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Autore: j3nnif3r    10/11/2007    3 recensioni
Che ci posso fare? Ci sono troppi personaggi interessanti, in questo videogioco! XD Anche Wendy mi piace molto, è una bambina diabolica ma deliziosa. Credo che in pochi abbiano compreso QUANTA inconsapevolezza ci fosse nelle sue azioni. Nel contempo pare che far del male a chi ama le piaccia da morire, e ciò la rende molto interessante ai miei occhi. E', in fondo, una bambina. Crudele ed ingenua. Ovviamente se leggete avrete qualche spoiler della trama del gioco...
Genere: Triste, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Le sue labbra erano rosse e le sue mani erano calde. Le passava fra i fili dorati dei capelli, stringeva le labbra con aria severa.
Wendy era capace di capire quando poteva far qualcosa, e quella era una delle volte in cui, decisamente, poteva.
Si stava giusto annoiando, e l’idea di un Principe tutto suo la esaltava. Cosa gli avrebbe fatto fare? Che regali potevano scambiarsi? A che giochi meravigliosi avrebbero giocato, soltanto loro due, correndo fra fiori ed alberi?
L’aveva appena visto, eppure già le apparteneva.
E la cosa divertente è che non si sbagliava affatto. 

Con il passare del tempo, aveva capito meglio la situazione. Che il Principe fosse una bambina non la turbava, perchè non c’era nulla che cambiasse. In realtà era chiaro fin dall’inizio, benchè Wendy non volesse ammetterlo. Le bambine capivano tante cose in più dei maschi, che stavano tutto il giorno a far sbattere legnetti fra di loro.
Ed il suo Principe era così perfetto da essere una bambina. Lei esigeva solo la perfezione e l’aveva ottenuta.
Un sorriso bastava a rendere il suo Principe inquieto, tremante. Era talmente timido, avrebbe fatto di tutto per lei. Wendy parlava con voce sottile e il suo Principe le sfiorava le mani, con quella dolcezza infantile che entrambe non avevano mai conosciuto.
Wendy premeva le dita intorno ai suoi polsi e rideva. Il Principe tentava di sorridere, con un’espressione spaventata e confusa.
La confusione nei suoi occhi era divertente. Era bella.
E finchè le cose stavano così, tutto era contenuto, perfetto, pulito. 

Poi arrivò il lurido cane.

Il Principe aveva ottenuto un nome. Un’identità in cui lei, Wendy, non c’entrava nulla.
Jennifer.
Wendy odiava Jennifer, quella bambina pallida e placida. La spiava giocare con quel botolo detestabile e stringeva i pugni così forte da sanguinare. Le aveva rubato il suo principe, aveva preteso di toglierle ciò che aveva di più prezioso.
Il gioco era finito. Si era frantumato. Violento. Rosso. Crudele.
Wendy era stata buona con quella bambina sporca. Le aveva chiesto di buttar via quell’essere orrendo, di tornare da lei. Le aveva permesso di redimersi, senza subire castighi. Ma Jennifer era stupida, non aveva capito nulla. Nel cortile interno, con svolazzare di gonne e rumore di scarpe sul terreno, giocava con la gioia negli occhi.
Ed era troppo, troppo, per la pazienza di Wendy. Qualcosa andava fatto. Subito.
Se il principe non esisteva più, cosa poteva farsene di Jennifer?
Se Jennifer non desiderava tornare da lei, come poteva farla soffrire?
Come poteva farla piangere fino a scusarsi, fino a chiederle perdono in ginocchio, come avrebbe dovuto fare fin dall’inizio? 

Fu alla vista del sangue che Wendy comprese di aver esagerato.
Un solo attimo di rimorso per quel povero cane. Strinse le labbra e tentò di dimenticare.
La tela del sacco che si macchiava, i guaiti, la scintilla dentro. Il silenzio.
Morto...?
Annientato, sconfitto?
Era tutto finito?
Prima che le altre iniziassero a seppellirlo, Wendy sfiorò la tela, incerta. Non voleva mostrare un ripensamento. Perchè ormai, sì, ormai non era possibile. Non voleva mostrare di aver cambiato idea.
Forse sarebbe bastato corrersi incontro e abbracciarsi.
Forse sarebbe bastato parlare e svelare segreti.
Forse sarebbe bastato smetterla di vendicarsi di tutto su Jennifer.
Fu solo un attimo, in cui Wendy pensò di volerla come amica, davvero. Desiderò darle la mano e far pace, come fanno tutte le bambine normali.
Ma quando lo pensò Brown era già morto, in un sacco sporco di rosso. Era tutto fatto.
Wendy conosceva bene l’irrimediabilità della morte.
Ed ebbe paura, lì, in piedi di fronte al cadavere, circondata da sudditi in attesa.
Paura di non poter rimediare. Di aver combinato qualcosa. Di aver segnato per l’ennesima volta la sua condanna alla solitudine.
Perchè Jennifer, e lei lo sapeva, non avrebbe mai potuto perdonare.
Fece cenno agli altri e si allontanò piano, in silenzio, ad occhi bassi. 

Gli schiaffi arrivarono così veloci da non essere compresi.
Jennifer che urlava, che sgranava gli occhi, che lacrimava e diceva delle parole troppo strane, troppo piene di ribellione per essere sue.
Jennifer che non l’avrebbe amata mai più, nemmeno chiedendo scusa, perchè non era più una cosa da bambini, perchè Wendy aveva passato il limite consentito.
Aveva ucciso Brown e l’amicizia, la fiducia di Jennifer. Niente rimedio.
Non c’era più alcuna possibilità di essere perdonata.
E mentre ascoltava le parole di Jennifer, cercando di capire, di afferrarne il senso, troppi pensieri le scuotevano il petto.
Non aveva funzionato. Nulla aveva funzionato. Nulla avrebbe mai più funzionato.
Dopo, aveva iniziato a correre.
All’inizio non sapeva dove andare. Fuori dall’orfanotrofio, nel mondo, non esisteva un posto per lei. Nessuno. Nulla.
L’erba le macchiava il vestito, i sassi la facevano cadere. Tante volte.
Ansimando aveva deciso.
L’unica persona ancora manipolabile, l’unico adulto ancora presente, l’unica risorsa.
Non era corsa da lui per cercare vendetta, ma solo per chinarsi e piangere. Con le altre non poteva, non l’aveva mai fatto, una Principessa non può farsi vedere in lacrime.
Mai.
Entrò nella piccola casa, sudata e sporca di verde, con la speranza di poter ancora mettere una toppa all’errore compiuto. 

E mentre la sua ultima speranza si spegneva, con i capelli scombinati e le guance ardenti aveva allungato la pistola a Jennifer chiedendole di rimediare, di porre fine per lei a tutto, perchè era davvero troppo.
I vestiti pieni di sangue degli altri bambini erano troppo.
Il ricordo del sacco rosso era troppo.
Il verde sui vestiti era troppo.
Le bugie, il rimorso, tutto era così tanto da riempirle la testa, da spingerla a voler urlare, a volersi strappare la faccia.
Gli occhi di Jennifer erano pieni di terrore e Wendy lo notò. Le ricordò il suo Principe, dolce e insicuro, che aveva amato come se stessa.
Sorrise, e allungando le mani verso di lei, poco prima che l’uomo la afferrasse per porre fine al dolore, sussurrò: “Mi dispiace...”

   
 
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