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Autore: Hoel    20/04/2013    15 recensioni
"Koukou tout le monde …
Si può?
Mi chiamo Camus (come il grande Albert !) Molinier e sì lo so, mostruosa allitterazione della “m”, tanto da valermi sia a casa, che a scuola il nomignolo di “Momus” con mio sommo chagrin, anche perché sembra più un appellativo da gatto, che da essere umano, non vi pare?
Ho diciassette anni e mezzo, quasi diciotto, e quest’anno sto felicemente veleggiando verso il sospirato bac littérature, [...] Bien, credo che possiamo incominciare, no? Spero di non avervi annoiato con questa mini presentazione del sottoscritto, ma sapete, espediente narrativo, giusto per chiarire che sì, sarò io a raccontarvi questo doloroso dramma."
***
Per ogni studente francese che si rispetti, il bac o bacalauréat è sinonimo di libertà, verso la vie folle degli universitari. L'unico problema è arrivarci, ché la strada è lunga e perigliosa; specie, se ci si mette di mezzo la famiglia, con dei fratelli a dir poco ... inaspettati!
Genere: Commedia, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Aquarius Camus, Gemini Kanon, Gemini Saga, Leo Aiolia, Scorpion Milo
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
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La Quaresima è passata da un pezzo, ma non ho problemi a cospargermi il capo di ceneri.

Sì, chiedo venia per quella che io per prima chiamo idiozia. Ma sapete, ero così furibonda, che ho agito prima di riflettere. Per questo, chiedo scusa ai 51 utenti che hanno messo questa storia tra le preferite ai 10 tra le ricordate e ai 35 tra le seguite e ovviamente ai miei lettori e recensori.

Ho cancellato le altre mie storie, verissimo. Ma erano o complete o comunque da molto tempo ferme e sarebbe stato sciocco tenerle lì ad ammuffire per sempre. Ora restano “Un Incontro” e questa qui. Del resto, si chiamano “pulizie di primavera” per qualcosa no? Aria nuova! Aria nuova!

Detto questo, sappiate CHE QUESTA STORIA NON FINISCE, CHE ANDRA’ AVANTI FINO ALLA PAROLA FINE E CHE QUESTO E’ UN VERO CAPITOLO! Voi, lettori, mi siete più cari e di nuovo vi chiedo di sorvolare per amore della storia su questa mia cavolata.

I capitoli saranno un po’ più brevi per mancanza di tempo, ma tenterò di rimanere regolare negli aggiornamenti.

Grazie dell’ascolto e buona lettura.

 

 

 

 

 

H.

P.S. Odio il mio HTML

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“Saga!”

Nessuna risposta.

“Saga!”

Silenzio.

“Saga!”

Silenzio ostinato.

“Sasà!”

Doppio silenzio ostinato.

“Sasuccio!”

Triplo silenzio ostinato.

“Sagounet!”

Ancora più silenzio.

“Saga! Saga! Sagagagagaggagagaga!  Sasà! Sasino! Sagone! Sagupuccione! Saghello! Sagasaputello! Sagaquattrocchi! Saga! Saga! Sagaounetpepepepe! Lady Gaga! Sagasagasagasaga! Seg- …!”

“CHE ACCIDENTI VUOI ?!?”

“Siamo arrivatiiiiii???”, strascicò Milo l’ultima vocale sfacciatamente piagnucoloso, emulando lo strido di cento unghie affilate su di una lavagna, nel frattempo che gli lanciava dietro le polpette che ci avevano fatto da colazione durante l’attraversata Mont-de-Marsan - Strasburgo, ennesimo atto di un vaudeville allucinante. La prospettiva di dissacrare il cadavere del prozio fedifrago era stata così allettante, che Mamie aveva insistito per un’unita grande tirata last minute – minacciando Papa di annullare il matrimonio, neanche se lo sarebbe dovuto sposare lei.

Perché sapete una cosa?

I miei fratellastri per l’intera durata del viaggio non chiusero la bocca per UN secondo, che fosse stato uno!

Quasi avessero deciso di esibirsi in un quadruplo suicidio acustico-vocale! Neppure l’iPod poté lenire il loro continuo, ininterrotto tambureggiare di lingue, una snervante burlesque di lagne, insulti, provocazioni e discussioni altamente filosofiche sul sesso degli angeli e del bimboninja, a.k.a Naruto.

Ma ora con calma, cerchiamo di riordinare un poco questa confusa matassa di eventi (e dialoghi).

Eravamo partiti esattamente alle cinque del mattino di Natale, dopo aver dormito a malapena quattro o tre ore, poiché, una volta ritornati dalla Messa di mezzanotte, ci eravamo tutti accampati in salotto coi vicini a scartare i regali. Non mi soffermerò ad elencare cosa abbiamo ricevuto – oggi mi sento assai pigro e la penna si sta scaricando, mannaggia! – riporterò solo che il regalo di Aiolia per Marin fu gradito moltissimo da quest’ultima e ci credo! Un profumo di Yves Saint Laurent, mica niente! Ora comprendevo, il perché di quella vendita assurda: di certo, per un perenne squattrinato in manca di paghetta settimanale non era facile potersi permettere un siffatto regalo costoso. Provai un’enorme ondata di tenerezza nello scorgere la mia vicina sussultare di piacere alla vista del profumo, ma soprattutto quando notai come il regalo di Aiolia da parte sua corrispondesse esattamente a quella collezione di card dei Pokemon, dalla quale il piccolo Aslan si era separato tra mille pianti. Fui un po’ spaventato quando, invece, Aiolia in uno slancio di isterico affetto per quel gesto gentile e inaspettato abbracciò vivacemente Marin, baciandola sulla bocca e ricevendo in cambio il giusto ceffone, che gli fece ruotare la testa di 180 gradi sul lato sinistro, marchiandogli a fuoco vivo la guancia.

“Mi ha schiaffeggiato! Mi ha schiaffeggiato!”, ripeteva estasiato il lionceau in un’oscena litania compiaciuta. “Oh, la sagoma delle sue delicate ditina saranno per sempre nella mia guancia! Oh, quelle joie!”

“Chapeau! Che ne dici ora di fare il bis?”, replicava spassionato Milo, tamponandogli il marchio rosso fuoco sulla gota con un asciugamano inumidito. Per fortuna delle sua epidermide, Aiolia non s’azzardò più a ripetere la sua impresa. Ma il segno restò fino al mattino dopo, ovvero al momento della sveglia infernale in cui fummo brutalmente sottratti dal calore delle nostre lenzuola da una Mamie sul piede di guerra. Le reazioni a quella tortura acustica furono molteplici: ci fu chi cadde giù dal letto, come Maman e Papa; chi borbottò un Fiche-toi, je dors! (fottiti, io dormo!, ndr.), come Kanon mentre si rigirava dall’altra parte; ci fu chi sbatté la testa contro la lampada da comodino lasciata incautamente troppo inclinata sul letto la notte prima, come Saga che la centrò in pieno nello scatto di porsi seduto; ci fu qui estrasse il silk-épil da sotto il cuscino urlando Bats-toi, espèce de lâche! (battiti, razza di vigliacco!, ndr.) e chi lo guardò sconcertato, domandandosi il motivo per il quale un silk-épil rosa si trovasse sotto il proprio cuscino, come Milo e me; infine, ci fu chi non la sentì affatto, come Aiolia che seguitava a sognare beatamente  e indisturbato Marin che lo tempestava prima di ceffoni poi di baci, vestita da poliziotta sexy.

Trascinandoci  come zombie strafatti in direzione del salotto, ognuno fulminò alla sua maniera l’avia familias tra uno sbadiglio e l’altro.

“Era ora, pelandroni che non siete altri, che vi alzaste bordel! Ma guardatevi: siete ancora in pigiama, pardi! Enfin, quasi …”, si corresse, lanciando una lunga occhiata ai gemelli, i quali portavano i boxer e una maglietta lunga fino alle ginocchia.“In ogni modo, ho sistemato fino adesso i pacchi nella macchina bon sang! Mi sono vestita! Ho colazionato! Ho persino portato Fred a pisciottare di qua e di là! Riassumendo, sono pronta per partire e voi? Non avete combinato nulla, espèce de tarés! Non siete altro che dei pigroni sfaticati! Disossata massa informe di ignavia e stravizi sibaritici! Vi si legge la corruzione negli occhi! Sbadigliate più di un ippopotamo mentre rutta! O di un boa mentre sta per divorare il famoso vitello grasso! Non vi vergognate neppure un pochino, razza di dormiglioni festaioli scansafatiche? Che bordelli avete combinato ieri sera, brutti fancazzisti impenitenti? No! Non c’è bisogno di rispondere:  basta vedere le vostre occhiaie più nere di un eye-liner da battona! Sembrate lo zio Fester dopo un’orgia con Mano! ”

Nel frattempo che Mamie si esibiva in quest’appassionata filippica, noi ci guardavamo sbalorditi e interdetti l’un l’altro: questo significava, che l’augusta avia familias aveva passato la notte in bianco? Ora si spiegava quel suo atteggiamento da generale drogato sia di caffeina che del film Full Metal Jacket, senza però gli insulti pesanti. Certo, fu benefica la caramella al propoli che Maman schiaffò sornionamente in  bocca a Mamie, zittendola a tradimento così da evitare che il suo futuro marito potesse mai riconsiderare l’ipotesi di fare fagotto e scappare via lontano.

“Beh, a questo punto non ci resta che affidare Fred ai vicini …”, sbadigliò in seguito Maman, apprestandosi ad acchiappare il collare del cane per infilarglielo.

“Il cane viene!”

Se mia madre era ancora assonnata, l’ultima affermazione di Mamie la destò completamente. Come noi del resto. “Quoi?”, farfugliò disorientata, sbattendo più volte le palpebre.

“Ouais, hai sentito benissimo: il cane viene!”, dichiarò combattiva la nonna, abbracciando il cane con fare mieloso. “Ho deciso che gli farò fare la cacca e la pipì nella bara del morto!”

“Mamie! Un po’ di rispetto per i defunti!”, protestammo in coro: va bene che l’avia familias avesse ogni diritto di serbare rancore nei confronti del Tanghero Innominabile, però che almeno si trattenesse dal profanare le sue spoglie mortali!

Mais oui, mais oui. E i maiali volano …

“Preferite che vi cacci tutti fuori a calci nelle fesses?”, ricattò sfacciata Mamie i nuovi componenti della mia famiglia, i quali replicarono un traditore:

“Non!”, alla faccia della pietas mediterranea riservata ai morti! In effetti, la terra era destinata ai vivi e del buon pragmatismo non guastava mai.

“Très bien”, sorrise sorniona la terribile nonna, accarezzando soddisfatta il cane “non occuperà spazio se lo sistemiamo a dovere; senza contare, che lui è più giudizioso ed educato di certe bestiacce che gironzolano in questa casa …” e ammiccò a Kanon che le rispose con un’automatica linguaccia. “Ultima cosa: guido io per le prossime due ore!”, batté le mani entusiasta, soffocando ogni cenno di protesta di Papa, che ci teneva a non farla surriscaldare troppo, onde evitare così un cortocircuito: Mamie non sarebbe sopravvissuta a troppe emozioni, come ad esempio prendersela con tutti i conducenti contro i quali inveiva e suonava il clacson.  L’avrebbe solamente incattivita di più e Dio solo sapeva di cosa sarebbe stata capace una volta vista la bara del mascalzone e il suo fedifrago marito nei panni della vedovella inconsolabile.  “Mais bien sûr, a patto che lui stia accanto a me!” e sogghignò perfida nell’osservare come Saga si nascondesse intimorito dietro Kanon, che ribatté serio pronto alla difesa del suo doppio:

“Pas question! Il mio frangin resta dietro con noi … a meno che il cane non stia davanti con lui!”, mercanteggiò invece con una flemma vagamente anglosassone -  di certo sviluppata durante gli anni d’esposizione alle radiazioni britanniche - e spiazzando tutti, gemello compreso . “Che ne dici? Ti cedo Sasà in cambio di Fred davanti e non dietro con noi!”

Un nanosecondo di profonda cogitazione onde trovare la fregatura dietro quell’offerta.

“Ci sto! Andata!”, esclamò Mamie, allungando cupida le mani su di un esterrefatto Saga, che ringhiava al gemello un rancoroso “Giuda!”, nel frattempo che il minore scrollava le spalle, chiaro segno che bisognava pur sacrificarsi per una buona causa, e facendogli un soddisfatto Bye! Bye! con la manina.

Partiti dunque verso la nostra meta finale, Strasburgo, riassumerò scrivendo che il viaggio fu orribile, un’oscena odissea, un’unica tirata in cui si susseguirono scenette che non dovrebbero mai essere raccontate e che vi descriverò solamente in parte.

Dunque. Innanzitutto.

 La guida di Mamie era al limite del ritiro della patente e tutti pregammo il Bambin Gesù di non aver beccato alcun autovelox e che i vigili non ci scorgessero. Era un po’ improbabile il giorno di Natale (quale sfigato si metteva mai in viaggio proprio quel giorno?) ma se avevo imparato qualcosa da Halloween, era che Madama Sfiga si era appollaiata sopra la nostra casa stile cicogna e che sembrava assai contenta di rimanervici lì inchiodata ancora per un bel pezzo. Tra sorpassi alla Fast and Furious, tra strombazzate e Pédé! a coloro che ai suoi occhi parevano delle lumache e soprattutto tra due infernali inversioni ad U (per fortuna non in autostrada) che ci sbilanciarono su di un lato  tanto da spiaccicarci tutti peggio delle crêpes, ancora mi domando come feci a resistere per due ore senza provare l’impellente desiderio di gettarmi fuori dal finestrino senza aprirlo. Ovviamente, perché in quei due episodi di spiaccicata letale, il lato malefico era il mio cosicché  divenni la regina col titolo di Sa Majesté des Crêpes Suzettes.

Ringraziammo unanimi il cielo quando Papa, esasperato, prese in mano la situazione forzando Mamie a sedersi accanto a Maman. La nonna si mise a strillare che voleva Saga; quest’ultimo gridò che ci sarebbe andato da morto; Papa ruggì al maggiore dei gemelli di prendere posto vicino a Mamie e di non rompere le pigne. Kanon, a mo’ di benvenuto, diede un calcio al sedile dov’era seduto Saga, proiettandolo un bel po’ in avanti.  (In caso ve lo foste dimenticato, ricordiamo che all’epoca avevamo un unico macchinone, meglio dire un furgoncino: due posti davanti, tre in mezzo e quattro dietro.) Papa tentò di elargirgli uno scappellotto, ma Kanon fu più lesto e si abbassò, cosicché la zampata punitrice martoriò il capo di Aiolia, il quale scoppiò a piangere, adducendo che nessuno al mondo gli voleva bene; che tutti ce l’avevano con lui, che sarebbe divenuto un modello anoressico, morendo così giovanissimo; etc. etc. Sghignazzando perfido, Milo tirò fuori un miniregistratore e voilà che la voce piagnucolosa di Aiolia riprendeva là dove lui si era interrotto per riprendere fiato. Furente, il lionceau pigliò Milo per i capelli, dandogli del vigliacco, del cialtrone e del ruffiano. Quanto a me, osai difendere il bicho intercettando gli artigli di Simba, sennonché sbilanciandomi in avanti colpii Kanon sullo stomaco col gomito. Per sfogare l’immane dolore, il giovane uomo scalciò peggio di un mulo, spedendo nuovamente Saga contro il sedile davanti e chiudendo quell’imbarazzante Uroboro.

Osservandoci tra il compassionevole e il disgustato, Papa richiuse in silenzio la portella, sistemandosi al posto di guida e intimandoci di comportarci bene fino a Strasburgo, pena l’inferno e senza attenuanti alcune.

A onor del vero, ci sarebbe piaciuto trascorrere anche a noi un viaggio tranquillo. Tuttavia, dovevamo ancora affrontare un’altra insidia delle lunghe trasferte: i crampi.

Mi ero finalmente appisolato per un glorioso istante sulle note di Mussorgsky, quando percepii qualcosa battermi sul polpaccio. Sbirciando tra le fessure delle palpebre, scorsi Milo che stava cercando di stirare la gamba destra la quale, a giudicare dalla smorfia sul viso, doveva dolergli non poco. Il bicho pareva infatti in agonia, nel frattempo che si massaggiava i muscoli sofferenti e o era sul serio un crampo coi controfiocchi o lo scorpion lubrique era la drama queen del secolo.

“Ti duole molto?”, m’informai apprensivo, impedendo che Milo si contorcesse peggio di un fachiro indiano nella speranza di calmare quelle spinose fitte assassine. Per tutta risposta, il bicho misurò quanto spazio poteva occupare la sua gamba inferma se appoggiata sul mio grembo. Ne rimase deluso, giacché essendo l’ultimo vicino alla portella non potevo offrirne molto.

“Bordel, dovevo mangiare la banana stamattina!”, borbottò il ragazzo e per vendetta, riprese a lanciare le polpette a Saga, che lo mandò in malora assieme al padre, rifilando il proiettile di fortuna al cane. Dopodiché Milo sistemò con enorme perizia la gamba sul grembo di Kanon, il quale ronfava gustosamente, il capo ben accollato sulla spalla di Aiolia, che stava leggendo tutto concentrato un volume di Naruto. Non c’era stato verso di farlo desistere dal suo orrido intento di portarsi dietro tutti i fumetti del bimboninja! Pestando i piedi e minacciando il suicidio, Aiolia aveva impacchettato tutti i volumi, nessuno escluso, e ora sfidava la nausea indotta da lettura in macchina pur di impararli a memoria.

Avesse studiato filosofia con la medesima perizia e passione! Il disgraziato!

“Sapessi dove gliela ficcherei io la banana …”, borbottò scocciato il leoncino di casa, strangolando per poco il fratello quando questi gli bagnò la pagina con la sua saliva.

Sentendo la parolina magica, Kanon si destò, si leccò le labbra, sbadigliò, si arruffò i capelli, lanciò l’ennesima polpetta a Saga, ci salutò e, dando un’occhiata al volume che Aiolia stava leggendo, gli rivelò maligno: “Tanto alla fine si scopre che …”

“Ta gueule, espèce de tarte flambée aux saucisses!”, lo fece tacere il lionceau, chiudendo il manga e sbattendoglielo in testa. “Perfida serpe! Sei peggio di Orochimaru!”

“Mi stai accusando di pedofilia, tappo?”, lo pigliò Kanon per il bavero, pronto a cavargli gli occhi, malgrado il Parley invocato all’ultimo minuto dal fratellino.

E nel frattempo che il gemello minore s’apprestava a guerreggiare contro un Simba tutto artigli e sbuffi, mi rivolsi a Milo, chiedendogli incuriosito: “Ma … chi è Orochimaru?”

Al bicho caddero le chele. “Ionesco, in tutta onestà, dove hai vissuto in questi diciassette anni? Nel pollaio? Orochimaru è il ninja che ha rapito e stuprato Sasucchia l’Emo!”, mi guardò scandalizzato similmente ai miei fratellastri. Kanon bloccò addirittura il suo pugno rivolto ad Aiolia a mezz’aria, fissandomi con la bocca più larga del Gorgone Medusa quando Perseo gli annunciò: “E adesso ti taglio la testa!” Perfino il cane a momenti si strangolava con la polpetta, tanto la mia uscita pareva aver traumatizzato il mondo intero!

“Sasuke, ignorante!”, lo corresse Saga, ripresosi dall’attimo di sconcerto e  girandosi verso di noi. “E comunque, non lo ha stuprato, sono solo maldicenze dei fan. In realtà”, mi spiegò zelante il gemello maggiore, avvicinando il suo viso al mio e fissandomi seriamente dietro le spesse lenti “questo ninja gli aveva appioppato un segno maledetto  …”

“… succhiotto …”

“Kanon, taci! Un segno maledetto con lo scopo di …”

“… divenire più maculato di un macaco …”

“… di legarlo a sé …”

“… GPS …”

“… e di aumentare la forza …”

“… steroidi …”

“… così da poter uccidere suo fratello Itachi …”

“…  o Saga in versione meno psicolabile e più figa!”

Il povero gemello maggiore sfoderò un’espressione di tale sconforto, che per un attimo temetti volesse strangolarsi con la cintura, dopo aver frustato con la stessa il suo doppio, ben inteso.

“E perché voleva ammazzare suo fratello?”, chiesi disorientato, attirando conseguentemente l’attenzione di tutti i miei fratellastri, i quali si drizzarono d’un colpo vispi e desiderosi di iniziarmi ai misteri del bimboninja arancione.

“Perché Itachi aveva ammazzato tutto il clan Uchiwa!” (ndr. Per spirito di ricerca, ho controllato in Francia un fumetto di “Naruto” e “Uchiha” loro lo scrivono “Uchiwa”. Non domandatemi perché. )

“Davvero?”, feci perplesso. Ammazzare un intero clan? Wow, suonava piuttosto faticoso come lavoro …

“Ouais”, convennero solenni i miei fratellastri, annuendo gravemente col capo.

“E quindi Saga ammazzerebbe tutto il suo “clan” se potesse? Se così fosse, in sostanza dovrebbe decimare metà della popolazione di Karpathos!”

Silenzio da WTF.

“Ehm, Ionesco, non comprendo il collegamento tra le due cose …”, riprese Milo per primo il discorso, spiando di sottecchi un confuso fratello maggiore. Kanon, dal canto suo, sembrava l’unico non particolarmente sorpreso dalla mia ingenua domanda.

“Beh, io non mi sorprenderei se lo facesse sul serio. Anzi, scommetto che sotto il letto nasconde una katana e sta progettando di accopparci tutti nel sonno!”, sentenziò Aiolia con tale serietà, che mi appuntai, una volta rientrati a casa, di controllare sotto il letto del gemello maggiore.

“Iou – Iou, non esagerare …”, lo guardò preoccupato Saga e forse un pochino imbarazzato: le orecchie di Papa s’erano sospettosamente drizzate. “Sai che non lo farei mai!”, giurò, guardandoci con un’aria tanto angelica, che ad ognuno di noi venne un brivido freddo dalla paura.

“Seeee, come no!”, lo contestò Simba, scartando una caramella e ficcandosela in bocca. “Dietro a quella faccia da chierichetto si nasconde un assassino, altroché!”

 “In effetti, Saga ha il potenziale di Itachi”, si riprese Milo, stando ora al gioco e citando addirittura Alex. “Non dimentichiamoci di una sua piccola performance all’inizio della nostra convivenza …”, alluse maligno, roteando gli occhi in maniera molto poco innocente.

Saga arrossì fino al violaceo, l’omicidio del gallo Jean-François che ancora gli pesava sulla coscienza.

“Bravo, Milou, spargi sale sulle ferite! Spargi sale!”

“Eppoi, Saga si è tinto i capelli di nero!”, rincarò la dose Kanon – di sale, bien sûr. Il suo doppio si odiava coi capelli neri.

“E quando è strafatto di caffè, sfodera pure un bel paio di occhietti rossi! Il Coffee Sharingan!”

“E ha i capelli lunghi!”

“Ed è una talpa!”

Digrignando i denti per quell’involuto invito a presenziare al prossimo raduno di cosplayers, Saga sfoderò il suo tono più velenoso, pigliandosela col suo tormentatore per eccellenza. “Ma almeno, Nônon, una cosa anche tu la condividi con Itachi!”

“Ah ouais?”, inarcò Kanon il sopracciglio intrigato, scattando avanti e appoggiando la punta del suo naso a quella del gemello. Se non mi avessero ricordato due cani pronti a sbranarsi a vicenda, avrei giudicato quella posizione come molto tenera e dolce. “Per il fatto che chiami i miei fratelli  minori Stupidi ottentotti?”

Otouto, sale cafard!”

“Le mie fesses che ci chiami stupidi!”, si unì Aiolia alla protesta di Milo. “Ci rifili epiteti ben peggiori di stupidi, connard!”

“Aiolia!”

“Ma Papinou! Nônon mi dice le cose cattive!”

“Kanon … Smettila d’immedesimarti nei personaggi dei manga!”

“E manco male, Papinou! In ogni modo, Sasà, ti pare che io prenda i miei fratelli a calci sullo stomaco, sbattendoli sulla parete e tenendoli per gola mentre sussurro loro: “Siete così deboli! Sapete perché? Perché non possedete abbastanza palle da uccidermi!”, per poi violentare la loro psiche per 72 ore tramite immagini orrorifiche! E che poi alla fine si scopre che lo facevo in realtà per proteggerli dal corrotto capo dei servizi segreti di Konoha e un psycho antenato? Eh? Eh? Questo faccio, che mi paragoni ad Itachi?”

“Ehm … non proprio …”, gli concesse Saga, portandosi a disagio una ciocca di capelli dietro l’orecchio, conscio di averla stavolta sparata grossa. Certo, perché aveva provocato il suo pestifero doppio. “A dire il vero, perché anche tu, come Itachi, hai un fidanzato che è un cesso bipede!”

Silenzio scandalizzato.

“RHADA NON E’ UN CESSO BIPEDE!!”, lo afferrò Kanon per le spalle, palesando la sua intenzione di trascinare Saga nel sedile anteriore, fregandosene altamente del piccolo e trascurabile dettaglio che era legato dalla cintura. “E’ diversamente affascinante, p’tit vaurien! Non insultarlo! Altrimenti, ti strappo le budella e te le faccio uscire fuori dal naso! Quel suo monociglio è un handicap! Non s’insultano i disagiati, capish?”

“Allora, avevo ragione quando dicevo che similmente a quel personaggio, anche Saga potrebbe ammazzare i propri parenti?”, ripresi titubante la mia domanda, osservando preoccupato i due gemelli che si accapigliavano con Aiolia in mezzo che tentava di salvare il suo prezioso manga o la causa scatenante di quella rissa. Vabbè, sarebbe scoppiata comunque … prima o poi … uff, quanta pazienza … avrò anche una vita mia no?

“Ehm, ora come ora, direi che il più prono a stragi familiari sia Nônon …”

“Nah, sicuro che Saga ci accopperebbe tutti!”, contraddisse il bicho il piccolo Aslan. “E il giorno in cui succederà, prima di fare sushi delle mie carni,  gli chiederò”, pausa d’effetto, “Saga, in tutta onestà, è stato Kanon a suggerirtelo?”

Alla battuta di Milo, un ruggito di risate riecheggiò nella vettura e perfino il deriso, Saga, si unì alle nostre rumorose espressioni di ilarità, seppur sotto l’ascella di Kanon.

Il clima pareva essersi rilassato – tre urrà per il bimboninja! – e i miei fratellastri calmatisi notevolmente; i crampi sparirono e le polpette, Deo gratias!, finite, cosicché Saga cessò di essere il loro tiro al bersaglio. Ma soprattutto, perché dopo aver discusso animatamente su tutte le cinquanta sfumature dell’arancione del bimboninja, il trasporto per simile dibattito ci portò ai vertici della follia, ergo andare tutti a Lucca a novembre, vestiti come i membri dell’Akatsuki. “Dai, facciamolo!”, aveva strillato Aiolia entusiasta, saltando sul sedile e battendo le mani. “Coloriamo gli accappatoi di nero, disegnandoci delle nuvolette rosse! Ah ouais, e poi ci dipingiamo le unghie di viola! Verrà fuori una figata, tu verras!”

Delirante euforia prontamente soppressa da Papa, che ringhiò al suo ultimogenito. “Aiolia! Osa anche solo avvicinarti ai miei accappatoi per sì turpi scopi e ti ammazzo! Dopodiché, sputo sul tuo cadavere per esserti messo lo smalto!”

“Già, l’onore delle unghie dipinte lo lasciamo a Momus!”, mi sorrise perfido il bicho, provocandomi un feroce arricciamento dei capelli.

“Na, eh? E chi me le ha dipinte a tradimento nel sonno, un?”

“Ah! Momus lo travestiamo da Deidara! Ha perfino lo stesso tic verbale!”

“Aiolia!!!”

“Massì, Christophe! Lasciali andare alla convention! Che si travestano pure! A patto che venga anch’io e soprattutto vestita da Nonna Chiyo, così posso finalmente prendere mio nipote a calci in culo! Tanto, i capelli rossi ce li ha già … e da piccolo giocava pure con le bambole …”

“Mamie!!!”

Eravamo nel frattempo arrivati in un’area di sosta.

“La sai una cosa, Milou?”, chiese Kanon al fratello, il quale lo aveva avvicinato solamente per chiedergli che accidenti ci facesse in posa plastica nel bel mezzo dell’area sosta, ovvero con un piede sulla panca di legno per quei tavoli da picnic e lo sguardo assorto e in piena contemplazione del paesaggio innevato davanti a sé.

“Non, Nônon. Anche se immagino che tu stia morendo dalla voglia di istruirmi”, replicò spassionatamente Milo, ficcando le mani sotto le ascelle per riscaldarsele. Mince! Se a Mont-de-Marsan faceva freddo, lì si stava congelando! Oh beh, a me non dispiaceva, ma i quattro, anzi cinque, maschiacci franco-greci  battevano le brocche!

“Et bien, Milou! Tu mi conosci! Tu sai quale sia la mia natura ! Imperfetta e capricciosa, ma chi siamo noi per giudicarci?”

“Io non potrei mai giudicarti, Nônon. Ma foi,  ci ho da tempo rinunciato!”, lo rassicurò Milo, battendogli empatico la mano sulla schiena.

“Merci, mon doudou! Eppure, nella nostra vita ci scontriamo contro forze avverse, sguazziamo in situazioni ostili, nelle quali spesso ci viene richiesto di cambiare cappotto come il serpente o mutande come il bradipo!”

“Il bradipo porta le mutande?”

Ma ormai Kanon era partito per la tangente, completamente infiammato dal suo astruso monologo. “Perché non c’è pace in questa vita! È una continua lotta di sopravvivenza, verso chi ha e chi non ha, chi indossa il cappotto e chi le mutande! Ma non ci si può lamentare, anzi! Guai! Guai, se in battaglia si frigna! È roba da tappettes!”

“Kanon, non ti seguo …”

“Che importa se mi segui o meno, Milou? Siamo comunque destinati a perderci! È la nostra natura! Noi siamo destinati allo smarrimento psico-para-pseudo-fanta-cognitivo-trascendentale!”

“Gueh?”

“Ecco perché, posso affermare con certezza, che copiare un autore fa schifo, non pagare il biglietto dell’autobus fa schifo,  mandare al diavolo la vecchietta rompipalle e guardona fa schifo, ma noi non possiamo sottrarci, perché facciamo tutti schifo in quanto uomini!”

“Parla per te!”

“Ma io ti perdono, Milou! Perdono te e tutti i tuoi peccati! Anche se, d’ora in avanti, mi chiamerete tutti: Kanon della Malasorte!”

“Oppure O’Malamente e basta!”

“Nah, quello è Sasà!”, scrollò Kanon le spalle, riassumendo un’aria meno istrionica. In lontananza, mentre sorseggiavamo placidi il nostro caffè bollente davanti alla porta delle toilette – nella speranza che Saga si sbrigasse – ne approfittai per inquisire:

“Kanon sta bene? Lo vedo piuttosto … perplesso”, dissi, incrociando le gambe per meglio trattenere le pressanti fitte della mia vescica.

“Nah, è in perfetta salute. Si tratta solamente di una delle sue sporadiche crisi filosofiche!”, mi spiegò il lionceau, prendendo la porta del bagno a calci. “Sasà, muoviti! Svuota tutto ed esci! C’è gente che se la sta facendo addosso!”

“E da che cosa sono dettate queste crisi?”, tentai di distrarre sia il mio fratellastro sia il sottoscritto dall’inarrestabile pressione liquida.

Saltellando da un piede all’altro, il lionceau sciolse l’enigma: “Forse perché Rhada ancora non ha risposto al suo sms, in cui gli chiede di sposarlo?”

“E si sorprende?”, ribattei incredulo, scoccando un’ultima occhiata al mio bicho e a Kanon, il cui cellulare prese a suonare per la sua somma gioia, portandolo ad esibirsi nella danza della vittoria-matrimoniale. “Toh, ecco che finalmente gli ha telefonato, così la smetterà di … Oh mon Dieu! Scappa, Aiolia! Kanon incazzato a ore dodici!”

Non era fifa la mia, nossignore!

Insomma, avreste voi avuto coraggio di fronteggiare un bufalo imbizzarrito quale si presentava Kanon in quel preciso istante, dopo aver ascoltato quella che doveva essere stata un’infausta chiamata? Infatti, il gemello minore non aveva ancora riattaccato il cellulare, che già si dirigeva verso di noi con un incidere che non prometteva un normale funzionamento delle gambe per le prossime cinque settimane.

“Questa è pazzia …”, balbettò terrorizzato Aiolia, aggrappandosi a me e cercando di preservare la sua dignità, ergo non unire l’utile al dilettevole, quale ad esempio fare pipì senza l’ausilio del gabinetto.

“Pazzia?”, sibilò Kanon, il Coffee Sharingan attivato. “QUESTA. E’. LA. CARTA. IGIENICA. SAGA!”, ruggì, elargendo un possente calcio alla porta del WC – facendoci nel frattempo squittire dallo spavento – che per poco scardinò, rivelandoci un oltraggiato Saga, che cercava di coprirsi il davanti col capotto.

Ciliegina sulla torta, Mamie sbucò alle nostre spalle, commentando: “Però!”

“Sale putassier d’un con sodomisé à l’anglaise!”, si strangolò il gemello maggiore con la sua medesima saliva e arrossendo più dei capelli della famosa Anna. “Che modi sono questi? No, Mamie, metti giù la macchina fotografica! Milo, fai qualcosa! Aiolia, uccidilo! Momus … bah, lasciamo perdere …”

Lanciandogli il rotolo della discordia, Kanon lo apostrofò duramente: “Te lo meriti, Sasà! Come hai osato chiamarmi al cellulare, annunciandomi che ti era finita la carta igienica proprio mentre stavo attendendo con ansia uno squillo da parte di Rhada? Come ti sei permesso?”

“Speravo in un minimo di comprensione da parte tua, Nônon!”, si difese Saga, intanto che chiudeva umiliato e offeso la porta semi-scardinata del gabinetto. “In ogni modo, questa me la paghi!”, lo sentimmo bofonchiare da dentro la cabina.

“Se mi prenderai vivo, nii-san!”, lo sfotté Kanon, tirandosi indietro i capelli con una melodrammatica zampata e avviandosi alla macchina neanche fosse ad una première ad Hollywood.

“Primadonna no Jutsu”, commentò sardonico Milo, spiando le foto che Mamie stava sfogliando dal menù.

“Drama Queen no Jutsu”, annuì Aiolia.

“Cos’è uno Jutsu?”

“Deficiente no Jutsu …”, terminò Saga, uscendo finalmente dal bagno e ripulendosi le mani dal lavandino. Dopodiché, appropinquandosi a Mamie, le domandò: “Quanto vuoi per le foto?”

Il sorriso dell’avia familias lo fece indietreggiare di ben tre passi.

“Devo aver in qualche modo adirato il Big Boss O’Heavens, altrimenti non mi spiego perché mi sono ritrovato dei criminali per figli”, sospirava Papa per l’ennesima volta all’ennesima stazione di gas GPL, nel frattempo che contemplava una delle molteplici manifestazioni di affetto tra fratelli, tipo un esagitato e ridacchiante Kanon rincorso da Aiolia, il quale reclamava imbizzarrito un volumetto di Bleach (aveva insistito di portare pure quello). Seduti in macchina e slungati sibariticamente, gli altri Valavitis assistevano sornioni allo spettacolino, facendo perfino delle scommesse: quanto avrebbe resistito il lionceau prima di crollare per terra con la lingua fuori lunga due metri?

“Eddai, lascia che sgroppino! Hanno ancora quattro ore di viaggio davanti a sé!”, lo consolò Maman, sebbene pure a lei incominciasse a venire un principio di mal di testa per l’incessante cicalare dei suoi figliastri.

Affatto impressionato dall’affermazione della compagna, Papa rincarò la dose: “Eh? Quale crimine ho commesso?”

“Euh, sei scappato di casa?”, gli suggerì Maman sollecita, guadagnandosi uno sconsolato guaito da parte del futuro consorte.

“Non era mia intenzione, sono state le circostanze ad avermi spinto!”

“Uhm”, si passò la genitrice una mano sotto il mento. “Le stesse parole che mio padre ci scrisse, il giorno in cui fuggì di casa con tuo zio!”

Secondo Miao! di dolore: le parti basse ringraziavano commosse e sofferenti. “Corinne …  ne abbiamo già parlato … sai che non c’entro niente … lo zio Cardia non m’aveva mai detto chi fosse il suo meco, me ne aveva accennato solo vagamente … non te la prendere con me!”, pigolò Papa, congiungendo supplice le mani.

“E perché non dovrei, scusa? Sei abbastanza imputabile! E sospetto! Non ti è mai venuto in mente di indagare nella vita sentimentale di tuo zio?”

L’espressione totalmente scandalizzata di Papa fu molto esaustiva, denunciando la presenza oscura di segreti innominabili, dei quali era molto meglio tacerne la presenza se non si voleva scivolare nel Grand Guignol in salsa rosa. Cioè amorosa. Cioè harmony … cioè … In ogni modo! Papa raggiunse il suo scopo: indietreggiando un poco in soggezione da quell’occhiata intensa da pesce lesso in croce, Maman si persuase che forse non era saggio da parte sua punzecchiare troppo il suo futuro marito; non che Papa l’avesse minacciata visivamente, anzi, l’unica minaccia presente in quegli occhi miopi era di accendere il cellulare in una stazione di benzina. Cosa da niente!

Risultato?

Kaaaa-boom, my friends!

“Ehm, Christophe? Il … telefonino … non è che potresti rimetterlo in tasca?”, gli suggerì la genitrice leggermente preoccupata, indicando timida timida la miccia che avrebbe anticipato il falò di Capodanno. Papa, accortosene all’ultimo, impallidì, arrossì, lo buttò in macchina e bofonchiò qualcosa: “Testa calda … sangue greco … poco caffè … Kanon lo uccido …”

Il gemello minore, impegnato nel frattempo a piangere sulla spalla di Milo per ragioni assolutamente random, starnutì sonoramente. Fu solo alla fine che si scoprì che Saga – spodestato il bicho dal suo titolo di campione assoluto d’incontinenza -  aveva finito la carta igienica e che anche lui doveva usufruire del WC. Un WC senza carta igienica. 

Tragedia.

Come quella che sfiorammo una volta entrati a Strasburgo e finalmente! (Non la tragedia, non la tragedia!) Lasciatemi spiegare meglio: finite le polpette e finito di ripulire la macchina di esse lercia - visto che a Papa era venuto un colpo alla vista del sugo sparso ovunque – finita l’erudita spiegazione sul mondo di Naruto, Bleach, Death Note, Avatar (The Last Airbender, oh!), Inuyasha, Fairy Tail, un manga bislacco pieno zeppo di effeminati cavalieri in armature che utilizzano il cosmo (ma dai!, questa poi! Che s’era fumato il mangaka?), malgrado le mie disperate proteste di: “Li conosco! Li conosco tutti!” (ma anche no! purché stessero zitti!), terminati gli ultimi pettegolezzi, sfottò sull’Mpreg, diatribe tra Maman e Mamie sull’abito da sposa, minacce di morte di Papa a chiunque osasse fiatare, pause pipì per il cane e per gli incontinenti, palpeggiamenti involontari, dispute sulla dubbia bellezza di Rhada … insomma, quando questi masnadieri non riuscirono più a trovare un argomento su cui litigare, ebbene in quel momento ci accorgemmo di essere arrivati a Strasburgo.

Oh, Strasburgo!

Un silenzio di morte calò su di noi.

Anche perché ci accorgemmo troppo tardi che avevamo imboccato la pista ciclabile invece di quella riservata alle auto. Prima, però, di darci dei teppisti, dei barabba e degli scellerati, concedeteci una spiegazione: non ne sapevamo niente! Sul serio! Quella dannata pista ciclabile per il Parking Austerlitz era camuffata benissimo! Non aveva il pavimento rosso! E il cartello era seminascosto!  Come speravamo di evitarla?

Ci riuscimmo e ringraziammo l’urlo terrorizzato di Maman, l’unica sveglia fra noi tutti, la quale, tenendosi con una mano al portagiacche e con l’altra accarezzando voluttuosamente spaventata il freno a mano, gridò all’assassino, il quale guarda caso portava il nome di Mamie. Ah-ha! Credevate fosse Papa, eh? E invece no! Il pover’uomo era crollato cinquanta kilometri prima e manco s’accorse della brusca frenata della suocera, seguitando a dormire serafico, nel frattempo che noi raccattavamo gli organi sparsi per il tappetino, organi fuoriuscitici dal naso.

“Beh, dai! È stato un viaggio tranquillo!”, commentò Papa, svegliatosi una volta parcheggiato e sgranchendosi il corpo indolenzito in un sonoro scrocchiare d’ossa. “Io non l’ho nemmeno sentito … Gueh? Cosa sono quelle facce da funerale?”

“L’hai detto, p’tain!”, ringhiò Mamie, ancora inviperita dalla lavata di capo subìta dalla figlia circa le sue dubbie doti di guidatrice. “Un funerale …”

Resosi conto dell’affermazione infelice e assolutamente fuori luogo, Papa si rimpicciolì tutto vergognoso, mentre i figli scuotevano il capo come quelli che giocarono a dadi sotto la Croce. Solo Aiolia osò avvicinarsi al vituperato, offrendogli un abbraccio empatico e finendo inevitabilmente stritolato da un povero genitore, che si vedeva la sua patria potestas costantemente messa in discussione.

Eravamo infine arrivati a Strasburgo.

Ancora mi domandavo come.

L’unica mia certezza era che piuttosto di rivivere un Natale e Santo Stefano così, mi sarei flagellato per un’intera Quaresima per le vie di Bordeaux, altroché!

“Fermi tutti! Cos’è questa puzza?”

“Non ditemi che il cane ha pisciottato sui nostri cappotti …”

“Positivo, man!”

Appunto.

 

 

 

***

 

 

 

Vivere in centro è una gran bella fortuna, poiché chi ti viene a visitare si ritrova una miriade di informazioni per recarsi a casa tua e non deve neanche rompersi particolarmente le pigne in carte e cartine o a chiedere informazioni! Dove si trova Place Gutenberg? Oh, toh! C’è un cartello grande come la Parigi-Dakar! Ma non mi dire! Seguiamo, seguiamo … Un’occhiata qua … Un’occhiata là … Guarda che bella la Cathédrale Notre-Dame de Strasbourg (o Liebfrauenmünster zu Straβburg, perché tutto in Alsazia è semi-boche)! E a proposito di presenze crucche! Non riuscii a trattenere un sogghigno alla vista dei miei fratellastri, che tentavano di leggere la doppia scritta nei cartelli segnaletici, in particolare quella in dialetto alsaziano o il lotaringio Platt. Il solo che non fece una piega fu Saga, in quanto abituato a parlare boche 24/7 all’università, sebbene neanche lui nascose un certo interesse linguistico per la differenza sia di scrittura che di fonetica.

Intanto, perché dovevamo sempre farci riconoscere, raggiungere l’appartamento di Papie si presentò un’impresa non da poco: infatti, durante la lenta marcia degli zombie (chi aveva voglia, in tutta onestà, di assistere al funerale di uno sfasciafamiglia? E con i cappotti che puzzavano inoltre di piscio di cane?), ci imbattemmo nell’argomento principale delle discussioni dell’ultima generazione Valavitis, le fumetterie. Anzi, la fumetteria! Bordel, non avevamo mai visto una fumetteria vera e propria, solo un reparto in libreria!

“E hanno perfino le action figures! E articoli per le cosplay!”, esclamò incredulo un Aiolia con le lacrime agli occhi per la commozione, o forse per il dolore dell’essere spiaccicato sulla vetrina dai bacini dei fratellastri, i quali anch’essi stavano ammirando tutto quel ben di Dio da maniaci e per una volta, fui contento di essermene tirato fuori, rimanendo al fianco di Papa. Trascinati via i pargoli – Aiolia piantò addirittura le unghie sulla vetrina tanto oppose resistenza -  proseguimmo per la nostra triste meta, senza dimenticarci, e qua a peccare furono le signore, di rimirare incuriosite le boutiques e gli abiti esposti. Saggiamente, noi ruvidi uomini tirchi come non so cosa, accelerammo il passo prima che le matrone memorizzassero il vestito, che ci avrebbero puntualmente obbligato a comprare il giorno di riapertura dei negozi.

Pericolo scampato? Neanche per sogno! Ringraziate M. Primadonna!

Oddio, comprendevo il malessere interiore di Kanon quando, una volta bussato alla porta di casa di Papie, invece del domestico ci aprì l’ultima persona che avremmo mai immaginato trovarsi a Strasburgo, Place Gutenberg: il signor Rhadamanthys.

Compresi un po’ di meno, nell’istante in cui il gemello minore volle sfogare questo suo malessere rifilando un pugno dritto al naso del suo meco, ricacciandolo negli abissi del corridoio.

Non compresi affatto, infine, l’urlo terrorizzato di Kanon dinanzi al suo gesto – e al fidanzato riverso per terra che si massaggiava il naso offeso -  e quel suo precipitarsi a coccolarlo, sbaciucchiarlo (Mamie guardò altrove) e scuoterlo alla milkshake bum-bum tra un “Ma che ci fai qui?” e l’altro.

“In effetti, Nônon ha ragione”, commentò Papa, aiutando il genero a rialzarsi e a sedersi sulla sedia in entrata. (I cappotti erano stati nel frattempo prontamente rifilati al domestico coll’espressivo ordine: Lavali!) “Non ci attendevamo questa tua improvvisata! Anzi, neppure sapevamo che conoscessi mio zio Cardia!”

Levando il fazzoletto dal naso gocciolante di sangue, Rhada aggrottò disorientato la fronte. “Lo zio Cardia? E chi è costui?”

Ah, e io pensavo che questa frase potesse essere rifilata solamente a Carneade!

“Gueh?”, esprimemmo in coro la nostra somma sorpresa. Che cos’era codesta novità? Ci stava forse pigliando per i fondelli?

“E perché lei è viva?”, rincarò la dose Rhada, eleggendosi inconsapevolmente matto totale dell’anno. Essì, bisogna essere davvero folli per sospettare di un probabile (e prematuro) decesso di Mamie, la quale balzò all’indietro, toccando di riflesso ogni oggetto di legno reperibile a mo’ di scongiuro.

“Tié che sono morta!”, berciò pallidissima in volto, sfregando il mobile fino a provocarsi una scia di vesciche sui palmi delle mani. “Razza di roastbeef homo! Non augurarmi di crepare tanto presto!”

“Ma di che ti preoccupi, Mamie?”, aiutai il povero inglese (da quando mi ero assunto il ruolo di p’tit ami ufficiale del bicho, stranamente incominciai a provare una sempre maggior empatia nei confronti di Rhada, il quale si doveva sorbire il peggiore dei Valavitis).  “Ti ha appena allungato la vita: è scientificamente provato che, più auguri ad uno di tirare le cuoia, più quello campa!”

Silenzio meditativo.

“Quindi in tutti questi anni, ho augurato per niente a quel porcello di tuo nonno di morire tramite cancrena alla prostata?”

“Apparemment, oui”, sospirai.

“Eh merde!”

Tossicchiando timidamente, Saga tentò di riportarci all’argomento più pressante, ovvero quello che ci aveva messi in viaggio per due giorni e per di più a Natale. “Non vorrei intromettermi, ma non dovremmo recarci alla veglia del morto?”

“Ah già il morto! Beh, può anche attendere, tanto mica scappa!”, scrollò Mamie le spalle.

“Okay, io ci ho provato …”

“Appunto, Sasà! Lasciamo prima che Rhada ci racconti la sua storia! Soprattutto le parti sanguinolente e sconce!”, allargò Aiolia un sorrisone da pervertito, il quale fu prontamente punito da uno scappellotto da parte di– udite, udite – Kanon.

“Beh, non c’è molto da spiegare …”, temporeggiò ancora sconvolto l’inglese, torcendosi in palese imbarazzo le dita. (E aveva pure le guance rosse: se non fosse stato per il monociglio truce, lo avrei pure abbracciato, tanto era mimichoupi! Argh! Incominciavo a pensare come Kanon!) “Poco prima di Natale ho ricevuto una chiamata dal mio bischero” e indicò il gemello minore, che venne messo a tacere da Saga, onde evitare una fastidiosa interruzione. “In cui mi diceva, che Mamie era morta e che il funerale si sarebbe tenuto qui a Strasburgo. Siccome questa telefonata ha avuto luogo in piena notte” e una seconda occhiataccia a Kanon ci persuase, che quello doveva essere stato un vizio molto verosimile da parte di M. Primadonna. “Ho creduto trattarsi di uno scherzo! Quindi, il giorno dopo, ho tentato di chiarire con la mia belva, ottenendo appunto solo latrati per risposta. Ne ho dedotto che lo choc doveva averlo rimbambito definitivamente e ho deciso di raggiungerlo qui per impedire … ehm … per consolarlo.”

“Che uomo!”, commentò Mamie commossa, asciugandosi una lacrimuccia. “Mi avrai augurato di crepare, ma ti voglio bene lo stesso! Abbracciami!”

Memore della sfiorata depilazione-tranello, Rhada sorrise debolmente, portando in avanti le mani. “Magari dopo la veglia …” e già si alzava per scappare via.

“Invece, signorino!”, gli impedì Kanon la fuga strategica, afferrandolo per il braccio e riportandolo al suo posto (ergo sulle sue ginocchia, Mamma Dragon rulez!). “Ancora non hai risposto al mio SMS!”

La replica di Rhada non tardò a venire. “Non ho ricevuto nessun SMS!”, mentì alla velocità della luce e di fatti non convinse la sua dolce metà, che s’appropinquò a stritolargli le guanciotte, sennonché il provvidenziale arrivo del domestico lo salvò appena in tempo da quella tortura franco-greca.

“A proposito”, cogitò Maman insospettita. “Che fine ha fatto Papa?”

Riponendo le pinzette dentro la borsetta (lode al sesto senso di Rhada), Mamie arcuò il sopracciglio. “Giusto! Non m’ero accorta della sua assenza!” Ovvio, alla fine ci aveva fatto il callo. “Aldebaran …”

“Ma no, Madame Séraphine! Chiamatemi pure per il mio nome di battesimo!”, si schermì imbarazzato l’omone, il quale ancora mi domandavo in quale scuola di box nei bassifondi di Parigi fosse stato raccattato da Papie. “Non mi è mai piaciuto il mio cognome …”

Sbattendo perplessa le ciglia, l’avia augusta ribatté lentamente: “Aldebaran non è il tuo nome?”

“No, è Consuelo. Consuelo Aldebaran, Madame Séraphine: vostro marito  mi ha tanto parlato di voi!”

Ci astenemmo da ogni commento. Perfino quella linguaccia lunga e biforcuta di Mamie non osò proferire parola dinanzi a tale scioccante rivelazione. Specie, se poi avesse avuto la curiosità di indagare anche in quale contesto Papie avesse parlato di lei a quel marcantonio dal  nome di dubbio genere maschile.

“Ah”, disse solo, avviandosi a passo spedito verso la camera ardente.

“Comunque, Papa Dégel non c’è?”

“No, Mademoiselle. È uscito un’ora fa!”

“Pah! Tipico di quell’idiota”, udimmo la voce di Mamie dall’altra parte “Ha ospiti e se la fila all’inglese!”

“Alla francese”, borbottò Rhada.

“Non se sei in Francia, roastbeef!”

“Damn frogs …”

“Ti ho sentito!”

“Mamie, non dovevi ingiuriare il cadavere?”

“Oh giusto! Ma voglio il pubblico! Su, venite!”

Scuotendo il capo rassegnati, la raggiungemmo.

Trovammo la sala arredata con macabro gusto: ogni quadro, mobile, lampadario, tavolo ed esponente dell’arredamento era stato coperto da pesanti drappi neri, come nere si presentavano pure le tende delle finestre. I pochi presenti – Cons-ehm-Aldebaran e un’infermiera – vestivano in maniera sì formale, che ci vergognammo della nostra mise assolutamente –argh, non trovo altro termine – scialla: il massimo del lutto da me portato consisteva in una felpa nera e pantaloni grigi. I miei fratellastri portavano abiti scuri, dal grigio, nero, viola e marrone (immagino per non rinvangare brutti ricordi) tranne che per Kanon, che aveva affermato a chiara voce che secondo lui la morte altro non era, che il primo vero giorno di ferie.  Papa e Maman sarebbero apparsi decenti, se non avessero avuto gli abiti spiegazzati dal viaggio. Rhada si fregiava dello scarlatto accessorio di una scia di sangue sulla camicia nera (e per fortuna che il naso non s’era rotto!). Mamie vestiva di giallo canarino.

Il catafalco dove la bara era stata sistemata poteva vantare di una nauseante quantità di gigli, tanto che l’istinto di aprire la finestra e far circolare un po’ d’aria fu molto forte. Invece, ci accontentammo di prendere posto diligentemente sulle sedie appositamente sistemate da Cons-argh!-Aldebaran e di sventolarci con le mani. L’unica ad essere rimasta in piedi fu Mamie, la quale si accostò melodrammaticamente alla bara scoperchiata, pronta al grande monologo.

Salaud putassier”, incominciò, “o Tanghero Innominabile per gli amici. O Theodoros Kasandakis. O Cardia, che facciamo prima. Insomma, schifoso figlio di puttana se non s’era capito. Io ti odio, dovresti saperlo. Mi hai fregato il marito sotto il naso, me l’hai sodomizzato, hai fatto sì che mio nipote Momus nascesse disturbato tanto quanto Sasori: infatti, si dipinge le unghie, fa comunella con un fricchettone dai lunghi capelli biondi e rumoroso come un tarlo e da piccolo giocava pure con le barbie …”

“Sta parlando di noi due?”, mi chiese perplesso Milo, nel frattempo che mi nascondevo il viso dall’imbarazzo totale per quell’assurdo e umiliante paragone. “Da quando in qua ho il ciuffo alla emo davanti agli occhi? Oh, Ionesco! Tua nonna mi ha appena accusato di usare il mascara!”

“Almeno, non sei stato bollato come gay!”, gli ricordò severamente Aiolia, ancora traumatizzato da quella terribile esperienza.

“… Ho tentato di correggere queste mancanze prendendolo a calci in culo, ma, come puoi vedere, il gaglioffo è più recidivo di un serial killer con gravi disturbi di personalità” e indicò Saga, che roteò esasperato gli occhi in senso orario e antiorario. “Ma non importa: Momus sopravvivrà fino alla pensione e di questo ne sono felice. Magari si sposerà. Magari farà dei figli. E magari si farà anche lui sedurre e inchiappettare.” Pausa d’effetto. “Da un greco.”

“Trop tard!”, bisbigliò Kanon maligno all’orecchio del bicho.

“Franco-greco conta?”, rincarò la dose Aiolia.  Papa prese a scappellotti tutti e due.

“Quindi, per colpa tua, non solo la mia vita è rovinata, bensì pure quella del nipote il cui nonno tu hai barbaramente violentato …”

“Ma non è vero!”, protestò Consue-ehm-Aldebaran.

“Ta gueule!”, inveì Mamie con gli occhi fuori delle orbite. “Se io dico che l’ha violentato, l’ha violentato! E tu non obietterai un bel niente se non vuoi essere seppellito vivo con questo tamarro!”

“Bien, Madame! Taccio!”

Facilmente persuadibile il tipo.

“Dunque, se in questa dannata casa qualcuno mi lasciasse finire di parlare, il succo della questione è che ti odio. Tuttavia ti ringrazio e sai per che cosa? Per avermi risparmiato cinquant’anni di galera per omicidio plurimeditato con aggravante di mutilazione, sberleffi post mortem, asportazione di organi interni, vendita dei suddetti a fabbriche di cibo per cani e occultamento di cadavere nei porcili. Ah sì e prosciugamento del conto corrente, ma sono venalità, no?

Di conseguenza, caro il mio Cardia, io ti perdono per tutto quello che hai combinato! Vogliamoci bene!”

Che. Cosa. Aveva. Appena. Vaneggiato?

“Ouais, ti perdono perché tanto sei morto e quindi non puoi più rompermi le pigne. Mai più! Pascola quindi felice nei verdi campi del gran Manitù! Adieu, mio bastardo, adieu e vai a quel paese!”, concluse Mamie, incrociando le braccia al petto e inchinandosi neanche si aspettasse da parte nostra un applauso. Beh, vero era che il suo “perdono” significava non poco per lei e per un attimo mi sentii orgoglioso: finalmente, aveva messo da parte l’orgoglio per un minimo di carità cristiana. Chapeau Mamie!

Balzammo quindi in piedi per i nostri saluti personali, sennonché …

“Davvero mi perdoni?”, esclamò giulivamente eccitata una voce alle spalle di Mamie, la quale, assieme a noi tutti, ruggì:

“AAAAAAAAAAAAAAAAAARRRRRRRRRRRRGGGGGGGGGHHHHHHHHHH!!!”

Oh, mesdames et messieurs!

Novanta, la paura!

Mentre eravamo riversi per terra, una mano che reggeva il cuore impazzito.

“Ne, bambini? Allora, come vanno le coronarie, pezzenti?”

Quarantotto, morto che parla.

E che se la rideva pure dalla bara.

Come stava facendo in quel momento il prozio Cardia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

To be continued …

 

***********************************************************************************************

 

E così siamo arrivato alla fine del 20°capitolo …

Da qui in poi incomincia la luuuuunga discesa verso la conclusione di questa storia! Misteri verranno svelati, incomprensioni chiarite e matrimoni celebrati.

O no?

Alla prossima, ciao!

  
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