Anime & Manga > Full Metal Alchemist
Segui la storia  |       
Autore: Laylath    18/04/2013    2 recensioni
Che cosa sarebbe successo a tutti loro? Potevano continuare a proteggersi a vicenda?
In poche ore gli uomini di Mustang ricevono l'ordine di trasferirsi negli angoli più pericolosi del paese: gli scacchi vengono allontanati dal loro re.
E' il pedone che, in poche ore, deve fare i conti con le paure e i dolori della separazione e alcuni tremendi sospetti; perché ogni pezzo è indispensabile alla vittoria finale.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Team Mustang
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
- Questa storia fa parte della serie 'Military memories'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Circa un mese dopo, nel primo pomeriggio, il treno si fermò alla stazione per cinque minuti. Giusto il tempo di caricare i sacchi della posta e qualche altro pacco: a quella fermata raramente scendeva qualcuno.
Ma questa volta da un vagone scese un soldato. Si guardò intorno, come a riprendere confidenza con un posto che non si vede da tanto tempo, poi si mise in spalla la sacca marrone e uscì dalla piccola stazione.
Irsukya, nemmeno settanta chilometri da East City.
Un paese di qualche centinaio di anime, diverse delle quali vivevano sparse nella campagna circostante. Nell’agglomerato di case che costituiva il paese vero e proprio stavano gli uffici, alcuni negozi, qualche pensione, ma non era un posto che richiamava la gente. La maggior parte degli estranei l’avrebbe definito monotono.
Kain Fury respirò a pieni polmoni quell’aria monotona, pulita e familiare.
Si incamminò per la strada principale, salutando di quando in quando qualche viso conosciuto e notando i pochi dettagli che erano cambiati da un anno a questa parte.
Per esempio la signora della merceria aveva cambiato la vecchia insegna verde scuro per sostituirla con una gialla; nel bar davanti alla piazza i tavolini avevano una posizione un po’ diversa… però il vecchio signor Adam, suo professore alle scuole elementari, come ogni pomeriggio, era lì a leggere il giornale.
“Buongiorno, professore!” lo salutò
“Buong…oh! Chi si vede! Ciao Kain!”
“Come sta?” domandò il ragazzo facendosi avanti
“Bene, bene… ma guardati con questa divisa sembri così grande. Mi sembra ieri che ti chiamavo alla lavagna per risolvere i problemi di matematica”
“Lei invece è sempre lo stesso, signore”
“Tutto bene nell’esercito? Sei sempre a lavorare con le tue radio, spero”
“Sì signore, tutto bene. Mi sono preso un paio di giorni di permesso: era tanto che mancavo da casa”
“Hai fatto bene. I tuoi genitori saranno molto felici. Guarda, se vai al capannone trovi tuo padre a lavorare su alcuni progetti per il vecchio ponte: ci sono passato proprio poco fa.”
“Davvero? Grazie signore, vado subito! Le auguro una buona giornata!” esclamò Fury prendendo congedo.
Il capannone era uno dei punti vitali per la piccola comunità. Si trattava di un grande edificio, appena fuori l’agglomerato di case, dove a turno tutti svolgevano qualche compito e dove in genere ci si riuniva per prendere decisioni che riguardavano il paese: un’annata andata male, l’organizzazione di qualche festa, delle riparazioni da fare. Anche Fury aveva spesso dato una mano quando era ragazzo: la sua bravura con l’elettronica era stata di grande aiuto.
 Entrato nell’edificio, si guardò intorno: dalle grandi finestre alle pareti entrava una piacevole luce che illuminava quel grande pavimento di terra battuta dove stavano diversi tavoli e panche. Con sorpresa vide che non c’era nessuno: forse erano tutti andati al vecchio ponte.
“Kain?” chiamò invece una voce dietro di lui
Il sergente si girò di scatto lasciando cadere la sacca.
“Papà!” esclamò buttando le braccia al collo del genitore.
Andrew Fury era un uomo sui quarantacinque anni, con i capelli castani con appena qualche filo di grigio, e gli occhi castani. In genere non si lasciava andare a gesti d’affetto plateali, ma in quel momento la cosa non aveva importanza e strinse a sè il figlio.
“Figlio mio – mormorò con gli occhi lucidi scostando il giovane da sè per poter guardare quel viso dai lineamenti così simili ai suoi, sebbene meno marcati – fatti vedere… un anno… un anno intero!”
“Mi dispiace, papà – rispose Fury asciugandosi una lacrima – avrei voluto venire prima.”
“Non importa, figliolo – disse l’uomo dandogli colpetti affettuosi sulla guancia – l’importante è che sei qui… anche se ti aspettavamo per domani, come ci avevi detto al telefono”
“Ho voluto farvi una sorpresa: – sorrise Fury – domani arriveranno i miei compagni. La mamma voleva tanto conoscerli”
“Sì sì, lo so. Tua madre si sta dando da fare a casa per preparare l’accoglienza per te e i tuoi amici. Sono venuto qui perché lo sai come è fatta: quando c’è qualche evento speciale non bisogna disturbarla… figurati se questo evento è il tuo ritorno”
“Credi che per me farà un’eccezione e non mi butterà fuori di casa?” ridacchiò Kain
“Ti butta fuori di casa se sa che sei rimasto qui a parlare con me invece di correre subito da lei. Fila a casa, signorino: hai già perso troppo tempo. Abbiamo diversi giorni a disposizione per parlare.”
“Sissignore! – esclamò Fury dando un ultimo abbraccio al padre e correndo fuori dal capannone – A stasera, papà!”
 
La sua casa si trovava oltre un piccolo boschetto, a circa mezz’ora di cammnino dalla città. Era stata costruita dai suoi bisnonni e poi suo nonno e suo padre l’avevano ulteriormente ampliata. La vista di quei muri bianchi e delle imposte blu scuro fece galoppare forte il cuore al sergente.
Le finestre delle camere degli ospiti erano aperte: evidentemente sua madre le stava facendo arieggiare in previsione dell’arrivo di Havoc, Breda e Falman. Anche camera sua aveva le imposte aperte: proprio davanti c’era il grande albero che spesso aveva usato per uscire clandestinamente da casa e andare in giro per la campagna a osservare le meraviglie della natura.
Chissà se nel suo piccolo rifugio personale era tutto in ordine: sarebbe dovuto andare nel cortile di dietro a controllare, ma per quello c’era tempo.
Entrò silenziosamente in casa, dopo aver lasciato la sacca fuori dalla porta. Chiuse gli occhi e respirò a pieni polmoni l’odore del pavimento di legno, della cenere del camino, della tovaglia fresca di bucato, dei fiori di campo sul vaso sopra il tavolo.
Profumo di casa… quanto l’aveva desiderato a Central City, nella trincea, nel corridoio di Radio Capital.
Ma tutto questo improvvisamente non contò più perché udì una voce femminile cantare una vecchia canzone che lui ricordava sin dai primi anni della sua vita e che l’aveva cullato tante volte mentre si addormentava.
Cercando di controllare le lacrime, si diresse verso la cucina: la porta era aperta e si fermò ad osservare la figura di spalle che armeggiava sopra il tavolo.
Ellie Fury se aveva un dono era quello di saper cucinare: suo marito diceva che Kain aveva ereditato la bravura della madre nel destreggiarsi con gli ingredienti e l’aveva applicata all’elettronica. Da piccolo Fury aveva passato ore ed ore seduto a quel tavolo ad osservarla cucinare, ad assaporare gli odori e i sapori, a bearsi della voce che gli raccontava favole, gli spiegava le ricette o semplicemente cantava come in quel momento.
La donna indossava il solito vestito azzurro, con l’immacolato grembiule bianco legato dietro. Aveva da poco superato la quarantina, ma i capelli erano nerissimi e ribelli, come quelli del figlio, raccolti in una folta treccia che cadeva sulla schiena, mentre un nastro rosa teneva quelli troppo corti dietro il viso.
“Andrew, sei tu? – chiamò improvvisamente senza girarsi e senza smettere di lavorare – Mi potresti fare un favore? Dovresti andare in dispensa e prendermi un po’ di farina: questa non mi basta. Ho le mani piene d’impasto: sai, sto facendo la torta preferita di Kain così, se domani mattina arriva senza aver fatto colazione, la troverà pronta… credi che la gradirà?”
Fury sorrise e le andò dietro abbracciandole la vita sottile e posando la guancia sulla sua
“Come potrei non gradirla?” chiese dolcemente
La donna si irrigidì e passò qualche secondo prima che riuscisse a voltarsi.
Guardandoli faccia a faccia si capiva perfettamente da chi il giovane avesse ereditato quella delicatezza infantile che spesso lo faceva sembrare più piccolo di quanto in realtà fosse. Ma il tratto che accomunava maggiormente madre e figlio erano gli occhi: identici per taglio e colore, anche se lei non portava gli occhiali.
“Ciao mamma” mormorò il soldato con la voce rotta dalla commozione, prendendole il viso tra le mani e baciandola teneramente prima in fronte e poi sulle labbra.
“Kain – mormorò lei iniziando a piangere – oddio tesoro, come sei bello”
“Tu sei bellissima, mamma, come sempre” ribattè Fury abbracciandola come solo un figlio poteva fare, come aveva promesso alla signora Bradley tempo fa… come avrebbe fatto in ogni caso.
“Bambino mio” sussurrò la donna stringendolo finalmente a sé e sporcandogli d’impasto la divisa e i capelli neri.
Rimasero stretti per diversi minuti, piangendo entrambi, godendo di quel contatto fisico che suggellava il loro strettissimo legame. Quel legame che mesi prima aveva portato un soldato a invocare la madre quando, nella trincea, la morte stava protendendo le mani su di lui e per il quale una donna, ogni sera, aveva pregato le stelle di proteggere la creatura che aveva messo al mondo con il gesto d’amore più profondo che l’umanità può concepire.
“Oddio, ma guardati: hai più farina tu addosso che la torta – constatò lei con un sorriso, quando alla fine si staccarono, asciugandosi le lacrime col grembiule,– Conviene che vai a farti un bagno caldo e a metterti qualcosa di pulito… E poi sei arrivato in anticipo, non ho pensato a niente per la cena…”
“Qualsiasi cosa andrà benissimo, quindi non iniziare a mettere sottosopra la cucina” sorrise Fury prendendo con l’indice un po’ d’impasto che aveva nella divisa e deponendolo sulla punta del naso materno
“D’accordo, – rise la donna ricambiando il gesto – ma adesso fila a lavarti, forza! Metti la divisa nel cesto della roba sporca: ci penserò dopo. Io termino di preparare qui in cucina e poi controllo se in camera tua è tutto in ordine”
“Agli ordini, mamma” annuì docilmente dandole un bacio sulla fronte
“Bentornato a casa, pulcino mio” mormorò lei posandogli la mano sulla guancia
 Con un sorriso il sergente si girò e corse verso la sua stanza
“Kain, aspetta! – gli gridò dietro sua madre mentre era già sulle scale – E i tuoi amici?”
“Arrivano domani!” rispose lui di rimando
 
Il suo piccolo rifugio era accogliente come sempre, con le sue prime radio sistemate sulle piccole mensole assieme a decine e decine di attrezzi. Quella notte però, dopo cena, non si era interessato alle apparecchiature elettroniche, ma aveva steso una coperta sul pavimento e si era sdraiato supino, con le braccia incrociate dietro la testa, ad osservare il firmamento dal lucernario sul tetto.
C’era una tranquillità così profonda… probabilmente domani con l’arrivo dei suoi compagni l’atmosfera sarebbe diventata più caotica, quindi era meglio godersi quella pace così dolce e purificante.
La porta che si apriva gli fece distogliere lo sguardo dalle stelle.
“Ciao mamma” salutò a voce bassa senza cambiare posizione
“Tuo padre è andato a dormire. – disse la donna con uno scialle di lino sopra l’abito, a proteggerla dal freddo leggero di fine primavera. – Ed io sono venuta a portarti un’altra coperta: ti conosco troppo bene e so che ci sono ottime possibilità che ti addormenti qui invece che in camera tua.”
“Grazie mamma, sei un tesoro”
“E tu invece sei uno sconsiderato… vestito così leggero. Non siamo ancora in estate, Kain Fury” lo rimproverò bonariamente inginocchiandosi accanto a lui e sistemandogli la coperta addosso.
“Ma come, torno a casa dopo tanto tempo e tu non perdi tempo a rimproverarmi?” chiese lui facendo un finto broncio
“Eh, piccolo furbo… sempre bravo a fare gli occhioni da cucciolo, vero? – chiese portandosi le mani ai fianchi. Poi sorrise – Sei davvero incorreggibile… che dici, mi ospiti un po’ nel tuo rifugio?”
Senza dire niente Fury si spostò di lato nella coperta e lasciò spazio affinchè la donna si sedesse al suo fianco. Rimasero qualche minuto a guardare le stelle, godendo della reciproca presenza, e poi lui disse
“Non riesco proprio ad immaginare un cielo senza stelle”
“Nemmeno io… le guardo ogni notte chiedendo loro di proteggerti, sin da quando sei nato”
“E quando il cielo è nuvoloso come fai?”
“Prego le stelle dentro il mio cuore” rispose con semplicità la donna, posando la mano sulla fronte del figlio e salendo ad accarezzargli i capelli.
Fury sorrise, si levò gli occhiali e si girò di fianco sistemando la testa sul suo grembo, come era solito fare sin da bambino. Forse ad un soldato quell’atteggiamento così infantile non si addiceva, ma lui non si era mai vergognato di qualsiasi gesto d’affetto nei confronti dei suoi genitori, soprattutto di sua madre
“Sono successe tante cose in quest’anno, pulcino mio, vero?” chiese la voce materna dopo qualche minuto
“Mamma, io…” disse cercando le parole giuste per iniziare.
“Kain, non c’è bisogno di dire niente, ti prego…”
Fury non ribattè: le parole di sua madre non lo sorprendevano. Se c’era una persona che poteva guardare dentro la sua anima era lei: aveva visto i suoi occhi aprirsi per la prima volta, pochi minuti dopo che era nato, illuminarsi di gioia e di curiosità mentre cresceva e scopriva il mondo. Aveva visto le paure, i piccoli grandi dispiaceri che glieli facevano diventare più cupi… e non aveva avuto difficoltà a scoprire le ferite che portava adesso e che prima non c’erano.
E poi che senso avrebbe avuto parlarle di homunculus, sangue, anime? C’erano nuove ferite e sapeva che non potevano essere curate: potevano solo essere accettate… non era necessario che lei sapesse cosa le aveva causate.
Invece lui sapeva benissimo cosa aveva provocato quelle piccole increspature nel profondo degli occhi materni e che lei cercava di nascondere con il dolce sorriso. Lei sapeva… sicuramente al telefono aveva capito immediatamente che gli stava nascondendo molte cose; ma soprattutto era il suo amore che le aveva fatto intuire che in quei mesi lui era andato più volte vicino alla morte e che angoscia e dolore l’avevano accompagnato nella sua avventura. Ma nonostante tutto non gli aveva mai fatto pesare le sue ansie, anzi l’aveva incoraggiato ed era rimasta ad attenderlo.
Questo lo fece sentire incredibilmente colpevole: provocare dolore a sua madre era la peggior cosa che potesse concepire. Avrebbe fatto di tutto per espiare questa colpa che gli pesava nel cuore, ma le uniche parole che riuscì a mormorare furono:
“Mi dispiace, mamma. Anche se non lo dici, lo so che ti sei preoccupata moltissimo per tutto questo tempo. Perdonami per averti fatto stare così in pensiero.”
Sentì la mano che gli accarezzava i capelli stringersi un attimo su una ciocca e percepì la tensione sul corpo materno: d’impulso strinse le mani sulla stoffa del vestito azzurro e si accoccolò ancora di più a lei, affondando il viso nel suo grembo, cercando in quel contatto un conforto per entrambi.
“Adesso sei a casa, al sicuro, insieme a me. Va tutto bene… non c’è niente da perdonare, tesoro mio.” sussurrò la donna rilassandosi di nuovo e posando l’altra mano sulla guancia del figlio, proprio dove, fino a qualche settimana prima, c’era il taglio.
I loro respiri tornarono normali: bastavano poche parole. Il resto veniva fatto tutto da quei semplici gesti d’amore che spazzavano via tutte le paure e i dolori che avevano passato e concedevano ad un figlio il conforto di cui aveva disperatamente bisogno.
“Mamma…” mormorò il ragazzo dopo un po’ di silenzio
“Dimmi”
“Niente… è solo che avevo voglia di chiamare il tuo nome”
Non in un momento di disperazione e d’angoscia, non nella morte di una trincea… ma adesso, nella pura e semplice gioia di saperti qui accanto a me. Perché sei tu il mio vero rifugio, la meta a cui la stella polare mi riporterà sempre.
E rimase così, con gli occhi chiusi, cullato da quelle carezze, sentendo che un profondo sonno lo stava per avvolgere: e sapeva che per la prima volta in un anno sarebbe stato incredibilmente sereno.
“Dormi tranquillo, bambino mio, – furono le ultime parole che udì prima di assopirsi  – le stelle ti proteggono sempre, anche nei momenti peggiori. In fondo, sotto questo bellissimo cielo, anche la semplice preghiera di una madre può trovare esaudimento.”
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Full Metal Alchemist / Vai alla pagina dell'autore: Laylath