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Autore: Dead_Astronaut    20/04/2013    2 recensioni
Inferno [n.m.] 1: Nella religione cristiana , il luogo di dannazione eterna in cui stanno le anime di chi è morto nel peccato.
Genere: Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Buio. Oscurità. La voce squillante di un bambino che rompe il silenzio in modo agghiacciante. L’urlo prosegue per un tempo apparentemente infinito trapanandomi i timpani. Silenzio. Il suono si ferma di colpo trasformandosi in un pianto contorto. Vedo una luce. Una fioca luce che comincia ad illuminare lo spazio davanti a me. Il pianto continua, il volume della voce rimane invariato e funge quasi da sottofondo. Nella sua voce riesco a percepire paura e sofferenza. Finalmente i frammenti di luce ricadono sul bambino illuminandone la minuta corporatura. Non ho la vista sfocata, riesco a vedere anche troppo bene e la cosa innalza la mia paura a dei livelli massimi. La mia attenzione ricade sulle mani del bambino che si aprono e si chiudono sopra il suo viso senza permettermi di vederlo ma lasciando passare il suono. Non riesco a muovere un solo muscolo. C’è un muro dietro di lui. Un gigantesco ed infinito muro color seppia si estende dietro le spalle del bambino. La voce cristallina comincia ad alzarsi in un continuo e contorto pianto. Ho solamente due sensi funzionanti; riesco solo a vedere e sentire, nient’altro. Passo la mia attenzione sul muro. Ci sono delle foto..molte foto. Sono tutte diverse, più o meno sbiadite. Non ce ne sono due uguali. I soggetti delle foto sono delle famiglie e dei paesaggi sfocati che non credo di aver mai visto in vita mia. In quelle immagini tutti sorridono. Sulle loro bocche sono stampati dei falsi ed inquietanti sorrisi. Accanto al bambino c’è una figura..umana? Non sono certo che questa sia la realtà. L’unica cosa che sò è che voglio andarmene. Se è un incubo voglio che finisca. Il pianto continua senza sosta. La testa mi gira. Ci sono dei brevi attimi di buio e luce mentre la figura si muove in modo inpercettibile verso di me. E’ volece come un battere d’occhi. Ho paura. Sento le tempie pulsare. La figura è sempre più vicina ai miei occhi. Devo scappare. Voglio lasciare quell’essere e quel bambino alle mie spalle ma non riesco a muovermi. Il mio corpo è paralizzato. Stò impazzendo. Il pianto continua diventando assordante. Le tempie continuano a pulsarmi più intensamente. Una scossa. Una forte scarica elettrica  attraversa brutalmente il mio corpo riportandomi alla normalità. E’ tutto finito. Il respiro mi torna. Le tempie smettono di pulsare. Il buio se ne và lasciando il posto ad una luce accecante che mi attraversa gli occhi.

“Ha aperto gli occhi. Il battito è lento, serve un'altra scossa.” Sento le voci di alcuni uomini rimbombarmi nella testa. Il mio sguardo è spento ed è rivolto verso il vuoto in quella che pare essere una camera d’ospedale. Una seconda scarica entra nel mio corpo. Faccio un movimento a scatto verso l’alto ma non ho la forza di alzare la schiena dal letto. Respiro a malapena, credo di avere una mascherina su naso e bocca. Il respiro mi manca. Solo poche ore fa credevo seriamente di stare per morire. Il sangue scorreva giù dal petto coprendomi la pelle pallida mentre le pillole facevano effetto e la droga mi scorreva nelle vene. Ho un flashback. La sala concerti. La lametta sporca di sangue caduta sul palco. Ginger che allontana il pubblico. Tutto intorno a me che gira come una giostra impazzita e le urla assordanti delle persone. Tutto mi passa davanti agli occhi veloce come un fulmine mentre l’elettricità rimbomba all’interno del mio corpo apparentemente vuoto. Sento le voci dei dottori che si mischiano al rumore continuo e ripetitivo delle macchine che mi stanno attualmente tenendo in vita ed alle urla che rimbombano nella mia testa. Richiudo gli occhi. Non riesco a tenerli aperti più di tanto. O tengo gli occhi aperti o respiro. Qualcosa mi stringe l’omero come una morsa e mi blocca la circolazione. I “beep” regolari delle macchine mi rimbombano nella testa con ritmo rintronante. Il lettino dove sono steso comincia a muoversi sotto di me allontanandomi dal rumore. Con la poca energia che mi rimane arriccio il naso sentendoci dentro due tubicini che arrivano fino ai polmoni. Respiro a fatica tenendo gli occhi chiusi e perdendomi nel buio. Buio. Oscurità. La luce è sparita di nuovo, proprio come ieri notte. Stavolta c’è silenzio. Le pulsazioni del sangue mi rimbombano nelle orecchie. Tento di trattenere il respiro e riapro gli occhi. Devo essere in una camera d’ospedale. Il soffitto ha un colore panna rancida. L’odore di muffa e di chiuso si mischiano a quello della Varechina. Provo a respirare ma anche stavolta ci riesco a malapena. Devo aver avuto uno shock o qualcosa di simile. Un rumore secco. Dei passi. Mi volto verso la porta e vedo un uomo in camice bianco entrare con una cartella medica in mano.

“Brian..30 anni..nato il 5 Gennaio..” legge ad alta voce quello che è riportato sui fogli come per farmi sentire meglio. Richiudo gli occhi. Mi manca il respiro. La voce dell’uomo è fredda e monotona come una routine quotidiana.

“Sei un tossico e, stando a quanto è scritto qui ti sei provocato un emorragia esterna sul petto e sei svenuto..uff..ma perché capitano sempre a me questi pazienti?” la sua voce mi dà fastidio. La sua presenza mi dà fastidio. L’uomo si morde il labbro e schiocca la lingua. Riapro di poco gli occhi ma stavolta riesco anche a respirare. Ho una mascherina sulla bocca ed i miei occhi spenti sono rivolti verso il soffitto.

“Da quanto leggo nei tuoi fascicoli è la seconda volta in due mesi che finisci in ospedale..è un miracolo che non hai ancora avuto un overdose.” mi sistema il laccio emostatico di plastica intorno all’omero destro mentre prepara l’ago della flebo. Non ho la forza di parlare, riesco solo a pensare. Devo avere un cerotto piuttosto grande sui tagli. Sento la colla sul petto che mi dà prurito. Dalla porta sbuca quella che sembra un infermiera strapagata per il tipo di lavoro che fa. Volto lo sguardo verso di lei. A vederla meglio sembra la sorella venuta male di Riccioli d’Oro con un chilo di fondotinta in più. Mi guarda di sbieco come fossi un cane rabbioso dirigendosi verso il medico tenendosi a debita distannza da me. I suoi occhi sono grandi e celesti; sarebbe anche scopabile se non fosse per le occhiaie e per gli occhi arrossati per il fumo. Si avvicina all uomo porgendogli dei fogli mentre i suoni dei macchinari si fanno sempre più forti e ripetitivi. Tutto questo è così reale..troppo..non pensavo di arrivare mai a questo punto. Il sangue pulsa con una forza indefinibilecome se volesse rompermi le vene e sgorgare come una cascata. I due continuano a parlare. Sento parole come “Tossicodipendenza”, “Autolesionismo” e cose simili uscire dalle loro bocche. Il tutto mescolato al rumore dei pensieri nella mia testa. Basta, è troppo. Cerco di dimenarmi ma sono bloccato ed il respiro mi manca. Non sento più arie nei polmoni; ho paura. Sbatto varie volte le palpebre per poi chiudere gli occhi e vedere solo buio. L’infermiera squittisce vedendomi respirare a fatica. Le ultime parole che sento sono:

“In rianimazione, presto! Chiama subito un primario altrimenti lo perdiamo!”

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Nota autrice:
Zalve zalve, sono l'autrice dalla mente contorta di codesta fan fiction su Marilyn Manson; codesta storia tratta di tematiche come droga e morte e tratta di una coppia etero (non aspettatevi dunque cose strane con Twiggy Ramirez).
Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto e non aspetto altro che vostre recensioni. .
Al prossimo capitolo!

Dead_Astronaut

  
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