Crossover
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Autore: Vergil    12/11/2007    2 recensioni
Cosa succederebbe se il valoroso samurai Heishiro Mitsurugi trovasse sul suo cammino l'invincibile Sephiroth come nemico? Persino l'eroe di Soul Calibur è piegato sconfitto dal suo potere. Ma...
Genere: Azione, Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Anime/Manga, Videogiochi
Note: Alternate Universe (AU), OOC, What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Soul Calibur
One Winged Angel


“Transending history and the world, a tale of souls and swords... eternally retold.” (Anonimo)


Mitsurugi affilò lo sguardo e fece un respiro profondo: era giunta l’ora. Gli bastava chiudere gli occhi e annusare l’aria per sentire l’odore della guerra, un odore che conosceva meglio di chiunque altro. Era nato nella guerra, la spada la sua passionale amante, l’armatura il destino che lo abbracciava, il volere dell’imperatore il suo unico credo, la morte la sua triste compagna di viaggi.
Il giovane samurai alzò per un attimo lo sguardo alla luna, trafiggendola con gli scuri occhi di un vero soldato, la quale, in cambio, lo illuminò debolmente con tenue luce, mostrandone il giovane viso attorniato da una rada barba scura e i lunghi capelli neri raccolti in una coda di cavallo, sottili ciocche sparse sull’orgogliosa fronte.
“Generale Mitsurugi-san! Il Tenno-sama (l’imperatore) ci chiama al suo cospetto! Oi, ikuso!(Forza, andiamo!)” Disse un samurai alto e robusto, la testa rasata a zero e lo sguardo truce e fiero.
Mitsurugi lo guardò e sorrise: “Subito, generale Tetsuya-san.”
I due lasciarono la caserma e si recarono verso il campo d’allenamento principale, alle spalle del palazzo imperiale.
“Il nemico si avvicina. Saranno qui tra meno di un’ora. Dobbiamo preparare l’esercito, e in fretta.” Disse Tetsuya con una lieve nota di preoccupazione.
Mitsurugi, al contrario, non potè trattenere un sorrisetto pieno di carisma e tenacia: “Stai tranquillo, Tetsuya, è tutto sotto controllo. La nuova tattica di difesa non lascerà scampo a quei bastardi. A voi e agli altri lascio tutto il divertimento. Quanto a Sephiroth... lasciatelo a me.”
“Sii prudente, Mitsurugi, quell’essere non è umano. Ho sentito alcuni dei suoi uomini sostenere che egli fosse in grado di sollevare con una mano sola tre soldati e scaraventarli lontani miglia e miglia!” Disse Tetsuya.
“Umano o no, vedremo quanti soldati riuscirà a sollevare dopo che avrà ricevuto la mia spada nel cuore.” Terminò Mitsurugi con decisione, mentre lui e il compagno raggiungevano il larghissimo campo militare, già affollato da migliaia di samurai.
Ai piedi della scalinata che scendeva dalle enormi porte di legno del palazzo stava lui, il Tenno-sama, l’imperatore, un uomo dallo sguardo severo e potente quanto la volontà che regnava in lui. Esso incuteva timore e rispetto e nessuno riusciva a fissarlo negli occhi. Il suo viso era attorniato da un’elegante barba grigia scura ed aveva lunghi capelli argentei, che usava legare dietro la nuca e portava, al fianco dei suoi vestiti regali e sublimi, una splendida spada.
Mitsurugi e gli altri abbassarono subito lo sguardo e il samurai, una volta che tutti gli altri si furono allineati sino a formare una serie di file compatte e asserragliate, giunse assieme agli altri generali del suo stesso livello in prima fila.
“Yoi! Tenno-sama rei! (Saluto all’imperatore.)” Disse con voce alta e possente Hoshiko, una samurai alta e magra dai lisci e delicati capelli scuri raccolti idietro la nuca, gli occhi semichiusi e il grazioso viso sottile e allungato.
Mitsurugi e tutti gli altri sfoderarono la spada e, con armonia e destrezza, si mossero insieme in completa sincronia, esibendosi in una serie d’eleganti tecniche di spada, per poi rinfoderare l’arma con altrettanta precisione ed armonia ed inginocchiarsi in un profondo inchino. I samurai piegarono il capo, chiusero gli occhi e si posarono una mano sul cuore, ripetendo fra sé il giuramento del Bushido che avevano pronunciato davanti all’imperatore il giorno in cui avevano per la prima volta impugnato quella spada ed erano divenuti samurai.
“Samurai... amici miei. E’ giunta finalmente l’ora di affrontare il nostro destino. Il nemico è alle porte e farà breccia fra le mura della città entro breve tempo. Le sorti di un regno non dipendono dal suo imperatore... ma dalla forza del suo popolo. Tokyo è nelle vostre mani, amici. Quello che accadrà dipenderà da voi e da voi soltanto.” Disse l’imperatore con voce solenne e maestosa, mentre i samurai rimanevano inginocchiati e non osavano alzare il capo.
“La guerra ci chiama ad impugnare nuovamente la spada, indossare l’armatura e montare a cavallo. E noi non permetteremo mai che i nostri figli e i nostri cari siano colpiti dall’ingiustizia e dalla tirannia!” Disse il sovrano con tono più forte e glorioso, alzando la spada ed unendo i soldati in un clamoroso grido d’incoraggiamento.
“A morte quei bastardi!” Gridò Tetsuya, mentre l’imperatore alzava una mano e pronunciava di nuovo il giuramento del Bushido: “Gi(Onestà), Yu(Coraggio), Jin(Compassione), Rei(Gentilezza), Makoto(Sincerità), Meiyo(Onore), Chugi(Dovere). Nel nome dell’imperatore e del popolo giapponese. Impugnerò questa spada al servizio della parola del Buddha e della giustizia.”
I samurai, con voce forte e sicura ripeterono dopo l’imperatore e, infine, dopo un ultimo profondo inchino, volsero lo sguardo verso le mura che circondavano Tokyo, all’orizzonte.
“Mitsurugi-san! Tu e gli altri posizionatevi per la carica frontale! Io e i miei ci mettiamo nelle difese laterali!” Disse Tetsuya, mentre Mitsurugi annuiva prontamente: “Certo Tetsuya-san. Hoshiko-san! A te affido le retroguardie! Dovrai coprirci le spalle, mi raccomando!”
“Ai(Sì),Mitsurugi-san! Consideralo già fatto!” Replicò frettolosamente Hoshiko, marciando assieme ai compagni verso le mura della città. L’esercito dei principi ribelli, che si rifiutavano di sottostare alla volontà dell’imperatore, era ormai giunto alle mura e stava abbattendo il portone senza trovare alcuna resistenza, dopo aver razziato e devastato le zone circostanti con insaziabile ferocia.
“Sephiroth... pagherai per tutto ciò che hai fatto... lo giuro sull’onore di mio padre.” Ringhiò fra i denti Mitsurugi, mentre osservava la folla fuggire disperata dalle abitazioni e rifugiarsi all’interno delle mura dell’enorme palazzo: quella notte il centro di Tokyo sarebbe stato il campo su cui si sarebbe battuto per quell’ultima resa dei conti. L’esercito avversario poteva contare sull’appoggio di tutti i più forti soldati dell’intero Giappone, provenienti da ciascuna delle regioni che circondavano il principato di Tokyo, il quale, assediato, circondato e ricacciato verso l’interno, sembrava ormai senza via di salvezza. L’ultima speranza erano loro, i valorosi samurai, i fedeli e giurati guardiani dell’imperatore.
“Arrivano....” Sussurrò Tetsuya con voce tremolante, osservando in lontananza l’avvicinarsi dell’armata nemica.
“Che vengano pure... se la memoria non m’inganna sia noi sia loro possiamo contare su un esercito di diecimila soldati... percui sarà un combattimento alla pari.” Disse Mitsurugi, sfoderando lentamente la spada e fissando con ferocia l’avvicinarsi dell’esercito. Tutti gli altri fecero altrettanto.
“Preparate subito gli arcieri nelle retroguardie... al mio segnale... fate fuoco a volontà.” Disse Hoshiko sfoderando a sua volta la spada, mentre i samurai nelle ultime file rinfoderavano la spada e impugnavano arco e frecce.
“Yoi(Attenti!)Prepararsi alla battaglia! Yoi! Yoi!” Gridò Tetsuya, mentre l’esercito assumeva la posizione d’attacco. Alla fine, quando l’armata nemica fu finalmente giunta, Mitsurugi alzò la spada e, lanciando un urlo quasi indemoniato, tuonò:”Minna! Ikso! (Tutti quanti! All’attacco!)”
L’urlo del generale fu subito accompagnato dal possente ruggito dell’esercito, che, assieme a lui, si lanciò senza pietà di corsa verso i nemici. L’ultima battaglia per le sorti di Tokyo era cominciata.
I due eserciti si scontrarono ed ingaggiarono subito un micidiale e violento combattimento senza precedenti. I samurai e i principiincrociarono le spade in una serie di scambi di spettacolari e mortali tecniche di spada, che non risparmiarono chi osava indugiare e dubitare. Davanti a tutti combatteva come un leone il prode e valoroso Heishiro Mitsurugi, figlio di Kageyasu, fedele e leale soldato dell’imperatore. Il giovane samurai si lasciò trasportare dall’ira e, scatenando tutta la furia e i risultati degli strenui allenamenti del kenjutsu, dilaniò e lacerò i corpi dei nemici che si pararono davanti a lui nel vano tentativo di porre freno alla sua sete di vendetta. Veloce, forte e coraggioso, Mitsurugi combatteva senza tregua e poneva fine alla vita di chiunque osasse incrociare la spada con lui, che cedeva dopo un breve ma intenso scambio di colpi.
Al suo fianco combatteva Tetsuya, il nobile e saggio soldato, suo caro amico e compagno d’infinte e disperate guerre. Fianco a fianco avevano impugnato le spade, e ancora, alle porte del destino di Tokyo, egli continuava il suo cammino di soldato al fianco dell’amico. Prudente e sicuro di sé, Tetsuya abbatteva un avversario dopo l’altro e sulla sua inespugnabile difesa s’infrangevano i vani attacchi degli avversari, che nulla potevano contro di lui.
Dietro di loro c’era anche la bella e determinata Hoshiko, una donna tanto bella quanto valorosa e carismatica, in grado di vincere qualunque avversario le si ponesse davanti se significava proteggere le persone che si amano. Facendosi strada con colpi sempre più violenti e temibili, a molti spense l’ardore della battaglia troncandogli di netto il capo, mentre ad altri spaccò il cuore, trafiggendoli da parte a parte e lasciandoli cadere a terra fra le braccia della morte.
La battaglia continuava senza sosta e nessuna delle due fazioni sembrava avere la meglio. Tuttavia i samurai stavano in qualche modo vincendo perché, per quanto notevoli e sudati fossero gli sforzi dei principi, essi venivano respinti e costretti ad una sempre più allarmante ritirata.
Ma Mitsurugi si sentiva in qualche modo ostacolato e si osservava intorno a denti stretti, come se stesse aspettando qualcosa. “Maledetto! Dove sei?!” Pensò il giovane fra sé, alla ricerca del suo nemico giurato.
Il momento della fine era giunto, ma l’attesa di Mitsurugi sembrava stata inutile, poichè ancora Sephiroth, l’angelo della morte, si ostinava a non comparire ed affrontarlo apertamente.
“Attento, Mitsurugi-san!” Gridò la voce di Tetsuya, il quale si gettò sul compagno e lo buttò a terra, prima che una letale freccia trafiggesse la sua gola. “Tetsuya-san. Arigato(grazie.).” Sussurrò Mitsurugi lievemente frastornato, mentre il compagno uccideva un soldato alle proprie spalle e aiutava il giovane a rialzarsi.
“A che cosa stai pensando, Heishiro?! La battaglia è qui!” Lo ammonì Tetsuya, mentre Mitsurugi ricominciava a combattere.
“DAH! Aiuto!” Esclamò Hoshiko, trovandosi accerchiata allo stesso tempo da cinque nemici. La ragazza, difendendosi a malapena, indietreggiò ed inciampò a terra, e se non fosse stato per l’aiuto di Mitsurugi la morte si sarebbe presa anche lei. Il samurai uccise con poche ma spettacolari tecniche gli avversari, afferrandone uno e scaraventandolo al suolo con una spettacolare tecnica d’atterraggio, per poi trafiggerlo al cuore.
“Tutto bene, Hoshiko?” Le chiese Mitsurugi, aiutandola ad alzarsi. La ragazza annuì e si preparò nuovamente a combattere. I tre samurai si ritrovarono ora schiena contro schiena, e si apprestarono a continuare il combattimento.
“Tetsuya-san, Hoshiko-san! Lascio a voi il compito di difendere il palazzo! Io ho un conto da saldare con un vecchio amico!” Esclamò Mitsurugi.
“Che cosa vuoi fare, Mitsurugi-san?” Domandò Hoshiko.
“Non c’è tempo per spiegarlo, affido tutto a voi!” Replicò frettolosamente Mitsurugi, mentre lasciava i compagni e si lanciava di corsa nella mischia. Così, mentre Tetsuya e Hoshiko continuavano a combattere assieme agli altri, il generale Heishiro Mitsurugi, stringendo i denti, attraversò la battaglia, sferrando micidiali tecniche di spada a chiunque gli sbarrasse la strada.
“Sephiroth... sto arrivando!” Gridò, mentre, rinfoderata la spada, osservava una sagoma indistinta in cima al tetto della torre del santuario della città: l’angelo della morte lo attendeva per un duello all’ultimo sangue fra cieli e inferno, faccia a faccia, da veri uomini, da veri soldati, solo loro due, in cima al mondo, con la sola morte come destino. E Mitsurugi non poteva non accettare una sfida tanto eccitante, il suo sangue guerriero non glielo avrebbe mai permesso.
“Sephiroth!” Gridò Mitsurugi, mentre sfondava con una spallata le porte del santuario e correva su per le scale più velocemente che poteva. Senza voltarsi indietro, il respiro pesante, il battito del cuore sempre più impetuoso, le mani tremanti per l’impazienza, Mitsurugi raggiunse finalmente l’ultimo piano della torre e, recatosi sul terrazzo, fece saettare lo sguardo alle sue spalle, si aggrappò con un rapido salto al bordo del tetto e vi rotolò sopra con una capriola. E fu così che il viso del samurai fu dipinto da un arrogante ed eccitato sorriso, nel vedere di nuovo il suo nemico. Egli se ne stava in piedi al centro del tetto, avvolto nel nero mantello, i lunghi capelli argentei illuminati da deboli raggi di luna, e si voltò lentamente all’arrivo del samurai.
“Ne è passato di tempo, Mitsurugi.... ti stavo aspettando...” Sussurrò con voce tenebrosa e oscura l’angelo della morte, mentre, ammiccando un lieve e minaccioso sorriso, si voltava e si trovava occhi negli occhi con Mitsurugi.
“E’ un piacere rivederti, mio viscido amico... e a dire la verità non pensavo che avresti avuto tanto fegato da affrontarmi, principe decaduto... non ti nascondi più dietro ai tuoi tranelli, alle tue trappole e ai tuoi meschini inganni?” Rispose Mitsurugi, mentre avanzava lentamente di qualche passo verso il nemico, il quale rimase immobile e in silenzio.
“Ti piace quello che ho preparato in onore del nostro spettacolo, samurai?” Disse poi, volgendo lo sguardo alla città di Tokyo in fiamme e divorata dalla ferocia della guerra. Mitsurugi non si voltò neanche, gli bastava sentire le grida di morte e lo scontro fra acciai, l’unica melodia che le sue orecchie avevano ascoltato per anni, per ribollire di rabbia.
“Finirà tutto questa notte, maledetto! Pagherai per tutto il sangue che il popolo giapponese ha versato per colpa tua!” Ruggì il samurai, mentre dinanzi ai suoi occhi riappariva in ricordo il sanguinoso destino che era spettato alla sua famiglia. Suo padre, Kageyasu Mitsurugi, il più valoroso e forte samurai al servizio dell’imperatore, era stato l’unico a trovare il coraggio di difendere la propria patria anche dinanzi alla furia devastatrice di Sephiroth, il quale si era dimostrato troppo forte anche per lui e gli aveva strappato la vita dal petto senza pietà. Senza di lui, i samurai, privi di una guida, di un vero leader che infondesse loro coraggio e carisma, non avevano potuto fare nulla contro quel demone, il quale, diffondendo l’infernale terrore della morte nelle strade di Tokyo, si era preso anche la vita della bellissima principessa Mitsuyo, sposa di Kageyasu e madre di Heishiro.
“Anche tuo padre disse le stesse identiche parole, Mitsurugi, poco prima che lo spedissi all’inferno... guardati intorno, ragazzo. Questa guerra segnerà per sempre la scomparsa di un imperatore, e finalmente il Giappone sarà libero, libero dalla tiranna di un falso dio! Per lasciare spazio ad un regno di totale anarchia, caos e disordine!” Esclamò Sephiroth, con voce sempre più concitata ed euforica, mentre Mitsurugi, irato e pallido come non mai, digrignava i denti in una contorta smorfia di collera ed impugnava l’elsa della letale Shishi-oh, la stessa spada impugnata da suo padre.
“Ksama...!(Maledetto...!)” Sussurrò fra i denti, mentre Sephiroth, sorridendo arrogante e sicuro di sé, impugnava la lunga spada che portava nella guaina dietro la schiena.
La guerra infuriava sempre di più e ormai Tokyo era divenuta un indistinto e informe ammasso d’acciaio, sangue, carne dilaniata e macerie. L’ultima speranza era lui: Mitsurugi. I due spadaccini sfoderarono lentamente la spada e, senza mai dividere i propri sguardi, si lanciarono l’uno contro l’altro, decisi a chiudere quella partita una volta per tutte.
“DAH!” Sotto il cielo colorato di porpora dalle fiamme della città, Mitsurugi, figlio di Kageyasu, e Sephiroth, l’angelo della morte, incrociarono le spade e diedero inizio ad un avvincente e spettacolare duello all’ultimo sangue senza precedenti. Con agilità e tecnica sorprendenti, i due spadaccini s'affrontarono in una serie di colpi di spada d’ogni sorta, dalle stoccate ai fendenti, dalle spazzate agli affondi, ma nessuno degli acciai giapponesi riuscì mai a dissetarsi del sangue avversario, trovando sempre davanti a sé la lama gemella pronta a difenderlo e a ribattere al colpo ricevuto.
Dopo un accanito scontro frontale privo di risultati, samurai e principe si allontanarono l’uno dall’altro per un istante, quindi, recuperato fiato, ricominciarono a combattere, incrociando le spade e misurandosi in una vera e propria prova di forza. I possenti muscoli del generale non bastarono a trionfare sull'inarrestabile impeto del principe bianco, così, prima d’essere sopraffatto dalla sua furia, si lasciò andare, sbilanciò il nemico e fece per trafiggerlo alle spalle.
Sephiroth ammiccò uno sfuggevole ghigno, si allontanò da lui con un’agile ruota e, voltandosi istantaneamente, afferrò Mitsurugi per il collo, per poi gettarlo senza pietà giùdall'edificio.
“OOH!” Mitsurugi, stringendo denti e coraggio, riuscì appena in tempo ad aggrapparsi al ciglio del tetto, ma quando alzò lo sguardo vide la lama di Sephiroth piombare su di lui dal cielo.
Con un gesto disperato, il samurai scostò il capo e, con la coda dell’occhio, vide il terrore dipinto nel viso riflesso nell’acciaio assassino di Sephiroth, che scivolò veloce e letale lungo la sua spalla, protetta dall’armatura.
Il giovane non attese un secondo di più e, sfruttando quell’istante d’oro, afferrò Sephiroth per il bavero e lo trascinò verso di sé, lasciando così la presa e lanciandosi nel vuoto. I due spadaccini si afferrarono vicendevolmente per le mani ed iniziarono, vorticando nell’aria, a precipitare sempre più velocemente, fino a quando non si schiantarono sul tetto del santuario, sfondandolo e precipitando al suo interno.
“URGH...” Mitsurugi, stordito e dolorante, si rialzò debolmente, dovendo ringraziare solamente il corpo del nemico se si ritrovava con le ossa intere, il quale, tuttavia, nonostante la violenza della caduta, si rialzò tranquillamente come se nulla fosse stato.
“Sei più resistente di quanto credessi, soldato... proprio come tuo padre! Per quante volte cadesse, non faceva che rialzarsi e continuare la sua guerra. Dopo tutto voi samurai siete tutti uguali, non capirò mai il vostro senso dell’onore che vi spinge addirittura a morire per esso.... tuo padre sarebbe ancora vivo se non fosse stato per l’onore. Il vostro imperatore vi ha davvero ridotto a bestie sue schiave...” Disse Sephiroth, avvicinandosi con passo lento e sicuro verso il samurai, il quale, al contrario, riusciva a malapena a reggersi in piedi.
“Stai zitto, assassino!” Ribatté Mitsurugi, mentre raccoglieva le ultime energie e, in quella strenua battaglia disperata, sfidava Sephiroth faccia a faccia ancora una volta.
Il duello raggiunse l’apice della spettacolarità e della violenza, le spade continuavano a scontrarsi e ad incrociarsi in sequenze sempre più esilaranti e fantasiose, dando vita quasi ad un’armoniosa e virtuosa danza. Alla fine, nonostante i due spadaccini combattessero allo stesso livello, fu Mitsurugi ad avere la meglio, riuscendo a colpire di striscio il nemico con un fendente lungo la guancia.
“Eh eh eh eh... il valoroso generale Heishiro Mitsurugi non riesce a fare altro che graffiarmi il viso? Un risultato al quanto deludente dal più forte soldato dell’esercito imperiale...” Replicò Sephiroth, senza fare alcun caso al sangue che colava dalla ferita, mentre sferrava una violenta testata all’avversario e lo feriva al fianco con un micidiale fendete, che squarciò l’armatura e raggiunse la carne.
“URGH!” Mitsurugi cadde a terra e spalancò gli occhi, sentendo il suo corpo dilaniato da un dolore lancinante, ed ebbe solo la forza di tossire violentemente e di rigettare sangue.
“Hai gli stessi occhi di tua madre... non dimenticherò mai quel dolce sguardo umido di lacrime terrorizzate...” Sussurrò Sephiroth afferrando il giovane per il collo e trascinandolo a terra come un rifiuto, per poi schiantarlo contro la porta dell’edificio e lanciarlo nel bel mezzo della strada fra le rovine della città. Mitsurugi tentò a malapena a rialzarsi, ma il suo nemico, giunto già davanti a lui, non gli diede scampo.
“Shime(muori)... samurai...” Disse, osservando il giovane con occhi spietati ed afferrandolo saldamente per i capelli, mentre alzava la spada e si preparava a trafiggerlo.
Mitsurugi, osservando il nemico a denti stretti, abbassò lo sguardo e non osò opporre più alcuna resistenza: un samurai doveva sempre riconoscere il disonore della sconfitta e Mitsurugi aveva fallito: ora doveva accettare il suo destino. Il bruciore della sconfitta e il rimpianto di non poter vendicare i suoi cari e di salvare il Giappone erano molto forti, ma non avrebbe mai abbandonato il suo onore, a nessun costo.
Eppure,l’ora per Mitsurugi non era ancora giunta. E il giovane samurai lo realizzò nel vedere un’enorme spada cristiana essere brandita contro l’angelo della morte. “Fermo, demone infernale! Lascialo subito andare!” Disse una voce giovane e pura, proveniente dall’alto. I due spadaccini alzarono il capo e videro, in piedi su di un piccolo edificio, un giovane cavaliere dai tratti occidentali. Era alto e slanciato, aveva lunghi e lisci capelli biondi e splendidi occhi azzurri, il viso bello e affascinante. Indossava un’argentata e robusta armatura, dalle sue spalle svolazzava al vento di guerra un lungo mantello rosso e nelle mani stringeva un’enorme e maestosa spada a croce, ed incise lungo la lama le seguenti parole, in caratteri occidentali: in Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti.
“Siegfried...” Gemette Mitsurugi, ormai privo di forze, mentre Sephiroth, sorridendo compiaciuto, lasciava la presa e si rivolgeva al giovane: “Tu! Non pensavo che fossi così ostinato da viaggiare sino a qui! Peccato che solo la morte sia qui ad aspettarti! Fuggi ora finché sei in tempo, o subirai la stessa misera sorte che spetta al tuo amico...”
Siegfried non disse nulla, ma, con un agile salto, lasciò il tetto e giunse al suolo, avanzando spietato e sicuro verso l’angelo della morte: “La donna che amavo, le persone a me più care... e persino la persona che ero... sono morti per colpa mia, colpa mia. Nemmeno con la morte potrò pagare il prezzo dei miei peccati. Ma prima estirperò la causa di tutto quello che è successo...”
“Ah ah ah ah ah... povero ingenuo ragazzo... se tu mi avessi ascoltato a quest’ora saresti circondato da gloria e potere! Rifiutando il mio aiuto... hai stabilito la tua condanna.” Disse Sephiroth, mentre Siegfried si rivolgeva a Mitsurugi: “State bene, nobil cavalier Mitsurugi?”
“Sì, io sto bene... Siegfried, levati di mezzo e non cercare di farti ammazzare inutilmente! Quello è mio! Sei solo d’impiccio!” Disse Mitsurugi, ancora stordito, mentre Siegfried sorrideva e lanciava uno sguardo funesto all’angelo della morte: “Mi sta a cuore la nostra profonda amicizia e gioisco nel vedere che cerchi di proteggermi. Ma ti assicuro che posso farcela. Questa volta non fallirò. Perdonami.”
Detto questo, si accanì contro Sephiroth ed ingaggiò con lui un furente duello. Mitsurugi, recuperando lentamente le forze, sbatté più volte gli occhi annebbiati e intorpiditi e riuscì a distinguere nell’oscurità il cavaliere dai capelli biondi battersi coraggiosamente contro il cupo e tenebroso principe bianco.
I due si scontrarono più volte in violenti e rapidi incroci di lama, ma il giovane sembrava indomabile e persino Sephiroth, dinanzi a lui, pareva incapace di contrastare tale vigore.
“DAH!” Con un colpo ben assestato, Siegfried riuscì a ferire l’avversario al petto con un lungo taglio, il quale si ritrovò ad indietreggiare notevolmente sino a cadere a terra.
Siegfried, allora, alzò la spada e si preparò a trafiggere con il colpo di grazia il nemico, il quale, tuttavia, sorrise e puntò contro di lui la propria spada, avvolta da una fievole aura purpurea.
Siegfried spalancò gli occhi e stramazzò al suolo, gettandosi le mani al cuore e lanciando uno straziato grido di dolore.
“...?!” Mitsurugi, terrorizzato, guardò sconvolto la scena, sentendosi debole e insignificante dinanzi alle arcane e maledette arti demoniache del nemico, ma lo divenne ancor di più nel vedere le tenebre strappare l’identità umana al suo amico.
“Il tuo destino è nelle mie mani, ragazzo... non sarai mai libero dal patto di sangue che facesti quel giorno!” Ringhiò Sephiroth fra i denti, mentre si rialzava e osservava Siegfried essere avvolto da un’oscura nube. Quando questa se n’andò, il giovane non c’era più, al suo posto un essere dagli occhi rossi iniettati di sangue, lunghi capelli grigi e sciupati, l’argento dell’armatura strappato da un colore scuro come la notte.
E la spada a croce che stringeva in mano era divenuta una lama nera e decorata da teschi e macabri ornamenti demoniaci. Anche il nome con cui era stato battezzato alle porte di Roma, capitale della fede europea, era stato lacerato da quello donatogli dal male, Nightmare, l’incubo di chiunque osasse incrociare con lui il destino.
“Siegfried, no!” Gridò Mitsurugi, mentre Sephiroth rinfoderava la spada e veniva avvolto da un immenso turbine di fiamme: “L’imperatore mi sta aspettando per un inatteso dibattito politico. Spero di non arrecargli disturbo a quest’ora tarda e buia! Ah ah ah ah ah ah!”
Detto questo scomparve, lasciando un Mitsurugi stanco, ferito e irato nelle mani del diavolo in persona.
“ARGH!” Ruggì Nightmare, brandendo la spada e accanendosi contro il samurai, il quale non potè fare altro che combattere.
“Siegfried! Finiscila con questa pazzia! Lui ti sta usando, lo sai! Tu non sei un mostro!” Gridò disperato Mitsurugi, mentre si difendeva a malapena dai furiosi e folli attacchi del demone, che non sembrava intenzionato a fermarsi. Mitsurugi si vide costretto a scappare da lui, incapace di fermarlo, ma questi non si diede pace e, distruggendo tutto quello che trovò sul suo cammino, si lanciò all’inseguimento.
Alla fine, stanco di fuggire, Mitsurugi si batté con lui ancora una volta in un duello frontale, e quando il demone sembrava avere la meglio sul nemico, troncò con un colpo netto e sicuro l’ultima colonna che reggeva le rovine di un piccolo edifico, che precipitarono addosso al cavaliere nero. Mitsurugi, ansimando pesantemente, attese qualche istante e poi iniziò a scavare tra le macerie, fino a ritrovare un giovane biondo, privo di sensi, avvolto in un rosso mantello e in un’argentata armatura.
“Perdonami, Siegfried. Ma ti avevo avvertito. E adesso lascia che ponga fine a questa faccenda. Prima che sia troppo tardi.” Disse Mitsurugi, mentre portava in un luogo sicuro il povero Siegfried, che, lentamente, sembrava riacquistare conoscenza.
Il samurai lanciò lo sguardo verso il palazzo imperiale e strinse i denti: la vita dell’imperatore dipendeva solo da lui, il quale stava per affrontare una disperata lotta contro il tempo. Così rinfoderò la spada e si lanciò di corsa, fra la guerra e il sangue, verso il palazzo. “Tenno-sama! Ikimas! (Sto arrivando!)”
Gridò Mitsurugi, mentre, dopo una corsa spettacolare, giungeva alle porte imperiali, ormai invase dai principi ribelli. Il suo cuore fu dilaniato da una fitta di dolore e angoscia nel vedere a terra molti dei suoi compagni, ma, chiudendo gli occhi e voltando lo sguardo, ricacciò dentro di sé le emozioni e corse verso la sala imperiale.
Quando la raggiunse, vide l’imperatore e Sephiroth battersi in un accanito combattimento. L’imperatore era uno spadaccino molto abile e conosceva con saggezza ed esperienza le tecniche del kenjutsu, ma non poteva nulla dinanzi a Sephiroth, che, sorridendo soddisfatto, si difendeva senza problemi dagli attacchi del sovrano e contrattaccava con violenza inaudita.
“Tu non vincerai mai! Anche se io dovessi morire il popolo giapponese non ti riconoscerà mai come re! Tu sei un folle!” Gridò il sovrano.
“Ah ah ah ah ah! Né tu né nessuno dei tuoi cari samurai m’intralcerà più il cammino! Libererò questa nazione dall’impero, per un regime anarchico fondato sul caos e la libertà assoluta!” Ribatté Sephiroth, mentre disarmava abilmente l’imperatore e lo sbatteva al suolo violentemente, pronto ad ucciderlo.
“Tenno-sama! Ia(no)!” Gridò Mitsurugi, mentre si lanciava di corsa verso l’angelo della morte, che, voltatosi, lo osservò incollerito: “Tu! Ma perché non ti decidi a morire?!”
“Generale Mitsurugi-san....” Sussurrò l’imperatore, quasi commosso nel vedere un ultimo atto d’assoluta lealtà del suo prediletto spadaccino.
“Shime!” Gridò Mitsurugi, mentre lui e Sephiroth combattevano ancora una volta, amplificando la violenza delle tecniche e la collera nel loro sangue. Mitsurugi strinse i denti e, simboleggiando con tutto il suo onore il valore di quella promessa di fedeltà e lealtà all’imperatore, sprigionò tutta la sua furia, ignorando il dolore delle ferite che laceravano la sua pelle e della stanchezza che spezzava i suoi muscoli, guidato dall’unico vero potere dell’uomo, la forza di volontà.
I due si scambiarono di posto con una capriola e, rialzatisi, incrociarono le spade in un impatto ancora più violento, fissandosi negli occhi privi di ragione per la collera, e questa volta fu il figlio di Kageyasu ad avere la meglio sul suo nemico, respingendolo violentemente sino a sbatterlo contro una colonna.
“Wow! L’ira ha risvegliato il vero samurai che è in te, soldato!” Sussurrò Sephiroth, mentre sfuggiva abilmente alla lama di Mitsurugi, che troncò di netto la colonna, per poi indietreggiare con una capriola e sfuggire al contrattaccò dell’angelo, che squarciò la parete.
“YAH!” Dopo l’ennesimo intreccio di spericolate tecniche di spada, alla fine Mitsurugi si lanciò a capofitto contro il nemico e lo bloccò al suolo, ma quando fece per trafiggergli il capo, questi lo scostò e afferrò il giovane per il collo, scaraventandolo a terra e ponendo fine al suo ultimo contrattacco.
“Hanf... Hanf... Hanf... Hanf... Tenno-sama....” Il samurai, ormai privo di energie e incapace di stringere l’elsa della spada, tremava e traballava, mentre sentiva i polmoni esplodere e cercava inutilmente di rialzarsi, per poi accasciarsi nuovamente al suolo privo di energie.
Ormai nemmeno la devozione e l’onore verso il suo imperatore potevano sostenerlo, la stanchezza aveva avuto la meglio anche sul suo cuore impavido e coraggioso.
“Eh eh eh eh eh... alla fine hai ceduto, samurai!” Disse Sephiroth, mentre, rialzatosi, puntava verso il giovane la spada e questi si alzava in aria, come afferrato da fantasmi, per poi essere scaraventato contro un’altra parete.
“Sayonara(addio)... Mitsurugi.” Disse infine l’angelo della morte.
L’imperatore, allora, in un vano tentativo di fermare il principe del male, impugnò nuovamente l'arma e cercò di colpirlo alle spalle, ma a questi bastò voltarsi per un attimo e sprigionare dagli occhi un devastante incantesimo per fermare il sovrano e scaraventarlo ai piedi del suo trono.
“A voi penserò più tardi, vostra maestà...” Disse Sephiroth, prima di spalancare gli occhi e stringere i denti, trattenendo un’atroce smorfia di dolore: qualcuno gli aveva dilaniato la schiena con un mortale fendente.
“Urgh... Ksama...” Gemette Sephiroth con il volto contratto dal dolore, mentre Siegfried, brandendo l’enorme spada a croce intrisa del suo sangue nero e maledetto, si apprestava a finire il nemico: “Questa è la tua fine, demone! Nel nome di Dio, io ti annienterò!”
“Ia!” Gridò Sephiroth, alzando la spada e risvegliando nuovamente il demone nel cuore del giovane, il quale, piegandosi a terra, raccolse tute le sue forze, cercando di resistere, e fu infine Mitsurugi, rialzandosi e recuperando la spada,a porre fine a quella guerra una volta per tutte.
“Sephiroth, questa volta sei finito per sempre! Io, Heishiro Mitsurugi, ti rispedirò all'inferno da cui provieni! DAH!” Gridò il samurai, mentre appariva alle spalle dell’angelo della morte e si lanciava contro di lui per finirlo.
Il principe del male, ormai esanime, tentò invano di voltarsi e difendersi, ma ormai era giunta la sua ora: nel momento in cui ebbe alzato la spada per colpire, il giovane generale era già arrivato presso di lui ed aveva trafitto il suo petto da parte a parte.
“Bakara(Impossibile)...” Furono le ultime parole di Sephiroth, mentre si accasciava a terra e l’ombra calava sui suoi occhi, dissolvendo il suo corpo in polvere e non lasciando altro che la spada con cui aveva piegato in due il Giappone.
Mitsurugi estrasse con un abile gesto l'arma dal cuore di pietra del nemico, così, rinfoderandola, sorrise. Era tutto finito.
Anche Siegfried sorrise, accasciandosi sfinito a terra e sentendo finalmente il suo cuore libero da quella maledizione: “Ce l’avete fatta...”
Mitsurugi annuì e poi volse lo sguardo al suo imperatore: “Tenno-sama... la guerra è finita. Il Giappone è salvo.”
L’imperatore sorrise a sua volta, mentre dall’esterno proveniva il grido di vittoria dei samurai e finalmente sorgeva un nuovo giorno, che illuminava quell’enorme salone con tiepidi fasci di luce mattutini.

“The legend will never die...” (Anonimo)

THE END
  
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