serena Van der Woodsen.”

 
Una limousine stretch attendeva Serena Van der Woodsen fuori dall’albergo al 994 della Fifth- avenue. L’auto di lusso era ferma davanti all’imponente scalinata d’ingresso da più di un’ora, ma della bionda più ammirata di tutto l’Upper East Side nessuna traccia.
Nate Archibald, seduto sui morbidi sedili di pelle damascata della limousine, non riusciva a staccare gli occhi dalle porte girevoli del sontuoso albergo.
Dov’era Serena? Perché ci stava mettendo tanto? Secondo Chuck, a sua volta avvisato da Eric, la ragazza avrebbe preso la limo alle nove, e sarebbe sparita verso un college privato senza nemmeno degnarsi di salutare lui, Blair, e tutti gli altri.
Non era stata una decisione presa dalla madre di Serena come Nate aveva pensato in un primo momento, per raddrizzare la figlia sedicenne in balia di feste, alcool, e avventure, bensì, aveva detto Eric, era stata la stessa Serena a chiedere di poter lasciare l’Upper East Side senza che nessuno lo venisse  a sapere.
Nate conosceva le vere ragioni per quell’esilio volontario.
Serena stava scappando da se stessa, da lui, da Blair, e da quell’episodio che stava tormentando Nate, quanto Serena.
Di una cosa era certo: non sarebbe andata da nessuna parte senza affrontarlo.
Posato sul sedile di fronte a lui, in una fascia bianca e blu, c’era un mazzo di rose rosse.
Nate aveva le mani sudate. Tamponò il palmo sulle cosce, strette in un completo nero di Armani, mentre rimirava con ansia crescente la hall dell’hotel.
Non poteva farci niente. I ricordi di quella sera gli danzavano in testa a intervalli regolari.
Le gambe perfette di Serena strette attorno ai suoi fianchi, la morbidezza del suo seno schiacciato contro il suo petto, le sue mani delicate e sicure che gli aprivano la camicia, e poi la cintura. Il bottone dei pantaloni si era aperto arrendevole sotto quel tocco paradisiaco, poi la zip era stata abbassata, mentre Nate aveva stretto le cosce lisce e toniche di Serena per allargarle leggermente, mentre la baciava disperato, come se dalla bocca di lei dipendesse la sua vita. Quante volte aveva guardato quel corpo senza poterlo toccare?
O meglio, senza poter nemmeno pensare di toccarlo?
Serena era luna sua cara amica, ma soprattutto la migliore amica di Blair, la sua fidanzata. Eppure quella sera, durante il matrimonio di nemmeno si ricordava chi, ogni proibizione, ogni ruolo che voleva Serena fuori dalla sua portata, era svanito. C’erano stati solo loro due, i loro corpi sudati e caldi uno contro l’altro, un desiderio insaziabile di conoscersi, toccarsi. Aveva spesso fantasticato su di lei, sulla più bella ragazza che la natura avesse mai concepito, ma quello che era successo, il modo in cui lei aveva risposto alle sue attenzioni, non aveva minimamente ricalcato ciò che lui aveva sognato per tanto tempo.
Era stato molto, molto di più.
Mentre l’aveva presa nel salone abbandonato dopo la festa, sul bancone del bar, Nate aveva capito.
Amava Serena l’aveva sempre amata. Non era un capriccio, né un’attrazione passeggera o semplice desiderio carnale
Era amore.
Dopo quella notte incredibile, Nate non era più riuscito a contattarla.
Serena ne era rimasta sconvolta. Subito dopo, aveva capito della gravità di ciò che era successo. Si era abbassato il vestito, aveva preso in mano le scarpe con il tacco, ed era fuggita scalza e in preda al panico. Lui, una volta rivestito, l’aveva seguita in strada, ma la donna dei suoi sogni era già svanita su un taxi.
Erano due giorni che cercava di chiamarla, di vederla, ma niente.
Nemmeno con Blair si era fatta viva.
Questa era la sua unica chance, e Nate aveva capito di averne finalmente una, per quanto debole e inconsistente.
Che ne sarebbe stato di Blair e del loro fidanzamento programmato dalle famiglie a tavolino?
Nate non era poi così confuso in merito a questo argomento.
Credeva di amare Blair, forse la amava in un certo senso.
Il problema era che non reggeva il confronto con ciò che provava per Serena.
Come paragonare il calore sole al lieve sollievo della pioggia.
«Sei certo abbia detto alle nove?» chiese Nate all’autista.
«La Signorina Van der Woodsen è sempre in ritardo, Signor Archibald, stia tranquillo.»
Nate imprecò. Passò le mani tra i capelli pettinati all’indietro, poi si aggiustò lo smoking con aria nevrotica.
Quell’attesa lo stava uccidendo.
Le parole di Chuck gli ronzavano in testa, come un eco velenoso.
“Serena Van der Woodsen? Non devo dirti io che genere di ragazza sia! Ne trovi un milione di donne così a Manhattan. Ma di Blair, ce n’è una sola”
Chuck vedeva solo ciò vedevano tutti: la bella, e ricca ereditiera Serena, che cercava di portarsi a letto tutti gli scapoli di Manhattan.
“Tu non la conosci. Sotto quella facciata lei è la più straordinaria, pazzesca donna che io abbia mai conosciuto”
Chuck aveva alzato le spalle. Inutile dire che non era d’accordo. “Lei e i suoi riccioli biondi ti porteranno alla rovina, amico.”
Le pareti della limousine sembravano volerlo soffocare. Nate doveva uscire da lì prima di impazzire.
Fuori, lontano dall’aria viziata della limo, Nate ispirò. Voltandosi verso la grande scalinata, rimase senza fiato.
Serena era immobile in cima al pianerottolo. Dalla sua espressione confusa, era chiaro non si aspettasse di vederlo.
«Serena…» gli disse Nate agitato.
Anche a quella distanza, sentiva il profumo delicato del suo collo, della sua pelle.
Non era quello di un artificiale profumo costoso, era solo il suo odore che era capace di farlo impazzire.
«Cosa ci fai qui?» domandò lei tagliente.
Le tremava la voce. L’espressione era più spaventata che  furente.
Nate la guardò rapito. Nonostante la conoscesse da sempre, Serena aveva la capacità di incantarlo.
I lunghi capelli dorati, mossi, folti, i luminosi occhi celesti, le gambe lunghe e dritte, le curve scolpite alla perfezione da madre natura.
Era la donna più bella della terra.
«Vuoi lasciare New York?»
Avanzò verso di lei, deciso, senza pensare. Aveva preparato un discorso ad affetto ma adesso lo aveva completamente dimenticato. Serena era in grado di fargli scordare qualsiasi cosa: dall’indirizzo di casa, al proprio nome, a come si respirava.
«Non lasciare Manhattan, ti prego.»
Le prese le mani fredde e le strinse nelle sue.
Lei indietreggiò, sorpresa, stranita. Non voleva che Nate la toccasse. Perché ogni volta che la sfiorava, lei si sentiva allo stesso  tempo in paradiso e poi all’inferno.
Nate non era l’unico che non riusciva a smettere di pensare a quella sera. Anche Serena ricordava bene ogni dettaglio. Il modo con cui Nate l’aveva baciata, prima di sdraiarla sul bancone, il sorriso di Nate contro le sue labbra, mentre gli passava le braccia attorno al collo.
Ma poi avvertiva una fitta allo stomaco, come una pugnalata. Blair. Non poteva più rimanere a Manhattan e vederla. Si sentiva vile, sporca.
Serena aveva cercato di raccontarsi la scusa che se fosse stata sobria, niente sarebbe successo.
Eppure sapeva di mentire a se stessa. Era attratta dal fidanzato della sua migliore amica. E questo doveva finire subito.
«Io devo andare adesso, non ho tempo per queste cose.»
Liberò le mani. Scese i gradini di corsa cercando di raggiungere la limousine, ma Nate la seguì prontamente
«No, Serena. Non salire su quella macchina. Ascoltami.»
Nate s’infilò fra lei e la portiera aperta. Strinse i suoi fianchi tra le mani e la attirò a sé.
Poteva sentirla tremare leggermente contro di lui, così come era successo quella sera, poco prima che si rivestisse e scappasse.
«Non è stato solo sesso, nemmeno uno sbaglio. Io…dammi una possibilità, una sola. So che hai paura, e che c’è Blair di mezzo e che non vuoi ferirla. Nemmeno io lo voglio però…»
«Però lo abbiamo fatto! Come posso restare? E tu come puoi farle questo?»
La verità era che Serena odiava la sua migliore amica. Quel sentimenti si era fatto strada subdolamente, e adesso era esploso. La detestava quando la vedeva accanto a Nate, quando camminavano mano nella mano, e quando a scuola si baciavano sui gradini.
«Ma non capisci? Io vedo solo te, ho sempre visto solo te»
«È solo un capriccio. Ti passerà.»
«No, Serena, non sei un capriccio. Tu sei…dannazione, tutto. L’eccezione, l’avventura più straordinaria che mi sia mai successa, la donna più incredibile che abbia mai incontrato. Non esiste un’altra te, e non ho intenzione di trovarla in Blair. Quando lei mi bacia, io vedo te, quando rido mi volto, per vedere se la battuta fa ridere anche te. È te che vedo prima di dormire, appena sveglio. A togliermi il sonno è il tuo viso, le tue parole, e le tue carezze, non le sue. Ti prego Serena, rimani, ti prego.»
Nate era senza fiato.
Ma capì immediatamente che stava perdendo terreno.
«Io non provo lo stesso per te. Mi dispiace, io…non ti ho mai visto in quel modo. Se non avessi bevuto troppo, non sarebbe mai successo» mentì.
Se fosse rimasta il senso di colpa non le avrebbe dato pace. Doveva mettere distanza tra lei e quell’istinto devastante che le diceva di volere Nate a tutti i costi. Il tempo avrebbe spazzato via quei pensieri e fatto tornare tutto com’era prima.
Lo sguardo di Serena cadde sulla bocca rosea di Nate.
Sapeva di cosa erano capaci quelle labbra, così languide, umide, piene. Tra di esse la sua lingua calda che le scorreva sul profilo del collo, poi più giù tra il solco dei seni.
Ecco cistava pensando di nuovo. Era quello il motivo per cui non poteva restare.
Serena si scostò bruscamente e lo spinse nervosa.
«Adesso basta, te ne devi andare.» Nate la prese per la vita, schiacciandola bruscamente contro l’auto.
«Dimmi che non te importa niente, che quella notte è stato un errore, che non pensi a me quanto io penso a te. Voglio sentirtelo dire.» Nate prese fiato. «Che adesso non stai scappando da New York perché non fai altro che pensare a noi due su quel bancone, insieme. Vuoi troppo bene a Blair per ferirla. Ma mi vuoi, quanto io voglio te.»
Serena non riuscì a opporre resistenza quando Nate la baciò con impeto. Lasciò che il suo sapore le incendiasse il sangue per l’ultima volta. La sua lingua le aggredì bocca, insinuandosi prepotentemente tra le sue labbra. La schiacciò tra il suo corpo e la limousine, ricordandole come era stato, e come sarebbe stato se solo lei avesse detto sì. Nate la strinse possessivo, sfregandosi contro di lei per un istante, mentre il mondo prendeva fuoco.
Ma poi la magia finì. Lei gli afferrò le spalle e lo staccò da sé.
«Non me importa niente di quella notte» Prese coraggio e terminò quella frase kamikaze. «Io non ti voglio Nate.»
«Tu menti.»
Sconfitto Nate si scostò. Chuck aveva ragione in parte.
Come aveva potuto credere di fermare Serena?
Però di una cosa era certo. Stava mentendo.
«Sei confuso Nate. Torna a casa, torna da Blair.»
Serena buttò la borsa sul sedile della limo, ma le parole di Nate la bloccarono prima che salisse a bordo.
«Io so che menti. E sai perché?» fece una pausa.
«Il tuo battito cardiaco, qui, contro il mio petto. Adesso, come quella sera».
«Dimentica tutto.» gli ordinò con la voce spezzata.
Si infilò nell’abitacolo e alzò gli occhi lucidi su Nate.
«E tu? Dimenticherai tutto?»
Serena non gli rispose. Si voltò dall’altra parte.
Nate aspettò, ma il discorso era finito.
Prese la portiera e l’accostò, chiudendo la limousine.
«Vai» ordinò all’autista battendo sul tettuccio rassegnato e sconfitto
Il veicolo si mise in moto. I finestrini oscurati gli impedivano di guardare dentro.
Avrebbe voluto vederla ancora, per l’ultima volta.

 
 

“Avvistata: Serena Van der Woodsen lascia l’Upper East side in fretta e furia
Per non farne ritorno.
Sembra che una grossa nuvola nera di none Blair Waldorf abbia oscurato la sua luce.”

 
«Tona indietro…torna indietro…torna indietro…» sussurrò Nate rivolto all’auto.
Nate visse quei pochi secondi come una scena a rallentatore. Sembrava uno di quei film, dallo scontato finale tragico. L'eroe viene riufiutato dalla Bella. E poco dopo lei se ne va,lasciando la città su un auto che la porterà lontano dalla sua vista, e ancora di più dal suo cuore. La limo sparì dietro la curva. Era finita. Se ne era andata.
Sarebbe mai tornata?
Si sedette sui gradini dell’albergo incapace di razionalizzare il suo stato emotivo.
Aveva sempre odiato il modo di dire “avere il cuore spezzato”.
Non riusciva a muoversi. Tutto sembrava spento, triste, buio. Sentiva qualcosa al centro del petto, come una scheggia dolorosamente conficcata nel cuore.
Se n’è andata. Non tornerà.
Si sentiva vuoto, perso, smarrito. Forse il suo cuore era veramente spezzato? Poteva succedere veramente?
Nate non avrebbe mai scelto di amare Serena. Non così in questa maniera disperata.
Come aveva potuto lasciare che accadesse?
Era certo che ormai non avrebbe potuto fare più niente per mettere insieme i pezzi.
Amava Serena  Van der Woodsen e l’avrebbe sempre amata
.

 

“E Nate Archibald cosa farà? Inizierà ad amare la pioggia?
O resterà accecato dal riflesso dorato della bella Serena?
 
Una cosa è certa miei cari amici, dopo un brutto temporale
il sole torna sempre a ricordarci che, senza di lui, saremmo persi."

XOXO Gossip Girl

  
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