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Autore: Edelvais    24/04/2013    7 recensioni
But I'll be there for you
As the world falls down.


▪ I: Proprio mentre il mio respiro andò ad abbattersi contro le esili fiamme delle candele, un pensiero mi squarciò il petto in due, lasciandomi con gli occhi sbarrati e il battito del cuore a mille.
Jareth. Nonostante una parte di me fosse orgogliosa di averlo sconfitto e di non avere più nulla a che fare con il Re di Goblin, l’altra scalpitava dalla voglia di rivedere il suo bel viso marmoreo, incorniciato da quella cascata di capelli biondi e stravaganti. Non l’avevo più visto da quell’avventura nel labirinto di quattro anni fa, ma avevo pensato a lui diverse volte.
Dentro di me, sapevo che eravamo destinati a rincontrarci, ma non sospettavo minimamente che potesse accadere così presto e in quel modo.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jareth, Nuovo personaggio, Sarah
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Underground'
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 Sogni di cristallo ~
 

 

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Prologo
••

 

 

È serena, la morte. Calda e accogliente.
Mi sentii avvolgere da un piacevole tepore, mentre avvertivo la mia anima volteggiare leggera, libera del fardello del mio corpo quasi spento.
La morte è la via più semplice; è un rifugio piacevole, dove i dilemmi e le preoccupazioni della vita perdono il loro peso, e la pace invade quel che resta di te.
Morire per salvare una persona che si ama: questo è sicuramente il miglior modo per andarsene.
Un attimo prima di raggiungere quell’armonia interiore, un solo pensiero sfrecciò nella mia mente: Jareth.


 

 
Capitolo I - Moonlight

•••
 

Quando aprii gli occhi, mi accorsi di avere il libro di fisica aperto appoggiato sul mio petto.
Era successo di nuovo.
Mi capitava spesso di addormentarmi nel pieno dello studio, specialmente se riguardava materie soporifere come matematica, chimica e fisica.
Alzai gli occhi al cielo, imprecando mentalmente contro il mio scarso autocontrollo.
Tra pochi mesi avrei avuto l’esame di maturità, ed io cosa mi permettevo di fare? Mi buttavo sfacciatamente tra le braccia di Morfeo, spedendo a quel paese lo studio.
Lanciai un’occhiata all’orologio allacciato al mio polso: segnava le nove e mezza di sera.
Storsi la bocca in una smorfia di disappunto, cercando di alzarmi dal divano.
Come se non bastasse, in quel momento qualcuno suonò al campanello, rievocando in me l’irritazione di poco prima.
«Arrivo, un momento!», gridai con voce ancora impastata dal sonnellino di una misera mezz’ora.
Prima di andare ad aprire controllai il mio stato, decisa per una volta a non dovermi scusare per essermi presentata in vestaglia da notte: solita camicia a scacchi di due taglie più grande e i jeans che tanto amavo. Sospirai, raccogliendo i miei lunghi capelli neri in una coda e aprii la porta.
Non feci nemmeno in tempo a sorprendermi che quattro ragazzi irruppero in casa mia senza troppi complimenti, con dei sorrisoni a trentadue denti stampati sui loro volti.
«Buon compleanno!», esclamarono in coro, reggendo tra le mani una piccola torta alla frutta, con sopra infilate diciannove candeline.
«Oh, ragazzi! Non dovevate, davvero, i-io sono-», cercai di ringraziarli, nonostante il mio malumore non fosse che aumentato vertiginosamente, ma Kristen mi interruppe, facendo scollare i suoi capelli corti e biondi in un cenno di diniego.
«Niente borbottii insensati il giorno del tuo compleanno. Ora soffia le candeline, ed esprimi un desiderio», ordinò perentoria.
Mi lasciai sfuggire un mezzo sorriso. «Avanti ragazzi, non sono più una bambina, perché mai dovrei…»
«Taci e goditi la tua festa a sorpresa», esordì Joan, l’altra mia amica.
Jasper e Taylor annuirono, appoggiando le due ragazze.
Quei quattro sciagurati erano gli unici amici che ero riuscita a guadagnarmi al liceo, e non avrei mai tollerato di vederli delusi dal mio malessere.
Mi sforzai di sembrare entusiasta; in fondo, l’attitudine alla recitazione scorreva ancora nelle mie vene. «D’accordo, d’accordo. Grazie mille, maledetti disgraziati che non siete altro. Per poco non mi buttavate giù la porta!».
Accompagnata dalle loro risate spensierate, soffiai sulle candeline, ricordandomi con nostalgia di quando mia madre, Linda Williams, prima di lasciare me e papà per inseguire il suo sogno, mi incitava ad esprimere un desiderio.
Proprio mentre il mio respiro andò ad abbattersi contro le esili fiamme delle candele, un pensiero mi squarciò il petto in due, lasciandomi con gli occhi sbarrati e il battito del cuore a mille.
Jareth.
Nonostante una parte di me fosse orgogliosa di averlo sconfitto e di non avere più nulla a che fare con il Re di Goblin, l’altra scalpitava dalla voglia di rivedere il suo bel viso marmoreo, incorniciato da quella cascata di capelli biondi e stravaganti. Non l’avevo più visto da quell’avventura nel labirinto di quattro anni fa, ma avevo pensato a lui diverse volte.
«Ehi, stai bene?», domandò Kristen, sfiorandomi il braccio con la mano.
A quella ragazza non sfuggiva nulla. Non che non fosse abbastanza evidente il mio sgomento, ma aveva un’innata quanto irritante propensione a cogliere all’istante lo stato d’animo delle persone che la circondavano. In quel momento detestai con tutta me stessa il suo acume e la mia incapacità a celare le emozioni forti.
«S-sì», replicai dopo alcuni secondi.
Squadrai le espressioni dei miei amici, certa di non avergliela data a bere.
Invece, contro le mie pessimistiche aspettative, notai che avevano riacquistato l’allegria di poco prima.
«E ora», esclamò Joan, prendendo la torta e infilandola accuratamente nel freezer sotto il mio sguardo perplesso. «Andiamo a divertirci!».
Quell’affermazione mi atterrì: per loro “divertirci” significava discoteche, musica a tutto volume e alcol a fiumi. Storsi le labbra in una malcelata smorfia di disapprovazione. Dopotutto dovevo aspettarmelo.
Odiavo quei posti. Nonostante i locali che frequentavano i miei amici trasmettessero buona musica rock, non potevo sopportare tutta quella confusione.
Prima che potessi protestare mi trascinarono di fuori, nel freddo pungente di Marzo, costringendomi a salire in macchina senza anche solo provare a lamentarmi.
«Sarà bellissimo! Visto che non sei mai voluta venire con noi, questa volta obbedirai senza fare storie, okay?».
Avrei tanto voluto rispondere di no, rientrare in casa e tuffarmi nella lettura fino a quando i miei occhi non avessero implorato pietà, ma non volevo spezzare il loro entusiasmo.
Avevo sempre rimandato ogni volta che avevano provato a invitarmi in posti del genere. Forse quel giorno era meglio dargliela vinta.
Sbuffai nella mia mente, cercando di calmare l’ansia che cresceva impetuosa.
In fondo, cosa mai sarebbe potuto succedere?
In quel momento il mio sguardo cadde sulla camicia di due taglie più grande e sui jeans maltrattati dal tempo. Non mi avevano nemmeno lasciato il tempo di cambiarmi. Per poco non uscivo in pantofole!
Jasper frenò all’improvviso, annunciando l’arrivo a destinazione.
Con un entusiasmo che non avrebbero invidiato nemmeno gli zombie, seguii i miei amici all’interno del locale, il cui nome era illuminato da mille luci intermittenti colorate: “Magic Dance”.
Non appena lessi l’insegna lo stomaco mi si chiuse in una morsa dolorosa.
Erano le parole della canzone che il Re di Goblin aveva cantato a mio fratello, mentre io cercavo di disegnare delle frecce sulle mattonelle per orientarmi. Ricordavo che la sua voce melodica era giunta persino alle mie orecchie, nonostante il castello distasse chilometri.
Scossi la testa, certa di stare impazzendo, ed entrai.
Joan e Taylor si precipitarono subito nella pista da ballo, mentre Jasper si diresse verso il bancone del bar.
Kristen invece rimase accanto a me.
«Mi vuoi spiegare cosa ti è successo prima in casa? Sei sbiancata all’improvviso, e sembrava che stessi per svenire da un momento all’altro!».
Sapevo che prima o poi mi avrebbe chiesto una motivazione, perciò durante il tragitto mi ero preventivamente preparata una risposta plausibile.
«Oh, be’… Nulla di cui preoccuparsi: mi ero dimenticata che Karen e mio padre fossero usciti portandosi dietro anche Toby, e in quel momento mi sono preoccupata del fatto di non essere andata a controllare se stesse bene… Lo sai, ha solo cinque anni e-».
Kristen m’interruppe, sorridendo. «Ti sei di nuovo addormentata sul divano, eh?».
Annuii arrossendo, lieta del fatto di aver eluso qualsiasi sospetto fosse nato nella sua mente.
«Dai, adesso andiamo a scatenarci!», esclamò prendendomi per mano e trascinandomi nella pista.
Palesemente a disagio, anziché tentare qualche approccio come invece stava facendo Kristen, mi guardai in giro, spaesata.
Notai un gruppetto di tre ragazzi, più grandi di me di qualche anno, che mi stavano squadrando con insistenza. Mi voltai, cercando di capire cosa mai avesse attirato il loro sguardo su di me, conciata com’ero, invece di mirare a qualche preda più appariscente e dagli abiti decisamente più provocanti.
Sperai di essere soltanto oggetto delle loro risate per quanto riguardava il mio abbigliamento da campagnola, ma i loro erano ghigni ambigui e spaventosi.
All’improvviso le casse sputarono una nuova melodia, più lenta della precedente, che mi fece sobbalzare.

 
As the pain sweeps through                                          
Quando il dolore si insinua
Makes no sense for you                                                Non significa niente per te
Every thrill has gone                                                   Ogni fremito è passato
Wasn't too much fun at all                                            Non era poi così divertente
But I'll be there for you                                                Ma ci sarò per te
As the world falls down                                                Quando il mondo cadrà giù



Sgranai gli occhi, sull’orlo di una crisi isterica: quella era la canzone del ballo!
La voce era così simile alla sua che quasi non svenni per lo sgomento.
Feci per dirigermi all’uscita – avevo un palese bisogno di rinfrescarmi le idee all’aperto e respirare aria pulita – ma Jasper mi afferrò per un polso.
«Dove credi di andare? Non starai mica scappando!», disse ridendo.
«Non preoccuparti, torno fra un momento, ho solo bisogno d’aria».
Un impellente bisogno d’aria, avrei aggiunto.
Uscii dal locale quasi correndo, e dovetti reggermi al muro per non stramazzare per terra. Le mie gambe tremavano, minacciando di cedere, ed ero sicura che il mio viso non avesse un aspetto migliore. Cercai di calmarmi, ordinando al mio corpo di rispondere ai comandi, e cominciai a camminare con andatura piuttosto incerta.
Due passi mi sarebbero serviti per schiarirmi le idee.
Ad un tratto una risata sguaiata mi distolse dai miei pensieri, obbligandomi a voltare le spalle in quella direzione. Il mio volto diventò ancora più pallido di quanto lo era già, non appena riconobbi i tre ragazzi che mi fissavano nel locale.
Stupida, stupida, stupida Sarah!
Dovevo aspettarmelo.
Terrorizzata, accelerai il passo, intenta a raggiungere l’angolo della strada.
«Ehi, dolcezza, dove stai andando?», gridò uno di loro.
Con ogni probabilità erano ubriachi fradici. La mia solita fortuna!
Svoltai l’angolo, sperando di incontrare qualche buon’anima che potesse trattenere quei bifolchi dall’aggredirmi in presenza di testimoni.
Il sangue mi si raggelò nelle vene quando notai con orrore che mi ero intrappolata da sola: era un vicolo cieco. Avvertii di nuovo le loro risate sguaiate, e li vidi avvicinarsi sempre di più a me.
Ero come un topolino messo alle strette da tre gatti selvatici affamati: senza possibilità di scampo.
«Oh, eccoti qui!».
«Temevamo di perderti».
Le loro parole mi giunsero taglienti alle orecchie, fendendo l’aria.
Li vidi avvicinarsi sempre più, fino a fermarsi a circa due metri da me. Con il cuore a mille, mi appiattii contro il muro alle mie spalle, con gli occhi sbarrati dal terrore.
«Non avere paura», disse il più alto dei tre sfiorandomi la guancia con la mano.
Rabbrividii sotto il suo tocco ruvido, scatenando l’ilarità dei miei assalitori. Cercai di trattenere le lacrime, mantenendo un po’ della dignità che mi rimaneva, e alzai gli occhi al cielo.
In quel momento vidi un rapace solcare l’oscurità della notte, volteggiando con decisione sopra le nostre teste.
Lo riconobbi subito: era un barbagianni.
Contemporaneamente una sfera di cristallo rotolò fino ai miei piedi, suscitando confusione e perplessità nei tre ragazzi.
All’improvviso il barbagianni scese in picchiata verso di noi, e un momento prima di piombare sull’asfalto una nuvola di polvere scintillante si disperse nell’aria, scoprendo poco a poco una figura familiare.
«Jareth», sussurrai con gli occhi sgranati.

 

•••












 



Buongiorno/sera a tutti! Finalmente — e purtroppo per voi  — sono riuscita a pubblicare il prologo e il primo capitolo di questa long che mi ronzava in testa da un sacco di tempo. Dopo aver vagato senza meta su Tumblr alla ricerca di nuove immagini su cui fangirlare, presa dall'ispirazione ho deciso di buttarmi in questa nuova impresa: la mia prima long su Labyrinth.
Spero di aver attirato la vostra attenzione, e ovviamente spero anche che vi sia piaciuto quello che ho scritto. 
Al prossimo capitolo ^^

P.s. Nimuecal, spero tanto che l'attesa sia valsa questo capitolo! Grazie per la fiducia e per il sostegno 
 

 

 

 















 

   
 
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