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Autore: Raella    24/04/2013    7 recensioni
Enara è una ragazza qualunque, destinata ad avere l'anima perpetuamente in tempesta. Certo, se sorvoliamo sul fatto che per sopravvivere ruba e talvolta uccide. Non che ne vada fiera, ma la vita a volte va così. Eppure, per azione del Caso, o del Fato, o di che so io, un giorno si è scontrata con una compagnia che conosciamo molto bene, composta da tredici nani, uno hobbit ed uno stregone. Insomma, Enara si è trovata tutto d'un tratto coinvolta in una storia mille volte più grande di lei: la riconquista della Montagna Solitaria.
Capitolo 1: Pertanto rimase lì, legata ed imbavagliata, puzzolente, con un bernoccolo sanguinante in testa, a guardare i nani, lo hobbit e lo stregone banchettare allegramente circondati dal suo tesoro. Sospirò. Il karma aveva colpito.
Capitolo 5: Fu allora che qualcosa scattò in lei, e nacque la sua nuova verità. Era come una voce, che semplicemente le diceva “corri”, e lei completava quel sussurro dentro di sé con “più veloce che posso e per sempre”. Correva per fuggire una casa che non poteva più essere la sua, correva per non permettersi di osservare il mondo attorno a sé, di registrarlo, di capirlo.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bilbo, Gandalf, Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Poteva accadere.
Doveva accadere.
È accaduto prima, dopo.
Più vicino, più lontano.
È accaduto a te.

 
8 Lairë, anno 2941, terza era
 
Seguiva gli Uomini Neri ormai da una settimana, quando finalmente questi tornarono alla loro grotta. Cercavano qualcosa da mangiare ed erano molto, molto affamati, e per questo motivo Enara aveva prestato particolare attenzione a stare ben distante da loro.
In quel momento penzolava da un ramo, circa cinque metri più in alto rispetto alle loro puzzolenti persone. Non che lei fosse meno puzzolente, sia ben chiaro. Per prima cosa aveva impiegato quasi tre settimane per trovarli, e da una li seguiva, pertanto in linea di massima era circa un mese che non si lavava. Inoltre, per sviare gli olfatti dei Vagabondi si era rotolata per bene in aghi di pino e quant’altro, che insieme alla mancanza di pulizia avevano avuto come risultato un odore a dir poco rivoltante, che lei stessa faceva fatica a sopportare. Per i Vagabondi invece doveva essere un odore più che normale, e per questo motivo non l’avevano notata. Come se non bastasse, più di una volta era anche caduta (o quasi) dagli alberi su cui si spostava per seguirli, con conseguenze meno gravi, come lividi, graffi e quant’altro, e più gravi, come il rumore che aveva provocato. Spesso c’era mancato poco per farsi scoprire.
Enara era in grado di sopportare tutto questo solo al pensiero di tutto ciò che avrebbe trovato nella grotta dei Vagabondi. Nei momenti peggiori, per esempio quando quei dannati esseri puzzolenti mangiavano tutto ciò che c’era nei dintorni, e a lei non rimaneva niente da mettere sotto i denti ed era costretta a passare giorni a digiuni, cibandosi di bacche (quando le trovava) o di altre cose poco salutari. Nei momenti peggiori dicevo, il pensiero di tutto ciò che quegli zotici avevano racimolato in anni di vagabondaggi e scorrerie le dava la forza di non desistere.
Ed infine i tre Vagabondi decisero di tornarci, e, seguendoli il più silenziosamente possibile, Enara si rese conto che senza la loro “guida” nemmeno il miglior cacciatore di tesori (cosa che lei assolutamente non era) sarebbe stato in grado di trovare la grotta. Forse solo uno stregone ci sarebbe riuscito, se ne esisteva ancora uno.
 
Gongolando di gioia fra sé e sé Enara li osservò entrare nella grotta, attese qualche tempo e, quando finalmente li vide uscire, discutevano – tanto per cambiare – di quanto avevano fame. Ma quanto diavolo mangiano ‘sti dannati esseri?, si chiese per l’ennesima volta da quando aveva iniziato a seguirli. Infine, dopo essersi picchiati – e come sempre il Vagabondo di nome Guglielmo era quello che le prendeva di più – e presi a bastonate, si allontanarono, senza curarsi del rumore insopportabile che facevano.
Enara si sforzò di aspettare il più possibile, ma si sentivano ancora in lontananza le loro voci quando balzò giù dall’albero, davanti alla grotta. Si guardò attorno.
Era notte, com’era ovvio dato che i Vagabondi non potevano che uscire allo scoperto quando non c’era il sole, salvo che non volessero essere tramutati in pietra. Valutò che in linea di massima sarebbero tornati poco prima dell’alba e, poiché mancavano ancora più di un paio d’ore al sorgere del sole, si rese conto di avere un sacco di tempo a disposizione.
Il sentiero che conduceva all’entrata della grotta era pieno di curve molto strette, e gradatamente sempre più profondo fino a sembrare un piccolo canyon, e solo alla fine c’era uno spiazzo. Dov’era lei le pareti raggiungevano quasi i sette metri d’altezza.
Ripercorse i passi dei Vagabondi ed un paio di curve prima dello spiazzo si fermò. Estrasse dallo stivale un pugnale lungo quasi quanto il suo avambraccio, lo gettò in terra e lo coprì con un poco di terriccio badando di lasciarlo comunque ben visibile. In questo modo se i Vagabondi fossero arrivati prima del previsto avrebbero perso tempo ad urlare con i loro vocioni e lei sperava di poterne approfittare per fuggire. Era in effetti un pugnale parecchio appariscente, acquistato apposta per l’occasione. In effetti era partita con l’idea di comprarlo onestamente, poi era giunta alla conclusione che un oggetto così pacchiano, con numerose pietre preziose (finte) incastonate nell’impugnatura, non valeva nemmeno un quarto del suo prezzo, e ovviamente l’aveva rubato. Se fosse stata lei il venditore a cui fosse stato rubato sarebbe solo stata contenta di essersene liberata.
Prese queste precauzioni si precipitò nella grotta, perché non riusciva più ad aspettare. Entrò. C’erano ossa sul pavimento e un odore sgradevole nell’aria; ma c’era anche una grande quantità di cibo gettato alla rinfusa su alcuni scaffali e sul terreno e, in gran disordine, il bottino di molte scorrerie. C’era di tutto: bottoni d’ottone e pentole piene di monete d’oro che stavano in un angolo. C’erano anche molti vestiti, appesi alle pareti – troppo piccoli per Uomini Neri, appartenevano sicuramente alle loro vittime – ed in mezzo ad essi molte spade di varia fattura, forma e dimensione.
Enara rimase qualche secondo a rifarsi gli occhi di fronte a tutto quel bendidio prima di darsi da fare. Non dedicò nemmeno uno sguardo alle spade, perché difficili da trasportare e da rivendere, e tuffò subito le mani nei pentoloni straripanti di monete d’oro e riempì quattro sacche fino all’orlo, aggiungendo ogni tanto qualche pietra preziosa trovata qua e là. Adocchiò la fodera di un pugnale e se la infilò nello stivale, per sostituire quella pacchianata che non aveva nessunissima intenzione di riprendere.
Quando ebbe finito di arraffare un po’ di tutto si alzò e si mise le sacche in spalla, piegandosi sotto l’ameno peso dell’oro. Agguantò una mela, che stava insieme al resto del cibo, ritenendo che fosse una delle poche cose da mangiare ancora sana e salterellò contenta fuori dalla grotta, gongolando fra sé e sé e complimentandosi per la furbizia e la bravura e la fortuna.
Uscì dalla grotta ed addentò la mela. Fece solo più in tempo a pensare che aveva davvero fatto un bel bottino quando sentì un dolore lancinante alla testa e tutto divenne buio.
 

 
Avendo avuto un non molto roseo o divertente incontro con i Vagabondi, i Nani non vollero sentire ragioni quando si resero conto che dentro la grotta di Berto, Maso e Guglielmo c’era qualcuno. Perfino Gandalf si era convinto che chiunque osasse entrare lì non poteva essere che un problema per loro. Solo Bilbo aveva sollevato delle proteste, o meglio aveva provato a sollevarle, ma Dwalin l’aveva messo a tacere con un’occhiataccia.
Per questo motivo si erano acquattati all’entrata della grotta ed avevano atteso che il ladro uscisse con il tesoro, con il loro tesoro a dirla tutta! Bilbo aveva borbottato che chiunque fosse si sarebbe sicuramente reso conto che c’era qualcuno fuori a causa di tutto il “chiasso nanesco” – come lo chiamava lui – che facevano i suoi compagni, ma evidentemente non era così. In effetti, i nani erano, sì, di gran lunga più rumorosi del piccolo hobbit, ma nel loro complesso erano in grado di passare inosservati quando lo volevano e quello era uno di quei momenti.
Avevano atteso dunque e appena il ladro era uscito dalla grotta, Dwalin l’aveva colpito con l’elsa della sua arma e si erano tutti affrettati a strappare le borse del tesoro – del loro tesoro! – dalle spalle della vittima e a legare quest’ultima come un salame.
Solo una volta sicuri che il ladro non potesse scappare in alcun modo si precipitarono all’interno della grotta.
A differenza di Enara, i Nani erano particolarmente interessati anche alle armi e due in particolare attrassero il loro sguardo. Avevano entrambe delle guaine stupendamente lavorate, in uno stile antico e tutt’altro che nanico. Thorin avvolse la mano attorno ad una in particolare, la cui elsa era di un materiale che gli era sconosciuto, nero, e di forma affusolata. La estrasse completamente dal fodero e alla poca luce che proveniva dall’esterno si rese conto che la lama che ricordava quella di una sciabola era perfetta, con le rune incise sopra ancora perfettamente leggibili, nonostante tutte le spade della grotta fossero avvolte in una spessa coltre di ragnatele. Gandalf si avvicinò alla seconda spada, che aveva il fodero d’avorio, la estrasse e la osservò attentamente: essa era bianca ed oro, con la lama a forma di foglia lanceolata ed incastonata nella guardia c’era una piccola pietra grezza blu. Tentò di decifrare le rune che erano incise anche su questa spada, ma, pur comprendendo che era elfico, non fu in grado di leggerlo:
« Sono state forgiate senza dubbio a Gondolin, dagli Elfi Noldor della Prima Era. » disse osservando con divertimento la reazione di Thorin, che provava un odio radicato nei confronti degli Elfi in primis ed in secondo luogo nei confronti di tutto ciò che aveva a che fare con essi.
Il nano fece per gettare la propria lama nel mucchio insieme alle altre, ma Gandalf lo fermò aggiungendo: « Non potresti desiderare spada migliore di questa. » Al che Thorin lo guardò senza cambiare il suo cipiglio serio e con aria di noncuranza se la legò alla cintura. Dopo di che tornò dagli altri nani che stavano saccheggiando la caverna.
Gandalf sorrise e nell’oscurità della grotta nessuno lo vide, se non Bilbo. Lo hobbit era rimasto un po’ sull’entrata, titubante a lasciare fuori da solo il “ladro”, seppure svenuto. Infine, udendo le esclamazioni estasiate dei nani, era entrato, pur riluttante. Si era quindi messo a curiosare qua e là nei mucchi di monete e la sua curiosità era stata ripagata. Aveva infatti trovato, sommersa e quasi invisibile, la fodera di un pugnale. Esso agli occhi dei Vagabondi poteva sicuramente sembrare nient’altro che un coltellino per togliersi i residui di cibo da in mezzo ai denti, ma per un piccolo hobbit come Bilbo era una spada perfetta.
 
I tredici nani osservavano con sospetto il ladro. O meglio la ladra, perché, ebbene sì, si erano infine resi conto di aver legato come salame un’appartenente al gentil sesso.
« Gentil sesso? » borbottava Dori poco convinto « Questa donna aveva su di sé un arsenale da guerra! Altro che gentil sesso… »
Dwalin aveva infatti provveduto a disarmare la donna e ciò che aveva trovato alla sua cintura, negli stivali, in asole nascoste dei pantaloni e anche in altri posti meno simpatici non aveva fatto altro che accrescere il sospetto che i nani provavano nei confronti della quasi-ladra del loro tesoro.
Ai loro piedi stavano due pugnali lunghi quasi quanto un avambraccio, diverse daghe dalla lama lunga quanto una mano, una cerbottana con le sue munizioni e cinque strani aghi con la coda piumata. Questi ultimi in particolare avevano insospettito i nani perché erano accompagnati da una fiala che nessuno aveva il coraggio di aprire e che – se le loro ipotesi erano giuste – doveva contenere del veleno.
« Io direi di darle un altro colpo in testa e di lasciarla qui. » disse Gloin e suo fratello Oin assentì
« Dovremmo svegliarla, invece, e cercare di estorcerle qualche informazione! » fece Kili, battendo il pugno destro sul palmo della mano sinistra con convinzione, e Fili si precipitò subito a prendere una borraccia piena d’acqua e stava già per rovesciarla in testa alla donna quando intervenne Ori che con uno sguardo torvo lo convinse a desistere:
« Per quanto ne sappiamo » disse scuotendo la testa « potrebbe avere dei compagni nascosti nei dintorni, ed una volta sveglia potrebbe strillare come una donnicciola e in men che non si dica ci ritroveremmo circondati. Io la penso come Gloin. »
« E poi quali informazioni vuoi estorcerle, cocciuto d’un nano? » esclamò Dwalin, colpendo Kili alla testa con un gomitata.
In men che non si dica si scatenò un putiferio, ed ogni nano urlava la propria cercando di sovrastare gli altri. Thorin taceva, cercando di mantenere la calma e non cedere alla tentazione di far cocciare le teste dei Nani contro il terreno.
Gandalf se la rideva perché aveva notato una cosa che ai Nani era sfuggita. Aveva intenzione di godersi ancora per un po’ la lite dei compagni, quando Bilbo, con tutta l’innocenza di cui era dotato, disse:
« È sveglia! » e tutti gli sguardi si puntarono sulla ladra
« Sveglia? » fece Dwalin avvicinandosi alla donna per scuoterla « Se dopo la botta che le ho dato, è sveglia, giuro che sono un… » e non fece in tempo a terminare la frase che si ritrovò steso con la faccia nella terra.
In un movimento fulmineo, infatti, la ladra gli aveva fatto uno sgambetto, si era velocemente alzata e si sarebbe precipitata giù per il sentiero, se non avesse perso l’equilibrio nelle sue stesse sacche. Nel baccano dei Nani, che per prenderla si spingevano l’un l’altro, si rialzò, mollò una ginocchiata nello stomaco a quello più vicino – uno molto grasso – e scattò verso la via tortuosa che portava lontano dalla grotta quando inciampò nel bastone che Gandalf aveva – casualmente – allungato dietro i Nani e, nel giro di un respiro, si ritrovò sulle ginocchia con una spada puntata alla gola.
 
Enara alzò gli occhi ed incontrò lo sguardo di Thorin. Dei Nani mi hanno fregata, dei dannati Nani!, pensava freneticamente dentro di sé, mentre guardava da una parte e dall’altra alla ricerca di una via di fuga. Come diavolo hanno fatto ad avvicinarsi senza farsi sentire?
« Legatela ad un albero. » sbottò il nano ed i suoi compagni si affrettarono ad eseguire l’ordine, non preoccupandosi di stringerla troppo né di trasportarla con poca grazia. Nel frattempo Bombur si rotolava a terra stringendosi lo stomaco per il dolore della ginocchiata della donna. Mentre Dori la legava ad un albero, appena fuori dalla grotta, si prese anche un morso e così decisero di imbavagliarla. Dopo di che decisero di riprendersi dalla dura giornata accampandosi a mangiare e dormire, con il sole che si alzava lentamente all’orizzonte.
Enara provava a muoversi, a sgusciare fuori dalle corde, pur consapevole di avere addosso gli occhi penetranti di Gandalf, ma, per quanto si sforzasse, non riusciva a muovere un muscolo.
Se il Fato aveva voluto che ciò accadesse dopo tutta la fatica che aveva fatto per trovare il tesoro dei Vagabondi, Enara non lo sapeva, né voleva saperlo. Pensò con rabbia che se avesse avuto davanti a sé il responsabile della sua sventura l’avrebbe conciato per le feste. Poi si rese conto che, legata com’era, poteva fare ben poco.
In uno sbuffo d’irritazione si mosse come se fosse un verme, e tutto ciò che ottenne fu che Bombur le lanciò addosso del cibo non meglio identificato, ma che dalla puzza che lei ormai aveva imparato a riconoscere sembrava essere appartenuto ai Vagabondi.
Pertanto rimase lì, legata ed imbavagliata, puzzolente, con un bernoccolo sanguinante in testa, a guardare i nani, lo hobbit e lo stregone banchettare allegramente circondati dal suo tesoro. Sospirò.
Temo che questo sia quello che chiamano karma.


 

✽ ✽ 



Elen sìla lmenn' omentielvo, cari lettori!
Era da un po' di tempo che pensavo a questa fanfiction, che, sa andrà effettivamente in porto, sarà la mia prima longfic. Che dire? E' un esperimento per ora, anche se spero sinceramente di continuarla. In linea di massima ho intenzione di seguire il libro, pur cambiando qualche cosina qua e là. Per esempio ho voluto che la grotta fosse aperta, per permettere ad Enara di gongolare un po' prima della bastonata. Sì, sono cattiva XD
Comunque, ditemi cosa ne pensate, se c'è qualcosa da correggere, se vi piace così com'è, se è da buttare nel gabinetto...
Il titolo della fanfiction "Far over" prende ovviamente ispirazione dalla canzone che cantano i Nani, ovvero "Far over the Misty Mountains". La frasee in quenya riprende un verso della canzone di Bilbo, quello che fa "Ora la Via è fuggita avanti", anche se in realtà la traduzione che ho fatto significa "la Via è lontana" e non sono assolutamente un'esperta di lingue tolkieniane, quindi se avete delle correzioni linguistiche da farmi siete i benvenuti (: Il titolo del capitolo "Ogni caso" è di una poesia di Wislawa Szymborska - poetessa mancata l'anno scorso che io personalmente adoro -, e la citazione all'inizio del capitolo sono proprio i primi versi di questo suo componimento. Un'ultima noticina va alla data all'inizio del capitolo: secondo la cronologia che seguirò per la fanfiction, la compagnia di Thorin incontra i Vagabondi/Uomini Neri il 29 maggio del calendario gregoriano, il che corrisponde al 
8 Lairë del Computo di Imladris.
Un abbraccio, alla prossima!

PS. I credits dell'immagine che trovate nel tag a inizio capitolo appartengono a Joel Weirauch, e l'immagine in questione potete trovarla qui: http://joelbw.com/2012/10/big-ass-long-loop-bike-tour-day-2/.

  
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