Storie originali > Giallo
Ricorda la storia  |      
Autore: kickthepjade    25/04/2013    2 recensioni
Non mi ricordo quando sentii parlare per la prima volta della sgangherata-ormai defunta Borgian Investigazioni. Che fosse per la vicina che, disperata per la fuga del suo collie (assatanato, per giunta), aveva chiamato e sperperato soldi, per poi scoprire che si era rifugiato in cantina; o per la signora del bar, che aveva smarrito preziosi collier di perle (finte, specifichiamo); di sicuro non ne avevo sentito parlare bene. La disgrazia era proprio che non sapevo proprio a chi rivolgermi e dovute le circostanze, rivolgermi a mio fratello era il minimo che potessi fare.
Genere: Malinconico, Suspence, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Non mi ricordo quando sentii parlare per la prima volta della sgangherata-ormai defunta Borgian Investigazioni. Che fosse per la vicina che, disperata per la fuga del suo collie (assatanato, per giunta), aveva chiamato e sperperato soldi, per poi scoprire che si era rifugiato in cantina; o per la signora del bar, che aveva smarrito preziosi collier di perle (finte, specifichiamo); di sicuro non ne avevo sentito parlare bene. La disgrazia era proprio che non sapevo proprio a chi rivolgermi e dovute le circostanze, rivolgermi a mio fratello era il minimo che potessi fare. Dicono sempre che la gente si rivolge agli investigatori privati, quando inizia a perdere la fiducia nella polizia. Io invece non speravo neanche in un miracolo: sapevo per certo che degli ispettori ingenui non sarebbero stati in grado di portare in prigione neanche un ladruncolo. Non che ritenessi mio fratello all'altezza del caso, anzi. Non avendolo mai visto all'opera, mi basavo sull'opinione altrui e, da come avrete già dedotto, non era il grande investigatore che si credeva. In ogni caso, ne avrei avuto la prova.
La Borgian Investigazioni si trovava al secondo piano di una palazzina in Piazza Nettuno. Credo che pure il Dio, quando tutta Rovereto si assopisce, si faccia due belle risate, pensando al fallimento che si nasconde lì dietro. Sì, non potevo biasimarli dopotutto. Fu nella mattina della vigilia di Natale di qualche anno fa che mi feci strada sui gradini ricoperti di neve, che precedevano il suo ufficio. Davanti alla porta, pensai di tornare indietro e di dimenticarmi di questa ignobile idea passatami per la mente, ma, pur di evitare rovinose cadute da pirla, decisi di continuare per la mia strada. Pur con gli occhiali appannati, riuscii a trovare subito il citofono. Le mie dita dovettero insistere sul pulsante per un minuto, prima che si sentissero dei segni di vita, provenienti dall'ufficio. Fu allora che feci caso alla scritta sul citofono: in una calligrafia elegante c'era scritto "Borgian Investigazioni e affini. Qualsiasi problema nelle mie mani non sarà più tale".
《Caro fratello mio, certo che te la tiri》Non mi accorsi di aver espresso il concetto ad alta voce, finché mio fratello non si palesò davanti ai occhi, con l'aria di chi è pronto a uccidere. Il che è un colmo per un investigatore privato. Erano anni che non lo vedevo, o almeno non volevo farlo. Avevamo litigato per qualcosa di talmente sciocco, che non mi ricordavo neanche più che fosse successo; in ogni caso, dopo quell'episodio, avevamo fatto come se l'altro non fosse mai nato. La cosa che mi lasciò stupefatta fu il fatto che, oltre l'essere dimagrito di qualche chilo, non fosse cambiato neanche un po’: aveva sempre il solito gusto da damerino nel vestire, che lo faceva sembrare spocchioso agli occhi di chi lo guardava, poi gli occhi castani scrutavano oltre le mie spalle in modo severo, i suoi capelli ormai sul brizzolato andante gli ricadevano selvaggi sulla fronte. I suoi occhi rimasero fissi su di me, sul mio capotto fradicio e tutto il resto della mia vita incasinata.
《Ti ringrazio per le tue gentili parole, Celeste. Ora entra, perché non vorrei mai ucciderti sull'uscio del mio ufficio》Ribadisco quanto detto in precedenza: anche a livello di sentimenti nei miei confronti, era rimasto uguale. Entrai senza indugiar oltre e mi sorpresi nel scoprire che ogni singolo centimetro quadrato di quello studio era studiato per rientrare nel suo disordine privo di inventiva. Feci qualche passo su quel parquet che sembrava volermi abbandonare da un momento all'altro, poi mi girai verso di lui e lo fissai.
《Sai perché son venuta qui, vero?》sussurrai, sedendomi sull'unica sedia libera da scartoffie.
《Direi che, se è quello che penso, conosco il caso alla perfezione》
Che caso vi chiederete? Strano che non lo conosciate, visto che i giornali ne hanno parlato per una settimana intera. Nostro padre, Piero Borgian, il nostro caro papà, venne trovato morto, due settimane fa, sul divano di casa. Un proiettile dritto nel cuore. Trovarono la pistola nella sua mano destra. Era scarica, l'unico colpo in canna era andato a segno. Il verdetto della polizia? Suicidio. Credo siate arrivati anche voi alla stessa conclusione.
Gaetano si sistemò sulla poltrona e si mise una sigaretta tra le labbra. Si frugò nelle tasche dei pantaloni in cerca di un accendino, ma non trovandolo decise di desistere.《Sei tornata a Rovereto solo perché è morto papà?》Non aspettò neanche un cenno da parte mia che potesse confermare la sua teoria, continuò il discorso e basta. 《Celeste, ti conosco: sei un mulo, non torneresti sui tuoi passi, neppure se ne fossi costretta. Soprattutto non torneresti a casa a meno che non sia successo qualcosa di davvero grave.》Buttò la sigaretta nel portacenere e mise le gambe sul tavolo. 《Qualche dubbio a riguardo delle indagini o mi sbaglio?》
Presi la sigaretta e l'accesi, mentre guardavo mio fratello con aria di stizza.
《Vuoi saperlo? Per me non è un suicidio.》
Vidi Gaetano diventare di un colore indefinito, a metà tra il bianco delle lenzuola e quello della carta di giornale. Tolse le gambe dal tavolo e si sporse in avanti. Si vedeva che era combattuto tra il credermi e il non. Deve essere un'esperienza angosciante per qualcuno, che dovrebbe cercare la verità, finire per essere dalla parte del torto, proprio nell'unico momento in cui amerebbe aver ragione. Poveretto.
《No. Non dirmi che anche tu ci sei cascato. Hai creduto davvero che la polizia potesse aver ragione? Ho capito che c'era qualcosa di sbagliato, leggendo un cavolo di quotidiano e tu, vedendo il cadavere addirittura, non ci sei arrivato? Mio Dio, Gaetano, le voci che si sentono sul tuo conto son tutte fondate. Con che mano impugnava la pistola papà, con che mano?》
Ero talmente convinta delle mie affermazioni che mi stavo dimenticando di quanto le mie parole potessero far male a Gaetano. Se ne stava accucciato sulla poltrona senza muovere un muscolo. Faceva di tutto per distrarre l'attenzione dai suoi occhi lucidi. Mi fermai e capii che non potevo certo chiedergli risposta a una domanda simile.
《Quello che voglio dirti è che lui teneva la pistola nella mano destra. Pensaci un attimo su: mai visto un mancino suicidarsi con l’altra mano? Papà non si è sparato, l'hanno ucciso e, da quanto riesco a capire, l'assassino non lo conosceva troppo bene》
Gaetano si alzò e, facendo pesare ogni passo sulle assi traballanti, si recò alla finestra. Osservò la neve che scendeva copiosa sulla città e poi si girò sulle punte dei mocassini. 《Perché stai parlando con me e non con la polizia?》Era, senza dubbio, la domanda più che lecita vista la situazione. E io avevo una risposta altrettanto lecita. Peccato che lui mi anticipò. 《La polizia non ti darebbe mai la possibilità di indagare per davvero, mentre credi che io ti lasci prendere le redini del caso. O sbaglio?》
«Beh, noto che ti manca una sottospecie di Watson, fratello, e sarei una valida candidata per questo ruolo.》Nel sentire le mie parole, il viso di Gaetano si ingrigì ancor di più. 《Qui ti sbagli, Celeste, Watson c'era, eccome se c'era. Poi ha lasciato l'agenzia, ma questa è un'altra storia》
Stetti in silenzio per il semplice fatto che non sapevo come comportarmi. E cosa si dovrebbe fare in casi di questo genere? Cambiare argomento, sempre e solo cambiare argomento.
《Bene, adesso che ne dici di iniziare a indagare? Vuoi o non vuoi sapere la verità su ciò che è successo a nostro padre?》Mi bastò vederlo annuire per gettarmi fuori alla porta, rischiando ancora di scivolare e di fare la già menzionata figura da pirla. Gaetano agguantò il suo capotto, che abbottonò poi il minimo necessario per coprirsi da quel freddo polare, e mi seguì a ruota. Che bel fratello obbediente che avevo.
Arrivammo a casa di nostro padre dopo dieci minuti infiniti. Le strade, piccole e tortuose, si accavallavano, si incrociavano e mi sembrava che fossero tutte uguali in quella bufera, rischiarata solo dalle bancarelle natalizie. A casa, non c'era più nessuno. Mamma se n'era già andata anni fa e da quel giorno, nostro padre era diventato un eremita, viveva lì in cima a una ripida scalinata, usciva il minimo necessario e evitava di parlare a meno che non fosse costretto. Adesso era morto e di vendere casa sua, non se ne parlava, almeno fino all'apertura del testamento. Mio fratello frugò nelle tasche e trovò una chiave incrostata di ruggine.
《Mi disse di andarlo a trovare ogni tanto e mi diede questa. Non mi servì mai, c'era sempre lui alla porta. Grazie al cielo che l'ho conservata》Gaetano inserì la chiave e la serratura scattò dopo neanche un giro. Davanti a noi si aprì un corridoio buio, claustrofobico, rischiarato solo dalle finestre del soggiorno. Camminammo nel silenzio più totale. Il corridoio si apriva su un soggiorno ampio, dove ogni tanto, c’era anche un mobile. Al centro sorgeva la famigerata poltrona. Nella mia mente, ci vedevo seduto mio padre e quella visione mi stava uccidendo. Mio fratello mi mise una mano sulla spalla, nel tentativo di migliorarmi l’umore. «Quella è la poltrona su cui il cuore di nostro padre è stato trapassato da una pallottola. La cosa peggiore è che nessuno ha avuto la compiacenza di pulire il sangue» Notai in quel momento quell’ultimo dettaglio e, per poco, non vomitai sul parquet. Lo schienale era tutto sporco di sangue, il suo sangue. Vicino al divano c’era un tavolino con sopra una lampada vecchio-stile e un telefono. Fu in quell’esatto istante, dove il mio cuore pensava di smettere di battere, che la mia mente non si demoralizzò. Chiusi i pugni fino a conficcarmi le dita nella carne. Mi serviva concentrazione e una buona dose di fortuna: se lì c’era davvero stato un assassino, allora doveva esserci un indizio. Non poteva essere altrimenti. Un’idea si intrufolò nella mia mente con la calma di un fulmine. «Una lettera. Gaetano, ha lasciato una stramaledetta lettera?!»
Lo presi per il colletto della camicia e lo strattonai. «Tutti lasciano un biglietto quando si suicidano. Anche un cavolo di assassino scrive una lettera quando vuole far credere che si tratti di un suicidio. Dai, non sarà stato un cretino. Dimmi qualsiasi cosa. Anche una cazzata, ma qualcosa ci deve essere.» Notai che Gaetano mi guardava in modo strano, le pupille dilatate e gli occhi che sembravano il doppio del normale. Era paura? «C’era una lettera scritta a mano vicino al suo... cadavere. Hanno già fatto la perizia calligrafica, la scrittura era sua.» In quel momento tolsi le dita dalla sua camicia e mi portai la mano alla bocca. «Cosa c’era scritto? Qualsiasi cosa ti ricordi è essenziale.» Serrò le labbra e rimase zitto. «Aspetta.» Si allontanò e sparì in una stanza contigua. Dopo un minuto, riemerse con un foglio in mano. «Un poliziotto mi ha lasciato una fotocopia, so che non è molto ma...» Credevate davvero che gli avrei fatto finire la frase? Presi la lettera e me la misi davanti agli occhi. Questi si rifiutavano di leggere ogni singola lettera, correvano da parola a parola. Ma niente. Non c'era niente che mi potesse aiutare. Ad un tratto, però, qualcosa mi fece storcere il naso. Verso la fine, citava le nostre gite al lunapark come uno dei  momenti gioiosi della sua vita. Il punto è che quella del lunapark era sempre stata una bugia. Avrò avuto sei anni all'epoca. Salutavamo mio fratello e mamma e poi papà mi lasciava da un suo amico, diceva che doveva lavorare. Un giorno, chiesi a quell'uomo ulteriori chiarimenti. 《Beh, papà ha un'amica.》
《Come mamma?》
《Oltre la mamma》rispose lui con un sospiro.
Mio fratello non smise di credere mai a quella cretinata. E io non gli dissi mai la verità. Quella lettera non l'avrebbe mai potuta scrivere mio padre. Poco ma sicuro. 《Sai, come ci chiama alla fine della lettera? "Le mie foglie", avrà avuto la mente un po' appannata, ma le nostre voglie se le ricordava benissimo》In quel momento, Gaetano mi rivolse uno sguardo incomprensibile. Era finto, i denti troppo scoperti, era spettrale.
《Celeste, dai. Andiamo. Ti porto a casa》
Annuii e mi ripetei che dovevo essermi immaginata quel sorriso.
Tornammo in Piazza Nettuno in silenzio. Ogni tanto sputavo qualche mozzicone di frase che poi si disperdeva nell'aria. E io intanto ne approfittavo per pensare a chi avesse ucciso mio padre. Si potrebbero dire le solite idiozie del tipo "Era un uomo buono" o "Non aveva nemici": un uomo che nasconde un'amante non è buono, punto. Eppure non riuscivo a trovare un colpevole. Erano sette anni che non parlavo con la mia famiglia e adesso pretendevo di ricostruire tutti gli sbagli di mio padre in un pomeriggio? Che idiota.
L'unica cosa che riuscì a distrarmi dai miei pensieri fu la presenza di un'autopompa e di una volante della polizia davanti all’ufficio. E si sentiva anche un'ambulanza. Che positività, insomma. Mio fratello guardava la scena basito. Si avvicinarono a noi due poliziotti e Gaetano sembrava tremare.
《Il signor Gaetano Borgian, giusto? È lei il proprietario di questa casa?》
《Sì, sì. Sono io》
Il più alto dei due prese dalla cinta un paio di manette.
《Lei è in arresto per omicidio volontario e occultamento di cadavere》
Mio fratello? Un assassino? Sul serio? Il mio cervello andò letteralmente in blackout. Buio. Nessun pensiero. Niente. Niente. In un secolo che sembrò un secondo, arrivò sul posto anche un'ambulanza. Mentre la mia testa girava, sentivo voci che urlavano e urlavano. Che, per poco, non urlavo anche io. Vedevo gli infermieri caricare un corpo ormai privo di qualsiasi colore su una barella. Da lontano vidi solamente i capelli brizzolati che gli cadevano sulla fronte. Dovevano ancora ricoprirlo con un telo, povero. Poi mi avvicinai. Fu allora che urlai sul serio. Il cadavere aveva una voglia color caffelatte sul polso sinistro, quello opposto al mio, e c'era una sola fottuta possibilità: quello era il cadavere di Gaetano. Allora chi avevo seguito per tutta la giornata? Chi?
Sentii qualcosa di freddo accarezzarmi il collo, all'inizio mi tranquillizzò, poi vidi che era la canna di una pistola. Ed era in mano all'incognita. Chi era quell'essere? Aveva ucciso mio fratello e anche mio padre, avevo il diritto di sapere la verità?
《Signori e signore, se vi dimenticate di questa vicenda, lei vivrà. Altrimenti farà la fine del caro Gaetano. Allora? Vi sembro ragionevole?》ruggì, tenendomi un braccio stretto attorno al collo. La stretta era talmente forte che l'aria riusciva a fatica a giungere ai polmoni. Mi avvicinai al suo orecchio, cercando di divincolarmi dal suo braccio.
《Chi sei? Prima di uccidermi, dammi almeno questa soddisfazione》
Ci vollero tre mesi, tre processi, una pena d'ergastolo e una visita in prigione per avere una risposta.
《Sai, ogni tanto si può nascere anche da una gita al lunapark》All'inizio pensai a uno scherzo, ma vi giuro, che non avevo mai visto una tale serietà negli occhi di una persona. 《Presumo, tu voglia sapere come sono andate le cose da parte mia, o sbaglio?》E poi mi raccontò quella storia.
《La prima volta che ho visto mio padre è stata quando l'ho ucciso. Che incontro fulminante. Non appena quel bastardo sa della gravidanza di mia madre, smette di farsi vedere. Punto. Schluss. Un giorno manda una lettera, dicendo che cambierà il testamento, che lascerà tutto a me, se solo mia madre lo perdonerà. Lei non ci sta, orgogliosa com'è. E' distrutta, poi viene a sapere di Gaetano e te. Sapeva che era sposato, ma i due figli, da dove sono usciti? E lei non vuole essere presa in giro così, quindi si dedica al suo passatempo:
La vendetta.
Ma, da povera anziana, viene da me e mi fa: "Gabriele, tienimi d'occhio Gaetano". Di te non si preoccupa. Crede che tu sia morta. Un peccato che non abbia ragione, vero? Allora, mi faccio assumere come assistente del caro Gaetano. Diventiamo amici, conquisto la sua fiducia.
Quando vuoi bene a qualcuno, non pensi a guardarti dietro le spalle, ma la pugnalata arriva lo stesso. E fa ancora più male. E lui mi vuole tanto, ma tanto bene. Un giorno, gli spedisco una mail per chiedergli una breve vacanza. Lui me la concede. Vado all'estero, dove grazie a un magico chirurgo, cambio volto. Divento Gaetano. Lui crede che sia il volto di qualche famoso attore italiano, non sa mica a cosa mi servirà. Dopo qualche mese, torno in patria. Chiamo Gaetano, dico che ho bisogno di vederlo, di parlare con lui. Lui accetta  e mi da appuntamento nel suo studio. Mi presento da lui alle undici. Gaetano, tardi, in ufficio? E' ubriaco. Fradicio. Lo noto anche perché, vedendo davanti a sé l'esatta copia di se stesso, non batte ciglio.
Mi chiede se è uno scherzo.
Un attimo dopo, tra i fumi dell'alcol, trenta coltellate nell'addome, due nella trachea e una nel cuore, mi chiede pietà. Poi muore, che forse è anche ora.
Poi  mando una lettera di dimissioni da fazzoletti. E da quel giorno, sono Gaetano. Gabriele non esiste più, lo sopprimo. Recito, recito per tutto il tempo. E’ facile imitare la vita di qualcuno che ha sempre tenuto un diario segreto, non credi? E' come recitare un film con un attore che ti presta la voce. A quel film, quello previsto da mia madre, aggiungo un colpo di scena, scelto da me. Uccido Piero Borgian. Mi saluta, mi abbraccia. Cose che non farebbe mai, se sapesse chi sono. Pensa te, mi offre anche una tazza di caffè. Dopo, non gradendola, la annacquo con qualche goccia di sangue. Il suo sangue.
Appoggio la pistola nella sua mano, sembra un suicidio e la polizia ci casca. Ma tu no. Bene, Celeste, scusami tanto se non ti ho regalato il caso perfetto, che tuo fratello desiderava tanto. Perdonami davvero se il mio castello di carte è crollato per una cazzo di mano. Forse se l’avessi conosciuto...》
Gabriele non riuscì a trovare il coraggio per finire quella frase. Ma non lo dava a vedere. Sorrideva. Sbatteva le palpebre normalmente. Le mani non erano sudate. Era l'immagine della tranquillità. Un esempio di lucida follia.
《Non meritavi di conoscerlo》Quella frase uscì dalle mie labbra senza che io potessi fermarla e fu allora che vidi qualcosa cambiare sul suo volto. Primo, la bocca diventò una linea dritta. Secondo, aggrottò le sopracciglia. Terzo, iniziò a urlare.
《Da che pulpito, Celeste. Non accetto lezioni di morale da nessuno, specialmente da te. Dimmi: com'è stato piantare un coltello nella gola di mia madre dieci anni fa? Com'è stato? Com'è stato sparire sette anni, perché avevi ucciso una donna, che l'unico male che ha mai fatto in vita sua è stato innamorarsi di quello stronzo di tuo padre? L'hai fatto solo per cercare di avere indietro la  famiglia perfetta dei tuoi ricordi . Che tesoro a pensare di poterlo fare, togliendomi l'unica persona che m'era rimasta. Perché non sono un cretino come la polizia. Credevi non avessi capito? Credevi davvero che non mi fossi accorto delle troppe coincidenze? Non negare, Celeste, non ti conviene. Ci ho provato anch'io. Ma sai qual è il colmo? Siamo soli. Entrambi. Nessuno verrà mai a pagarci la cauzione. Soprattutto a te》
Non mi accorsi che una coppia di manette mi stava stringendo i polsi e, quando cercai di divincolarmi, era già troppo tardi. Sentire una voce di qualcuno che ti vuole portare in centrale per farti delle domande non è mai una cosa buona, soprattutto se sei stato cattivo. Il sorriso di Gabriele sparì e diventò un ghigno.
《Ti odio》sibilai a labbra chiuse.
《Tranquilla tesoro, la cella accanto alla mia si è appena liberata e poi sarò sempre vicino a te in mensa. Ma intanto divertiti con l'interrogatorio e i processi, mi raccomando. Son la parte migliore》
L'agente mi fece alzare in piedi e mi trascinò letteralmente fino alla porta. Gabriele si alzò a sua volta e batté le mani sul tavolo per attirare la mia attenzione. Sembrava un attore davanti all'ultimo giro di applausi del pubblico. Orgoglioso, soddisfatto, consapevole di aver giocato bene le sue carte, ma per niente sazio. Voleva che il pubblico riconoscesse la sua grandezza, giocando anche la carte del gran finale.
《Sai, Celeste, avevo ragione prima. Noi due non siamo solo simili. Siamo identici.》
E così il sipario calò.
Sulla mia libertà.
  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Giallo / Vai alla pagina dell'autore: kickthepjade