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Autore: GigyMorrison    23/04/2013    0 recensioni
Purtroppo come sempre devo pubblicare come originale una storia basata su un gruppo musicale non presente in archivio, i Joy Division.
“Non ho mai saputo quanto lontano sarei dovuto andare,
non ho conosciuto gli angoli più oscuri di un senso,
solo per un momento ho sentito qualcuno chiamare,
ho guardato oltre la luce dell'alba... NON C'ERA ASSOLUTAMENTE NIENTE Là!”
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sento che si avvicina, sento che si avvicina”.

Lo sento, come una madre che percepisce l'attimo in cui verrà messa incinta, che qualcosa, qualcosa di un pallido color porpora, sta sorgendo giù, in fondo alle viscere.

Qualcosa che non ha ancora un nome, che è tutto e niente ad un tempo, e si genera, solo, come una fenice, dai versi di qualcunaltro.

Nasce dal terreno asettico e dall'aria pregna di scorie dello scoppio della bomba di Hiroshima, dall'iceage, dall'eruzione di Pompei, da una canzone, la descrizione di una giornata mai vissuta, solo riflessa, “24 Hours”.

 

Non ho mai saputo quanto lontano sarei dovuto andare,

non ho conosciuto gli angoli più oscuri di un senso,

solo per un momento ho sentito qualcuno chiamare,

ho guardato oltre la luce dell'alba... NON C'ERA ASSOLUTAMENTE NIENTE Là!”

 

Apro le luci, e quel che vedo è un'immensa distesa desertica, disseminata di cadaveri fatti a pezzi da mastini che, impazziti allo scoppio della bomba a idrogeno, si sono poi dilaniati tra loro, l'ultimo dei quali, all'aria secca e odorante di morte e scorie nucleari non ha resistito, e nel momento stesso in cui è stato proclamato vincitore è stramazzato al suolo, privo d'esistenza.

E' come una retta in tre dimensioni; non vedo ne' l'inizio ne' la fine di quest'oceano di desolazione in cui io, gambe malferme come quelle di chi, rimasto troppo tempo accosciato nella comodità di un'esistenza bigia e melanconica, priva di sensazioni, sono l'unica sopravvissuta.

I cadaveri -teste, gambe, torsi e braccia accatastati in disordine- sembrano sogghignare, a me e al Tutto; sopra la mia testa un fiume d'inchiostro si rovescia in cielo, e su, ancora più in su, dove il mio sguardo non arriva ma di cui ho cognizione sensoriale, un sole che fa l'amore con le tenebre.

Di fronte a me, una pallida roseaviolea shade di estratto d'alba s'espande come gas nervino in quest'immenso campo di sterminio; i soli sono due, ma è come se il Tutto -i cadaveri dalla bocca urlante e muta, i mastini sgozzati- fosse addormentato, in attesa di un'alba improbabile.

L'alba che ho davanti è mia; cerco, gli occhi lacrimanti e rossastri, di fissarla per discernerne qualcosa; li chiudo quasi, per mettere a fuoco il Tutto, ma l'unica cosa che riesco a scorgere -e non ne sono nemmeno sicura del tutto- è una sagoma, in piedi, a gambe divaricate.

Spalanco la bocca dalle labbra insanguinate, inspiro quanta più aria tossica è possibile, e urlo.

Le chiedo chi è, che come me si è salvata da questo macello, e nel frattempo prendo coscienza del fatto d'ignorare da dove io stessa provenga; ma dalla mia bocca non esce alcun suono.

Riprovo, riempio i polmoni che già mi costringono per la cancrena a vomitare fiotti di sangue e tessuto, ma niente, non emetto alcun fiato, così decido di avanzare lungo questo terreno devastato, verso l'alba e verso l'altra persona.

Lei decide allora di fare lo stesso, che forse è il caso, sì, di socializzare con l'unico essere oltre a lei ad essere rimasto in vita.

Ma io non ci vedi, dannazione, un vento infame s'è levato gettandomi sabbia negli occhi, così brancolo alla cieca, finchè non giungiamo l'uno di fronte all'altra, mentre l'alba, stanca di esistere, muore per ritornare tenebra.

Allora mi sforzo; apro gli occhi sfregandoli dolorosamente e riprendendo a vedere più o meno normalmente.

La persona che mi sta di fronte ha capelli scuri, pelle chiara e occhi atterriti; è una donna, come me, e non parla. E io non parlo. E l'atmosfera è rarefatta e umida e verdastra, e la donna che mi sta di fronte sono io.

 

I've walked on water, run through fire,
Can't seem to feel it anymore.
It was me, waiting for me,
Hoping for something more,
Me, seeing me this time,
Hoping for something else.”

 

Solo ora scopro della cornice di cristalli neri intarsiata di rose color porpora di questa sorta di specchio; e ciò che vedo non mi piace, mi terrorizza, finchè con la testa di un innominato Qualcuno infrango lo specchio;

e tutto va in mille pezzi,

il cielo, l'alba già

morta,

i morti

già a pezzi,

finchè tutto si congela

e io rimango,

a pezzi,

ibernata in un

urlo,

incastrata nel centro di una città

inesistente,

dove tutte le strade s'incrociano,

in un abisso di

scorie,

in cui ogni speranza

affonda,

risvegliandomi nella mia stanza, al

buio,

nell'angolo in cui scopro la tela

imbrattata di speranze affondate

della

realtà.

 

 

   
 
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