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Autore: mangagirlfan    20/04/2013    2 recensioni
[...]Da un po' di tempo la nostra università ospitava dei corsi per stranieri che venivano fin in Giappone per imparare la Lingua. Se ne trovavano di tutti i gusti, dagli americani, ai norvegesi e persino indiani. Da un paio di giorni avevo notato una ragazza, non troppo vistosa, se non fosse stato per la lunga chioma rossa da irlandese. Era palesemente tinta, si notava la ricrescita di almeno un paio di settimane. E proprio quel giorno era lì, seduta con altre quattro persone. Fissava i suoi compagni con occhi sgranati, quasi fosse in alto mare, lo sguardo che vagava da uno all'altro, così velocemente che, ne ero certo, le sarebbe venuto il mal di testa.
"Ma porcaccia!" la sentii esclamare d'un tratto in mezzo a tutto quel trambusto, attirando l'attenzione di non poche persone "parlate più piano, per la miseria! Voi siete in quattro, ed io ho solo due orecchie! Non riesco a seguire i vostri discorsi, andate troppo veloce!" [...]
Genere: Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Akira Sendoh, Hanamichi Sakuragi, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Una cosa scritta così, a caso. Doveva essere un'altro tipo di fiction, totalmente u.u doveva avere come protagonista Hanamichi ed alla fine è venuta fuori sta cosa XD è stato divertente però XD mi sono basata sui racconti di mie amiche che sono state in Erasmus e anche di una mia conoscente che è andata in Giappone a studiare XD quindi prendetela con leggerezza, senza troppe pretese e divertitevi mentre le leggete^w^ Buona lettura <3



Erasmus


Da un po' di tempo la nostra università ospitava dei corsi per stranieri che venivano fin in Giappone per imparare la Lingua. Se ne trovavano di tutti i gusti, dagli americani, ai norvegesi e persino indiani. La mensa, era diventata uno strano assemblaggio di gente da tutto il mondo, con lingue che non avevo mai sentito in vita mia. Erano pochi quelli che parlavano tra di loro in giapponese, mentre cercavano di capire cosa diavolo succedesse attorno a loro.
Da un paio di giorni avevo notato una ragazza, non troppo vistosa, se non fosse stato per la lunga chioma rossa da irlandese. Era palesemente tinta, si notava la ricrescita di almeno un paio di settimane. E proprio quel giorno era lì, seduta con altre quattro persone. Fissava i suoi compagni con occhi sgranati, quasi fosse in alto mare, lo sguardo che vagava da uno all'altro, così velocemente che, ne ero certo, le sarebbe venuto il mal di testa. Erano tutti Giapponesi quindi era comprensibile il disagio che stava dimostrando, aprendo la bocca un paio di volte, senza dire nulla.
"Ma porcaccia!" la sentii esclamare d'un tratto in mezzo a tutto quel trambusto, attirando l'attenzione di non poche persone "parlate più piano, per la miseria! Voi siete in quattro, ed io ho solo due orecchie! Non riesco a seguire i vostri discorsi, andate troppo veloce!" finì lì, facendo ridere non poche persone. Non se ne curò, prestando solo attenzione a quello che diceva un'altra ragazza - tra l'altro molto carina - la quale si stava scusando con un grande sorriso. La finta rossa fece un mezzo sorriso, dando una pacca sulla spalla della compagna, continuando a seguire concentratissima ogni minima parola. Tornai a mangiare il mio pranzo, per i fatti miei.
Per un po' non vidi più quel tipetto che mi ricordava davvero tanto Hanamichi, anche se soltanto per il colore dei capelli. La re-incontrai un mese dopo, giorno più, giorno meno. Era venuta al mini market in cui lavoravo di notte, i capelli legati alla meno peggio e due occhiaie da far spavento. Doveva essere sotto esame, in quel periodo. Subito manco mi guardò in faccia, troppo rincitrullita dal sonno e dalla mancanza di caffè. Poi, quando alzò lo sguardo, cominciò a fissarmi come se stesse facendo una ricerca approfondita nella memoria, come un calcolatore che fa fatica anche a fare due più due. Alzò un dito, si spostò una ciocca da davanti al naso e poi fece uno strano sorriso.
"Io ti conosco." biascicò "ti ho visto nella mensa della mia università. Sei un frequentante serio?"
Probabilmente non aveva trovato le parole giuste da pormi perché si grattò la testa, alzò un indice, aprì la bocca  e la richiuse.
"Forse mi sono espressa male. Se mi dai un minuto ingrano meglio."
Mi limitai a ridere, osservandola mentre cercava nella sua povera mente annebbiata dalla stanchezza le parole da dire senza sembrare troppo stupida.
"Tranquilla. Anche io quando sono troppo stanco connetto poco."
Mi sorrise con gratitudine, limitandosi alla fine a passarmi le cose che aveva comprato, gli occhi che le si chiudevano, il corpo che traballava perché rischiava di addormentarsi da un momento all'altro. Mi passò i soldi che mi doveva e sorrise ancora.
"Grazie. Comunque mi chiamo Irene. Magari ci si becca ancora."
"Prego. Chissà, frequentiamo lo stesso istituto, non sarà difficile. Io mi chiamo Akira. Buona notte e torna a trovarci."
Queste furono le mie ultime parole osservandola uscire dal negozio traballando come un budino di gelatina mentre rischiava di andare a sbattere contro un muro.


La rividi dopo qualche giorno, intenta a leggere un libro, il naso incollato alle pagine bianche e tutte scritte in piccolo. Nemmeno si accorse della mia presenza, fino a quando non mi sedetti vicino a lei. A quel punto alzò piano la testa, cominciando da prima a fissarmi con la coda dell'occhio per poi girarsi di scatto, gli occhi verdi che mi guardavano sicuri. La sua espressione si fece poi più rilassata quando capì chi ero.
"Tu sei l ragazzo del mini market." disse, puntando il dito indice e continuando a muoverlo come se fosse una bacchetta. "Akira, giusto?"
Mi limitai ad annuire.
"E tu sei… Ilene, ho detto giusto?"
"Ma voi giapponesi riuscirete a dirlo giusto il mio nome, prima o poi?" esclamò, ridendo, per poi ripetermi la giusta pronuncia un paio di volte.
Cominciammo a parlare un po', del più e del meno. Era simpatica ed aveva un bel caratterino focoso. Non era il mio tipo, però era interessante parlarci. Le chiesi un paio di cose, sul perché fosse venuta in Giappone e cose del genere. Mi raccontò che studiava lingue e giapponese solo da un anno. Che in Italia l'aspettava il suo fidanzato - questo l'aveva subito messo in chiaro, a quanto pareva conosceva la mia fama - e che faticava ancora ad adattarsi al fuso orario.
"Senti" le chiesi "Ma perché ti tingi?" quella domanda la lasciò un po' interdetta. Reclinò la testa e fece spallucce.
"Perché sono stufa che mi si dia della stupida a causa del colore dei capelli."
Subito non capii il nesso. Poi mi racconto che in realtà era bionda naturale. Un biondo non tanto chiaro, ma comunque biondo. Che in Italia in tanti facevano il collegamento: ragazza bionda uguale a stupida. Così, per essere presa sul serio si era tinta. I capelli neri non se li sognava proprio. Con la carnagione cadaverica che aveva sarebbe sembrata Mortisia degli Adams - dovette spiegarmi chi fossero, non erano mai stati molto famosi in Giappone - ed il castano non le piaceva molto. Troppo comune aveva detto. Così si era fatta rossa. Aveva scoperto di non starci così male qualche tempo prima, quando l'avevano costretta a mettersi una parrucca con un colore simile e poi al suo ragazzo piaceva, dopotutto. Doveva solo aspettare che le arrivasse l'henné dall'Italia - non ci pensava nemmeno di cuocersi la testa con tinte chimiche - assieme ad un'altra serie di cose che aveva lasciato là e la ricrescita non si sarebbe più vista. Poi con le efelidi sul naso e gli occhi verde scuro poteva benissimo passare per rossa naturale.
Continuammo quella chiacchierata senza troppe pretese, parlando del più e del meno. Io più che altro le domandavo come fosse l'Italia, visto che non c'ero mai stato, e lei faticava  a descrivermela a causa della poca conoscenza della lingua. Ogni tanto ci infilava dentro qualche parola in inglese ed io le davo il corrispettivo in giapponese.
"Comunque sei piuttosto brava, nonostante studi solo da un anno."
"Beh, diciamo che io ho barato."
"Barato?" le chiesi, alzando le sopracciglia fin quasi a toccarmi l'attaccatura dei capelli.
"Ho un amico giapponese con cui mi sento fin dai primi anni del liceo. Ho sempre avuto la fissa per le lingue, così cominciai a girare un po' su internet e lo incontrai un po' per caso. Prima si parlava solo in inglese. Poi gli ho chiesto di insegnarmi il giapponese. Così io ho cominciato a studiarla così, un po' a… in italiano si dice - fece il segno delle virgolette con le dita - a fuffa, che vuol dire a caso. E lui ha imparato un po' di italiano. E' stato divertente. E soprattutto utile, sono molto più avanti rispetto ai miei compagni di corso. Infatti sono l'unica del primo anno che è partita per il Giappone. Diciamo che sono venuta in avanscoperta. Altri ragazzi della mia università che posso trovare in giro sono tutti più grandi di me."
"E dimmi, questo ragazzo è di qui? Di Kanagawa?"
Fece di sì con la testa, ridacchiando.
"Sì, ed è anche davvero un bel tipo. Mi racconta sempre le sue disavventure e poi è appassionatissimo di basket, come il mio ragazzo. Anche se a dirla tutta quella fissa gliel'ho passata io. A Daniele, sia chiaro. E poi è da lui, il mio amico, che ho preso l'idea dei capelli."
A quell'esclamazione cominciai a sbattere le palpebre un paio di volte. Presa da lui?
Forse capì cosa mi passava per la testa perché si mise a ridere, scuotendo il capo, spostando da davanti agli occhi qualche ciuffo ribelle.
"Anche il mio amico ha i capelli rossi. E forse lo conosci pure tu. Si chiama Hanamichi, ha dovuto smettere di giocare a basket per un po' a causa di un'infortunio. Qualche volta mi ha parlato di te."
Credo che l'espressione che feci fu decisamente esilarante. Perché cominciò a ridere e non smise più per tanto, tanto tempo.


"Sei in ritardo."
Irene detestava i ritardi. L'avevo capito a mie spese qualche domenica prima, quando l'avevo portata a fare un giro per i dintorni. "Hanamichi deve studiare, è indietro con gli esami. Gli ho detto che fino a quando non li passa mi vedrà solo in sogno. Oppure in fotografia, come preferisce." così era toccato a me farle da chaperon. E si era infuriata come un gatto nevrotico per soli quaranta minuti di ritardo.
"Dai, lo sono solo di dieci minuti." le risposi, facendole uno dei miei solito sorrisi sornioni, che purtroppo su di lei non sortivano alcun effetto.
"Se mi facevi aspettare altri trenta minuti come l'altra volta, vedevi cosa ti facevo. Io non so arrivarci, al bar dove ho concordato con Hanamichi di vederci. Faccio ancora fatica ad orientarmi senza un cavolo di nome ai bordi della strada, non è come in Italia. Non ci sono abituata."
Risi. Lei ed il senso dell'orientamento erano due cose a sé stanti. Le feci un lieve cenno con la testa, per indicarle dove andare. Si limitò a sbuffare, scrollando la testa e cominciando ad incamminarsi. Non vedeva l'ora di incontrare il rosso dal vivo, si conoscevano da almeno cinque anni ed ancora non avevano avuto la possibilità di vedersi. Era comprensibile quella sua agitazione e la voglia di arrivar presto. Però aveva un passo così svelto che facevo fatica a starle dietro, nonostante avessi le gambe decisamente più lunghe delle sue.
"Sbrigati!" mi aveva detto un paio di volte, saltellando sul posto per non perdere il ritmo. Era buffa, sembrava una bambina che voleva andare al parco giochi. "E non mi guardare con quell'espressione se no giuro che ti tiro una scarpa in testa!"
Continuai a ridere per tutto il tragitto, facendola innervosire ad ogni mio ghigno. Era divertente stuzzicarla ma appena notò in lontananza la testa altrettanto rossa di Sakuragi fu come se fossi sparito dalla circolazione. Non capivo un tubo di quello che diceva - probabilmente parlava in italiano ed Hanamichi le rispondeva, biascicando e strascicando le parole, certo, ma le rispondeva. Sembravano due ragazzini delle elementari che non si vedevano da prima delle vacanze estive.
Quando il rosso mi vide fece la sua solita faccia da "puoi dire o fare quello che vuoi, sono meglio di te" per poi tornare a fare lo scemo dopo neanche due nano secondi. Devo ammettere che era una buona compagnia, dopotutto. Si era trascinato dietro un paio di amici - sia vecchi che nuovi - alcuni più tranquilli, altri della sua stessa pasta. Passammo una serata incasinata, una di quelle che non mi capitavano ormai da tempo purtroppo. Irene sorrideva soddisfatta, rigenerata da quell'incontro che programmava da mesi e che purtroppo non erano riusciti ad organizzare a causa di motivi logistici.
"Sai" esordì di punto in bianco, alzando leggermente la testa verso l'altro, le braccia tenute dietro la schiena "Sono felice che sia venuto anche tu. Mi ricordi un po' mio fratello. Però tu sei più simpatico. Mi mancava quest'aria che sa di… casa ecco. Comunque sappi che questa sarà la prima di molte serate del genere. E potrai dirmi di no solo quando avrai da lavorare. O dovrai studiare per un esame."
Feci un'espressione davvero stupita in quel momento. Non mi aspettavo un commento del genere che, dopotutto, mi faceva piacere. Mi grattai la testa, i capelli ingellatissimi che vincevano la gravità dopo due secondi che ci avevo passato sopra la mano.
"Non so se prenderlo come un complimento, quello del fratello."
"E' un complimento."
Non disse più niente, continuando a camminare verso il dormitorio.


I mesi successivi trascorsero terribilmente in fretta. Secondo Irene troppo in fretta. Tra lei e Sakuragi ne passai di tutti i colori, soprattutto quando cercavamo - invano - di insegnarle qualcosa di pratico sul basket. Eppure, tutto quel frastuono che fino a poco tempo prima non faceva parte del mio quotidiano, era piacevole. E quando tutto finì, beh, non fu certo un festa. Irene era una studentessa Erasmus, dopotutto. Faceva di tutto per non farsi vedere in faccia quando succedeva ma man mano che il giorno della partenza si avvicinava, lei si faceva tremendamente scura in volto, gli occhi lucidi al pensiero di non poterci vedere più. Certo, era entusiasta all'idea di riabbracciare tutte le persone che aveva lasciato a casa - soprattutto il suo ragazzo - ma comunque, ce lo diceva spesso, le saremmo mancati terribilmente.
Ora ci sentiamo spesso via mail e grazie a facebook so più o meno cosa le succede anche se non capisco un tubo di quando scrive in italiano.
Ha ottenuto la laurea breve ed ha già cominciato la specialistica. In questo è molto più brava di me. Sono troppo pigro, per certe cose, ma nonostante tutto me la cavo. Le ho promesso che io e Hanamichi andremo trovarla quest'estate. Dovreste vedere il rosso come s'impegna nel basket e nello studio per cercare di mantenere la sua borsa di studio - se la sua media scende troppo ciao ciao e tanti saluti, il viaggio in Italia non si fa per mancanza di soldi.
Ogni tanto penso alla sera in cui ci siamo presentati. A lei distrutta per un esame, dentro quel mini market, traballante come un budino di gelatina, e sorrido.
A volte, la vita, ti riserva sorprese ed amicizie che non ti saresti minimamente sognato di avere.






 

   
 
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